1
Sommario
La presente ricerca nasce dalla volontà di mettere in correlazione i concetti di gestione territoriale e riduzione
del rischio naturale attraverso un’analisi economica, per comprendere in che modo una buona gestione
amministrativa e l’introuzione di politiche fiscali preventive, siano funzionali alla mitigazione dei disastri.
Il problema posto è quello di analizzare se, attraverso una cooperazione monitorata ed efficiente tra enti
amministrativi di diverso livello, dipartimenti di ricerca, assicurazioni e cittadini si possa sviluppare una
cultura preventiva che incida negativamente sull’aumentare dei danni provocati dalle catastrofi naturali.
Il metodo utilizzato per rispondere a questa problematica è stato quello di un’analisi “costi-benefici”, rispetto
alla prevenzione e ai soccorsi da una parte e alla ricostruzione post-calamità dall’altra; inoltre, per
comprendere i comportamenti dei diversi enti territoriali è proposta un’analisi di negoziazione economica
tramite un semplice esercizio di gioco non cooperativo ed infine la proposta per l’introduzione di un fondo
“preventivo” e dell’assicurazione obbligatoria per le catastrofi naturali.
I risultati, comparati con dei dati reali provenienti dai bilanci della Regione Campania, hanno dimostrato
come, politiche inadeguate e mancanza d’informazione e di coinvolgimento degli attori politici, sociali ed
economici, aumenti la vulnerabilità dei cittadini e incrementi il costo effettivo dei danni limitando lo sviluppo.
Abstract
This research wants to link the two concepts of territorial management and natural risk reduction, throught an
economic analysis in order to understand how a good management and an introduction of fiscal prevention
politicies are functional to disasters relief and mitigation.The central question is to analize if an efficient and
supervised cooperation between different administrative levels, research departments, insurance company and
citizen might develop a preventive culture. This culture could negatively affect the implementation of
damages due to natural catastrophes and the. The method used in order to answer this question has been a
“cost-benefits” analysis, regarding on the one hand the prevention and on the other the relief or the
reconstruction post-calamity. Moreover, in order to understand the behaviors of the various territorial
agencies it’s proposed a simple economic negotiation non- cooperative game exercise with the introduction of
a preventional fund and a compulsory insurance against natural disasters. Besides those results have been
compared with real data obtained from the budgets of the Campania Region. So, it’s demonstrated how,
inadequate policy, a lack of information and involvement of the political, social and economic actors, will
increase the vulnerability of the citizens and swell the cost of the damages, limiting the development.
Résumé
La présente recherche met en corrélation, à partir d’analyses économiques, les concepts de gestion territoriale
et de réduction du risque naturel pour évaluer dans que lle mesure une bonne gestion amministrative et
l’introduction de politiques fiscales préventives peuvent être des instruments efficaces dans la prévention des
désastres. La question centrale est de comprendre s’il est possible de développer une culture de prévention qui
réduisent les dommages provoqués par les catastrophes naturelles à travers une coopération efficace entre les
différents échelons administratifs, les départements de recherche, les assurances et les citoyens. La méthode
utilisée pour répondre à cette problématique a été celle de l’analyse « coût-avantages », par rapport à la
prévention d’un côté et aux secours ou l a r e c o n s t r u c t i o n p o s t -catastrophe de l’autre; en outre, pour
comprendre les comportements des différents organismes territoriaux il est proposé des analyses de
négociation économique par un simple exercice de jeu non-coopératif, avec l’introduction d’un fond
“préventif” et l’obligation d’une assurance contre les catastrphes naturelles. Les résultats obtenus et comparés
avec des données réelles provenant des budgets de la Région Campania, ont montré de quelle manière l es
politiques inadéquates et le m a n q u e d ' i n f o r m a t i o n e t d ' i m p l i c a t i o n d e s a c t e u r s p o l i t i q u e s , s o c i a u x e t
économiques augmentent la vulnérabilité des citoyens et le coût effectif des désastres en limitant le
développement local.
7
“Tutto ciò che accade alla Terra
accade ai figli e alle figlie della Terra.
L’uomo non tesse la trama della vita:
in essa egli è soltanto un filo.
Qualsiasi cosa fa alla trama
l’uomo la fa a sé stesso
1
”
Introduzione
I disastri naturali e i cambiamenti globali, anche climatici, sono sempre esistiti nella
storia del nostro pianeta, facendo sì che l’interazione causale tra organismi, esseri viventi e
ambiente rimanesse spesso indistinta
2
: questa interdipendenza è generata da eventi naturali
che avvengono in una determinata area e che hanno ripercussioni sia sull’ambiente
circostante sia sul resto del pianeta.
