INTRODUZIONE
La neurogenesi ippocampale della depressione maggiore costituisce l‟oggetto
del presente elaborato, con particolare attenzione alle possibilità di intervento
farmacologico.
In questa sede ci interesseremo e tratteremo solamente il Disturbo Depressivo
Maggiore (DDM), tema centrale del lavoro. La depressione maggiore è il
disturbo dell'umore più diffuso e colpisce più frequentemente il genere
femminile con esordio medio tra i 20 e i 40 anni di età. La sindrome
depressiva è contraddistinta da una serie di sintomi di tipo psichico, somatico
e comportamentale. Di fatto i criteri diagnostici secondo il DSM-IV-TR
(A.P.A., 1994) per poter effettuare una diagnosi di Depressione Maggiore sono
molteplici. Innanzitutto, deve essere rilevata la presenza costante di 5 o più
sintomi (obbligatorio uno dei primi due indicati) costantemente per almeno
due settimane consecutive che rappresentano un evidente cambiamento
rispetto al precedente funzionamento del soggetto: umore irritabile, perdita di
interesse o piacere in gran parte delle attività, modificazioni significative
dell'appetito (perdita/aumento di peso), modificazioni del sonno
(insonnia/ipersonnia), astenia, mancanza di energie, sentimenti di
inadeguatezza o di colpa, diminuita capacità di concentrazione, nel pensare e
prendere decisioni, ideazione/atti suicidari. I sintomi non devono però
soddisfare i criteri diagnostici dell'episodio misto ovvero una sindrome
episodica caratterizzata dalla contemporanea presenza delle manifestazioni
tipiche di una sindrome depressiva e di una sindrome maniacale (umore
anormalmente e persistentemente elevato, espansivo o irritabile per almeno
una settimana). Durante l'episodio misto si osservano passaggi rapidi da una
piena sintomatologia depressiva ad una euforica (prevale l'euforia) o disforica
(prevale l'irritabilità, rabbia e aggressività). Vi è anche la possibiltà che il
paziente presenti contestualmente sintomi di polarità opposta (può presentare
un umore depresso associato ad un'agitazione psicomotoria e accelerazione
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ideativa). Si rileva, inoltre, la presenza di un disagio clinicamente significativo
o di una compromissione del funzionamento sociale, lavorativo ecc. In ogni
caso , i sintomi non sono dovuti a una condizione medica generale o agli
effetti di sostanze (droghe e farmaci), né tanto meno da un lutto.
Attualmente l'eziopatogenesi dei disturbi dell'umore non è del tutto
conosciuta, anche se la maggior parte degli studiosi concorda sulla causa
multifattoriale. La depressione maggiore è un disturbo che deriva da un
insieme di fattori di tipo biologico, psicologico e sociale, e come l'uno
interagisca con l'altro influenzandosi a vicenda. Si parte da una
predisposizione genetica (disfunzioni neurobiologiche ossia alterazioni
biologiche celebrali, in particolare si fa riferimento ai meccanismi di
neurotrasmissione) che implica quindi una maggiore probabilità di incorrere
nella patologia. Questo fattore è poi associato a fattori psicologici e sociali,
quindi come il singolo individuo affronta le situazioni di crisi che gli si
presentano (fattori scatenanti).
Vari sono comunque i meccanismi biologici disfunzionali sottostanti
l'eziopatogenesi del disturbo depressivo maggiore. In primis vi è una
disfunzione dell'attività neurotrasmettitoriale con particolare riferimento ai
sistemi neuronali che utilizzano come mediatori chimici le monoamine
(ipotesi monoaminergica). Secondo tale ipotesi la depressione è causata da un
deficit funzionale di tali neurotrasmettitori. Successivamente, con le scoperte
dei meccanismi d'azione dei farmaci antidepressivi, si è superato tale modello
patogenetico è si è soffermata l'attenzione sulle disfunzioni a livello
recettoriale (ipotesi neurorecettoriale). Tali anomalie potrebbero essere
primarie o secondarie all'ipotono monoaminergico. Più recentemente si è
ipotizzato che una disfunzione si troverebbe in un'alterazione dei meccanismi
di trasduzione del segnale dal neurotrasmettitore monoaminergico al suo
neurone postsinaptico. Si ipotizza quindi che la sede del difetto potrebbe
essere nei sistemi dei secondi messaggeri; più in dettaglio, il difetto di
trasduzione del segnale potrebbe riguardare il gene che codifica il fattore
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neurotrofico di derivazione celebrale (BDNF). In condizioni di stress (come
vedremo più avanti) il gene del BDNF verrebbe represso, con conseguente
atrofia dei neuroni celebrali. Infatti da diversi studi di neuroimaging
strutturale, come la Tac Compiuterizzata (TC) e la Risonanza Magnetica
(RM), hanno dimostrato come, nelle forme di depressione ricorrente, si
verifichi un'atrofia cerebrale sopratutto al livello dell'ippocampo. La ricerca
biologica ha inoltre dimostrato l'esistenza di alterazioni neuroendocrine, in
particolare di un'iperattività dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) che
analizzeremo più avanti.
