− la circolazione automobilistica, centrata sulla strada di fondovalle che attraversa i paesi, con
alcuni nodi di rallentamento del traffico, diventa difficoltosa nei fine settimana e nei periodi
di maggiore afflusso turistico;
− il progetto INTERREG (Protezione e valorizzazione turistica delle risorse naturali del
Queyras e della Val Pellice un progetto europeo per la conoscenza reciproca e l'integrazione
territoriale) ha permesso alla Comunità Montana Val Pellice e al Parco Naturale del Queyras
di avviare azioni coerenti di gestione transfrontaliera di un bacino territoriale caratterizzato
da una comune integrità dell'ambiente alpino e da complementarietà naturalistiche, storiche
e culturali. Il progetto sviluppato tra il 1994 e il 1995 ha preso l'avvio e dalla coscienza di
appartenere a territori confinanti caratterizzati, su ambedue i versanti, da un patrimonio
naturale il cui fronte oltrepassa il quadro esclusivamente nazionale, e dalla consapevolezza
che questo patrimonio può essere opportunamente tutelato e valorizzato unicamente con una
gestione coerente da entrambe le parti della frontiera. Le finalità dell'articolato intervento
transfrontaliero sono state essenzialmente due:
− la protezione degli ambienti naturali a rischio e delle specie rare ed endemiche (Salamandra
nera, Stambecco, diverse specie vegetali) che contribuiscono ora come in passato a plasmare
l'identità del territorio, creando anche un'immagine di richiamo e di qualità;
− la ricerca e l'applicazione congiunta di mezzi e metodi di gestione del territorio che
assicurino la salvaguardia del patrimonio naturale e rientrino in una logica di valorizzazione
economica e culturale (orientamento dei flussi turistici e gestione del loro impatto).
− Il piano paesistico è lo strumento che consente la programmazione degli interventi sul
territorio in modo equilibrato e definisce gli "indirizzi d'uso del suolo", affinché non possa
intervenire il libero arbitrio di soggetti aventi interessi speculativi in contrasto con le
esigenze collettive e con le dinamiche ambientali.
La scelta di lavorare in scala 1:25.000, con alcuni stralci del fondovalle in scala 1:10.000, deriva
sostanzialmente da due ordini di problemi:
− la difficoltà di rappresentazione grafica di un territorio che presenta una superficie di circa
27.000 Ha (utilizzare una scala maggiore per tutto il territorio avrebbe comportato l'utilizzo
di elaborati grafici ingestibili)
− il fondovalle registra un numero più alto di squilibri rispetto al resto del territorio, in quanto
è lì che si concentra la maggiore pressione antropica
Le fasi operative sono iniziate con il reperimento dei dati necessari alle analisi: tavole IGM attuali e
storiche (1880), Carte Tecniche Regionali, ortofotocarte regionali, fotografie aeree, informazioni
estrapolate da analisi settoriali presenti in Comunità Montana quali l'analisi geomorfologica e
geotecnica in prospettiva sismica, gli eventi alluvionali, interventi forestali, viabilità, carta
fitoecologica e numerose altre informazioni messe a disposizione dal gentilissimo personale
dell'Ufficio Tecnico della Comunità Montana.
Dopo la realizzazione delle tavole di analisi dell'ambito territoriale illustrate nelle loro fasi
procedurali in un capitolo specifico della presente relazione si è passati alla schematizzazione
progettuale dove segni, squilibri, esigenze, naturali ed antropici sono state relazionate ed analizzate
sotto molteplici aspetti, in modo da ottenere un certo numero di indirizzi progettuali che
costituiscono la base della tavola finale di progetto, la quale individua gli obiettivi e gli indirizzi
d'uso di assetto agricolo, vegetazionale ed urbano in aree omogenee.
GLOSSARIO
Appoderamento. Frazionamento di un territorio coltivato o coltivabile in piccole aziende distinte,
ma autosufficienti.
