- Premessa -
6
media classici (stampa, radio, televisione, affissioni ed esposizioni
esterne, cinema), si contrappone un significato più ampio, enunciato
- Premessa -
7
dal Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, secondo cui “il termine
pubblicità comprende ogni comunicazione, anche istituzionale, diretta
a promuovere la vendita di beni o servizi, quali che siano i mezzi
utilizzati”
2
, ed un altro significato, ancora più esteso, contenuto nelle
Raccolte di usi pubblicitari realizzate da alcune Camere di
Commercio, che definiscono pubblicità “qualsiasi forma di messaggio
che sia diffuso nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale
artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la domanda di
beni o servizi” ed elencano come “principali forme di pubblicità”,
oltre alla pubblicità di tipo classico (cd. pubblicità tabellare), anche le
promozioni e incentivazioni, le sponsorizzazioni, la pubblicità diretta,
le pubbliche relazioni, le fiere e analoghe manifestazioni,
l’informazione tecnico-scientifica e persino “l’immagine coordinata”
(corporate e brand image)
3
.
Quest’evolversi del concetto di pubblicità si è verificato anche
a livello comunitario, fino all’emanazione della direttiva 84/450/CEE,
2
Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, Norme preliminari e generali, lettera e).
3
Ci si riferisce in particolare alla Raccolta ufficiale degli Usi Pubblicitari della Provincia
di Milano eseguita dalla C.C.I.A. di Milano nel 1988. La stessa definizione è confermata
nella Raccolta ufficiale degli Usi Pubblicitari della Provincia di Bari.
- Premessa -
8
che ne ha dato una definizione piuttosto ampia, la quale è stata
recepita, con talune minori varianti, in Italia, dal d. lgs. n. 74/92, per
cui è pubblicità “qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in
qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale,
artigianale o professionale allo scopo di promuovere la vendita di beni
mobili o immobili, la costituzione o il trasferimento di diritti ed
obblighi su di essi oppure la prestazione di opere o di servizi” (art. 2,
lett. a).
La nozione fornita dal d. lgs. n. 74/92 è, dunque, talmente
ampia da ricomprendere non solo la pubblicità di tipo classico, ma
anche forme comunicazionali che i tecnici del settore ritengono non
costituire advertising, quali la pubblicità sul punto di vendita, la
pubblicità diretta attuata con distribuzione di volantini, dépliants,
leaflets, ecc., oppure porta–a–porta, e le operazioni di mailing
(pubblicità inviata per posta), idonee a spingere o influenzare una
scelta d’acquisto nel consumatore che le riceve o cui s’indirizzano,
nell’interesse di chi realizza o commercializza i prodotti o servizi
promozionati.
- Premessa -
9
2. Tipologie: la sponsorizzazione
Con il termine sponsorizzazione si individuano oggi, nella
pratica imprenditoriale italiana, vari rapporti negoziali di contenuto
estremamente eterogeneo, ma prevalentemente attinenti ai settori dello
sport, della cultura e di talune forme di spettacolo o, più in generale
dell’entertainment in senso lato, per mezzo dei quali un’impresa
(sponsor) si propone di incrementare la propria notorietà e la propria
immagine verso il pubblico, attraverso l’abbinamento o il
collegamento, generalmente dietro corrispettivo, del suo nome o dei
suoi marchi a fatti o persone di pubblico interesse (sponsee).
La legge 6 agosto 1990 n.223 ha introdotto, per la prima volta,
nel nostro ordinamento, una definizione di sponsorizzazione, intesa
come “ogni contributo di un’impresa … al finanziamento di
programmi, allo scopo di promuovere il suo nome, il suo marchio, la
sua immagine, le sue attività o i suoi prodotti” (art. 8, co.12).
L’oggetto e la forma dell’operazione negoziale di
sponsorizzazione sono molteplici, perciò la comunicazione che ne
consegue può presentarsi con le connotazioni più diverse. Nonostante
- Premessa -
10
ciò, non vi è dubbio che i messaggi originati da una sponsorizzazione
“siano pur sempre riconducibili alla nozione di comunicazione
d’impresa perseguente uno scopo promozionale o, se si preferisce, un
fine di pubblicità”
4
.
