1.1 Il processo d’integrazione europea.
Il lungo processo ha avuto inizio con la creazione della Comunità europea del
carbone e dell’acciaio (CECA), nel 1951, dopo la quale sorsero, nel 1958, la Comunità
europea dell’energia atomica (EURATOM) e il Mercato Comune Europeo (MEC). A
sottoscrivere i Trattati furono, inizialmente, il Belgio, la Francia, la Germania
Federale, l’Italia, il Lussemburgo e l’Olanda. In principio, quindi, l’interesse era
prevalentemente rivolto all’integrazione economica. Il MEC è stato il primo passo
importante, perché ha consentito l’eliminazione di alcuni ostacoli alla libera
circolazione delle merci all’interno dei Paesi membri. Grazie all’eliminazione di tali
limiti per i Paesi aderenti all’accordo, e con l’adozione di una tariffa doganale comune
rispetto ai Paesi terzi, si è voluto creare un mercato ampio e ricco di opportunità per le
imprese che ne facevano parte. Nel 1968, oltre a completare la comune
regolamentazione doganale, si è proceduto alla fusione degli organismi comunitari
(CECA, MEC, EURATOM) in un unico contesto organizzativo e istituzionale
denominato Comunità Economica Europea (CEE)
2
.
Al 1979 risalgono due avvenimenti particolarmente importanti: l’adozione del
Sistema Monetario Europeo (SME) e l’elezione del Parlamento Europeo a suffragio
universale e diretto. Soprattutto quest’ultima evidenzia il passaggio ad una dimensione
non più prettamente economica, ma comprendente anche aspetti socio-politici. E’ il
primo passo verso “l’europeizzazione” a tutti i livelli.
Nel 1987 entra in vigore l’Atto unico europeo. Tra le disposizioni in esso
contenute, le più importanti riguardano la realizzazione del Mercato interno, col quale
si mira alla creazione di un vasto spazio che consenta alle imprese dei Paesi membri di
commerciare liberamente, godendo così di sbocchi maggiori e della possibilità di una
più efficiente allocazione delle risorse. Si tratta di un ulteriore ma decisivo passo,
rispetto al MEC, nella liberalizzazione dei mercati interni dell’Europa. Nell’Atto unico
europeo si specifica, infatti, che “il mercato interno comporta uno spazio senza
2
Cfr. G.Melis, ”Appunti e materiali concernenti l’Unione europea e le imprese”, Università degli studi di
Cagliari;
frontiere interne nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone,
dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni del [...] trattato”
3
. Per rendere
possibile tutto ciò è stato necessario eliminare una serie di barriere fisiche, tecniche e
fiscali. Infatti, le barriere tradizionali che ostacolavano il commercio, quali tariffe e
quote, sparite ormai da anni, erano state nel frattempo rimpiazzate da nuovi tipi di
ostacolo al commercio e all’integrazione dei mercati: norme e standard tecnici
incompatibili, differenze nelle strutture e regolamentazioni fiscali degli Stati membri,
mantenimento di rapporti anticoncorrenziali tra i governi e i loro fornitori locali. Tutto
questo impediva, ai consumatori come alle imprese, di usufruire dei vantaggi del
mercato interno comunitario cui avevano diritto.
I numerosi provvedimenti adottati da parte delle Istituzioni comunitarie per la
realizzazione del Mercato unico si riconducono quindi alle seguenti categorie generali:
1. provvedimenti di mera deregolamentazione, tendenti ad eliminare
ostacoli preesistenti nei rapporti commerciali tra i soggetti di diversi Stati;
2. provvedimenti di armonizzazione delle legislazioni con lo scopo di
ridurre le differenze legislative da Stato a Stato e, quindi, le diversità di trattamento
degli operatori nei diversi Paesi;
3. provvedimenti di “europeizzazione” della legislazione, vale a dire di
sostituzione delle preesistenti dodici normative di ciascun Stato, con una normativa
identica per tutti i Paesi
4
. Inoltre, in base al principio del “mutuo riconoscimento”,
ciascun Paese accetta ciò che, secondo le normative degli altri Paesi dell’Unione, è
considerato regolare.