In questa sede ci soffermeremo più nello specifico sui fattori neurobiologici, in
particolare porremmo la nostra attenzione sul ruolo svolto dalla neurogenesi
ippocampale e dallo stress nella fisiopatologia della depressione maggiore.
Entro la neurogenesi ippocampale si sono infatti osservati dei fenomeni
peculiari collegati alla presenza dei disturbi depressivi, con particolare
attenzione agli effetti patologici dello stress.
Si è sempre pensato che alla base dello sviluppo della depressione maggiore ci
fosse un difetto neurochimico ma, negli ultimi anni, è stato possibile
evidenziare la presenza di alterazioni neuroanatomiche nel cervello di pazienti
affetti da depressione. In particolare è stata osservata una riduzione del volume
dell'ippocampo. In seguito ad alcune evidenze sperimentali, di cui si parlerà in
seguito, l'ipotesi attualmente più accreditata è che sia proprio la riduzione della
neurogenesi (ridotta capacità del cervello adulto di generare nuove cellule
nervose) a contribuire alla riduzione del volume ippocampale.
Una chiave di svolta, nella comprensione dei meccanismi alla base delle
patologie neurodegenerative, è stata fornita dalle scoperte riguardanti le
capacità adattive del cervello e l'esistenza di popolazioni neuronali con
potenzialità replicative nel cervello adulto. Queste scoperte consentono di
poter considerare il cervello come un sistema aperto e dinamico capace di
adattarsi per cui la degenerazione patologica della funzione nervosa, ben
osservabile nei disturbi dell'umore, potrebbe essere associata ad una sofferenza
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funzionale a carico di uno o entrambi i meccanismi sopra menzionati.
Sembra che il trattamento con farmaci antidepressivi (AD) in soggetti affetti
da depressione maggiore sarebbe in grado di ridurre l'atrofia cellulare e
ripristinare il volume dell'ippocampo. Il trattamento con tali farmaci
somministrato agli animali è risultato in grado di aumentare la neurogenesi e
questa scoperta ha acceso un intenso dibattito nella comunità scientifica, senza
peraltro aver raggiunto una convergenza di opinioni. Dall'analisi delle più
recenti pubblicazioni scientifiche, si potrà tuttavia notare che la scoperta della
riduzione della neurogenesi all'interno dell'ippocampo si offra come una delle
cause principali della depressione.
Un primo capitolo sarà perciò dedicato alla presentazione del disturbo in
esame, ovvero la depressione, all‟interno dei disturbi dell‟umore. In questa
sede ci interesseremo e tratteremo solamente il Disturbo Depressivo Maggiore
(DDM), tema centrale del lavoro. Si osserverà il disturbo secondo le
definizioni mediche più aggiornate (il DSM-IV-TR; A.P.A., 1994), i relativi
criteri diagnostici e le ipotesi sulla sua patogenesi, il suo multiforme decorso e
le forme cliniche che può assumere.
Un secondo capitolo sarà invece dedicato ad approfondire la neurogenesi
ippocampale, entro la quale si sono osservati dei fenomeni peculiari collegati
alla presenza dei disturbi depressivi, con particolare attenzione agli effetti
patologici dello stress.
Fatte queste dovute premesse si passerà poi a trattare il fulcro nevralgico del
presente elaborato, ovvero la rassegna scientifica sul trattamento della
depressione maggiore con antidepressivi, entro cui si darà particolare rilievo
alle teorie neutrofiche della DDM ed alle possibilità di trattamento
sperimentate sugli animali.
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CAPITOLO I – LA DEPRESSIONE
1.1 Definizione
Il termine depressione è stato utilizzato per descrivere diverse forme di
esperienza umana. Il suo uso è talmente esteso e riferito a così tante forme di
malessere soggettivo che può essere utile prendere in esame gli specifici
significati attribuiti a questa parola nelle diverse situazioni. Considerata una
normale risposta di breve durata a determinati stimoli ambientali, il termine
depressione è comunemente utilizzato per indicare una condizione acuta di
sofferenza conseguente ad una delusione, a un maltrattamento, a un rifiuto o a
una perdita che causa dolore e tristezza. Questa è stata considerata una
normale risposta di breve durata a determinati stimoli ambientali. Un secondo
significato di depressione si riferisce ad uno stato dell'umore pervasivo e
persistente, anomalo e spesso associato a disturbi psichiatrici, medici o tossici
(Freedman et al., 1975).
La depressione deve essere perciò osservata all'interno dei disturbi dell'umore.
L'umore è uno stato d'animo che colora la vita psichica dell'individuo ed è in
perenne fluttuazione tra due polarità opposte: tristezza ed euforia. Esso è
mutevole, come sono mutevoli i fatti della vita e gli eventi biologici che
possono influenzarlo, in quanto è regolato e modulato da complessi
meccanismi biologici che agiscono in aree specifiche del sistema nervoso
centrale, le quali sembrano coinvolgere in particolare le strutture limbiche e il
lobo frontale. Tali meccanismi sono capaci di rispondere sia a stimoli interni
(modificazioni ormonali) che a stimoli esterni (eventi positivi o negativi della
vita) in virtù della straordinaria capacità di raccogliere, elaborare e dare
significato alle informazioni da parte della neocorteccia dalla quale i segnali
così elaborati vengono smistati alle aree limbiche deputate ad arricchire, con la
componente emozionale, l'esperienza puramente cognitiva (Biondi et al.,
2009).
