5
comunicazione, a fronte dell’impiego di potenti sistemi informatici e dello
sfruttamento delle conseguenti economie di scala;
l’attenuazione delle norme che in passato avevano determinato una netta
segmentazione istituzionale degli intermediari finanziari, (come per gli Stati
Uniti il Glass Steagal Act, che proibiva alle aziende di credito l’esercizio di
molte attività diverse da quelle tradizionali, o per l’Italia la legge bancaria del
1936 che introduceva criteri di specializzazione istituzionale e temporale), e
quindi la ricerca di nuove alleanze tra segmenti diversi dell’intermediazione
finanziaria, non solo in campo creditizio ma anche assicurativo, verso un
modello di banca “ipermercato”, in grado di offrire una gamma completa di
servizi al cliente, e per questa via recuperare nuovi spazi di redditività
attraverso i ricavi da servizi, a fronte di un calo generalizzato dei margini
d’interesse;
innegabile è, poi, l’importanza di una dimensione maggiore per poter
competere efficacemente in un mercato finanziario ormai “globale”, anche
se molti sono i dubbi, soprattutto sulla modalità con cui avviene la crescita.
Il premio Nobel Franco Modigliani in un articolo del Sole24Ore
1
sostiene che
“esistono alcune differenze in ciò che sta avvenendo nei diversi continenti,
dovute tra l’altro alla diversità della storia normativa.
Negli Stati Uniti, nei processi di aggregazione è stata premiata la
diversificazione: si sono unite aziende con mercati, mestieri e ruoli differenti. Lo
scopo era produrre maggiore efficienza e aumentare la gamma dei prodotti
offerti da una determinata impresa.
In Europa mi pare invece che questo aspetto risulti meno evidente, dal
momento che si uniscono aziende simili (le banche con le banche, assicurazioni
con assicurazioni).”.
Sempre secondo Modigliani è necessario separare tra le varie operazioni di
fusione quelle che consentono alle banche di aumentare le loro attività,
1
Fonte: “Fusioni e acquisizioni, concentrazioni bancarie, debolezza dell'Euro parla Franco Modigliani,
premio Nobel per l'economia”, Guido Plutino, Il Sole24Ore Online – Osservatorio sul credito
6
aggiungendo per esempio l’attività assicurativa. Sono operazioni che
effettivamente possono avere una giustificazione economica perché avvicinano
la banca al modello di “department store”, e benché manchino certezze
assolute è probabile che ciò porti a dei vantaggi economici. Invece per le
operazioni di consolidamento di banche con altre banche, simili in quanto ad
attività svolta, non c’è accordo sul fatto che esista una solida motivazione
economica, tra tutte il conseguimento di significative economie di scala: molti
istituti recentemente coinvolti in “mega-mergers” come Citibank, Deutsche
Bank e Bankers Trust, hanno già in partenza dimensioni ragguardevoli, ed in
queste immense realtà è molto dubbio che si riescano a realizzare economie di
scala ancora non sfruttate. Esistono, in verità, altri vantaggi non
necessariamente collegati alla scala produttiva: Deutsche Bank ha sicuramente
qualcosa da imparare da Bankers Trust soprattutto in una logica di
miglioramento dell’attività amministrativa, ma si deve ammettere qualche
riserva sugli effettivi vantaggi di fusioni fra entità di così grande dimensione che
“fanno lo stesso mestiere”.
In alcuni casi si parla addirittura di un fenomeno “moda”, che può giocare un
ruolo significativo nell’evoluzione delle strategie di una banca: le decisioni
talvolta nascono perché si guarda a ciò che probabilmente avrà successo. Si
sta cioè diffondendo una pericolosa convinzione: che solamente le banche
grandi e ben diversificate potranno sopravvivere nell’ambiente fortemente
competitivo del prossimo futuro.
E’ importante invece attivare considerazioni interne alla banca (ad es. efficienza
della gestione), e non basarsi solamente sull’analisi della matrice dimensione -
diversificazione
2
.