Tuttavia, il mondo accademico e scientifico è concorde nell’affermare che
sussistono delle distinzioni tra la situazione ambientale attuale rispetto a quella passata
tanto da far definire l’era geologica in cui viviamo “antropocene”
3
, in cui l’accelerazione
dei processi naturali è causata quasi nella totalità dall’uomo ed in cui viene rimessa in causa
l’effettiva “naturalezza” dei disastri “naturali”. Da un lato, la rapidità della trasformazione
della natura sotto la pressione antropica tende ad intensificare, concentrare ed amplificare i
processi fisici, chimici e biologici; dall’altro, che oggi, a differenza di epoche passate, sono
state sviluppate tecniche e tecnologie più sofisticate, tali da poter permettere all’uomo di
operare in maniera completa per contrastare la situazione che la stessa crescita economica e
lo sviluppo tecnologico hanno provocato. I cambiamenti climatici a cui oggi assistiamo
sono dunque la risultante di azioni e decisioni che incidono sulle risorse naturali e
sull’ambiente che impoveriscono l’ambiente naturale e che incidono sullo sviluppo di aree
1 Capo indiano di Seattle, Seattle, 1854, in F. Capra, La rete della Vita, Biblioteca Universale Rizzoli,
Milano, 2007, pag. I.
2 K. Hewitt, Interpretation of Calamity from the Viewpoint of Human Ecology, Allen & Unwin Inc.
London-Sydney, 1983, pag. 233.
3
Si veda P. Crutzen, Benvenuti nell’Antropocene, l’U omo ha cambiato il Clima, la Terra entra in una
nuova era, Mondadori, Milano, 2005 e J. Za lasiewicz, M. Williams, W. Steffen, P. Crutzen, The new
World of Antrhropocene, in “Environmental Science and Technology Viewpoint”, n. 44, 2010, pagg.
8
e Paesi che, pur lontani dai centri decisionali, subiscono gli effetti negativi di politiche
scorrette nei confronti dell’ ambiente.
Il pensiero economico classico ha lungamente trascurato l’importanza della natura e
la sua gestione pubblica ma, a causa dei fenomeni naturali e soprattutto a seguito alle
catastrofi ad essi correlati, è evidente come la natura in realtà, non possa essere esclusa dai
concetti di base dell’economia come costi, capitale, crescita o benessere.
Nei processi economici di gestione pubblica territoriale, pertanto, risulta sempre più
cruciale far fronte alle nuove sfide causate dai cambiamenti climatici, per tutti gli attori
coinvolti. In effetti, gran parte dei problemi ambientali di carattere globale affondano le
loro radici nelle diverse risposte fornite dalle comunità e dalle autorità pubbliche degli enti
amministrativi locali e nazionali, i quali che hanno il compito difficle di dover coniugare la
tutela ambientale e lo sviluppo sociale ed economico distribuendo più equamente le
ricchezze e le risorse, per mantenere queste ultime anche per le generazioni future,
promuovendo un’attiva partecipazione e una responsabilità ecologica di tutti i cittadini.
Inoltre, la sempre maggiore interdipendenza e correlazione, rende necessaria la
globalizzazione delle teorie economiche moderne, nel senso di oltrepassando i confini
politici, esse dovrebbero porsi come obiettivo una salvaguardia reale, in senso planetario
4
,
del sistema-mondo.
L’obiettivo del presente lavoro di tesi è quello di individuare i processi preventivi
ottimali di gestione territoriale rispetto alle catastrofi naturali, attraverso lo sviluppo
sostenibile. Dopo una disamina dello scenario normativo internazionale in cui si muove
questa tematica, cercherò di chiarire la nozione di catastrofe, attraverso l'analisi dei concetti
di rischio, vulnerabilità, suscettibilità e pericolosità.
Il percorso di ricerca parte da un contesto globale, per poi focalizzare l’attenzione
dapprima sul contesto nazionale italiano e poi su quello regionale campano, soffermandosi
sui comportamenti e sulle strategie messe in atto dagli amministratori, dalle comunità, dai
legislatori nella gestione dell’ambiente e rispetto alle risorse umane, legislative ed
2228-2231
4
E. Tiezzi e N. Marchettini, Che cos’è lo sviluppo sostenibile?, Donizelli, Roma, 1999, pag. XIX.
9
economiche dedicate a questa materia.