3. La pubblicità istituzionale
Per pubblicità istituzionale si intende quel tipo di
comunicazione che, pur assumendo in genere la forma della pubblicità
di tipo classico, anche riguardo ai mass-media utilizzati, non ha però
ad oggetto prodotti o servizi, né tende ad incentivarne direttamente la
domanda, avendo anzi il solo scopo di creare una certa immagine
dell’impresa.
Si potrebbe dubitare del fatto che questo tipo di pubblicità
rientri nella definizione fornita dall’art. 2/a del d. lgs. n. 74/92, visto
4
FUSI–TESTA–COTTAFAVI, op. cit., 1993, 95. Sostanzialmente concorde nel ravvisare in
tale finalità la “causa” della sponsorizzazione è pressoché tutta la numerosa dottrina in
argomento. Si vedano in particolare: ZENO ZENCOVICH–ASSUMMA, Pubblicità e
sponsorizzazioni, Padova, 1991, 101 ss.; BIANCA M., I contratti di sponsorizzazione,
Rimini, 1990, 23 ss. e sempre di BIANCA M., Questioni varie in tema di contratto di
sponsorizzazione, in La sponsorizzazione: nuovi modelli contrattuali nella Pubblica
amministrazione, nelle reti informatiche, negli istituti di credito, Atti del seminario di
studi tenuto da M. Bianca; a cura di E. V. Napoli, Milano, 1998, 11, in cui si legge che
“la ragione pratica dell’operazione negoziale di sponsorizzazione è l’utilizzazione a fini
pubblicitari di una data attività o di un dato evento”.
- Premessa -
11
che essa non appare immediatamente diretta a conseguire lo scopo
tipico della pubblicità che è quello “di promuovere la vendita di beni
…, la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi … oppure la
prestazione di opere o di servizi”. Ma la dottrina supera facilmente
questo dubbio con la considerazione che la pubblicità istituzionale
persegue pur sempre uno scopo promozionale anche se indiretto, dato
che l’accreditamento dell’immagine aziendale agli occhi del pubblico
assolve alla funzione di creare condizioni favorevoli all’accettazione
dei prodotti o servizi dell’impresa e quindi di promuoverne la
domanda
5
.
5
Cfr. FUSI–TESTA–COTTAFAVI, op. cit., 1993, 93.
- Premessa -
12
4. Le promozioni
Parte della dottrina
6
ritiene che le promozioni
7
non rientrino
nella definizione di pubblicità. La promozione è solo una tecnica di
incentivazione delle vendite, non un fatto di comunicazione, pur
avendo lo stesso scopo della pubblicità: l’incremento della domanda
di beni o di servizi. E se spesso la pubblicità è funzionalmente
collegata alle iniziative promozionali, lo è unicamente come mezzo
per far conoscere al pubblico l’esistenza di queste. In sintesi, le
6
Cfr. FUSI–TESTA–COTTAFAVI, op. cit., 1993, 97.
7
La materia delle promozioni, intese come figura giuridica unitaria, non ci risulta abbia
formato oggetto di studio da parte della dottrina giuridica, forse anche a motivo della
molteplicità di soluzioni che nella pratica presenta. Non altrettanto dicasi invece per
talune singole forme promozionali, quali in particolare le vendite a premio, che sono state
diffusamente trattate sotto i vari profili della disciplina fiscale–amministrativa, del diritto
della concorrenza, e dei loro aspetti civilistici con particolare riguardo all’istituto della
promessa al pubblico.
