Introduzione
Iniziando a parlare di possessione, possiamo riportare la definizione generale che ne da
Janice Boddy:
Possessione è un termine ampio, che si riferisce ad una integrazione tra spirito e materia, tra una forza o un
potere e la realtà corporea, in un universo nel quale i confini tra l’individuo ed il suo ambiente sono ritenuti
permeabili, flessibili, o quantomeno negoziabili. […] La possessione si basa su premesse epistemologiche
completamente differenti rispetto alle spinte fortemente differenzianti, razionalizzanti e reificanti del
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materialismo globale.
La possessione è un fenomeno multiforme e complesso, che si può riscontrare, con le
dovute differenziazioni rispetto alle aree geografiche e ai contesti culturali, in moltissime
società umane. Essa implica l’idea che forze soprannaturali quali divinità, spiriti di antenati,
di personaggi storici realmente esistiti o mitici (molto spesso spiriti di origine etnica diversa
rispetto ai membri della società nella quale si manifestano: portatori cioè di valori culturali e
morali differenti e “Altri”) siano in grado di esercitare un’influenza sull’essere umano e di
introdursi nell’individuo, rimpiazzando temporaneamente la sua persona; uno degli effetti
(non certamente l’unico) di “incarnare la divinità” e di “parlare per bocca degli dèi” è quello
di rendere il soggetto abile a dire e fare cose, ad esprimere sentimenti e contrasti che
normalmente non sono previsti nel suo ambiente culturale. Gli spiriti rappresentano una
realtà di fatto per i soggetti che partecipano alla possessione; essi sono parte integrante del
proprio sistema di pensiero, che concepisce la relazione tra mondo umano e
sovrannaturale, come afferma Boddy, in termini di “permeabilità”. In base ai differenti
contesti culturali poi, il rapporto con lo spirito può essere vissuto in maniera diversa; in
questo senso la scelta può essere quella di scacciare definitivamente lo spirito (esorcismo), o
di stabilire con esso un rapporto duraturo, caratterizzato dalla periodica discesa nel suo
ospite umano, o medium (adorcismo). Soprattutto laddove le religioni monoteistiche si
sono inserite ed hanno preso piede nel panorama culturale, i fenomeni di possessione
tendono ad essere spesso osteggiati o proibiti, ma in altri casi convivono.
La possessione, come dicevamo, rappresenta un’alleanza tra il dio e l’uomo, che attiva in
quest’ultimo delle facoltà “stra-ordinarie”, nel senso etimologico del termine, ovvero “fuori
dall’ordinario”, quali ad esempio i poteri magici e divinatori, la facoltà di curare e di guarire,
di compiere gesti ed azioni altrimenti inesprimibili nella vita quotidiana; essa tuttavia, in
quanto sistema di significato, riguarda e riunisce in sé diversi ambiti dell’esperienza: quello
1
Janice Boddy, Spirit Possession Revisited: Beyond Instrumentality, in “Annual Review of Anthropology”, 1994,
p.407. Da ora in poi: Boddy (S.P.R.)
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emotivo e quello cognitivo, ed è in grado di produrre alterazioni sia nella coscienza che
nella conoscenza dell’individuo, modificando la sua personalità ed offrendogli nuovi punti
di vista attraverso i quali osservare il mondo, pur rimanendo all’interno dell’ambito dei
valori condivisi della propria cultura.
La possessione è stata da sempre uno degli oggetti antropologici di studio più controversi,
ed i paradigmi interpretativi succedutisi nel corso dei decenni hanno tentato di catturarla
secondo vari modelli, quali quello funzionalista, psicologico, politico, medico-psichiatrico;
ognuno di questi approcci, tuttavia, è stato in grado di cogliere alternativamente solo uno
degli svariati aspetti della possessione, la quale, invece, proprio per il suo carattere flessibile
ed adattabile ai vari contesti storici e culturali, per la sua capacità di rispondere ad esigenze
diversificate e di esprimere molteplici significati allo stesso tempo, rifugge da classificazioni
stabili e categoriche. Come afferma Beneduce:
Il fenomeno della possessione […], una volta che ad esso si guardi come ad un insieme di pratiche e di discorsi,
manda in frantumi la quasi totalità dei modelli rivolti a classificarne le molteplici espressioni in una tipologia
esaustiva nella quale sia sempre possibile riconoscere o definire un nucleo comune. […] Determinare i tratti
propri della possessione nei diversi contesti storici e culturali […] rimane dunque operazione impervia, e ciò
per molte ragioni, in primo luogo per la composizione eterogenea dei registri nei quali si articola il suo
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dispositivo.