A questi problemi di natura strategica se ne aggiungono altri più direttamente
collegati alle scelte di politica economica di un Paese
3
.
2
David T.Llewellyn: “Le concentrazioni nell’industria bancaria europea: tra ragioni economiche e luoghi
comuni”, Bancaria, marzo 1999, ABI
3
Frederic S. Mishkin: “Financial consolidation: Dangers and opportunities”, Journal of Banking &
Finance 23 (1999) 675-691
7
Infatti quando una banca raggiunge dimensioni consistenti e la sua quota di
mercato supera certi livelli, emergono problematiche di interesse pubblico. Del
fenomeno iniziano quindi ad interessarsi le autorità preposte alla disciplina della
concorrenza: ad esempio in Canada nel Dicembre 1998 il Governo ha bocciato
le fusioni fra la Royal Bank of Canada e la Bank of Montreal e fra la Toronto-
Dominion Bank e la Canadian Imperial Bank, banche che complessivamente
detengono il 70% del mercato nazionale, ma che da sole sono troppo piccole
per poter competere efficacemente in un contesto internazionale. La
motivazione della bocciatura è stata proprio l’impatto che la fusione avrebbe
avuto sulla concorrenza interna.
Un altro elemento di pubblico interesse, recentemente posto in evidenza dalla
letteratura statunitense in materia
4
, riguarda le conseguenze di una crescente
concentrazione del sistema bancario sull’offerta di credito alle piccole e medie
imprese.
La domanda da porsi è la seguente: qual’ è la relazione tra la dimensione e la
complessità organizzativa di una banca e la sua capacità di realizzare prestiti
alle piccole e medie imprese? Chiaramente, il processo di consolidamento
determina l’emergere di banche più grandi e complesse. Se queste nuove
istituzioni sostengono costi più elevati per gestire gli affidamenti minori, ne
segue che questo processo di consolidamento influenza negativamente la
disponibilità di credito per le PMI. Naturalmente, anche se i costi aumentano
con la dimensione e la complessità, la domanda stabile di credito da parte delle
PMI può offrire alle piccole banche un vantaggio di costo nel fornire questo
tipo di crediti. Forse proprio i prestiti alle PMI offrono un’opportunità perché le
piccole banche possano restare competitive.
Oggetto di questo scritto sarà quindi verificare l’esistenza di un simile problema
in un contesto come quello statunitense, da diversi anni coinvolto in un intenso
processo di concentrazione bancaria, sulla base dell’ampia letteratura
4
Allen N. Berger, Rebecca S. Demsetz: “The consolidation of the financial services industry: Causes,
consequences, and implications for the future”, Journal of Banking & Finance 23 (1999) 135-194; Paola
Sapienza: “The effects of banking mergers in loan contracts”, Working Paper, Northwestern University,
(1998).
8
esistente, e condurre un’analisi empirica nell’industria bancaria italiana che,
seppur con ritardo, inizia a muoversi verso un maggior consolidamento.
Nel Capitolo 1 vengono pertanto presentati i principali sviluppi teorici in merito
all’intermediazione finanziaria e all’economia dell’informazione, a giustificazione
della presenza di intermediari creditizi, soprattutto nel finanziamento alle piccole
e medie imprese.
Nel Capitolo 2 vengono presentati alcuni dati sulle operazioni di fusione e
acquisizione di istituti di credito che hanno avuto luogo negli ultimi anni, e viene
tracciato un quadro di sintesi dell’evoluzione subita dall’industria bancaria.
Nel Capitolo 3 vengono presentati i principali studi econometrici realizzati per il
contesto statunitense, al fine di evidenziare la presenza di un razionamento del
credito alla piccola e media impresa, collegato ai processi di consolidamento
bancario in atto. I risultati cui pervengono dipendono molto dalle ipotesi iniziali e
dal campione selezionato, ma complessivamente mostrano una tendenziale
riduzione del credito per la piccola impresa.
