Introduzione
In questo lavoro ho analizzato il faticoso processo di elaborazione di una
«Costituzione per l’Europa», attraverso le interpretazioni dei quotidiani “il
manifesto” e “la Padania”, nel periodo compreso tra il 2001 e il 2005. Questa
scelta esula da considerazioni inerenti gli schieramenti politici e le alleanze
parlamentari di destra o sinistra. La ragione che mi ha portata ad esaminare i due
quotidiani si può rintracciare nelle scelte di campo dei due giornali sul dibattito in
merito alla Costituzione. Le due testate furono tra i pochi mezzi di informazione a
schierarsi, sin dall’inizio, su una posizione di contrarietà rispetto al Trattato
costituzionale. Del resto, ad opporsi fermamente e sistematicamente al testo
proposto furono solo la Lega Nord e le forze politiche di estrema sinistra. Il
Carroccio e Rifondazione Comunista furono, inoltre, gli unici due partiti che
votarono contro la ratifica parlamentare del Trattato costituzionale.
“la Padania”, essendo il giornale della Lega, seguì e condivise in ogni fase e con
grande attenzione la campagna anti-Costituzione portata avanti dal partito. “il
manifesto”, invece, pur non essendo l’organo stampa di nessun partito, è
sicuramente molto vicino a quelle forze politiche di sinistra che hanno osteggiato
la Costituzione europea nei modi e nei contenuti coi quali fu elaborata e proposta.
Il quotidiano comunista, inoltre, trattò il tema con grande interesse e in maniera
estremamente approfondita, dedicando grande spazio al processo costituente in
ogni sua tappa. In particolare, le forze politiche di estrema sinistra e “il manifesto”
si batterono per una causa ritenuta in maniera condivisa il primo motivo di
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dissenso nei confronti della Carta costituzionale, ossia l’introduzione di un
mercato sempre più libero e sempre meno attento alla tutela dei lavoratori.
L’idea di dare vita a una Costituzione europea nacque dalla necessità di snellire e
semplificare il sistema Europa. Le disposizioni che, all’inizio del processo
costituente, ne determinavano il funzionamento erano, infatti, sparse nei diversi
trattati che si succedettero nel corso di circa 50 anni. Una riorganizzazione dei
vari testi in un unico documento si rendeva, dunque, quanto mai auspicabile.
Inoltre, da più parti, si chiedeva l’ottimizzazione del funzionamento delle
istituzioni comunitarie, da rendere più efficienti, più vicine ai cittadini e più
rappresentative delle istanze europee. Questo anche in vista dei possibili futuri
allargamenti ad altri Stati membri e, soprattutto, di quelli in corso in quegli anni.
Gli obiettivi erano, dunque, di riformare le istituzioni, di ripartire in modo più
efficiente le competenze, di semplificare gli strumenti dell’Unione e di garantire
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più democrazia e più efficienza.
Paradossalmente, invece, dal punto di vista dei due quotidiani presi in
considerazione, furono proprio gli obiettivi considerati fondamentali secondo le
intenzioni iniziali, a tradursi in clamorosi fallimenti.
Senza dubbio, dunque, il quotidiano leghista e quello comunista furono tra i pochi
che portarono avanti delle campagne contro la Costituzione europea e lo fecero in
modo molto sentito, dedicando grande spazio all’argomento in occasione delle
tappe fondamentali del processo costituente.
È interessante notare come i due giornali, all’apertura del processo costituente,
partirono da posizioni diametralmente opposte, seppure in entrambi i casi già
critiche: sostenitore di un’Europa federale “il manifesto”, protettrice delle
prerogative nazionali “la Padania”. Prospettive, dunque, molto distanti, ma
nonostante questo, in molti casi, i due quotidiani si ritrovarono, in seguito, a
esprimere considerazioni molto simili sulla Carta costituzionale.
Ovviamente, su certi temi, il contraddittorio fu inevitabile. Mentre “il manifesto”
pretendeva più Europa, “la Padania” ne chiedeva di meno e mentre il quotidiano
1
G. Strozzi, Diritto dell’Unione europea. Parte istituzionale. Dal Trattato di Roma al Trattato di
Lisbona, Giappichelli, Torino, 2009, pag. 47
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comunista puntava il dito contro gli egoismi nazionali, quello leghista sbandierava
lo spauracchio del Superstato europeo nemico delle identità nazionali. Ma su
alcuni argomenti, come la distanza dai cittadini della Carta costituzionale e la sua
complessità, i giornali si trovarono in estrema sintonia.
Nel frattempo, i partiti politici maggioritari, sia a destra che a sinistra, si
adeguarono alle logiche di Bruxelles, del tutto sordi nei confronti delle istanze, a
volte configgenti, ma altre volte addirittura all’unisono, portate avanti dai due
quotidiani e da alcune forze politiche minoritarie. Alla fine, tuttavia, secondo “la
Padania” e “il manifesto”, i fatti dimostrarono che le critiche sollevate sulla
validità del progetto costituente non erano affatto infondate.