Egli intende con ciò rilevare i limiti di modelli interpretativi monodimensionali, che si
pretendono esaurienti, l’impossibilità di ricondurre entro un unico ordine un “così esteso e
contraddittorio campo di vicende sociali e politiche, di immagini e di corpi, di conflitti
individuali e collettivi”, e proporre il vantaggio di uno sguardo antropologico che assuma
come chiave di lettura le tematiche dell’ “ambiguità” e dell’ “incertezza”, le quali
sembrano, come sostiene, connotare più efficacemente i fenomeni di possessione. Dice
ancora Beneduce:
Plasmati dai simboli e dalla storia di società assai diverse fra loro, i rituali di possessione e le biografie dei
posseduti […] non si lasciano catturare né da un modello strutturale né da un unico registro, sia esso
psicologico o religioso, politico o estetico. Solo laddove si sia disposti ad intrecciare questi e altri registri […],
solo laddove si accetti una confusione dei generi, diventa forse possibile riconoscere i molti significati (pubblici e
individuali) di quelli che sono stati interpretati spesso come meri fatti psicopatologici o pantomime di conflitti
capaci di arrecare qualche “vantaggio secondario” a individui frustrati e marginali. […] Per realizzare una tale
dissoluzione (ovvero per disfare la presunta unità concettuale della possessione) occorre allora sottrarla
all’egemonia sia del lessico psichiatrico che psicologico e […] considerare il peso sostanziale che nelle diverse
culture hanno altre concezioni dello psichismo e della persona, altri modi di esperienza dell’invisibile […];
pensare dunque l’esperienza della possessione in un orizzonte più ampio di quello tracciato dai nostri modelli
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di Io, di coscienza o di “Sé”.
2
R. Beneduce, Trance e Possessione in Africa, Bollati Boringhieri, Torino, 2002, p. IX. Da ora in poi: Beneduce.
3
Beneduce, p. XI-XII, XIV
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Soprattutto secondo quanto i più recenti studi sul fenomeno hanno messo in luce (vedi, tra
gli altri autori, Boddy), la possessione fonda le sue premesse su concezioni filosofiche,
epistemologiche, cosmologiche e spirituali differenti da quelle occidentali. Fondamentale a
questo riguardo è la nozione di persona (ma anche di “genere” e di “corpo”), che, se nella
nostra cultura viene percepita come un elemento strutturato, rigido e definito una volta per
tutte, nelle culture che praticano la possessione è qualcosa di maggiormente flessibile e
fluido; nella possessione, infatti, non solo la “persona”, ma anche le categorie culturali
fondamentali vengono riformulate, riplasmate e messe in discussione dall’incontro e dall’
esperienza con il mondo sovrannaturale, con la o le divinità, o con forze e poteri esterni ed
estranei a quella cultura, come avviene in situazioni di assoggettamento e di dominio, o
come quando quella determinata cultura, inserita in logiche di interazione moderne e
globali, deve confrontarsi, nel rischio di perdersi, con elementi culturali e materiali “altri”
rispetto ai propri. Riporta Beneduce in proposito, citando la studiosa Ellen Corin:
Riflettere sui rituali di possessione significa di fatto ragionare sul soggetto, tenuto conto che le particolari
concezioni del soggetto, proprie di ogni cultura, si rivelano, vengono negoziate e sono messe in opera proprio
4
nel corso di tali rituali.
Ed aggiunge:
La nozione di “frontiere della persona” e lo statuto dell’individuo, di ciò che egli può e deve essere (non solo in
rapporto allo spazio sociale, alle norme e alle tradizioni, ma anche relativamente ai suoi desideri),
costituiscono pertanto concetti chiave a partire dai quali procedere nell’analisi della possessione, senza
dimenticare che l’identità e la nozione di persona non si costruiscono o si affermano solo […] nelle
rappresentazioni culturali, ma anche nella quotidiana interazione con forze sociali ed economiche esterne
[…], fra discorsi ed egemonie in conflitto. Lo studioso che consideri l’evento singolare, il punto di rottura
all’interno del soggetto e della sua identità, e voglia cogliere il significato di questa crisi e dei conflitti psicologici
che la sostengono dando scarso rilievo al contesto storico e rituale, rischierebbe di perdere di vista il
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movimento incessante che sempre intreccia senso soggettivo, registro simbolico e ordine sociale.