Nel Capitolo 4 viene condotta un’analisi ad ampio spettro sulla situazione
dell’industria bancaria in Italia. I dati utilizzati, provenienti perlopiù dalle
pubblicazioni statistiche della Banca d’Italia, non permettono la ricostruzione dei
complessi modelli econometrici utilizzati in letteratura, ma offrono alcuni
interessanti spunti di analisi e di confronto con il contesto statunitense. La
dinamica dell’industria bancaria e dei relativi aggregati creditizi viene analizzata
per aree territoriali, al fine di evidenziare l’impatto dei processi di
consolidamento in atto.
In Appendice viene presentato il caso di Banca Intesa e Banca Popolare
Friuladria, protagoniste di una recente fusione che si inserisce in un ampio
obiettivo strategico di creazione di una banca federale, e che si prospetta come
una interessante soluzione all’apparente trade off, messo in luce dalla
letteratura statunitense, tra grande dimensione della banca e credito alla piccola
e media impresa.
9
Ringraziamenti
Al termine del lavoro sono doverosi i ringraziamenti che vanno:
al Prof. Giancarlo Forestieri, per l'interesse dimostratomi fin da subito per il
non facile argomento della tesi, ed i preziosi suggerimenti per la
individuazione delle fonti statistiche e dei riferimenti bibliografici impiegati
nell'analisi econometrica dell'industria bancaria italiana;
al Dott. Stefano Gatti, che grazie alle sue osservazioni e critiche ha
contribuito a rafforzare alcune parti "più deboli" delle argomentazioni
espresse nel presente lavoro;
all'Ufficio Studi della sede veneziana della Banca d'Italia, che ha consentito
la consultazione degli archivi elettronici;
all'Ufficio Studi di Casse Venete s.p.a. che ha cercato, per quanto possibile,
di venire incontro alle mie esigenze di ricerca nel database della Centrale
dei Rischi;
alla Banca Popolare Friuladria e al presidente, Dott. Angelo Scotti, per
l'ampio materiale fornitomi nella elaborazione del caso Banca Intesa.
La responsabilità del contenuto rimane comunque dell'autore.
10
Capitolo 1
Sviluppi teorici sul rapporto di prestito bancario
1.1 La Contemporary view
Secondo la tesi della Contemporary view
5
della teoria dell’intermediazione
finanziaria, le banche si affermano come meccanismo di allocazione delle
risorse più efficiente del mercato perché quest’ultimo è caratterizzato dalla
presenza di imperfezioni informative. Di fronte a tali imperfezioni la banca
beneficerebbe di un vantaggio distintivo derivante dalla possibilità di accedere a
informazioni riservate, non disponibili ad altri investitori, e su di esse basare le
proprie scelte di affidamento.
La letteratura della Contemporary view presenta sostanzialmente due correnti
di pensiero.
Una corrente sottolinea l’investimento di risorse da parte della banca nella
produzione di informazioni, utilizzate per meglio valutare la rischiosità dei
potenziali prenditori; quindi la banca disporrebbe di una tecnologia di selezione
dei crediti più efficiente degli altri intermediari, che renderebbe il ricorso al
credito meno costoso rispetto ad altre forme di provvista diretta sui mercati
aperti, soprattutto per imprese di piccola e media dimensione, informativamente
più opache
6
.
La seconda visione, invece, pone l’accento sul rapporto prolungato tra banca e
impresa, da cui la banca ottiene nel tempo l’accesso a informazioni riservate;
escludendo quindi che vi sia un vantaggio competitivo al momento della prima
valutazione del merito di credito, il vantaggio deriverebbe dal patrimonio di
5
Bhattacharya S., Thakor A.: “Contemporary Banking Teory”, Journal of Financial Intermediation, 3
(1993)
6
Esempi di questo tipo di approccio in Diamond (1984), Ramakrishnan, Thakor (1984), Boyd, Prescott
(1986), Millon, Thakor (1985), Krasa, Villamil (1992).
11
informazioni che la banca acquisisce progressivamente sull’affidato. La
relazione multiperiodale che ne deriva favorisce la nascita di rapporti
preferenziali tra la banca e l’impresa
7
. Proprio da questo secondo filone di studi
derivano gli sviluppi teorici più interessanti.