Biomassa. Peso complessivo degli organismi viventi in un determinato spazio.
Biopotenzialità territoriale (BTC). Grandezza che misura lo stato di equilibrio di un territorio
inteso come sistema biologico; l'unità di misura è Kcal/mq/anno.
Biosistema. Struttura formata dall'interazione di un sistema vivente con l'ambiente che gli permette
di vivere e nello stesso tempo lo condiziona.
Capacità d'uso dell'ambiente (Carryng Capacity). Capacità di assorbire un determinato processo
di trasformazione, senza una alterazione più o meno sensibile delle sue caratteristiche essenziali.
Ceduo. Che è tagliato (periodicamente), detto di bosco, macchia, pianta (dal latino caedus "adatto
al taglio)
Climax. Stato di massima evoluzione di un sistema vegetale in funzione del clima (temperatura e
precipitazioni) di una zona. Esistono altri climax, ad esempio "edafici", ecc.
Connessione . Rapporto tra il numero di legami di una rete ed il numero massimo di legami
possibili nella stessa.
Corridoio (paesistico). Elemento strutturale individuato dall'ecologia del paesaggio simili alla
macchia, ma distinguibile da essa per la forma lineare.
Ecologia del paesaggio. Disciplina che evolvendo dall'ecologia classica studia i rapporti corologici
tra i vari elementi del paesaggio.
Ecosistema. Biosistema di comunità. Uno dei campi d'indagine dell'ecologia.
Ecosistema naturale. Base fondamentale dell'ambiente caratterizzata dal reciproco adattamento di
parti diverse aventi i diversi modi di produzione.
Entropia. Grandezza che misura l'irreversibilità di una trasformazione energetica e fornisce una
valutazione delle capacità di un corpo o di un sistema a evolversi verso uno stadio di equilibrio.
Fisiografia. Studio che tende a fornire, a monte di qualsiasi atto pianificatorio, le informazioni sulle
peculiarità del territorio in funzione di "usi" ipotizzati.
Impatto paesaggistico. Il risultato della trasformazione di un determinato paesaggio in seguito
all'azione dell'uomo.
Isoipse. Luogo dei punti di una superficie che si trovano a uguale livello. Detta anche curva di
livello.
Macchia (paesistica). Elemento strutturale individuato dall'ecologia del paesaggio di tipo areale
isolabile dal contesto (patches).
Matrice (paesistica). Contesto delle macchie e dei corridoi formato dal tipo di elementi di
paesaggio o forma di occupazione del suolo più estensivo e connesso tra tutti gli altri.
Metastabilità. Stato di stazionarietà dinamica di un ecosistema.
Omeostasi. La condizione interna di equilibrio degli organismi animali o vegetali, che assicura una
normale attività biologica delle cellule e dei tessuti (dal greco statis "stabilità").
Paesaggio. Sistema di ecosistemi (V. Ingegnoli, Fondamenti di ecologia del paesaggio, Milano
1993); spazio che diventa luogo per la "forma specifica ad esso data dalla natura, montagne, corsi
d'acqua, vegetazione, gli abitanti, gli uomini, gli animali" (R.Assunto, Il paesaggio e l'estetica,
Napoli 1973);struttura di segni in cui ogni segno può assumere un significato solo in funzione di un
suo uso (P.Fabbri, 1984); concetto operativo (P.Fabbri, 1984); nel senso più comune, il paesaggio è
inteso come forma del paese o manifestazione sensibile dello spazio.
Paesaggio agrario. La forma che l'uomo, nel corso dei secoli e delle sue attività produttive,
imprime coscientemente e sistematicamente al territorio.
Percolazione. Passaggio lento di un liquido attraverso una massa filtrante. E' un indice di controllo
adottato dall'ecologia del paesaggio.
Rete trofica. Collegamenti tra produttori (autotrofi) e consumatori (eterotrofi) attraverso cui si
sposta l'energia di un ecosistema.