Un’ interpretazione della possessione basata sulle nostre categorie di soggetto, di realtà e di
razionalità, quindi, rischia di misconoscere l’oggetto di studio, e di non cogliere il significato
locale profondo di certe credenze e pratiche, le quali sono immerse in un preciso quadro
culturale di riferimento.
La tematica del soggetto che si confronta con l’ “alterità” (spirituale o culturale), spesso in
condizioni in cui questa “alterità” presuppone violenza, è centrale nella possessione. Dice
infatti Beneduce:
4
Ellen Corin, La Question du Sujet dans les Thèrapies de Possession, in “Psychoanalyse”, 3, 1985, p.53-56; in
Beneduce, p.28
5
Beneduce, p.28
3
Gli spiriti che sono responsabili della possessione e che vengono evocati nel corso dei rituali rinviano con i
loro nomi, la loro origine territoriale, le lingue in cui si esprimono, i gesti e gli abbigliamenti indossati
costantemente all’ Altro, allo straniero (secondo i casi si tratterà di personaggi appartenenti a popolazioni
vicine, di dominatori, di militari, di governatori o altri personaggi della colonizzazione, di figure connesse
all’islamizzazione ecc.), e tale regola, con difficoltà riconducibile alla sola questione della satira del potere, non
è circoscritta alla possessione ma la si può rinvenire anche nella produzione artistica di maschere, statue,
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oggetti rituali.
In quest’ultimo passaggio Beneduce si rifà a Kramer, che nel suo libro “Il Fez Rosso: Arte
e Possessione in Africa” affronta il problema dell’ interpretazione dell’ Altro attraverso la
mimesi. Rappresentare l’ Altro conduce alla liberazione dal suo potere, per mezzo
dell’imitazione. Kramer sviluppa un’interpretazione teorica che accosta, nel contesto
africano, i rituali di possessione alle produzioni artistiche.
Le numerose raffigurazioni o rappresentazioni africane degli europei, non solo rappresentano ironicamente il
bianco europeo colonialista, ma costituiscono allo stesso tempo pratiche di mimesi. […] Il loro proposito non
è quello di ritrarre degli stranieri “reali”, ma di evocare gli spiriti per l’utilizzo in culti privati e semi-pubblici.
La distorsione e la tipizzazione dell’oggetto […] assolve qui la precisa funzione di sottolineare la condizione
dell’ essere “profondamente coinvolto” o “posseduto” da ciò che viene rappresentato nei culti di possessione.
Perciò, egli non si riferisce al livello cognitivo della conoscenza, ma al fatto di essere “emozionalmente
coinvolto” dagli stranieri. […] Kramer mostra, in particolare ne “Il Fez Rosso”, che questi culti di possessione
sono forme mimetiche per venire a patti con il fenomeno dell’ “alterità”. […] Per Kramer, le rappresentazioni
africane dei colonialisti bianchi sono strettamente correlate ai culti di possessione. Gli spiriti di questi culti
sono “spiriti estranei”. Tuttavia essi non rappresentano soltanto gli europei o gli altri stranieri (cioè altre
popolazioni africane), ma anche i poteri dell’estraneo e del “selvaggio”(qui inteso come “non controllabile”),
poteri nei quali il soggetto si sente intrappolato e percepisce sé stesso come un oggetto. Numerosi culti
africani di possessione ordinano e regolano gli incontri con questi “spiriti estranei”: i posseduti sentono
costantemente il bisogno di rappresentare un “Altro” (un’ alterità), e, con esso, la loro propria Alterità, e di
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manifestarla nel rituale.
Beneduce ritiene infatti che la mimesi sia il tratto caratteristico dei culti di possessione. Egli
trova che la peculiarità della mimesi sia appunto quella di riguardare il confronto con l’
Altro e con l’ alterità, e che si situi sempre tra “rapporti di forza asimmetrici”. Continua poi
dicendo:
Un altro tratto significativo della mimesi è inoltre il suo carattere corporeo, affidato cioè prevalentemente al
registro non verbale, in virtù del quale è proprio il corpo il suo privilegiato strumento d’azione; sottolineando
sin d’ora la natura corporea della mimesi facciamo un primo passo in direzione della nozione di “possessione
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come memoria incorporata”.