Nella prima parte della ricerca collegherò il concetti di pericolosità indotta dai
fattori naturali con la vulnerabilità sociale, cercando di trovare un parallelo tra l’aumento
dei disastri, l’incremento della povertà e il freno allo sviluppo in contesti economici e
sociali già poveri e deboli, cercando di fornire delle misurazioni adeguete ai concetti di
vulnerabilità, rischio, pericolosità ed esposizione.
In un secondo momento, analizzerò l’impatto dei disastri sulle economie, gli
strumenti della governance del rischio e i processi di negoziazione tra i diversi attori delle
politiche economiche. In seguito, mi concentrerò sulla ripartizione delle competenze in
materia di gestione di rischio naturale e analizzerò da una parte una tipologia di strumento
fiscale che possa creare un fondo dedicato alle politiche mitigative e dall’altra l’obbligo dei
contratti assicurativi per tutti i contribuenti, che potrebbero essere sperimentalmente
introdotti per evitare che i danni post-sisistro siano troppo elevati e che incidano troppo
sulla fiscalità generale. L’analisi si focalizzerà infine, anche sulla comparazione dei risultati
teorici e i dati reali provenienti dai bilanci specifici riguardanti il dissesto e la pericolosità
idrogeologica in Italia con una particolare attenzione al caso della Regione Campania quale
paradigma della problematicità ambientale causata della pericolosità naturale e dall’elevata
densità abitativa.
La metodologia utilizzata per questo lavoro prende spunto dalle più recenti teorie
macro-economiche ambientali e di federalismo fiscale; tentando inoltre di apportare
qualche innovazione in termini di tassazione e di partecipazione democratica alla riduzione
del rischio per calamità da parte delle popolazioni coinvolte. Infine prevede l’attuazione di
un’analisi di costi-benefici mettendo in relazione la spese inerenti alla mitigazione del
rischio naturale e le spese effettuate per i soccorsi post-calamità, utilizzando elementi di
teoria dei giochi e di negoziazione per l’analisi della ripartizione delle competenze tra i
diversi enti territoriali.
I risultati attesi da questa ricerca sono l’individuazione dei nessi tra sviluppo,
crescita economica e aumento del rischio a livello globale, determinando la differenza
sostanziale che sussiste tra crescita economica e progresso; un’analisi economica rispetto
10
agli sperperi economici, dovuti ad un’ideguatezza delle politiche preventive e
amministrativi a livello governativo centrale attraverso la dispersione di competenze tra i
livelli inferiori, regionali e provinciali; una messa in evidenza delle carenze di informazione
e di condivisione delle stesse tra i diversi livelli amministrativi, gli enti di ricerca e i
cittadini ed infine la disanima del comportamento degli enti preposti alla tutela ambientale
rispetto ai concetti come quello di mitigazione o a quello di ricovery.
I principali dati utilizzati per le analisi empiriche effettuate provengono innanzitutto
dai data-base delle organizzazioni non governative e inter-governative, network, università,
istituti di ricerca nazionali e internazionali, come lo United Nation Development
Programme (UNDP), il Center for Research on the Epidemiology of Disasters (CRED), lo
United Nations Platform for Space-based Information for Disaster Management and
Emergency Response (UN-SPIDER), lo United Nations International Strategy for
Disasters Reduction (UNISDR), lo United Nation Office for the Coordination of
Humanitarian Affairs (OCHA), lo United Nation Research Institute for Social Development
(UNRISD), lo United Nation Human Settlement Programme (UN-Habitat), il Natural
Hazards Research & Applications Center (NHRAIC), l’Istituto Wuppertal, il Footprint
Network, il Club of Rome, la Protezione Civile Italiana, l’Istituto Italiano per lo Sviluppo
Sostenibile, l’ Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, Ambiente e Sviluppo
Sostenibile (ENEA), ma anche da dati presenti nei bilanci dello Stato e della Regione
Campania, delle Autorità di Bacino (A.d.B.) nazionali, regionali ed interregionali, o
presenti nei rapporti nazionali di difesa dell’ambiente, come quelli provenienti dalle
commissioni di inchiesta del Senato e dagli osservatori del Word Wildlife Found (WWF)
Italia e di Legambiente. Altri dati mi sono stati forniti a seguito di alcuni colloqui ed
interviste fatte al Dott. Toni Federico dell’ISSI a Roma e al Dott. Gerardo Lombardi
dell’Autorità di Bacino del Destra Sele a Napoli. Grazie a loro ed ai preziosi consigli del
Prof. Giorgio Brosio è stato possibile lo svolgimento di questa tesi.