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I
Una Costituzione per l’Europa
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1.1 La Convenzione sul futuro dell’Europa
Il primo vero passo verso una Costituzione europea fu la «Dichiarazione sul
futuro dell’Europa» allegata al Trattato di Nizza. La Dichiarazione accolse
l’esigenza, già emersa ma non adeguatamente affrontata nel Trattato stesso, di
dare il via a un processo di riforma istituzionale. Il documento elencava, dunque,
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le tappe necessarie per giungere a un nuovo trattato di riforma. I punti erano
quattro: definizione delle modalità per stabilire e mantenere una più precisa
delimitazione delle competenze tra l’Unione europea e gli Stati membri secondo il
principio di sussidiarietà; determinazione dello status della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea proclamata a Nizza; semplificazione dei
trattati, al fine di renderli più chiari e meglio comprensibili senza modificarne la
sostanza; ridefinizione del ruolo dei Parlamenti nazionali nella struttura europea.
Il 14 e 15 dicembre 2001 si tenne, poi, il Consiglio europeo di Laeken che decise
di convocare una Convenzione sull’avvenire dell’Europa inserendo come allegato
alle sue Conclusioni la «Dichiarazione di Laeken sul futuro dell’Unione europea».
Questa Dichiarazione recepì alcune istanze già presenti in quella elaborata dalla
conferenza intergovernativa del 2000 che aveva portato al Trattato di Nizza, ma
solo nel dicembre 2001 si gettarono in modo concreto le basi per la quarta
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revisione dell’Unione europea.
Dopo un lungo e complicato dibattito tra chi voleva limitare il mandato della
Convenzione ai soli quattro punti della «Dichiarazione sul futuro dell’Europa», e
chi, invece, sosteneva l’opportunità di estenderne ulteriormente la capacità
d’azione, a prevalere fu la seconda linea. Nell’ultima parte della «Dichiarazione di
Laeken sul futuro dell’Unione europea» si stabilì, dunque, che i lavori della
Convenzione si sarebbero svolti senza un’elencazione tassativa di temi, seguendo
invece un’ampia serie di interrogativi. Questi riguardavano il problema delle
2
http://europa.eu/scadplus/constitution/introduction_it.htm
3
F. Bassanini – G. Tiberi, Una Costituzione per l’Europa. Dalla Convenzione europea alla
Conferenza Intergovernativa, il Mulino, Urbino, 2003, pag.23
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competenze dell’Unione, la necessità di semplificazione degli strumenti
normativi, le modalità per accrescere la legittimità democratica e la trasparenza
delle istituzioni, il ruolo in questo senso dei Parlamenti nazionali, il problema
dell’efficienza del processo decisionale e del funzionamento delle istituzioni.
Inoltre, nella parte intitolata «La via verso la Costituzione per i cittadini europei»,
venne inclusa una serie di questioni sulla semplificazione e il riordino degli attuali
trattati, sulla necessità di incorporare la Carta dei diritti fondamentali nel trattato e
sul fatto che la stessa Unione adottasse un testo costituzionale. In questo modo il
mandato venne reso più aperto e flessibile. Quanto elaborato dalla Convenzione
sarebbe stato, poi, sottoposto ad una Conferenza intergovernativa che avrebbe
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determinato il testo definitivo della Costituzione.
La Dichiarazione di Laeken stabilì che la Convenzione si fosse riunita nella sede
del Parlamento europeo a Bruxelles e che fosse composta da 15 rappresentanti dei
Capi di Stato o di Governo degli Stati membri (uno per Stato membro), 30
membri dei Parlamenti nazionali, (due per Stato membro), 16 membri del
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Parlamento europeo e due rappresentanti della Commissione. Lo stesso Consiglio
di Laeken designò Valéry Giscard d’Estaing quale Presidente della Convenzione e
Giuliano Amato e Jean-Luc Dehaene come Vicepresidenti. Venne anche prevista
la possibilità, per i Paesi candidati all’adesione, di partecipare appieno ai lavori
della Convenzione senza aver, tuttavia, la facoltà di impedire la formazione del
consenso.
Per quanto riguarda l’organizzazione interna, al vertice della Convenzione venne
messo un Praesidium, ossia un organo composto dal Presidente della Convenzione
e dai due Vicepresidenti, oltre che da un rappresentante per ciascuno dei tre
Governi che durante la Convenzione esercitarono la Presidenza (Spagna,
Danimarca e Grecia), da due rappresentanti dei Parlamenti nazionali, da due
rappresentanti dei parlamentari europei, da due rappresentanti della Commissione
e da un membro designato dai rappresentanti dei Parlamenti dei Paesi candidati
4
Ivi, pag. 24 - 25
5
A. Lucarelli – A. Patroni Griffi, Studi sulla Costituzione europea, Edizioni Scientifiche Italiane,
Napoli, 2003, pag.16
10
all’adesione. I membri della Convenzione e del Praesidium furono assistiti,
inoltre, da un Segretariato presieduto dal diplomatico britannico John Kerr. La
Dichiarazione di Laeken rese anche possibile che il Presidente della Corte di
giustizia e il Presidente della Corte dei conti prendessero la parola su invito del
Praesidium davanti all’Assemblea. Fu, inoltre, prevista la presenza di osservatori.