Spazio naturale. Spazio caratterizzato da episodica presenza umana o spazio non modificato in
modo volontario dall'attività umana, se non in modo marginale.
Spazio rurale. Spazio antropizzato e modificato dall'uomo in funzione dell'attività agricola.
Spazio urbano. Spazio sostanzialmente edificato e massimamente artificiale, caratterizzato dal
sovrapporsi e dall'intrecciarsi di funzioni sempre più interrelate, in proporzione all'estensione e
all'importanza terziaria e/o commerciale (città, paesi, villaggi).
RINGRAZIAMENTI
Si desidera ringraziare per la preziosa collaborazione tutto il personale dell'Ufficio tecnico della
Comunità Montana Val Pellice, in particolare, per l'interessamento, i chiarimenti e la disponibilità
accordataci, il geom. Lino Bonjour, l'arch. Bonat, il Sig. Mario Sandretto e l'arch. Marco Grand,
assessore all' urbanistica della Comunità Montana Val Pellice.
Capitolo 1: Introduzione
1.1 Premessa
Ogni specialista che opera sul territorio (urbanisti in primo
luogo, ingegneri, architetti, economisti, gestori della cosa
pubblica, ed anche i cittadini che nell'ambiente vivono e che
sono parti integranti del territorio) deve riflettere sul fatto che
l'ambiente non è un "magazzino di risorse", da cui attingere per
massimizzare la crescita economica. Esiste nelle realtà
territoriali, ed in particolare nella città, che rappresenta il luogo
per eccellenza dell'integrazione sociale, dell'iterazione e
dell'accessibilità, una complessità sistemica notevole.
L'incremento della produttività, l'espansione della forza lavoro
e l'ingresso della donna nel mondo dell'occupazione hanno
determinato un aumento annuo del salario mediamente del
23%. Conseguentemente, nell'ultimo ventennio, i possessori di
automobili sono aumentati ovunque, secondo tassi oscillanti
tra il 4,2% dei paesi U.E. ed il 3,5% di quelli appartenenti
all'OCDE (Organizzazione per lo Sviluppo e la Cooperazione
Economica); le stesse proiezioni all'anno 2010 indicano un
ulteriore incremento del 45% rispetto ai livelli odierni,
prefigurando il superamento della quota di 500 automobili
ogni 1000 abitanti; il possesso di un'automobile sembra indurre
le famiglie ad aumentare i propri viaggi anche a favore di
nuove destinazioni.
Parallelamente, le profonde trasformazioni in atto nella
composizione del nucleo famigliare, conseguenti al netto
aumento dei nuclei costituiti da due individui, da single o da
persone anziane, implicano importanti conseguenze per
l'utilizzo della risorsa suolo, data la domanda di nuove
volumetrie residenziali con relativa espansione delle città.
Le densità urbane, a loro volta, hanno notevoli impatti sulla
rete viaria e sulla domanda di mobilità (soprattutto se messe in
relazione a processi di localizzazione decentrata delle attività
lavorative e commerciali), la quale incoraggia l'uso di mezzi
privati. Il consumo di risorse energetiche, la produzione di
rifiuti e di materiali inquinanti, elementi strettamente legati alla
densità te rritoriale, sono in crescita: gli insediamenti umani
richiedono per la loro stessa sopravvivenza suolo, aria, acqua,
combustibile ed altre risorse, sia che si tratti di città che di
piccoli agglomerati. 1
1.2 Il quadro normativo dall'inizio del secolo ad oggi
La protezione delle "bellezze naturali" ha avuto inizio con la
Legge del 23 giugno 1912, n° 668, che estese la tutela di cui
alla Legge 364 del 1909 alle ville, ai giardini ed ai parchi che
avessero interesse storico o artistico.2
Il fatto che il paesaggio presentasse una certa assonanza con le
bellezze naturali già disciplinate dalla Legge n° 668 del 1912
ed anche con le cose di interesse storico ed artistico di cui alla
Legge n° 364 del 1909, ha comportato una tendenza, nel nostro
ordinamento, ad accomunare le cose di interesse storico ed
artistico, le bellezze naturali ed il paesaggio. A testimonianza
di quanto detto vi fu l'assegnazione delle competenze di tutela
e vincolo al Ministero per la Pubblica Istruzione, il quale si
presentava completamente a digiuno della materia.
