Introduzione.
Analizzare le attività, i racconti, le storie dei detenuti e le
risposte della società circa il tema della rieducazione all‟interno
degli istituti di pena, in particolare nel carcere di Poggioreale di
Napoli, è al centro delle riflessioni e dell‟ analisi del seguente
elaborato. Tale istituto non a caso è stato scelto quale luogo
fisico della mia ricerca essendo io stessa impegnata da circa tre
anni in progetti di volontariato all‟interno dello stesso.
Il mio sguardo si è concentrato sia nei confronti delle
professioni che lavorano ed operano al suo interno, sia nei
confronti dei detenuti che ogni giorno vivono situazioni di
disagio non solo legato al sovraffollamento ma anche al sentirsi
sempre di più abbandonati al loro destino, da loro stessi
considerato “tragico”. Un elemento importante su cui, inoltre, la
mia analisi si è approfondita è stata la riforma penitenziaria del
1975; essa può essere considerata l‟emblema di un cambiamento
importante, in cui si comincia a dare ampio spazio al detenuto
come “individuo” rendendolo partecipe del proprio processo di
cambiamento individuale anche e soprattutto introducendo la
possibilità di partecipare a corsi professionali.
La tesi è stata suddivisa in quattro capitoli. Il primo capitolo,
attraverso la ricostruzione delle fonti giuridiche, ricostruisce
cronologicamente le più importanti riforme del sistema
penitenziario, nonché i riflessi che le stesse hanno avuto
nell‟organizzazione carceraria nel corso degli anni; in tale
3
capitolo, inoltre, viene affrontato anche il tema del “senso del
punire” e come lo stesso sia mutato nel corso dei secoli
passando da una pena spettacolare, esemplare, inumana,
impressa sul corpo del condannato ad una, fino ad arrivare
all‟introduzione della funzione rieducativa della stessa, orientata
principalmente alla riabilitazione sociale del condannato.
Nel secondo capitolo mi sono poi soffermata sugli elementi
innovativi della riforma penitenziaria del 1975, affrontandoli
dettagliatamente ed approfondendo soprattutto l‟introduzione
della sezione scuola, i progetti che vengono intrapresi dalla
stessa e sul ruolo che la riforma attribuisce all‟educatore
penitenziario. L‟idea da cui sono partita è che lo stesso svolge
un ruolo fondamentale nel rapporto con il detenuto, la figura che
può essere considerata a lui più prossima. L‟educatore, infatti,
valuta il detenuto attraverso il colloquio di primo ingresso, il
colloquio nelle attività di osservazione e di trattamento,
interviene evidenziando le risorse, le capacità e anche i limiti del
soggetto detenuto, coinvolgendolo in una progettualità pensata
ed elaborata “con” e “su” di lui.
Nel terzo capitolo ho approfondito il concetto di devianza, di
come le scienze sociali si sono interessate a tale tema, e di
quanto il concetto sia al centro di studi antropologici, sociologici
e psicologici; ciò che mi interessava mettere in luce è stato
l‟insieme dei meccanismi e degli strumenti che la società
utilizza per prevenire e reprimere il fenomeno attraverso il
4
controllo sociale e su come questi continuino con forme di
pregiudizio ed etichettamento, una volta “fuori dal carcere”.
L‟ultimo capitolo è stato, infine, dedicato al carcere di
Poggioreale di cui, attraverso un‟ osservazione partecipante e
diretta da operatore coinvolto in progetti, ho potuto studiare i
laboratori ed i progetti finanziati al suo interno, ponendo
particolare attenzione al progetto Ordinaria Riabilitazione
destinato a detenuti tossicodipendenti, di cui ho analizzato
personalmente gli obiettivi, gli strumenti, le finalità ed i
risultati.
5
Capitolo primo.
L’origine del sistema penitenziario. La storia.