In particolare potevano essere presenti ai lavori della Convenzione tre
rappresentanti del Comitato economico e sociale, tre rappresentanti delle parti
sociali europee, sei rappresentanti per il Comitato delle regioni e il Mediatore
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europeo.
Erano quindi due le caratteristiche principali di questo nuovo organismo. In primo
luogo i suoi membri non erano eletti, ma nominati direttamente dal Consiglio
europeo nel caso del Presidente e dei Vicepresidenti e dalle istituzioni designate
dal Consiglio europeo nel caso degli altri membri. In secondo luogo la
composizione della Convenzione era fortemente eterogenea, con membri
provenienti da nazioni e istituzioni diverse. Questo perché, nelle intenzioni
iniziali, la Convenzione non doveva svolgere una funzione costituente, ma dar
voce a tutti gli attori del processo di integrazione. Tuttavia, una serie di fattori
favorì una graduale evoluzione della Convenzione. Con il procedere dei lavori
cominciò a prendere corpo l’idea che essa non dovesse limitarsi a produrre
semplici suggerimenti, ma che dovesse elaborare un testo organico di riforma dei
trattati da sottoporre alla Conferenza intergovernativa prima, e alle ratifiche
nazionali poi. Al suo interno, la Convenzione era caratterizzata dalla presenza di
opinioni e posizioni anche molto lontane tra di loro. Una prima frattura era quella
tra Stati favorevoli ad una più profonda integrazione e Stati maggiormente
intenzionati a difendere la propria sovranità. C’erano poi le divisioni tra diversi
schieramenti politici, tra istituzioni europee e istituzioni nazionali, tra organi
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esecutivi e organi legislativi e tra le stesse istituzioni comunitarie.
Secondo il mandato affidatole a Laeken la Convenzione poteva avanzare
raccomandazioni soltanto in caso di consenso. Secondo le Conclusioni del
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F. Bassanini, - G. Tiberi, Una Costituzione per l’Europa, cit., pag. 26
7
A. Lucarelli – A. Patroni Griffi, Studi sulla Costituzione europea, cit., pag. 17 - 18
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Consiglio, infatti, «Le raccomandazioni della Convenzione sono adottate per
consensus, senza che i rappresentanti degli Stati candidati abbiano la facoltà per
impedirlo». Il «consensus» diventò, così, una procedura decisionale vera e propria
che non poteva però essere assimilata del tutto né alla maggioranza né
all’unanimità. Non era uguale alla maggioranza in quanto il consensus non c’era
se non c’erano voti contrari. Non era uguale all’unanimità perché non richiedeva
un’espressione formale della volontà delle parti. Si era, dunque, di fronte ad una
sorta di silenzio-assenso che, se interpretato e applicato in maniera rigorosa,
avrebbe comportato il rischio della paralisi per la Convenzione. Sarebbe, infatti,
bastato il parere dissenziente di un solo membro per bloccare la proposta. Per
evitare che questo accadesse il Praesidium chiarì da subito che per bloccare una
decisione non fosse sufficiente la presenza di una posizione di disaccordo, ma
stabilì che fosse invece necessario un dissenso «politicamente significativo».
Questa definizione lasciava evidentemente un largo margine di discrezionalità e
nel corso del dibattito sono state proposte molte e diverse definizioni di
«consensus». Alla fine, tuttavia, nessuna riuscì a prevalere sulle altre e il concetto
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rimase caratterizzato da un ampio grado di incertezza.
I lavori della Convenzione ebbero inizio il 28 febbraio 2002 e terminarono il 10
luglio 2003. In poco più di diciassette mesi il Presidium si riunì almeno una volta
al mese e il plenum tenne 26 sessioni, per un totale di 52 giorni, con 1812
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interventi e oltre 6mila emendamenti presentati e discussi. Per approfondire
alcune questioni specifiche la Convenzione istituì, inoltre, undici gruppi di lavoro
demandando al Praesidium la definizione dei mandati e la composizione e
l’organizzazione interna. Le relazioni finali di questi gruppi costituirono poi
oggetto di dibattiti approfonditi nella sessione plenaria e molto lavoro dei gruppi
divenne parte costitutiva del testo finale. Per esaminare alcune materie più
tecniche, inoltre, furono creati dei circoli ristretti sulla Corte di Giustizia, sulla
procedura di bilancio e sul sistema delle risorse proprie. A differenza dei gruppi di
lavoro i circoli erano composti da rappresentanti delle tre «componenti»:
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Ivi, pag. 23
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F. Bassanini, - G. Tiberi, Una Costituzione per l’Europa, cit., pag. 27
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