La letteratura al riguardo distingue due tipologie di relazione fra banche e
prenditori: il relationship lending e il transaction lending.
Nel relationship lending la concessione di credito si fonda su una relazione di
clientela preesistente basata su contratti di prestito e/o di deposito.
Nel transaction lending invece esiste una singola operazione di finanziamento,
non destinata a sfociare in una relazione duratura.
Il ricorso al modello del relationship lending rappresenta una soluzione alla
presenza di asimmetrie informative nei rapporti credito e dei connessi effetti di
moral hazard ed adverse selection, questo grazie alla maggiore quantità e alla
migliore qualità delle informazioni che la banca riesce ad acquisire grazie alla
serie di rapporti in essere con l’impresa finanziata. Poiché in molti casi l’opacità
informativa di una impresa può risultare decrescente al crescere delle sue
dimensioni economiche
8
, il relationship lending è considerato particolarmente
indicato per la piccola impresa. Inoltre l’informazione prodotta attraverso la
relazione banca – impresa è monopolio della banca che l’ha generata, quindi
difficilmente appropriabile da parte di finanziatori concorrenti.
Ciò fa si che anche gli affidati con elevato standing creditizio trovino difficoltà ad
abbandonare la banca finanziatrice, dato che la loro affidabilità verrà
difficilmente riconosciuta da parte degli altri intermediari finanziari.
La banca di riferimento, disponendo di maggiori informazioni, è in grado di
determinare con più accuratezza il grado di affidabilità dell’impresa rispetto alle
banche esterne; inoltre il fatto che la banca disponga di maggiori informazioni
7
Esempi di questo secondo approccio in Chan, Greenbaum, Thakor (1986), Lang, Nakamura (1989),
Greenbaum, Kanatas, (1989), Diamond (1989), Broecker (1990), Sharpe (1990), Wilson (1993), Boot,
Thakor (1994), Petersen, Rajan (1995).
8
Il riferimento è soprattutto ad imprese di piccola dimensione, spesso a controllo familiare, che si trovano
ad operare in un contesto di mercato locale, e per le quali le occasioni di contatto con il mercato dei
capitali sono limitate. Per tale tipologia d’impresa risulta difficile ricorrere a forme di finanziamento
12
rispetto ai concorrenti fa si che l’impresa risulti in qualche modo “catturata” nel
rapporto con la banca finanziatrice. Infatti tanto meno i prestiti della banca di
riferimento e delle banche esterne sono perfettamente sostituibili, tanto più il
vantaggio informativo determina l’insorgere di un potere monopolistico.
1.2 La concorrenza interbancaria e l’offerta di prestiti
A questo punto ci si può chiedere in che modo un aumento della concorrenza
interbancaria può agire sull’offerta di prestiti e quindi sulla rilevanza del
relationship lending rispetto al transaction lending.
In generale si può ipotizzare che la crescita della concorrenza limiti la
dimensione del credito relazionale. Infatti diventa più facile per le imprese
cambiare fonte di finanziamento passando da una banca all’altra, e diventa
sempre più difficile per una banca trattenere la clientela con maggiore standing
creditizio senza ridurre i tassi ma con conseguenze negative sulla redditività.
In realtà è possibile che la maggiore competizione aumenti lo spazio del
relationship lending.
In un modello sviluppato da Boot e Thakor
9
si ipotizza che la banca debba
decidere la quantità di prestiti da erogare, sostenendo il costo necessario per
approntare la capacità produttiva, e scegliere la loro distribuzione tra
relationship lending e transaction lending, sapendo che il costo di produzione
del primo supera il secondo (data la maggiore mole di informazioni da
processare e i relativi costi di monitoraggio di una relazione multiperiodale). Le
banche si trovano a competere tra loro e con il mercato dei capitali, mentre
l’impresa può scegliere se collocare le proprie passività sul mercato,
diverse dal credito di relazione se non scontando un elevato premio per il rischio, tale da compensare la
minore visibilità e la presenza di significative asimmetrie informative
9
Boot A. W., Thakor A.V.: “Can relationship lending survive competition?”, CEPR Discussion Paper,
n.1592, (1997)
13
esponendosi a potenziali asimmetrie informative ed ai relativi costi, oppure
ricorrere al prestito bancario nella forma relazionale o transazionale.