Il Mercato unico, formalmente lanciato il 1°gennaio 1993, è sicuramente uno
dei più ambiziosi progetti realizzati in un passato recente. Nel giro di soli sei anni (cioè
dalla data dell’Atto Unico a quella della formale entrata in vigore del Mercato interno)
la Comunità europea ha eliminato gli ostacoli che la frammentavano in 12 mercati
3
Atto Unico europeo, 28 febbraio 1986;
4
Cfr. G.Melis, “Appunti e materiali concernenti l’Unione europea e le imprese” op. cit.
nazionali separati, dando luogo ad un mercato unico di centinaia di milioni di
consumatori. Le imprese europee beneficiano così dei vantaggi di un grande mercato
interno (da cui derivano il potenziamento della produzione in serie, economie di scala,
standard semplificati). Ciò permette loro di ridurre i costi, e ne consegue un calo dei
prezzi al consumatore. Inoltre possono concorrere più efficacemente sui mercati
mondiali con i loro concorrenti americani e giapponesi, che già usufruiscono dei
vantaggi di un grande mercato interno integrato.
Pure in ambito bancario, grazie al già citato principio del “mutuo
riconoscimento”, gli Istituti di credito autorizzati all’esercizio dell’attività in uno Stato
possono svolgere, in qualsiasi altro Paese membro, tutte o parte delle attività previste
in uno specifico elenco. La vigilanza su tali attività spetta in ogni caso, sulla base del
principio del “controllo esercitato dallo Stato di origine”, alle autorità competenti del
Paese di origine.
Il dinamismo stimolato dal successo del mercato unico ha creato i presupposti
per la firma del Trattato di Maastricht che ha, infatti, sancito il passaggio all’Unione
economica e monetaria (UEM). Ed è proprio col Trattato di Maastricht (o Trattato
sull’Unione europea) che si sono regolamentate questa e altre innovazioni di carattere
istituzionale e politico, sociale, tecnologico, etc. Tra le disposizioni in esso contenute,
la più importante per le implicazioni che comporta è sicuramente quella riguardante la
creazione della Comunità europea in sostituzione della precedente Comunità
economica europea. Questo passaggio rileva la volontà di spostarsi da un ambito
esclusivamente economico, ad uno più ampio, comprendente anche altri aspetti.
Per quanto riguarda l’Unione economica e monetaria, essa si compone di due
parti distinte e complementari.
L’Unione economica tratta i seguenti argomenti:
• mercato interno europeo, cioè lo spazio senza frontiere interne nel
quale è garantita la libera circolazione delle merci, delle persone,
dei servizi e dei capitali;
• politica della concorrenza e altre misure capaci di potenziare i
meccanismi del mercato;
• politiche comuni per promuovere una corretta allocazione delle
risorse, in modo da consentire lo sviluppo regionale e la progressiva
eliminazione delle disparità;
• coordinamento delle politiche macroeconomiche, con particolare
riferimento alle norme riguardanti le politiche di bilancio.
L’Unione monetaria implica invece il conseguimento dei seguenti obiettivi:
• creazione e utilizzo progressivo di una moneta unica;
• fissazione irrevocabile dei tassi di conversione fra le monete che
concorreranno alla creazione dell’euro nonché fra queste e l’euro
medesimo (1°gennaio 1999);
• sostituzione progressiva, fra il 1°gennaio ed il 1°marzo 2002, delle
monete dei paesi membri, con l’euro;
• una politica monetaria per l’insieme dell’Unione (limitata però agli
Stati membri che adotteranno l’euro), accompagnata da regole di
condotta applicabili ai paesi dell’Unione che non potranno adottare
subito la moneta unica.
5
Il Trattato di Maastricht espone i cinque criteri di convergenza cui dovevano
conformarsi i Paesi che ambissero a far parte dell’Uem dall’inizio (1998).
Era richiesto un tasso d’inflazione molto vicino tra i partecipanti, in modo che
la differenza fra la crescita dei prezzi nella media annuale non superasse di oltre 1,5
punti percentuali i tassi d’inflazione registrati nelle tre economie più stabili.
Doveva verificarsi un avvicinamento dei tassi d’interesse a lungo termine, e a
tal fine le nazioni entrate nella terza fase devono mantenere per un anno la redditività
5
Cfr. U.Bocchino, “L’Euro, l’impresa e il bilancio di esercizio”, Ed.IlSole24ore, 1998;
dei titoli a lungo termine non superiore, in media, di oltre due punti percentuali ai tassi
vigenti nei tre Paesi più stabili.