****
11
Il freno al collasso del sistema ambientale globale è un problema che riguarda tutti
gli uomini e tutte le donne di ogni latitudine del pianeta; le nostre abitudini, i nostri gesti, le
nostre preferenze politiche e le nostre scelte economiche possono incidere positivamente in
questo senso.
Questo implica l’esigenza di preparare risposte ai disastri più certe, fattive e
determinate sia a livello globale che locale da parte degli amministratori, risposte che
necessitano di maggiori investimenti per costruire attività preventive più solide e che
mitighino i danni provocati dai disastri. Alle istituzioni internazionali, regionali, nazionali e
locali, invece, l’urgenza di una buona gestione territoriale, dell’efficienza amministrativa e
della condivisione delle informazioni con altri enti ed istituzioni.
“Tutti gli esseri umani hanno il diritto fondamentale ad un ambiente adeguato per la
loro salute ed il loro benessere
5
”: lo sviluppo sostenibile diventa, allora, un obbligo morale,
un bisogno concreto per assicurare la salvaguardia del nostro pianeta, delle nostre vite e di
quelle degli altri, uno dei diritti umani globali inalienabili, che dipende dal comportamento
di ciascuna e di ciascuno di noi e dalla gestione attuata dai governi che abbiamo scelto di
eleggere.
Più fondi dovrebbero essere destinati alla disponibilità dei dati e informazioni o a
dei data-base accessibili e concertati dagli enti di ricerca, dai governi e dalle altre
istituzioni, per implementare una cultura della prevenzione che responsabilizzi le istituzioni
e le imprese all’uso delle risorse naturali per iaumentare il numero delle azioni
“sostenibili”, per limitare i danni economici della ricostruzione e dei soccorsi in seguito alla
crisi, contribuendo alla diminuzione dei costi diretti ed indiretti e favorendo lo sviluppo
socio-culturale.
5
Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Risoluzione 45/94
12
"Lo sviluppo sostenibile impone di soddisfare
i bisogni fondamentali di tutti e
di estendere a tutti la possibilità
di attuare le proprie aspirazioni
a una vita migliore
6
"
I Introduzione: Difesa ambientale, sostenibilità e sviluppo
La Conferenza Mondiale del 2005 sulla Riduzione dei Disastri (WCDR) tenutasi a
Kobe, in Giappone, ha portato alla firma dello Hyogo Framework for Action
7
, un accordo
stilato con la partecipazione di professionisti, scienziati ed istituzioni sia
intergovernamentali che indipendenti. Tra le tante priorità, il Framework, coadiuvato dalla
Strategic Direction definita nei lavori della Strategia Internazionale delle Nazioni Unite per
la Riduzione dei Disastri (UNIRISD), definisce il livello di sviluppo umano come uno degli
indicatori principali per misurare il rischio. Individua inoltre la vulnerabilità come uno
degli elementi su cui incidere, a livello del policy-making, per diminuire il possibile impatto
dei disastri, promuovendo la cooperazione tra attori locali, nazionali, regionali,
sovranazionali ed indipendenti: “ il rischio dei disastri è una priorità nazionale e locale che
necessita di forti basi istituzionali per essere sviluppata
8
”.
Per comprendere l’ ambiente giuridico-normativo all’interno del quale si muove la
presente ricerca e su quali basi viene attuata la governance del rischio naturale, ritengo sia
necessario in un primo momento, ripercorrere le tappe essenziali dell'evoluzione dei quadri
normativi sia a livello internazionale sia a livello italiano del problema ambientale. In un
secondo momento, invece, definirò i termini utilizzati nella ricerca: vulnerabilità, rischio e
6
Commissione Bundtrand, Our common future, 1987, disponibile al sito www.un-documents.net/wced-
ocf.htm ultimo accesso 8/5/2010
7
Hygo Declaration, World Conference on Disater Reduction, 18-22 Gennaio 2005, Kobe, Giappone,
disponibile al sito www.unisdr.org/wcdr/intergover/official-doc/L-docs/Hyogo-declaration-english.pdf
ultimo accesso 8/5/2010
13
pericolosità. Infine, cercherò di analizzare il rapporto tra sviluppo e catastrofe, i fattori di
rischio sociale ed economico e le soluzioni proposte a livello internazionale per la
diminuzione del rischio, definendo i principali approcci teorici riguardanti il dibattito sulla
sostenibilità e sullo sviluppo.