La materia delle promozioni, oltre ad essere regolata, per ciò che riguarda la pubblicità
che la concerne, dall’art. 21 C.a.p., forma oggetto di dettagliata regolamentazione nel
Codice Morale delle Vendite per Corrispondenza e a Distanza, che contiene un corpo di
norme autodisciplinari a cui sono vincolate le imprese operanti in questo settore, aderenti
all’A.N.V.E.D. Il Codice prevede un organo con funzioni paragiudicanti denominato
Comitato d’Accertamento, a cui è demandato il compito di accertare, su richiesta di
qualsiasi interessato, le eventuali infrazioni alle sue regole da parte dei soci, ma non è
attribuito il potere di irrogare sanzioni, di esclusiva competenza di altro organo,
denominato Commissione di Disciplina. Istituito nel 1989, il Comitato d’Accertamento
ha già emesso diverse pronunce in materia di promozioni attuate con la formula del direct
mail e soprattutto operazioni e concorsi a premio.
- Premessa -
13
promozioni possono formare (e di regola formano) oggetto di
pubblicità, ma non sono pubblicità esse stesse
8
.
5. Le confezioni di prodotti
Per quanto riguarda le confezioni e gli imballaggi dei prodotti,
parte della dottrina
9
tende ad includerle tout court nella nozione di
pubblicità fornita dal d. lgs. n. 74/92, in analogia con il Codice di
Autodisciplina Pubblicitaria; altra parte
10
ritiene invece ingiustificato
considerare pubblicità il packaging fine a se stesso, rendendo evidente
che la confezione è solo il supporto eventuale del messaggio apposto
8
Nello stesso senso Giurì, decisione n. 45/89 – 21.3.89 – Pres. Jucci Est. Auteri – Avv.
Piero Dina e Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Milano c. Class e
Paolo Panerai, Giur. pubbl., III, 1991, 219. La pronuncia, dopo aver osservato che “una
forma di operazione promozionale largamente diffusa nella pratica consiste nell’offrire
agli acquirenti del prodotto, del quale si vuole promuovere la vendita, un altro prodotto
senza prezzo aggiuntivo e quindi in omaggio”, conclude che “naturalmente questa come
qualsiasi altra operazione dev’essere portata a conoscenza del pubblico e quindi richiede
normalmente il ricorso alla pubblicità, ma non costituisce in sé pubblicità e tanto meno la
costituiscono le varie operazioni commerciali attraverso cui si realizza e i prodotti che ne
sono lo strumento e l’oggetto”.
In una precedente pronuncia, per altro, lo stesso Giurì aveva espresso diverso avviso
ritenendo che “l’idea promozionale dell’offerta di un prodotto omaggio in aggiunta o
collegato al prodotto principale rappresenta uno stimolo all’acquisto di quest’ultimo ed è,
quindi, una forma di pubblicità” (Giurì decisione n. 34/81, in Giur. compl. del Giurì,
1986, 397).
9
Cfr. FLORIDIA, Il decreto legislativo in materia di pubblicità ingannevole: illustrazione
e commenti, Relazione al Convegno Pubblicità ingannevole e comparativa: verso nuove
regole, Milano, 29.4.92.
10
Cfr. FUSI–TESTA–COTTAFAVI, op. cit., 1993, 99.
- Premessa -
14
su di essa. Quest’ultima interpretazione dà però origine a qualche
incertezza, perché alcuni elementi che figurano sulle confezioni hanno
sicuramente natura di messaggio pubblicitario, come ad esempio gli
slogans utilizzati nella campagna di lancio di un prodotto o frasi
inequivocabilmente elogiative che invitano il pubblico all’acquisto. In
questi casi ci si trova di fronte a messaggi aventi l’evidente scopo di
promuovere la domanda del bene promozionato e perciò rientranti
nell’ambito di applicazione del d. lgs. n. 74/92.