E ancora:
6
Beneduce, p.279
7
Irene Albers, Mimesis and Alterity: Michel Leiris’s Ethnography and Poetics of Spirit Possession, Oxford University
Press, 2008, p.3-4; a proposito di: F. Kramer, “The Red Fez: Art and Spirit Possession in Africa”, London,
Verso, 1993. Da ora in poi: Albers.
8
Beneduce, p.9
4
Se mimesi e possessione sono in rapporto strutturale tra loro è perché entrambe rinviano in modo costante
alla questione dell’ Altro e dell’ alterità (quale che sia la loro definizione: potenze religiose, spiriti della foresta
o della savana, divinità ctonie, ma anche simboli e significati culturali estranei, beni introdotti dal dominio coloniale
e dall’economia di mercato, forze della modernità), ed entrambe costituiscono esemplari contesti e strategie di
attraversamento dei confini. Converrà tuttavia circoscrivere di volta in volta la nozione di alterità perché essa non
rimanga una categoria generica e priva di valore: […] gruppi ed individui sono “selettivi” nel definire e
costruire gli elementi della loro alterità. […] Le strategie di appropriazione mimetica dell’ Altro, o di confronto
in senso lato con l’alterità, si producono lungo le mobili frontiere che separano le diverse culture, i diversi
gruppi (ad esempio uomini e donne), disegnando una rete di discorsi e di pratiche che definiscono la necessità
di pensare e governare l’alterità ma, a uno stesso tempo, di nutrirsene per forgiare la propria identità. All’interno di
questa prospettiva, i riti di possessione rappresentano un dispositivo che permette di controllare il significato
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dell’ alterità: di addomesticarne la portata minacciosa, la violenza, attraverso la sua incorporazione concettuale.
Beneduce ritiene che le pratiche mimetiche siano al centro di tutti i rapporti di forza e di
dominio (ad esempio di quello coloniale), e delle dinamiche culturali ed economiche nelle
quali predomina una volontà di egemonia e di sopraffazione. A questo proposito egli
riprende lo studio di Taussig sui Cuna di Panama, e sulle “figurine” utilizzate dallo
sciamano Cuna nei rituali terapeutici, le quali riproducevano “tipi europei”. Anche secondo
Taussig i culti di possessione contengono in sé un dispositivo mimetico funzionale alla
relazione con l’ “alterità”.
L’analisi di Michael Taussig, nel suo libro “Mimesi e Alterità”, esamina appunto la connessione tra mimesi e
“alterità”, prendendo come esempio le figurine di legno Cuna, prodotte a scopi rituali, oggetti che copiano i
modelli europei sia nell’abbigliamento che nell’aspetto esteriore. L’atto mimetico di creare rappresentazioni
del “bianco” in forma di figurine, permette ai Cuna di minimizzare i colonialisti bianchi e di ridurre il loro
carattere minaccioso. Con l’aiuto della magia (che l’autore definisce “magia mimetica”), essi sono quindi in
grado di esercitare un potere sui bianchi, i quali sono percepiti come esseri estremamente potenti. Nel creare
queste rappresentazioni , i sentimenti e le attitudini verso l’ “Altro” vengono espresse e rappresentate. L’
“Altro” viene trasferito in un mondo simbolico; la relazione con questo viene materializzata. Qualcosa che
prima era intangibile viene ora visualizzato nella rappresentazione. L’atto mimetico non è una semplice
riproduzione, ma un atto creativo. La produzione di questa raffigurazione dei bianchi è un tentativo di venire
a patti con la loro Alterità ed estraneità. Dietro la creazione di queste rappresentazioni si trova la confusione,
l’incertezza, il desiderio di limitare sia ciò che è sconosciuto che gli aspetti attrattivi degli europei, e allo stesso
tempo di ricondurre (questi aspetti di “alterità”) al proprio mondo simbolico. Attraverso la mimesi dei
bianchi, i Cuna non intendono comprendere gli europei riguardo alla motivazione delle loro azioni o nei
termini dei valori della loro cultura. Piuttosto, essi intendono esprimere e rappresentare ciò che gli europei
significano per i Cuna stessi. […] Queste rappresentazioni, quindi, non vengono utilizzate per un’adeguata
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comprensione di ciò che è sconosciuto, ma per una comunicazione rituale interna riguardo ad esso.