Due criteri erano attinenti al mantenimento di finanze in buone condizioni di
comparabilità, e ad alcuni Paesi, tra cui l’Italia, veniva richiesto di contenere il deficit
pubblico entro il 3% per quanto riguarda il PIL, e un rapporto debito pubblico\ PIL al
60%.
Infine, c’era il criterio di stabilità del tasso di cambio, per cui era necessario che
per almeno due anni, e senza alcuna svalutazione nei confronti di altri Stati membri,
fossero rispettati i margini di fluttuazione consentiti dai meccanismi di cambio dello
SME.
Con l’Unione economica e monetaria le monete degli Stati membri sono
definitivamente legate tra loro in uno stesso rapporto di cambio, senza più svalutazioni
e rivalutazioni. Questa è una sicurezza per cittadini e imprese, che possono sfruttare
meglio i vantaggi di un grande mercato interno, ma costituisce contemporaneamente la
perdita di uno strumento di competitività (la leva del cambio) cui le imprese italiane
hanno spesso fatto ricorso
6
. Tale strumento, che non può essere più sfruttato nei
confronti dei Paesi dell’Unione, è ancora valido verso i Paesi esterni all’Eurozona,
come Stati Uniti e Giappone.
6
Cfr. U.Bocchino, ”L’Euro, l’impresa e il bilancio di esercizio” op. cit.
Tab.n.1 I Criteri di Maastricht.
Criterio Definizione Deroghe e note
Inflazione In ogni Paese non deve superare
il valore dato dalla media dei tre
Paesi con inflazione minima,
aumentata dell’1,5%.
Nessuna possibilità di deroga.
L’inflazione viene misurata dal
dato medio 1997 relativo ai prezzi
al consumo.
Tassi di interesse a lungo
termine
Non deve superare il valore
medio dei tre Paesi con inflazione
minima, aumentato del 2%.
Nessuna deroga. Viene misurato
dalla media sugli ultimi 12 mesi.
Indica la credibilità
dell’inflazione attuale.
Cambio Deve essere rimasto “all’interno
delle normali bande di
fluttuazione” per i due anni
precedenti.
Indica la credibilità di cambio e
inflazione.
Finanza pubblica:
(a) deficit
Il rapporto fra deficit e PIL non
deve superare il 3%, sia al
momento dell’analisi sia in
prospettiva futura.
Il deficit è quello delle pubbliche
amministrazioni. Possibilità di
deroga se il rapporto è vicino al
3% ed è sceso in modo
soddisfacente.
Finanza pubblica:
(b) debito
Il rapporto fra debito pubblico e
PIL non deve superare il 60%,
ovvero essere sceso verso tale
livello ad una velocità
soddisfacente.
Il debito è quello delle pubbliche
amministrazioni. In passato, il
Consiglio ha definito “Paesi
senza disavanzi eccessivi”
Irlanda, Olanda e Danimarca, che
hanno debiti/PIL maggiori del
60% ma in forte discesa.
Con la moneta unica e con l’assoluta confrontabilità dei prezzi che ne deriva,
qualsiasi lievitazione dei costi interni non in linea con quello dei concorrenti europei
non potrà più essere affrontato semplicemente con un aumento dei prezzi di vendita
per mantenere invariata la capacità di profitto. In tali condizioni l’impresa dovrà
attuare tutta una serie d’interventi di carattere strutturale per controllare i costi,
attraverso l’aumento dell’efficienza, e differenziare i propri prodotti per sottrarli alla
concorrenza di prezzo.
1.2 Gli accordi monetari e l’Euro.
L’obiettivo di creare una zona di stabilità dei tassi di cambio in Europa, che
culminerà con la messa in circolazione di una moneta unica, non è coevo al progetto
d’integrazione economica. Questa imprevidenza generalizzata può essere stata
conseguenza del fatto che le valute dei Paesi firmatari del Trattato già godevano di
elevata stabilità all’interno degli accordi di Bretton Woods
7
.