Tuttavia si intuì presto che il paesaggio non poteva essere
tutelato con gli stessi meccanismi degli altri beni, cioè con
prescrizioni e divieti alla proprietà, in quanto nessuno poteva
essere qualificato "proprietario" del paesaggio. Così la Legge
n° 778 del 1922 distinse le bellezze naturali in due categorie:
bellezze individue, per le quali fu predisposto un meccanismo
di tutela conseguente alla notifica della dichiarazione simile
alla leggi precedenti; e bellezze d'assieme, per la cui protezione
si delegò alla "sensibilità" dei singoli Comuni.
Quando nel 1939 si studiarono le due nuove leggi di tutela,
dominò ancora una volta la concezione di omogeneità dei
valori paesaggistici, storici e naturali.
La legge n° 1497 del 29 giugno 1939 sulla protezione delle
bellezze naturali e panoramiche, mantenne ancora la
distinzione tra bellezze individue e bellezze d'insieme.
Per le bellezze individue, la procedura di tutela e vincolo inizia
con l'iscrizione negli elenchi e si concreta con il Decreto di
vincolo, notificato al proprietario o possessore del bene. Una
1
A.Poletti, E.Misuriello, T.G.Bertoli, L'utilizzo del GIS per la formazione del Piano
sostenibile, Mondo Gis n° 4
2
V.Mazzarelli, Fondamenti di diritto urbanistico, NIS, Roma 1996
volta costituito il vincolo qualsiasi modificazione del bene
deve essere autorizzata.
Per le bellezze d'insieme, il vincolo si perfeziona nel momento
in cui l'elenco delle località, predisposto dalla Commissione
Provinciale, è pubblicato nell'Albo dei comuni interessati.
Sui beni compresi negli elenchi sarà possibile predisporre un
piano paesistico (questo punto sarà modificato dalla Legge n°
431/85 la quale segnalava, per la prima volta ed in particolari
elenchi pubblici, i paesaggi da salvare e li sottoponeva al
controllo della Soprintendenza ai monumenti). L'art. 23 del
Regolamento d'Esecuzione indicava la funzione dei piani
territoriali paesistici, ovvero quella di delimitare le zone di
rispetto, normare il rapporto tra le aree libere e edificabili nelle
varie zone, fornire una normativa edilizia, ecc. Questi
interventi di pianificazione territoriale rimanevano ancora di
competenza del Ministero per la Pubblica Istruzione e
manifestavano pertanto la sua mentalità conservazionista: in
effetti si trattava più di piani particolareggiati che non di piani
territoriali.
Tre anni dopo è stata promulgata la prima vera Legge
dell'urbanistica moderna, la n° 1150 del 17 agosto 1942, che
introduce un nuovo tipo di governo del territorio fondato su
una serie di piani urbanistici tra loro dipendenti secondo uno
schema gerarchico a "cascata", dal Piano Territoriale di
Coordinamento al Piano Particolareggiato.
A più di 50 anni dalla sua approvazione, questa legge è ancora
molto attuale in quanto prevedeva il passaggio decisionale dal
potere centrale a quello locale. Purtroppo questa legge era
destinata ad essere largamente disattesa, sia per le difficoltà
dello Stato nel predisporre i piani territoriali sia per l'incapacità
dei Comuni di contrastare gli interessi privati sorti negli anni
della ricostruzione.