Dalla suddetta ricerca emerge che:
una maggiore competizione accresce il peso del credito di relazione rispetto
a quello transazionale;
la concorrenza dei mercati ha effetti negativi più accentuati della
concorrenza interbancaria sul peso del transaction lending;
al crescere della concorrenza, il volume del credito di relazione prima
aumenta, poi flette.
La tendenza ad aumentare il credito relazionale all’aumentare della
competizione può essere giustificato dalla volontà della banca di sottrarsi ad
una pura competizione basata sul prezzo, attraverso la prestazione di servizi ad
alto valore aggiunto. Questo maggiore valore aggiunto deriva dalla conoscenza
reciproca di banca e impresa affidata, che può aumentare la probabilità di esito
positivo dell’investimento così finanziato: le banche sono indotte a sostenere
maggiormente l’affidato attraverso servizi di consulenza, rinnovo della linea di
credito, impegno di lungo periodo, mentre da parte sua il cliente ha un incentivo
a evitare comportamenti opportunistici. Il credito relazionale ha quindi il suo
punto di forza nella capacità di migliorare il valore atteso dell’investimento
finanziato.
Il transaction lending gode di un vantaggio rispetto al credito ottenibile dal
mercato finanziario fintanto che l’impresa, rivolgendosi al mercato, non è certa
del tasso che pagherà, essendo quest’ultimo dipendente dalla domanda di titoli
dell’impresa da parte degli investitori, e dell’efficienza degli intermediari
mobiliari nell’attività di collocamento dei titoli. Quindi una maggiore concorrenza
sul mercato dei capitali aumenta l’efficienza degli intermediari mobiliari nel
collocare i titoli presso gli investitori e anche la convenienza relativa del credito
mobiliare rispetto a quello bancario, soprattutto transazionale.
Infine il credito di relazione non ha un andamento monotono rispetto
all’aumento della competizione, ma mostra una crescita seguita ad un certo
14
punto da una contrazione. La competizione riduce i margini sul credito, e la
banca inizialmente reagisce aumentando la componente del credito meno
sensibile a variazioni di prezzo, cioè quella relazionale; ma a fronte di ulteriori
aumenti della concorrenza, riducendosi gli spazi per un aumento del credito di
relazione, si riducono inevitabilmente i ricavi marginali per la banca,
comprimendo la capacità produttiva ottimale e con essa il volume di credito
erogato.
Un interessante corollario del modello di Boot, soprattutto ai fini del presente
lavoro, suggerisce che, per livelli intermedi di concorrenza, le imprese di buona
qualità ricorrono direttamente al mercato, mentre quelle di qualità media si
orientano al credito bancario transazionale, infine quelle di qualità inferiore
utilizzano il credito di relazione.
Le imprese con basso merito di credito potrebbero infatti accedere al mercato
obbligazionario solo promettendo tassi elevati tali da compensare il maggior
rischio, quindi preferiscono ricorrere al credito relazionale per gli effetti positivi
che esso può avere sul buon fine dell’investimento.
Le imprese di elevato standing possono collocare titoli sul mercato a costi
contenuti e non hanno bisogno dell’apporto di una banca per elevare la loro
qualità.
Infine le imprese con una qualità intermedia hanno nel credito transazionale
una valida alternativa al credito di mercato in quanto evitano l’incertezza del
costo dei finanziamenti sul mercato, anche se rinunciano al valore aggiunto
derivante da una relazione multiperiodale con la banca erogante.
In conclusione le banche risultano essere la primaria fonte di credito per le
piccole imprese, mentre le imprese maggiori hanno un più facile accesso al
mercato dei capitali.