- Introduzione -
15
INTRODUZIONE
PARTE I
LA PUBBLICITÀ COMMERCIALE COME FENOMENO
GIURIDICO: AMBITI DI DISCIPLINA E INTERESSI
PROTETTI
1. La tutela costituzionale della pubblicità
commerciale
Secondo la dottrina più autorevole
11
la pubblicità è una forma
di comunicazione d’impresa, rivolta al pubblico attraverso mezzi di
comunicazione di massa, per sollecitare l’acquisto di un dato bene o
servizio, e le cui peculiarità sono la velocità di diffusione e
l’immediatezza di comunicazione con interlocutori eterogenei,
11
Cfr. GATTI, Pubblicità commerciale, in Enc. Dir., XXXVII, Milano, 1988, 1058, il
quale, circa l’attuale rilevanza giuridica della pubblicità commerciale afferma che
“l’odierna capacità espansiva della produzione di massa ha reso necessario che a questa
corrisponda un’adeguata domanda dei consumatori rappresentati da una quantità
potenzialmente infinita di cittadini, sparsi su vasti territori, non essendoci quasi più spazio
per i rapporti di natura strettamente personale tra produttori e consumatori”.
- Introduzione -
16
dispersi geograficamente in territori distanti tra loro. E, pertanto, la
funzione della comunicazione commerciale consiste nel mettere in
contatto il pubblico dei consumatori e le imprese: in particolare la
pubblicità da un lato mette “i consumatori a conoscenza delle varie
possibilità di acquisto per soddisfare i differenti bisogni” e dall’altro è
“strumento persuasivo, attraverso la spinta suggestiva esercitata sul
pubblico dai mezzi di comunicazione di massa”
12
.
È ora necessario individuare la disciplina nella quale gli
elementi e le funzioni caratterizzanti il fenomeno della pubblicità
commerciale acquistano un preciso rilievo giuridico.
In via preliminare va ricordato che la pubblicità commerciale,
che ha origine contrattuale, in quanto rimanda ad un accordo
negoziale in forza del quale l’utente pubblicitario acquisisce un
determinato spazio per collocarvi un suo messaggio promozionale, è
intesa dalla dottrina maggioritaria come una componente dell’attività
economica d’impresa, e come tale è assistita dalle garanzie dell’art. 41
Cost., ma assoggettata ai limiti contenuti nel 2° e 3° comma dello
stesso articolo. Tale opinione ha recentemente trovato riscontro nella
12
GATTI, op. cit., 1988, 1058.
- Introduzione -
17
stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale, la quale in due
occasioni, seppure a distanza di anni tra loro, ha affermato il principio
secondo cui la libertà di manifestazione del pensiero
costituzionalmente protetta dalla nostra Carta deve ritenersi
esclusivamente limitata alle comunicazioni di cultura, di opinione e di
informazione, e perciò non estendibile alle diverse comunicazioni
aventi natura e finalità commerciali, quali quelle pubblicitarie
13
.
Una posizione, quella stabilita dalla Corte Costituzionale in
tema di pubblicità, che nella pratica è stata ribadita, ripresa e
13
Corte Cost. 12.7.65, n.68, in Giur. cost., 1965, 838, secondo la quale l’ambito di
applicazione dell’art. 21 Cost. è circoscritto alla stampa di cultura, d’opinione e di
informazione politica, con esclusione, ancorché esercitata a mezzo stampa, della
pubblicità commerciale, che è rivolta al perseguimento dell’interesse d’impresa, e quindi
disciplinata nell’ambito dell’attività economica, e perciò assoggettabile ai limiti per legge
stabiliti a tutela dell’utilità sociale.
In epoca più recente è stato affermato il principio secondo cui la pubblicità commerciale
deve essere individuata e qualificata sempre unicamente quale fonte di finanziamento dei
mezzi di comunicazione di massa: cfr. Corte Cost. 17.10.85, n. 231, in Foro it., 1985, I,
2829, con nota di R. Pardolesi, che ritiene ancora estranea all’esame della Corte la visione
sul contenuto della pubblicità suscettibile di una rivisitazione alla luce dell’art. 21 Cost.