I.1 I l q u a d r o n o r m a t i v o p e r l a d i f e s a d e l l ’ e c o s i s t e m a : i l l i v e l l o
internazionale
Gli albori dell’impegno internazionale per la difesa dell’ambiente risalgono al 1948
quando, in seno alle Nazioni Unite, è stata creata la Unione internazionale per la Protezione
della Natura, divenuta poi, nel 1956, l’International Union for Conservation of Nature
(IUCN). Per iniziativa dello United Nation Educational, Scientific and Cultural
Organisation (UNESCO), nel 1961, è stato creato il WWF, che si occupa specificamente
della protezione delle specie naturali intese come patrimonio dell’umanità. A Nairobi, in
Kenya, tre anni dopo, l’Assemblea Generale dell’IUCN, lancia l’idea di combattere il
contrabbando internazionale delle specie di flora e fauna selvatica in pericolo d’estinzione,
attraverso la Convention on International Trade in Endangered Species (CITES).
La necessità di correlare la crescita economica allo sviluppo umano e quest’ ultimo
all’ambiente, si palesa però dagli anni ’70 quando l’UNESCO lancia a Parigi la prima
conferenza intergovernativa centrata sui problemi della conservazione e della gestione delle
risorse del mondo naturale e specificamente rispetto all’uomo e al suo ambiente, Man and
Biosphere (MAB), dando origine a quel periodo identificato dalla letteratura come “la
rivoluzione verde”. I lavori della Conferenza sull’Ambiente Umano si svolgono a
Stoccolma dal 1972, contemporaneamente alla pubblicazione de “The limits to Growth
9
”,
preparato da noti economisti del Massachusetts Institute of Technology, il MIT, per il Club
di Roma, creato nel 1968, il cui obiettivo è “ di agire come un catalizzatore globale di
cambiamento attraverso l’identificazione e l’analisi dei problemi centrali a cui fa fronte
9
D.H. Meadows, D.L. Meadows, J. Randers e W.W. Behrens, The limits to Growth, Universe Books, 1974
14
l’umanità e la comunicazione di questi problemi ai più importanti decisori pubblici e
privati, come anche al resto dei cittadini
10
”.
Nei “Limiti dello Sviluppo” (traduzione italiana erronea dell’opera del MIT, “I
Limiti alla Crescita”) si sosteneva che i vincoli ecologici globali, riguardanti l’uso di risorse
e le emissioni inquinanti, avrebbero influenzato notevolmente il pianeta, il suo futuro e
quello dell’uomo. Si spiegava inoltre che l’uomo avrebbe dovuto convertire ed utilizzare
molta forza lavoro e cambiare metodi produttivi per contrastare il degrado della Terra,
diminuendo notevolmente il tenore di vita di tutta l’umanità e soprattutto dei sistemi
capitalistici
11
.
Nel 1980 l’UCN (Unione per la Conservazione della Natura), I'UNEP (Programma
Ambiente delle Nazioni Unite) ed il WWF elaborano un documento “World Conservation
Strategy of the Living Resources for a Sustainable Development” in cui, per la prima volta
in un documento internazionale, si utilizza esplicitamente il concetto di “Sviluppo
Sostenibile”. In seguito, nel 1987 la Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo,
WCSD, istituita nel 1983 dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, e presieduta da Gro
Harlem Brundtland, allora prima ministra norvegese, pubblica il rapporto“Our Common
Future”. A questa commissione viene altresì affidata la preparazione di un’Agenda che con
lo scopo di descrivere linee guida finalizzate al cambiamento del modello di sviluppo
proposto dalla new economy per assicurare, entro il 2000, una rivisitazione delle politiche
economiche.
Questo modello prevedeva una maggiore cooperazione anche tra paesi con diverso
grado di sviluppo, raccomandando la realizzazione di obiettivi comuni che tenessero in
conto le interrelazioni tra sviluppo umano, risorse ed ambiente.
“Noi prendiamo a prestito capitali ambientali di generazioni future,
senza avere né l’intenzione né la possibilità di rifonderli: le generazioni future
potranno maledirci per il nostro atteggiamento da scialacquatori, ma non
potranno mai farsi ripagare il debito che abbiamo contratto con loro. Se così ci
10
Disponibile al sito www.clubofrome.org/eng/about/3/ ultimo accesso 8/5/2010
11
D.D. Meadows e J. Randers, I nuovi limiti dello sviluppo, Mondadori, Milano, 2006, pag. 6.