1.1 Il sistema penitenziario.
Il carcere è un microcosmo che riproduce al suo interno il
sistema sociale più vasto, dove le contraddizioni del contesto in
1
cui viviamo, sono troppe e spesso esasperate . Nella società
feudale il carcere inteso come pena, nella forma di privazione
della libertà, non esiste. Il carcere medievale si impone sulla
caratteristica del “taglione” a cui si associa il concetto di
espiatio, quale forma di vendetta basata sul criterio di pareggiare
i danni derivati dal reato, ossia privando il colpevole di quei
beni riconosciuti come valori sociali: la vita, l‟integrità fisica, il
denaro. L‟unico tribunale è quello del Signore Dio, solo lui può
emanare gli ordini, a lui e solo a lui bisogna obbedire. Oggi
l‟istituto penitenziario è il luogo, l‟edificio destinato a contenere
sia i condannati ad una pena detentiva che gli accusati sottoposti
a custodia cautelare, ma questa, non è sempre stata la sua
funzione. Nel periodo precedente l‟Unità di Italia, l‟istituto
penitenziario è considerato il luogo in cui vengono “nascoste”
le persone in attesa di giudizio, i condannati e coloro che la
2
società considera “diversi” e “pericolosi” . Tali individui
vengono allontanati dalla città, per evitare che il loro “marcio”
1
Ricci A. , Salierno G., Il carcere in Italia, Torino, Einaudi, pag.14
2
Foucoult M., Sorvegliare e punire, Torino,Einaudi, 1976
6
potesse contaminare gli altri membri della società. Non ci si
preoccupa della causa della loro prigionia, ma in modo
particolare, della possibilità di contenerle, di evitare e di
prevenire i danni che avrebbero potuto sicuramente produrre.
Una figura di grande riferimento è quella di Cesare Beccaria
(1738-1794), che amò definirsi filosofo della morale e della
politica. Cesare Beccaria è un pioniere dei diritti umani. Il suo
testo Dei delitti e delle pene, è stato scritto prima della
Rivoluzione francese e già qui è stato proclamato il rispetto dei
diritti dell‟uomo e vi colloca una riflessione politica, che
rappresenta il suo pensiero circa la situazione della struttura
legislativa del suo tempo. L‟autore si pone in un contesto storico
del „600-„700 in cui la civiltà europea matura una presa di
coscienza di fronte al problema della giurisdizione penale. Il
libro scaturisce da un impulso morale generato dall‟evoluzione
storica, sociale e culturale di quell‟epoca. In quest‟opera, Cesare
Beccaria affronta il problema della legittimità dei governi di
punire coloro che, in qualsiasi modo, contravvengono a quanto
stabilito dalla legge in quanto, come affermano gli illuministi,
tra il cittadino e lo Stato si stabilisce un patto sociale in base al
quale ogni cittadino rinuncia ad una piccola parte di libertà per il
raggiungimento di un maggior grado di felicità possibile,
garantita a ciascuno dall‟azione dello Stato. Le leggi sono
partite proprio da questo presupposto, dall‟utilità pratica per
tutta la comunità, non solo rispetto al singolo individuo per cui
la costituzione delle pene deve portare ad impedire al cittadino
7
di causare danni alla collettività e di evitare che gli altri possono
seguire l‟esempio del reo. Per questo motivo si è cercato di
evitare le pene precedenti considerate troppo inumane, ma il
freno al delitto non deve più essere la crudeltà della pena ma la
certezza della pena stessa. Beccaria conclude il suo libro con
queste parole « (…) da tutto ciò che è stato appena esposto si
può dedurre da un teorema generale molto utile, ma piuttosto
secondo gli usi delle nazioni. Non deve essere un atto di
violenza contro il cittadino, la pena deve essere pubblica, pronta
e necessaria, le sanzioni devono essere applicate alla
circostanza, proporzionata al reato commesso e alla legge di
riferimento ». La moderazione e la dolcezza della pena sono la
dimostrazione più chiara del principio di utilità generale. Il
diritto deve oramai tener conto dell‟utilità sociale. Questa
concezione utilitaristica del diritto contiene anche un aspetto
umanitario nel senso che, al colpevole di reato, non viene
aggiudicata una punizione vendicativa. È questo che a volte
viene rivendicato all‟interno dell‟Istituto penitenziario di
Poggioreale (Na) dove spesso sono “denunciate” situazioni di
vero e proprio disagio e di forme di abbandono da parte di tutte
le professioni che circondano i detenuti, perché considerati privi
di umanità e solo pronti al giudizio che, invece, secondo i
detenuti stessi, non deve essere emesso dall‟interno, ma solo
dall‟esterno, riferito alle competenze del Giudice di riferimento.