Dice ancora Beneduce a proposito dei meccanismi mimetici che operano nella possessione:
La figurazione mimetica dell’ “Altro”, la rappresentazione dell’alterità, in forme che sono spesso grottesche, derisorie,
esagerate, è una caratteristica comune […] ai rituali di possessione: azione, questa, rivolta […] a comprendere, a
governare le emozioni, la confusione e il caos che l’ “alterità” suscita. […] Tanto più l’estraneità, l’alterità
culturale genera confusione, destrutturazione, riduzione del grado di pertinenza dei tradizionali sistemi di
riferimento simbolico, tanto più essa penetrerebbe dentro pratiche rituali e produzioni artistiche, vi sarebbe
incorporata e memorizzata per essere poi ripresa e riprodotta mimeticamente. Mimesi come strategia di controllo
dell’alterità, del terrore che caratterizza il suo incontro, della discontinuità che essa introduce nei sistemi di
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valori condivisi.
9
Beneduce, p.25-26
10
Albers, p.2-3, corsivo nostro; a proposito di: M. Taussig, “Mimesis and Alterity: A Particular History of the
Senses”, New York, Routledge, 1993
11
Beneduce, p.280
5
L’altro tratto caratteristico attribuito da Beneduce alla possessione è quello di costituire una
sorta di “mnemotecnica”. I corpi, così come le produzioni artistiche, sono dei luoghi di
memoria, attraverso i quali gli individui ricordano e dissimulano allo stesso tempo gli
avvenimenti storici che li hanno coinvolti. La possessione rappresenta quindi, anche, uno
strumento per la comprensione dei significati che riguardano l’incontro tra gruppi e culture
diverse, e degli effetti psicologici e sociali che questi incontri hanno prodotto, significati che
si tramandano nella memoria, e che vengono rivissuti e ri-attualizzati nei rituali di
possessione. La memoria di queste esperienze di incontro/scontro si incarna, prende forma
e vita attraverso i corpi dei posseduti (corpi “mimetici” quindi), i quali mettono in scena
danze, canti, gesti, riproducono spiriti stranieri, personaggi, figure di dominatori la cui
rappresentazione è fortemente influenzata dalle interazioni culturali sperimentate. In altre
parole, i rituali di possessione sono anche delle forme di coscienza e di conoscenza,
pubblica ed individuale. Essi, quindi, non solo reinterpretano e riportano nel tempo attuale
la storia di una determinata popolazione, ma, gli stessi simboli della possessione (ad
esempio gli spiriti con le loro caratteristiche) sono in grado (proprio grazie alla loro essenza
“mitica”, alla loro capacità di essere contemporaneamente “al di là del tempo” e riportati
“nel tempo” presente, in base alle esigenze e agli scopi dei soggetti che se ne appropriano)
di essere utilizzati per creare ed esprimere nuovi significati alla luce di un contesto storico
sempre dinamico ed in evoluzione.
La possessione non solo rappresenta una modalità per comprendere e reagire all’ “alterità”
(culturale, morale, materiale che sia), ma offre anche agli individui un canale per esprimere
le proprie “alienazioni individuali”; nei rituali di possessione infatti, i materiali mitici e
storici sono sempre strettamente interconnessi alle dinamiche sociali e individuali. Secondo
quanto afferma Beneduce, che abbiamo precedentemente citato, non è possibile scindere,
nella possessione, “senso soggettivo, registro simbolico e ordine sociale”. Questo spunto ci
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riporta direttamente a quanto afferma Boddy riprendendo le teorie di Obeyesekere e di
Crapanzano riguardo alla possessione, e riferendosi, in questo caso, al culto Zar da lei
studiato:
Lo Zar è prima di tutto un fenomeno culturale, ancora meglio, una risorsa culturale utilizzata dagli individui in
determinate condizioni. […] Essa consiste in un patrimonio di simboli e di associazioni dei quali ci si può
appropriare, e che possono essere manipolati in centinaia di modi differenti. Ma, seppure simbolici, gli spiriti
oltrepassano le classificazioni convenzionali: essi sono entità, attori, agenti. Essi sono […] capricciosi, amorali,
ambivalenti. […] Nel possedere un essere umano, uno spirito può modificare le proprie caratteristiche, o
12
Obeyesekere G., Medusa’s Hair: An Essay on Personal Simbols and Religious Experience, University of Chicago
Press, Chicago, 1981, p. 45 e 53; in Boddy “Wombs and Alien Spirits: Women, Men, and the Zar Cult in
Northern Sudan”, The University of Wisconsin Press, 1989, p. 137.
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