L'umore, come abbiamo già accennato, fluttua costantemente e sulle sue
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fluttuazioni si accompagnano modificazioni del senso di energia e attitudini
cognitive. In condizioni ordinarie, le modificazioni fisiologiche dell'umore
sono in genere transitorie e di entità limitata. Quando invece l'umore si
modifica in maniera persistente e accentuata, esso dà luogo ad una vera e
propria sofferenza psichica e fisica con evidenti ripercussioni negative sul
comportamento abituale e sulle capacità adattive del soggetto. Quando tutto
questo si verifica siamo di fronte a un disturbo dell'umore, caratterizzato da
uno stato peculiare di sofferenza ben distinguibile per intensità e durata
rispetto alla normale esperienza di tristezza o euforia.
Secondo i criteri del DSM-IV-TR (A.P.A., 1994), i disturbi dell'umore
vengono generalmente distinti in due gruppi: Disturbi Depressivi (Depressione
Maggiore, Distimia, Disturbo Depressivo non Altrimenti Specificato) nei quali
si assiste ad un calo del tono dell'umore, e Disturbi Bipolari (Disturbo
Bipolare di tipo I, II, Disturbo Ciclotimico e Disturbo Bipolare non altrimenti
specificato) caratterizzati, invece, da un'alternanza tra episodi depressivi ed
episodi di esaltazione patologica del tono dell'umore, definiti Mania o
Ipomania, in funzione dell'intensità maggiore o minore della sintomatologia
(Biondi et al., 2009).
In questa sede ci interesseremo e tratteremo solamente il Disturbo Depressivo
Maggiore, tema centrale del lavoro.
Tale disturbo è contraddistinto da una serie di sintomi di tipo psichico,
somatico e comportamentale.
I sintomi psichici riguardano sia la sfera affettiva che quella cognitiva.
I sintomi della sfera affettiva: sono caratterizzati da una sostanziale ipotimia
(riduzione del tono dell'umore), sentimento di abbattimento e tristezza
pervasiva costante nel corso di tutta la giornata e scarsamente modificabile da
stimoli esterni. Altro sintomo è l'anedonia ossia la riduzione o perdita della
capacità di godere delle cose, di provare piacere. I familiari, il lavoro, le
relazioni sociali perdono significato. La depressione è inoltre caratterizzata da
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un umore disforico-irritabile una sorta di malumore, che rende le persone
depresse più inclini a reagire negativamente e in modo eccessivo a stimoli
esterni con manifestazioni di irritazione, rabbia e ostilità. Anche se non è
considerato un sintomo centrale per formulare la diagnosi, l'ansia si riscontra
in modo frequente nella sintomatologia depressiva la quale è presente a volte
in maniera costante lungo tutto l'arco della giornata, a volte solo in alcuni
momenti.
Tra i sintomi della sfera cognitiva: riscontriamo perlopiù un rallentamento del
corso del pensiero caratterizzato con una lentezza, da parte del soggetto, nella
formulazione delle risposte, difficoltà a risolvere compiti cognitivi, nella
povertà ideativa e soggettivamente una sensazione di difficoltà nel pensare.
Anche il pensiero astratto è compromesso, e un sintomo correlato si ritrova in
una diminuzione della concentrazione, associata molto spesso a facile
distraibilità o al contrario ad una maggiore attività di quei processi che portano
allo sviluppo di pensieri o idee intrusive come la ruminazione. Per il soggetto
depresso concentrarsi è un compito molto difficile; alcune attività intellettive
come lo studio, la lettura, e alcuni lavori che includono attività di calcolo e di
verifica possono diventare enormemente faticosi, se non impossibili, da
compiere. Sono presenti, poi, anche difficoltà mnemoniche; il soggetto
depresso ha enormi difficoltà nell'apprendere nuovi dati e di rievocare eventi,
circostanze e dati acquisiti in precedenza (Bornstein et al., 1991). La
compromissione delle funzioni cognitive tuttavia è un sintomo tardivo che
compare dopo la maggior parte degli altri sintomi. Un altro sintomo che,
invece, compare abbastanza presto nel corso dello sviluppo di un disturbo
dell'umore é costituito dalle distorsioni cognitive, ossia degli schemi di
valutazione della realtà, di se stessi e del futuro molto particolari, con una
visione del tutto pessimistica della realtà. Il soggetto si sente spesso invaso da
un senso di insicurezza dovuto alla sua tendenza di autosvalutazione, che è la
tipica espressione del proprio deficit di autostima e sfiducia in sé stesso e nelle
proprie capacità. Inoltre, sono spesso presenti vere e proprie idee di colpa: i
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