15
1.3. L’importanza della relazione di clientela per le piccole imprese
Nel mercato statunitense si osserva in particolare come le piccole imprese
tendono non solo a ricorrere al credito bancario in via preferenziale ma a
concentrare i prestiti presso una singola banca attraverso forme di credito di
relazione. Dato che l’informazione pubblicamente disponibile tende ad essere
molto contenuta per questo tipo di imprese, la realizzazione di rapporti
consolidati consente alle banche di raccogliere una maggiore quantità di
informazioni riservate per valutare lo standing creditizio delle piccole imprese.
Petersen, Rajan
10
e Berger, Udell
11
dimostrano che le piccole imprese che
sviluppano una relazione multiperiodale con la propria banca beneficiano di
condizioni di prestito caratterizzate da tassi di interesse più bassi e fanno
minore affidamento sul costoso credito commerciale come fonte di
finanziamento a breve termine. Le relazioni di clientela consentono alle banche
di raccogliere informazioni riservate sul profilo di rischio – rendimento dei
prenditori, permettendo così alle prime di ritagliare le condizioni contrattuali
sulle caratteristiche delle singole imprese. Tutto ciò permette di ridurre i costi di
produzione dei prestiti da parte delle banche e conseguentemente aumenta la
disponibilità di credito.
Berger e Udell ipotizzano che data l’importanza della relazione di clientela di
lungo termine, la tecnologia impiegata nella produzione di prestiti alle piccole
imprese sia fondamentalmente differente dalla tecnologia impiegata per le altre
tipologie di prestito.
Le grandi imprese infatti dispongono di serie storiche consistenti, sulla base
delle quali sono in grado di ottenere un prestito dalla banca, grazie alla
disponibilità di informazioni di facile e rapido accesso. Similmente, la maggior
10
Petersen M.A., Rajan R.G.: “The benefits of lending relationships: evidence from small business data”,
Journal of finance, 49 (1994), 3-37
11
Allen N. Berger, Gregory F. Udell: “ Lines of Credit and Relationship Lending in Small Firm Finance”,
Working Paper, Wharton School, (1995)
16
parte dei mutui immobiliari e del credito al consumo si basano sempre più
frequentemente su modelli di credit scoring.
Al contrario i crediti relazionali per le piccole imprese possono richiedere un
controllo più attento e una maggiore supervisione da parte del management di
livello superiore sui responsabili delle pratiche di fido. Di conseguenza la
complessità di una banca di grandi dimensioni può determinare diseconomie
organizzative che rendono il credito relazionale alle piccole imprese più
costoso.
Nelle piccole banche l’alta direzione può controllare più da vicino le decisioni di
affidamento, e quindi autorizzare prestiti non – standard di tipo relazionale. Se
la crescita dimensionale di una banca aumenta il costo di un monitoraggio
interno dei prestiti, a fronte della maggiore complessità organizzativa, si
possono configurare delle diseconomie organizzative associate ai prestiti alle
piccole imprese.
A sostegno delle loro ipotesi Berger e Udell (1996) mostrano che i tassi
d’interesse praticati dalle piccole banche sui prestiti alle piccole imprese
tendono ad essere più elevati dei tassi praticati sulla stessa categoria di prestiti
dalle banche di maggiori dimensioni. Ciò potrebbe essere giustificato dal fatto
che le piccole banche producono una quota maggiore di credito relazionale che
richiede tassi d’interesse più elevati per compensare la maggiore rischiosità ed i
maggiori costi.
Una interpretazione alternativa suggerisce che le banche maggiori sostengono
costi più bassi rispetto alle banche minori, i minori costi vengono trasmessi alla
clientela sotto forma di tassi d’interesse più bassi e con la richiesta di minori
garanzie collaterali. Poiché i dati dell’indagine su cui si basano i due autori non
forniscono informazioni sulle caratteristiche dei prenditori ma specificano solo la
dimensione del prestito, non è possibile esprimere una preferenza per l’una o
l’altra interpretazione.