Tale situazione ha provocato un duplice fenomeno negativo:
da una parte si è sviluppato un fenomeno urbanistico che non
ha tenuto conto di alcuna logica di compatibilità tra territorio e
destinazione d'uso imposta, dall'altra vi è stato un mancato
guadagno dell'ente pubblico che, espropriando terreni privati a
prezzo agricolo, avrebbe potuto incamerare beni demaniali da
vendere a prezzo di mercato, esercitando in questo modo anche
un'azione calmieratrice sul mercato delle aree.
In questo panorama legislativo si inserisce la "Legge per la
montagna" (L. n° 991/52) che affronta per la prima volta i
problemi del territorio e della popolazione montani. Anche se
improntata su problemi puntuali, la L. 991/52 ha contribuito a
trattenere in montagna una parte della popolazione destinata
altrimenti all'emigrazione, fornendo ai montanari la possibilità
di miglio rare la situazione del patrimonio edilizio rurale.
Un altro intervento positivo lo avrebbe consentito la cosiddetta
Legge ponte (L. n° 765/67), che mirava a frenare la
cementificazione delle coste marine e lacustri, nonché dei più
bei paesaggi montani, un fenomeno in forte crescita negli anni
Sessanta. Purtroppo, "fatta la legge si trova l'inganno…", così
gli obiettivi della L. 765/67 sono stati vanificati dalla
famigerata "moratoria della Legge ponte" che di fatto ne
congela per un anno l'entrata in vigore e permette il
moltiplicarsi della costruzione di seconde case, allo scopo di
sfruttare al massimo la normativa permissiva ancora vigente
nei comuni più interessati dal fenomeno; con la Legge ponte,
infatti, tutti i comuni erano obbligati a dotarsi di un P.R.G.C.
Si pensi che in quell'anno sarà richiesto un numero di Licenze
Edilizie quasi triplo rispetto alla media degli anni precedenti.
Situazioni di questo tipo ci fanno comprendere come il
territorio sia sempre stato considerato una merce di cui
appropriarsi per interesse privato e da sfruttare senza vincoli o
limitazioni.
Una svolta determinante si ha nel 1972 quando, in base all'art.
117 della Costituzione, si opera il primo e fondamentale
passaggio di poteri in materia urbanistica dallo Stato alle
Regioni, cosa peraltro già indicata nella L. 1150/42.
Teoricamente le Regioni, dotandosi di un Piano Territoriale di
Coordinamento, operano una sorta di inquadramento a grandi
linee delle dinamiche territoriali, che si sviluppano in un
secondo tempo su scala comunale; si instaura, quindi, un
rapporto dialettico tra decisore locale (i comuni) e decisore
regionale (le regioni).
Questa dimensione, che possiamo classificare sub-regionale, è
definita dai comprensori che, comunque, interessano solo
alcune regioni (Emilia Romagna, Veneto, Lombardia,
Piemonte, Lazio, Umbria e Sardegna). Ciascun ente regionale
individua strumenti e metodi di pianificazione che definiscono
un nuovo livello intermedio di intervento sul territorio.
I difficili rapporti di potere fra Stato e Regioni comportano,
però, un sostanziale fallimento di questa esperienza, che sarà
sostituita da pianificazioni territoriali settoriali come quella dei
parchi regionali, dei bacini di traffico o degli insediamenti
produttivi i quali creano delle "gabbie" tematiche dove sono
affrontati, di volta in volta, singoli problemi, senza che questi
possano essere trattati in modo globale.
In questa situazione il comparto extraurbano viene ad essere
gravato da un sistema normativo vincolistico-conservativo che
tende ad esaltare i caratteri negativi del turismo, come le
seconde case, ed a smorzare gli effetti positivi disincentivando
possibilità di investimenti nei luoghi turistici. Inoltre "sul
piano territoriale emerge con tutta evidenza, ad esempio, un
dato tipico della montagna: la Vallata, intesa come unità
geografica, ma anche socioeconomica, spinge a specifiche
forme di comunicazione intervallive, originando anche
iniziative di collegamenti transregionali o transnazionali,
partendo però dalla identità della vall e. Sempre sul piano
territoriale emergono poi il legame stretto tra risorse naturali
ed ambientali come base della convivenza e dello sviluppo
delle attività economiche, oppure le particolari esigenze della
pianificazione territoriale, della produzione urbanistica e delle
tipologie edilizie: sono tutti elementi che fanno risaltare le
differenze e la tipicità della realtà montana" 3.