L’idea di una Unione Monetaria è proposta per la prima volta, nel 1969, da un
commissario europeo che pose l’accento sulla convenienza di creare un meccanismo in
grado di garantire la stabilità dei cambi all’interno del Mercato comune Europeo e che,
in tal modo, facilitasse la realizzazione dell’integrazione economica. La proposta non
era casuale: il sistema monetario internazionale di Bretton Woods mostrava i primi
segni di cedimento, per poi crollare, definitivamente di lì a poco.
In seguito, la Commissione ha affrontato l’opportunità di completare
l’integrazione del mercato dei beni con la costruzione di una zona di stabilità dei
cambi esclusivamente europea. Ci fu la proposta di realizzare l’Unione monetaria in
varie fasi, a partire dal 1971, ma il piano (Relazione Werner), che necessariamente
richiedeva di rinunciare a parte delle sovranità nazionali, era troppo ambizioso in
relazione alla complessità del periodo.
Nel 1972 gli Stati della CEE si accordarono per la messa a punto di uno
strumento per l’integrazione monetaria, noto come “Serpente monetario”, consistente
in un meccanismo per fissare i tassi di cambio, in cui le bande di fluttuazione rispetto
alla parità centrale di ogni moneta nei confronti del dollaro erano più ampie del
meccanismo precedente. Tutte le divise avevano fissato unilateralmente il proprio
tasso di cambio rispetto al dollaro. Col passare del tempo, il Serpente, inizialmente
sorto come accordo tra Paesi CEE, si è convertito in zona di stabilità intorno al marco
7
Cfr. S.Lamonica, ”Euro. Gli effetti per le imprese”, Ed.IlSole24ore, 1998;
tedesco, integrata anche da Paesi non appartenenti alla CEE.
L’interesse di più Paesi, tra cui per prima la Germania, hanno spinto verso la
creazione del Sistema monetario europeo nel 1978. Il successo dello SME alla fine
degli anni ‘80 ha prodotto un forte impatto sull’insieme della costruzione europea.
Molti Paesi non facenti parte della Comunità europea decisero di fissare la parità delle
proprie monete, alcuni entrando nello SME e altri stabilendo una parità centrale
sull’ECU o sul marco. Tale condizione, unita alla nascita dell’Atto unico europeo e
alla creazione di un mercato interno unico nel 1992 ha favorito il rilancio della vecchia
idea, contenuta nella Relazione Werner, di avanzare verso l’Unione monetaria. Questa
fase di euro-ottimismo raggiunse il culmine e poi il termine nel settembre 1992,
quando il sistema, sottoposto alla pressione dei mercati finanziari globali, fu costretto
nel 1993 ad ampliare le bande dal +\-2,25 e +\-6% al +\-15%
8
.
La Relazione Delors del 1989 rappresenta il primo documento comunitario ad
illustrare le fasi da superare per raggiungere l’obiettivo della moneta unica, ed è
servito come base per redigere successivamente il Trattato di Maastricht nella parte
relativa all’Uem.
Il Trattato ha stabilito nel 1992 le linee guida del progetto, suddividendole in tre
fasi.
™ La prima doveva essere completata nel 1993, con la libertà di
circolazione dei capitali tra gli Stati membri e una più stretta collaborazione
dei governi in tutti gli ambiti della politica economica.
™ La seconda fase implicava l’adozione di programmi di
convergenza economica, l’approvazione degli Statuti di autonomia di tutte
le banche centrali nazionali e la creazione dell’Istituto monetario europeo
(Ime), preposto a guidare il passaggio alla costituzione della Banca centrale
europea. Quasi tutti i Paesi, con la sola eccezione della Gran Bretagna,
hanno approvato statuti di autonomia per le proprie banche centrali, come
punto necessario a garantire l’indipendenza nell’assunzione di decisioni
8
Cfr. S.Lamonica, “Euro. Gli effetti per le imprese” op.cit;
della futura Banca centrale europea (Bce). Infine, si doveva creare l’Istituto
monetario europeo (Ime), il cui compito consiste nel supervisionare l’intero
processo di transizione fino al 2002, anno in cui inizierà a circolare l’euro e
scompariranno le divise nazionali. Fra i compiti di maggior rilievo dell’Ime
vi è sicuramente la conferma dell’idoneità dei Paesi per l’accesso alla terza
fase, la determinazione della metodologia da utilizzare per la conversione
delle monete nazionali in Euro, l’adattamento degli strumenti di politica
monetaria alle nuove circostanze, come pure la predisposizione delle misure
necessarie per applicare una politica monetaria unica nella terza fase.