Questa facoltà di giudizio, viene accettata solo dal Giudice, che
emette la finale sentenza. L‟avvento dello Stato di diritto, ha
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aperto la strada al concetto di internamento istituzionalizzato,
perseguendo la certezza del diritto e della pena: è nato così il
concetto di “pena istituzionalizzata” come conseguenza della
violazione della norma. La sanzione penale diventa così una
sofferenza legale che comporta la sottrazione della libertà, per
un periodo proporzionato al reato commesso.
Nello stesso momento, è nata un‟altra questione, quella relativa
al come gestire il tempo del recluso e come, egli, debba essere
trattato al suo interno.
Nel 1890 si istituisce il Codice Zanardelli del Regno di Italia,
che abolisce la pena di morte. Ad un anno di distanza, nel
1891, si impone il Regolamento Generale degli Stabilimenti
Carcerari e dei Riformatori Governativi, il primo vero
documento delle istituzioni penitenziarie dell‟Italia post-
unitaria. L‟approvazione di questo Regolamento ha posto, in
primo piano, la questione della realtà umana e sociale del
3
condannato . La scuola positivista dichiara che la pena deve
ispirarsi al principio di correzione secondo il quale è definito
reo, quindi imputabile, solo colui che può essere rieducato. La
condotta dei delinquenti imputabili è valutata come il prodotto
dell‟ignoranza e dell‟ozio costante, nei quali, questi sono stati
costretti dalle loro condizioni di vita personale e familiare. Nei
riguardi di queste persone, la sanzione ha finalmente un senso:
gli ostacoli che hanno impedito la capacità di questi soggetti di
3
Modona N., Il sistema penitenziario italiano nel XIX secolo. Ideologia dell’istituzione e
condizioni di vita dei detenuti, in La scienza e la colpa. Crimini criminali criminologici: un volto
dell’800, Milano, Electa.
Canosa, Colonnelo, Storia del carcere in Italia dalla fine del 500 all’unità, Roma, Sapere 2000,
1984.
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interiorizzare i valori di convivenza sociale, possono essere
rimossi educando il condannato durante il periodo di reclusione.
4
I non imputabili sono i definiti incorreggibili , nei cui confronti
qualunque percorso di rieducazione sarebbe stato inutile e vano.
Gli individui devono essere solo neutralizzati e rinchiusi, al
fine di proteggere l‟intera collettività. Nel Regolamento del
1891, si parla del trattamento del reo e del concetto di
istruzione negli istituti penitenziari. Ricordiamo che, nello
Statuto Albertino, non esisteva alcuna disposizione in merito
alla formazione scolastica e non è previsto alcun diritto
all‟istruzione. L‟Art. 123 del Regolamento del 1891 prevede
l‟obbligatorietà della scuola nelle istituzioni penitenziarie,
giungendo a sanzionare l‟assenza dei detenuti dai corsi di scuola
5
interni al carcere con pane, acqua e pancaccio, una delle
massime punizioni previste. Anche le disattenzioni durante le
lezioni vengono punite: il detenuto disattento subisce un
richiamo disciplinare o la definitiva censura. Il Regolamento del
1891 indica che i detenuti devono rimanere segregati in cella
solo durante le ore notturne, mentre durante quelle diurne,
devono svolgere una vita comune, frequentando i vari corsi
proposti. È, inoltre, prevista la possibilità per i detenuti di
acquistare libri, anche se questa opportunità, è concepita come
ricompensa speciale solo per coloro che osservano un
comportamento carcerario ineccepibile.
4
Foucoult M., Sorvegliare e punire, Torino, Einaudi, 1976
5
Tavolato di legno usato come giaciglio nei carceri o nelle celle di rigore nelle caserme.