15
comportiamo, è perché possiamo permettercelo: le generazioni future non
votano, non hanno potere politico né finanziario, non possono opporsi alle
nostre decisioni. Ma le conseguenze dell’attuale sperpero stanno rapidamente
precludendo le opzioni delle generazioni future. Gran parte degli attuali
responsabili di decisioni sarà morta prima che il pianeta avverta gli effetti più
dannosi delle piogge acide, del riscaldamento globale, dell’impoverimento
della fascia di ozono, della diffusa desertificazione e dello sterminio delle
specie viventi. Gran parte dei giovani che oggi votano a quell' epoca sarà
ancora viva; e durante le udienze della Commissione sono stati proprio i
giovani coloro che hanno più da perdere, i più aspri critici dell’attuale gestione
del pianeta”.
I testi prodotti dalla Commissione, diventano in seguito i riferimenti per le
problematiche relative allo sviluppo sostenibile che sono trattate alla Conferenza di Rio, del
1992, durante la quale vengono poste le basi per la definizione di un indice economico che
tenga conto del nuovo concetto di “sostenibilità ambientale”: nasce così l’indicatore di
sviluppo sostenibile (Sustainable Development Indicators, SDI), che prende in
considerazione elementi quali:
• Protezione dell’ambiente
• Equità e coesione
• Prosperità economica
• Cooperazione tra le responsabilità internazionali
• Promozione e protezione dei diritti fondamentali
• Solidarietà tra e nelle generazioni
• Società aperte e democratiche
• Partecipazione dei cittadini
• Partecipazione di partner commerciali e sociali
• Coerenza politica e di governante
• Integrazione
• Utilizzo delle migliori conoscenze e tecniche possibili
• Principio precauzionale
• Adozione del principio secondo cui “chi inquina paga”.
Alla conferenza di Rio, dove inoltre viene istituita la Commissione per lo Sviluppo
16
Sostenibile (CSD)
12
, vengono redatte la Carta della Terra e l’Agenda 21 (Allegato A) per
stabilire un quadro giuridico-normativo promuovere lo sviluppo sostenibile a livello
planetario per il ventunesimo secolo. Gli ambiti di intervento della Convenzione sono la
biodiversità, il cui mantenimento è fondamentale per il futuro ecologico del mondo, i
cambiamenti climatici e la desertificazione, nonché l’impatto della pauperizzazione sul Sud
del mondo con i cambiamenti climatici, iniziative proposte anche a livello Comunitario (si
veda l’ Allegato B). Benché in ogni parte del mondo le campagne elettorali siano sempre
più basate sui principi sanciti dalle “agende” che dal 1992 sono state redatte, il bilancio
concreto delle politiche risulta piuttosto limitato.
Nel 1997 in Giappone si riunisce una conferenza interministeriale che, con la
partecipazione di 159 stati stila i principi del Protocollo di Kyoto, che chiude la conferenza
con l’impegno di una riduzione drastica delle emissioni di CO
2
per i paesi industrializzati.
A Johannesburg, nel 2002, dieci anni dopo la conferenza di Rio, si tiene il Vertice
Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile, che però non da i risultati sperati né circa la riduzione
delle emissioni né sulla conversione delle politiche economiche, come d’altronde anche la
più recente conferenza di Copenaghen del dicembre 2009, dimostrando l’inefficienza di
conferenze di questo tipo, in cui, spesso per ragioni economiche, i differenti Paesi non
riescono a trovare accordi rispetto all’utilizzo delle risorse naturali. La mancata
integrazione degli aspetti economici, sociali ed ambientali nei processi decisionali, la
mancanza di cambiamenti significativi nei modelli di produzione e consumo, che hanno già
determinato condizioni di insostenibilità, mettono a rischio il sistema naturale di supporto
alle attività umane. Inoltre, l’incoerenza degli approcci o delle politiche finanziarie,
commerciali e di investimento, fanno sì che le politiche di sviluppo restino
compartimentalizzate ed a breve piuttosto che a medio o lungho termine, con risorse
economiche sempre più esigue
13
.
12
La CSD è stata istituita come “Forum per lo Sviluppo Sostenibile”, come custode degli impegni stretti
attravero l’Agenda 21 e come tramite tra Governi, organizzazioni internazionali agenzie e majorgroups.
Cfr. F. La Camera, Sviluppo Sostenibile, Origine, Teorie e Pratiche, Editori Riuniti, Roma, 2005, pag.
190.
13
Ibidem, pag. 201.