La Suprema Corte ha precisato che “la netta distinzione tra le manifestazioni del pensiero,
delle quali, nei limiti ivi previsti, viene affermata la libertà, da un lato, e la pubblicità
commerciale, della quale viene sottolineata la natura di “fonte di finanziamento” degli
organi di informazione, dall’altro, sta ad indicare in modo inequivoco che quest’ultima è
considerata una componente dell’attività delle imprese, come tale assistita dalle garanzie
di cui art. 41 Cost., e assoggettabile, in ipotesi, alle limitazioni ivi previste al 2° e 3°
comma”. E ancora “l’ambito di applicazione dell’art. 21 Cost, 2° co., è circoscritto alla
stampa di cultura, opinione e informazione. Ne risulta esclusa, ancorché realizzata a
mezzo stampa, la réclame commerciale (ed ogni altra analoga espressione promozionale)
che rappresenta un tipo di comunicazione rivolta essenzialmente (istituzionalmente) al
perseguimento dell’interesse dell’impresa, all’incremento della domanda d’acquisto e, più
ampiamente, all’incremento del prestigio dell’azienda”.
- Introduzione -
18
approfondita più volte dai nostri giudici ordinari, mettendo sempre in
risalto la peculiare natura commerciale che connota la comunicazione
pubblicitaria
14
.
È così superato il precedente dibattito tra alcuni
costituzionalisti, che intendevano collocare la pubblicità commerciale
tra le manifestazioni del pensiero protette dall’art. 21 Cost.
15
, e gli
industrialisti, che riconoscono la configurabilità di un diritto di
pubblicità, quale espressione del più generale diritto di iniziativa
economica privata proteggibile ex art. 41 Cost.
Quest’ultima teoria, che considera i mezzi ed i modi di
comunicazione dell’impresa (mediante segni distintivi, etichette,
pubblicità) come strumenti della funzione promozionale, costituisce
ora un punto fermo
16
.
14
Si veda, ad es., Cass. 24.10.73, in Mass. Cass. Pen., 1974, 82; Trib. Milano 29.4.76, in
Giur. ann. dir. ind., 1975, 404; Trib. Torino 21.3.83, in Giur. ann. dir. ind., 1983, 523.
15
Alcuni hanno sostenuto che l’art. 21 Cost. non garantisce la libera informazione ed il
libero dibattito solo in ordine alle istanze di interesse politico o culturale in genere, bensì
anche in merito agli interessi di carattere economico che riguardano la collettività. Così
QUADRI, Libertà di stampa e approvazioni preventive, in Rass. dir. pubbl., II, 1965, 814
ss; FUSI, La comunicazione pubblicitaria nei suoi aspetti giuridici, Milano, 1970, 25 ss.
16
Cfr. GHIDINI, Introduzione allo studio della pubblicità commerciale, Milano, 1968, 226
ss. e sempre di GHIDINI, La concorrenza e i consorzi, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl.
dell’economia, diretto da F. Galgano, IV, Padova, 1981, 126; SORDELLI, Pubblicità
(disciplina della), in Enc. giur. Treccani, XXV, Roma, 1991, 6.
- Introduzione -
19
La pubblicità, pertanto, non può considerarsi manifestazione
del pensiero, intendendosi con ciò l’espressione di idee e di opinioni;
essa è un mezzo di stimolo e di allettamento all’acquisto di beni e
servizi ed ha, per questo, fini commerciali.
2. Le fonti del diritto pubblicitario: norme statuali
e comunitarie
L’assetto giuridico della pubblicità è in fase evolutiva. Sono,
infatti, sempre più numerose le disposizioni che vanno a riempire lo
spazio lasciato libero dal legislatore fino a qualche decennio fa, dando
origine ad una normativa che si viene formando dapprima in ambito
europeo, mediante intenti programmatici successivamente attuati in
direttive e talvolta regolamenti comunitari, ai quali il legislatore
nazionale è tenuto o, secondo i casi, obbligatoriamente impegnato ad
adeguarsi. Tuttavia, fino al recente 1992, a differenza di quanto
verificatosi nei principali Paesi europei, non era previsto, nel nostro
ordinamento positivo, alcun divieto legislativo espresso e di carattere
generale in materia di pubblicità ingannevole.