10
Nel 1930 è approvato , con R.D. n. 1398, il codice penale
Rocco e nel 1931, con R.D. n. 787 il Nuovo Regolamento per
gli Istituti di Prevenzione e di Pena. Il Regolamento del 1931, è
composto da 332 articoli che designano le norme di vita
carceraria, con le quali si comprende l‟attenzione positivista e vi
si attribuisce un carattere emendativo alla pena, mantenendone il
carattere intimidatorio. Le indicazioni del Regolamento del
1931, in merito all‟istruzione in carcere, sono ispirate dalla
stessa logica del testo del Regolamento del 1891. L‟ Art. 1 di
questo Regolamento, stabilisce che « i detenuti sono obbligati a
frequentare le scuole istituite negli stabilimenti e che, in essi,
sono permesse solamente conferenze e proiezioni
cinematografiche istruttive ed educative, col divieto assoluto di
persone estranee, oltre a quelle incaricate delle conferenze e
delle proiezioni» e impone ai detenuti l‟obbligo del lavoro e
della partecipazione alle funzioni religiose. L‟istruzione,
insieme al lavoro e alla religione, è considerato il mezzo,
attraverso il quale, si può rieducare e risanare il condannato, tra
cui il rispetto dei valori buoni e l‟impostazione dell‟obbligo al
lavoro, sfruttando così la loro manodopera a favore dell‟intera
comunità. I punti fondamentali del Regolamento Rocco sono: la
rigida separazione tra il mondo carcerario e la realtà esterna; la
limitazione delle attività consentite in carcere; l‟isolamento dei
detenuti all‟ interno degli istituti penitenziari; l‟esclusione dal
carcere di qualsiasi persona estranea cioè non inserita nella
gerarchia e non sottoposta alla disciplina penitenziaria; l‟obbligo
11
a chiamare i detenuti con il numero di matricola (al posto del
cognome) volto alla soppressione della personalità del detenuto.
Il carcere diventa istituzione chiusa. Il Regolamento carcerario
del 1931 suddivide le carceri in tre gruppi: le carceri di custodia
preventiva, le carceri per l‟esecuzione di pena ordinaria e le
carceri per l‟esecuzione di pena speciale. Sono vietati e puniti i
reclami collettivi, il contegno irrispettoso, l‟uso di parole
blasfeme, i giochi, il possesso di carte da gioco, i canti, il riposo
in branda durante il giorno non giustificato da malattie o da
altro, il rifiuto di partecipare a funzioni religiose, il possesso di
un ago, la lettura o il possesso di testi o di periodici di contenuto
politico oppure che rappresentano immagini di persone nude o
seminudi. E‟ consentito loro di scrivere non più di due lettere
alla settimana ai familiari stretti, ma non alla stessa persona
(viene loro consegnata una matita e un foglio di carta che
devono essere riconsegnati al termine della scrittura). E‟
obbligatorio indossare divise del carcere ( il modello a strisce è
usato per designare i condannati definitivi), oppure farsi trovare
in piedi vicino alla branda, ben ordinata, tutte le volte che le
guardie accedono alla cella per la conta o per altro. Durante i
colloqui con i rispettivi parenti, è previsto l‟ascolto da parte
delle guardie. Le punizioni variano, dalla semplice ammonizione
da parte del Direttore del carcere, al trascorrere qualche giorno
nella cella di isolamento, inoltre è prevista la sanzione come il
divieto di fumare, di scrivere, di lavarsi, di radersi per alcune
giornate, l‟interruzione dei colloqui oppure la sottrazione del
12
6
pagliericcio . Molte infrazioni hanno risvolti penali, ossia fanno
scattare denunce e condanne che si sommano, ampliando la
pena. I benefici consistono solo nella possibilità di accedere al
lavoro in carcere oppure all‟assegnazione di un carcere
considerato aperto. Il detenuto, durante tutto il periodo della
detenzione, possiede una scheda personale, all‟intero della
quale sono registrate, oltre ai comportamenti in carcere, anche i
suoi trascorsi personali e familiari, indagando se nella sua
famiglia ci sono stati casi di pazzia, di alcolismo, di suicidio o
di prostituzione, segnalando anche le condizioni economiche e
le idee politiche di ogni parente.