Le Comunità Montane, istituite con la L. 1102/71 (norme per
lo sviluppo della montagna), andranno ad occupare una
posizione intermedia tra Regione e Comune, (tale fatto
produrrà diversi conflitti con i Comprensori), raccogliendo
immediatamente una serie di apprezzamenti per il ruolo che
dovranno svolgere: la valorizzazione e lo sviluppo del
territorio, nonché il coinvolgimento della popolazione alla
stesura dei piani, configurandosi come minima unità
territoriale di programmazione.
3
Gian Candido de Martin, il "diritto" della montagna ad un trattamento speciale, in "la
montagna: un protagonista nella storia degli anni '90, Jace Book, Milano, 1987, pag. 88
La opinioni positive accordate all'istituzione delle Comunità
Montane si ridimensionano se dal piano teorico si passa a
quello operativo. Emerge la difficoltà ad elaborare i piani, ma
soprattutto a renderli attivi in quanto permane una debolezza
decisionale nei confronti del potere centrale.
Con la Legge Bucalossi (L. n° 10/77) si interviene sul concetto
di edificabilità dei suoli: il passaggio dalla Licenza Edilizia
alla Concessione Edilizia segna una netta divisione tra
proprietà del suolo e diritto ad edificare. Da atto dovuto
diventa atto concesso dalla Pubblica Amministrazione che, di
fatto, consegue il potere della gestione del territorio sotto
l'aspetto della edificabilità dei suoli.
Negli anni Ottanta si assiste ad una presa di coscienza
generalizzata delle tematiche ambientali e, conseguentemente,
della pianificazione territoriale: da bene di consumo, da risorsa
inestinguibile, l'ambiente diventa bene limitato ed
irriproducibile, tanto che esso stesso diventa l'elemento
antitetico ad una crescita economica.
Purtroppo la consapevolezza della disponibilità limitata del
bene "ambiente" provoca una nuova tendenza
all'appropriazione delle zone più delicate e danneggiabili. A
causa della loro valenza paesistica, tali zone diventano più
appetibili dei luoghi già sfruttati e sono destinate anch'esse a
ripercorrere la stessa strada che provocherà, dopo un certo
periodo, una brusca flessione nella curva della domanda
turistica.
La soluzione a questi problemi, che potrebbero innescare un
nuovo fenomeno incontrollato di sfruttamento delle aree con
forte valenza naturalistico-ambientale, può essere la ricerca di
una pianificazione territoriale di ogni singola località, in modo
che questa riceva un carico antropico commisurato alle sue
capacità di tolleranza.
La volontà di delineare un quadro normativo specifico della
pianificazione per la tutela ambientale si concreta negli anni
Ottanta e nei primi anni Novanta con l'emanazione di tre leggi
nazionali. La prima è la Legge 431/85 detta Legge Galasso,
"Norme per la tutela delle zone di particolare interesse
ambientale", che impone una serie di vincoli e di limiti alle
zone di particolare interesse paesaggistico ed ambientale.
Questa legge obbliga l'adozione di appositi piani (Piano
Paesistico) per gli interventi da effettuarsi nelle zone
sottoposte al vincolo paesaggistico. La legge Galasso, se da un
lato realizza quella ricongiunzione fra materia urbanistica e
materia ambientale che la legislazione precedente non aveva
mai compiuto, dall'altro non tiene in giusta considerazione le
esigenze delle singole realtà locali, che vedono "intrappolate"
le loro prospettive di sviluppo.