™ L’ultima fase (la terza, appunto), partita nel 1999, prevede la
concreta costruzione dell’Unione monetaria e l’emissione, al termine di
tale periodo, della nuova moneta. Questo proposito richiede, com’è logico,
una serie di preparativi formulati in base ad un calendario specifico,
suddiviso in tre sottofasi.
Il primo periodo di tale calendario è suddiviso in due parti, una relativa ai
preparativi per l’Uem e una seconda, denominata fase A. In quella relativa ai
preparativi, fra il 1996 e il 1998, i principali organismi europei dovevano predisporre
le basi del quadro legale ed istituzionale che disciplinerà l’utilizzo dell’euro. Nella fase
A, durata un anno (1998), si sono conseguiti tre obiettivi: decidere quali nazioni
fossero conformi ai criteri di convergenza (Austria, Belgio, Finlandia, Francia,
Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Spagna); la creazione
della Bce e del Sistema europeo delle banche centrali (Sebc) e il varo dell’emissione di
banconote e monete metalliche in euro.
“Tra gli undici Paesi ritenuti idonei rientra anche l’Italia, che ha ottenuto così di
presentarsi ai nastri di partenza. Ma la vera sfida, la capacità di massimizzare le
opportunità dell’euro e di minimizzarne i rischi, comincia adesso”
9
che cambiamenti
importanti stanno concretamente modificando lo scenario competitivo in cui operano
le imprese. Gli effetti principali sono ravvisabili nella maggiore integrazione del
Mercato unico e nell’aumento della confrontabilità diretta dei prezzi. Le imprese
9
R.Perissich, Il sistema italiano e la sfida all’euro, in “Impresa&Stato” n.48;
dispongono così di un mercato potenziale più ampio, anche se ciò comporta,
specularmente, un aumento della pressione concorrenziale. Non potendo più contare
sullo strumento della svalutazione della moneta verso gli altri Paesi dell’Unione, sono
necessari più elevati livelli di competitività, puntando sull’efficienza produttiva in
termini di costi e di processi, sull’innovazione e la qualità dei prodotti e sull’efficacia
del marketing mix.
Le due fasi restanti si inglobano all’interno dell’Uem. La fase B, iniziata il 1°
gennaio 1999, si prolunga fino al 31 dicembre 2001: riguarda la fissazione irrevocabile
dei tassi di conversione delle monete nazionali in euro (vedi Tabella N.2), la
sostituzione del paniere ECU con l’euro, il controllo della politica monetaria e di
cambio da parte della Bce, l’emissione di obbligazioni in euro, l’apertura di conti delle
banche private presso le rispettive banche centrali nazionali nella nuova moneta e
l’avvio del sistema di pagamenti noto come Target (Trans-european Automated
Realtime Gross settlement Express Transfer system). Dal 1° gennaio 1999, inoltre, le
valute che fanno parte dell’euro non sono più quotate sul mercato dei cambi e saranno
solo “denominazioni frazionali” dell’unica moneta europea.
Tab.n.2 Tassi fissi di conversione con l’euro fissati il 1°gennaio 1999
EURO
Lire
Lira italiana 1.936,27 ***
Marco tedesco 1,95583 989,999
Franco belga 40,3399 47,999
Franco
lussemburghese
40,3399 47,999
Peseta spagnola 166,386 11,637
Franco francese 6,55957 295,182
Lira irlandese 0,787564 2.458,56
Fiorino olandese 2,20371 878,641
Scellino austriaco 13,7603 140,714
Escudo portoghese 200,482 9,658
Marco finlandese 5,94573 325,657
L’ultima fase inizierà il 1° gennaio 2002, con una durata di due mesi. A partire
dall’inizio di questa fase tutte le monete nazionali dovranno essere convertite in euro,
in modo che alla fine rimanga soltanto la divisa europea come unico bene numerario in
circolazione. L’Unione monetaria avrà raggiunto così il proprio obiettivo: l’emissione
della moneta rimarrà in mano alla Bce, il passaggio del sistema finanziario e dei mezzi
di regolamento sarà terminato e il settore privato non bancario dovrà utilizzare l’euro
in ogni operazione.