Al Regolamento del 1931 ha seguito la Legge 9 Maggio 1932,
n. 527 Disposizioni sulla Riforma Penitenziaria composta da 5
articoli che riguardano il lavoro dei detenuti, la ristrutturazione
dell‟edilizia carceraria, la contabilità carceraria e le istituzioni di
assistenza dei carcerati. Tale disposizione ha cominciato a
discendere dai programmi e dai fondi del Ministero dei lavori
pubblici, i quali si rivelano del tutto insufficienti ad affrontare i
problemi dei manufatti penitenziari. Questo condusse ad un
graduale decadimento del modello architettonico e alla
realizzazione di edifici carcerari meno imponenti rispetto ai
precedenti. Durante il fascismo, dal 1936 al 1943, il Ministro
7
dell‟Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai , ha emanato la
Legge n.899 del 1° luglio 1940, con la quale si istituisce la
6
Pagliericcio. Grosso sacco riempito di paglia e foglie secche usato come materasso.
7
Giuseppe Bottai grande politico italiano. Fu governatore di Roma, Ministro delle Corporazioni
e Ministro dell‟Educazione Nazionale. Precedentemente aderì al fascismo, poi si rese conto che
esso limitava il processo sociale
13
scuola media unica di tre anni. In campo penitenziario, la pena
svolge la sua funzione non solo nei riguardi del singolo
delinquente, ma verso l‟intera società. Questa, deve percepire la
sanzione penale come mezzo per difendere e riaffermare i valori
travolti, venendo così coinvolta nella politica del regime. Tale
visione retributiva-repressiva della pena, ha indotto ad adottare
misure coercitive sempre più rigide anche nell‟intento di punire
coloro che si dimostrano contrari al regime. Il fascismo, a livello
organizzativo, sottrasse la competenza dell‟amministrazione
delle carceri al Ministero dell‟Interno, attribuendola al Ministero
della Giustizia. In questo periodo il delinquente è etichettato
come un peccatore criminalizzato nei cui confronti, la pena deve
operare come un vero e proprio strumento di riparazione e di
rimorso. Venne reintrodotta la pena di morte e qui la repressione
è diventata un‟esigenza di politica economica sociale, tanto da
diventare repressione di massa.
1.2 La pena nel tempo.
Nel Medioevo, la prigione è considerato il luogo dove viene
custodito il reo in attesa del processo. In un sistema di
produzione pre-capitalismo, il carcere come pena non esiste.
Questa affermazione è storicamente verificabile con
l‟avvertenza che ad essere ignorato non è tanto il carcere come
istituzione, quanto la pena dell‟internamento come privazione
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della libertà. Per la società feudale si parla già di un carcere
preventivo e di un carcere per debiti, ma non si può affermare
che la semplice privazione della libertà, protratta per un periodo
determinato di tempo e non accompagnata da alcuna sofferenza
ulteriore, fosse conosciuta e stabilita come pena autonoma. La
pena, vera e propria, consiste in qualche cosa di diverso dalla
sola privazione della libertà. La pena è rappresentata da una
somma di denaro, da una sofferenza fisica, dall‟esilio e dalla
gogna. È a partire dal seicento che le punizioni cominciano ad
essere sostituite dal carcere come pena, vera e propria. Tra la
fine del settecento e i primi dell‟ottocento, sotto la spinta del
pensiero illuminista, sono portati a termine i primi passi verso
l‟umanizzazione della pena e nell‟ esecuzione penale, facendo
emergere il ruolo della detenzione in sostituzione delle pene
corporali. Con l‟entrata in vigore della Costituzione, l‟idea di
rieducazione diventa un principio costituzionale: l‟esecuzione
della pena detentiva è organizzata, in modo tale, da non
rappresentare un peggior castigo di quello che già si realizza per
effetto della privazione della libertà, ma deve consentire quei
trattamenti idonei al recupero sociale del condannato. Il nostro
sistema processuale ha considerato le pene non come qualcosa
da essere scontate solo all‟intero delle carceri, ma anche nei
luoghi esterni ad essa come ad esempio pensiamo
8
all‟affidamento al servizio sociale oppure l‟affidamento presso