Una diversificazione associata alla dimensione della banca può ridurre il
potenziale di diseconomie organizzative. Infatti la superiore capacità di una
grande banca nel diversificare il rischio di credito tra i diversi prestatori riduce i
17
costi, in modo particolare quelli di agenzia, collegati al monitoraggio delle
funzioni delegate, dato che il comportamento del management responsabile
delle valutazioni di fido può essere più facilmente valutato sulla base dei
rendimenti del portafoglio prestiti, laddove il rischio è sufficientemente
diversificato
12
.
Ciononostante il vantaggio della diversificazione può non essere sufficiente a
compensare le diseconomie organizzative legate ai prestiti alle piccole imprese.
Le economie di scala che discendono dalla diversificazione del portafoglio
prestiti sono probabilmente dominanti per i prestiti alle imprese medio – grandi,
anche perché questi ultimi non sembrano generare particolari problemi di
monitoraggio.
Nonostante le possibili differenze di costo tra banche grandi e piccole, è
evidente che la concentrazione delle banche minori sui prestiti alle piccole
imprese è anche una conseguenza diretta dei limiti posti a livello regolamentare
sull’attività di prestito. Anche in assenza di tali limiti, le piccole banche
generalmente evitano i grandi prestiti per preservare la possibilità di
diversificare il rischio di portafoglio.
In conclusione esistono due fenomeni che tendono ad influenzare il rapporto tra
la dimensione della banca e la sua attività di prestito:
in primo luogo la diversificazione di portafoglio riduce i costi di monitoraggio
delle funzioni delegate e migliora il mercato interno dei capitali;
inoltre le diseconomie organizzative associate alla dimensione e alla
complessità accrescono i costi di produzione di credito relazionale nei
confronti delle imprese più piccole in misura proporzionale all’aumentare
della dimensione e quindi della complessità organizzativa della banca.
Una condizione del tutto particolare caratterizza il mercato dei prestiti in Italia a
seguito della significativa diffusione del pluriaffidamento.
12
Diamond D.: “Financial Intermediation and Delegated Monitoring”, Review of Economics Studies, 51
(1984), 393-415
18
Il pluriaffidamento allenta il rapporto tra banca e impresa, consentendo a
entrambe di sfruttare i benefici della diversificazione. L’elevato frazionamento
dei fidi e l’elevata variabilità delle relazioni di clientela nel tempo ha consentito
alle singole banche italiane di contenere il livello di rischio assunto, pur in
assenza di adeguati meccanismi di monitoraggio e di influenza sulle imprese
finanziate.
Ma questi stessi fattori determinano una più elevata esposizione al rischio del
sistema nel suo complesso
13
. La banca è meno incentivata ad effettuare un
monitoring approfondito, potendo sfruttare il cross monitoring, mentre l’impresa
può mettere in concorrenza tra loro i finanziatori bancari per ottenere condizioni
migliori sui prestiti.
A seguito del processo di concentrazione in atto da qualche anno, che ha
determinato la riduzione del numero di banche esposte per ciascuna impresa,
le relazioni di clientela sono significativamente mutate. La concentrazione
esprime l’esclusività del rapporto tra banca e impresa. Al crescere
dell’esclusività aumenta la probabilità che l’impresa sia “catturata” dalla banca
finanziatrice.
Si possono rilevare significative differenze tra le diverse classi dimensionali di
imprese.
Infatti quelle con fido totale accordato inferiore a 4 miliardi di lire hanno rapporti
estremamente concentrati e in molti casi il numero di banche finanziatrici è
piuttosto ridotto, molto spesso si è in presenza di due sole banche finanziatrici
per impresa.
Le grandi imprese, invece, intrattengono rapporti con un numero
considerevolmente superiore di banche e quindi, in conseguenza del
pluriaffidamento, il credito utilizzato è considerevolmente inferiore a quello
accordato.
13
Forestieri G.: “Sistema finanziario e criteri allocativi: effetti sul grado di innovazione delle strutture
produttive”, Note economiche del Monte dei Paschi di Siena, 1 (1993), 10-36