Per quanto riguarda i “sistemi di regolamento”, si tratta di strumenti di
politica monetaria che hanno il compito di far circolare nel modo più agile possibile i
flussi finanziari derivanti dall’attività economica fra le banche commerciali e, da qui,
verso i conti dei singoli. Target, funzionante dal 1° gennaio 1999, è il nuovo sistema
europeo dei pagamenti interbancari all’ingrosso, e si compone dei sistemi nazionali dei
pagamenti e di un collegamento sovranazionale (sistema Interlinking). Nei sistemi
nazionali la sua caratteristica principale è la liquidazione complessiva delle operazioni
in tempo reale, motivo per cui i pagamenti sono realizzati individualmente, senza
compensazione precedente e con conferma immediata. L’accesso a Target è consentito
anche ai Paesi che non hanno preso parte alla terza fase, anche se per essi l'euro rimane
una divisa estera. Il meccanismo è aperto infatti a qualsiasi tipo di pagamento
effettuato in euro relativo ai mercati finanziari, a operazioni commerciali, o a
pagamenti di divisa
10
.
Il vantaggio dei sistemi Rtgs (Real-Time-Gross-Settlement), in cui rientra
Target, è quello di eliminare il rischio di regolamento infragiornaliero, ovvero la
possibilità che un partecipante al sistema non onori le sue obbligazioni durante la
giornata. In questo modo i flussi dei pagamenti vengono accelerati, permettendo una
trasmissione più immediata degli impulsi monetari, e migliorando così l’efficienza
complessiva dei mercati e l’efficacia della politica monetaria. Con l’eliminazione del
rischio transfrontaliero fra i Paesi Ue, il Target trasferirà questi benefici all’intero
mercato unico, facilitando la conduzione della politica monetaria unica e
l’integrazione dei mercati monetari e finanziari dell’Ue.
11
Passando ad analizzare brevemente le normative che segnano le regole
contabili, fiscali e giuridiche per il passaggio dell’euro all’interno dell’impresa, si
vogliono evidenziare quelle che potrebbero essere, in alcuni casi, le conseguenze. Si
ha in tal modo lo scopo di sottolineare la complessità delle operazioni da effettuare
contabilmente, le conseguenze giuridiche che coinvolgono i contratti stipulati
dall’impresa, spesso in un’ottica miope, senza considerare vincoli e opportunità
10
Cfr.S.Lamonica, ”Euro. Gli effetti per le imprese” op. cit.
11
Cfr. S.Carcascio, “Verso l’Uem. Lo stato dell’arte nella preparazione delle banche centrali” dagli Atti del
convegno su “L’UEM. Nuove condizioni per banche e imprese in Sardegna”, Facoltà di Economia-Cagliari
29.1.1997
derivanti da questo evento. E’ messa in luce di conseguenza la necessità di prepararsi
culturalmente all’evento, per non rischiare di restarne sopraffatti, attraverso una
formazione accurata del personale in ogni campo, e l’eventuale consulenza tecnica di
professionisti esterni.
Fonte: Indagine Euro 1999
Il passaggio all’euro non consiste nel semplice cambiamento di denominazione
della moneta utilizzata, ma rappresenta qualcosa di ben più complesso, del quale
occorre avere conoscenza in anticipo e poter sfruttare questo come vantaggio
competitivo nei confronti dei concorrenti.
L’Istituto Tagliacarne
12
, a questo proposito, ha condotto su un campione di
1500 imprese un’indagine su “i problemi e le prospettive dell’utilizzo dell’euro da
parte delle Pmi italiane” per misurarne il processo di adeguamento alla moneta unica.
Ciò che emerge è che il numero di imprese che ha concluso, iniziato o comunque
intendeva avviare il processo di adattamento e portarlo a termine entro il 1999 ha
raggiunto il 50% degli intervistati. Quindi un’impresa su due, in Italia, è già pronta e si
sente meglio preparata sull’euro. Le regioni più lanciate nella loro corsa alla moneta
unica sono quelle del centro (V. grafico).
12
Da IlSole24ore del 3 gennaio 2000
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Adeguamento all'euro 1999
Indice di
adattamento
(0=minimo;
100=massimo)