Con la Legge 183/89, "Norme per il riassetto organizzativo e
funzionale della difesa del suolo", è stata introdotta una serie
di modelli d'intervento, atti di pianificazione e programmi, tutti
coerentemente preordinati alla tutela del suolo e delle acque
pubbliche in considerazione della collocazione nell'ambito dei
relativi bacini idrografici di riferimento. Tale tutela si realizza
attraverso i piani di bacino.
I piani di bacino sono degli strumenti urbanistici che
disciplinano ed attuano tutti quegli interventi diretti alla tutela,
recupero e dis inquinamento delle acque e che si preoccupano
della salvaguardia, del risanamento e della sistemazione del
suolo.
L'importanza di questo piano è legata ai rapporti tra tale
strumento e gli altri che a vario titolo si occupano di assetto
urbanistico ed ambientale; infatti esso contiene disposizioni
che prevalgono su quelle di tutti gli strumenti, sia di tipo
urbanistico sia concernenti la tutela ambientale (compreso il
Piano Territoriale Paesistico) sia concernenti la difesa
dall'inquinamento.
Due anni dopo viene emanata la Legge 394/91, "Normativa
quadro sulle aree protette", che detta i principi fondamentali
per l'istituzione e la gestione delle aree naturali e protette, al
fine di garantire e promuovere, in forma coordinata, la
conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale. Le
norme regolano le modalità di individuazione delle aree da
assoggettare a tutela e ne disciplinano la gestione. La legge
determina anche gli azonamenti che possono essere operati dal
piano per il parco (art. 12) in relazione al diverso grado di
protezione di ognuno. Vengono individuate quattro zone:
integrali, nelle quali la tutela è assoluta; le riserve generali
orientate, nelle quali sono possibili gli interventi e le attività
specificatamente individuate dal piano stesso; le aree di
protezione, nelle quali il vincolo si allenta consentendo
utilizzazioni tradizionali del suolo, attività artigianali di qualità
e interventi di manutenzione degli immobili esistenti; infine, le
aree di promozione economica e sociale, nelle quali sono
possibili tutte le attività che risultino compatibili con le finalità
del parco4.
Anche con questo strumento si hanno sovrapposizioni di
competenze, in questo caso rispetto ai piani delle Comunità
Montane, con un effetto di elisione delle previsioni di questi
ultimi che mal si concilia con la funzione di primarietà che
sembrerebbe essere stata assegnata alle Comunità Montane.
A dire il vero, questo complesso di leggi emanate fin dai primi
anni del nostro secolo resta una piccola parte del più vasto
panorama urbanistico nazionale, e questo perché purtroppo le
problematiche ambientali occupano un posto secondario nelle
priorità e nella spesa pubblica dello Stato.
Alla luce delle problematiche precedenti, si rende necessaria
un'attenta introspezione del territorio che permetta di attivare
processi decisionali nell'interesse generale, capaci di
supportare lo sviluppo del sistema urbano e territoriale allo
scopo di risolvere la costante dicotomia tra crescita in funzione
dello sviluppo economico e salvaguardia dell'ambiente,
soprattutto seguendo un'ottica di lungo termine, ovvero
prestando la dovuta attenzione ai bisogni delle generazioni
future e non solo delle presenti.
Purtroppo sono ancora oggi molto rari gli agglomerati che
adottano politiche di trasformazione e sviluppo impostate sul
consumo di una quantità equa di risorse, secondo principi di
sostenibilità.
Il dibattito disciplinare, d'altronde, sembra essersi chiuso, dagli
anni '80, all'interno di se stesso; il programma legislativo
italiano è - a sua volta - fermo alla sola discussione che, se da
un lato si dimostra utile a chiarire nodi e strozzature che hanno
reso inattuato parte dell'apparato normativo esistente (con
particolare riferimento alla L.142/90 sul nuovo ordinamento
delle autonomie locali), dall'altro riflette la poca pragmaticità
tipica della nostra cultura e del nostro abito comportamentale.
4
V.Mazzarelli Op.cit.