8
Legge 354/75 art. 47. Se la pena detentiva inflitta non supera i tre anni il condannato può essere
affidato al servizio sociale (Ord. Penit. 72)fuori dall‟istituto per un periodo uguale a quello della
pena da scontare. Il provvedimento è adottato sulla base dei risultati circa l‟osservazione della
15
9
le comunità di recupero per i soggetti tossicodipendenti ,
l‟importante è che hanno posto in essere, la funzione
rieducativa. L‟idea rieducativa ha guidato sia il giudice che il
legislatore nelle scelte circa le sanzioni penali che avrebbero, al
meglio, realizzato le finalità scritte nella Costituzione. Il
periodo successivo al dopoguerra, è caratterizzato da un forte
allarme sociale per la presenza di una massiccia criminalità. Tale
situazione non costituisce terreno fertile per lo sviluppo di una
dottrina utile alla rieducazione del condannato, infatti, la società
si è dovuta difendere, piuttosto che dialogare. Secondo Mario
Spasari , il Comma 3 del‟art. 27 cita «le pene non possono
10
consistere in trattamenti contrari al senso di umanità», ciò è
sintomo di una presa di posizione da parte della Costituente nel
senso di individuare lo scopo della pena. Il divieto di trattamenti
disumani è diventato così il limite intrinseco della pena. Se la
pena avesse una funzione, principalmente, di rieducazione non
ci sarebbe stata la necessità di precisarlo. La conseguenza
prevedibile è che il legislatore ha ribadito un fondamentale
carattere afflittivo alla pena. A tal proposito, pervenne Biagio
11
Petrocelli secondo cui : «se le pene avessero dovuto avere un
contenuto essenzialmente ed esclusivamente rieducativo; se,
insomma, le pene non avessero avuto un carattere punitivo, il
personalità, della sua condotta in carcere per almeno un mese e nei casi in cui questo affidamento
contribuisca alla rieducazione del reo e ne assicuri la prevenzione circa il commettere altri reati.
9
D.P.R n.309/90 art. 94. È una particolare forma di affidamento in prova rivolta a
tossicodipendenti ed alcol dipendenti che intendono intraprendere o perseguire un programma
terapeutico. È rivolto alle pene fino ai 6 anni
10
Spasari M., Diritto penale e Costituzione, Milano, Giuffrè, 1966, cap III, pag 117 e ss.
11
Biagio Petrocelli. È stato un giurista italiano. Professore ordinario di diritto penale presso
l‟Università di Napoli e Preside della Facoltà di Giurisprudenza. Fu giudice costituzionale dal
1956 al 1968.
16
divieto di trattamenti contrari al senso di umanità non avrebbero
avuto ragione di essere, perché una funzione che sia
essenzialmente rieducativa esclude da sé, per la sua stessa
natura, i trattamenti contrari al senso di umanità, senza bisogno
12
di alcuna dichiarazione esplicita». Il risultato di tutto questo è
che la rieducazione deve essere uno dei più importanti scopi
cui la pena aspira, ma comunque secondario, rispetto alla sua
dimensione logica. La pena è considerata un castigo
proporzionato alla gravità del reato commesso. Non è una sorta
di vendetta sociale ma quel male che si viene ad attenuare non è
che un male proporzionato «bensì male che giustamente si
13
infligge» .
Il reo deve essere rieducato per prevenire nuove manifestazioni
di devianza sociale. Questo è considerato l‟obiettivo principale
di molti progetti che vengono, oggi, conferiti nei vari istituti di
pena, ma tale obiettivo viene raggiunto solo a metà perché il
problema principale è all‟esterno di codesti istituti. Cosa
succede una volta oltrepassata la porta principale? Queste e
varie domande ancora, le vedremo proposte nei prossimi
capitoli, in un‟intervista all‟attuale Direttore dell‟area
pedagogica del carcere di Poggioreale di Napoli , il Dottor Ciro
Giordano. Tutti gli indirizzi criminologici hanno avuto come
scopo la difesa sociale e la prevenzione. Sono nate, con il
tempo le teorie realistiche, che hanno avuto la dovuta popolarità
12
Petrocelli B., Retribuzione e difesa nel progetto di codice del 1949, in Riv.it.dir.proc.pen.
1950, pag.449.
13
Cfr Spasari M., Diritto penale e Costituzione, Milano, Giuffrè, 1966, pag 125.
17