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Capitolo 1 – Il “made in” come garanzia per il cliente
1.1. Il principio “Paese di Provenienza”
Il principio “Paese di Provenienza”, denominato “Country of Origin” ed abbreviato
usualmente con la sigla COO, costituisce la base da cui partire per seguire questa
trattazione.
Se questa informazione, oggi, permette al consumatore di conoscere caratteristiche
non particolarmente evidenti riguardo il prodotto, come il luogo in cui sia stato
costruito o lavorato, la provenienza dei materiali impiegati e la proprietà intellettuale,
le origini della sua applicazione non prevedevano gli stessi obiettivi. Negli anni ’60,
infatti, l’indicazione di provenienza veniva imposta dagli importatori Tedeschi e
Francesi sulla merce tessile e calzaturiera, al fine di indicare ai consumatori locali che
tali prodotti non venivano realizzati nel loro paese (1).
La scritta “Made in Country” ha l’obiettivo di facilitare il libero movimento di merci o
servizi al fine di incoraggiare la competizione transnazionale, o per incoraggiare
individui od imprese a testare altri mercati senza doversi stabilire in altri paesi e
doversi adattare anche alle diverse legislazioni vigenti. Per quanto riguarda la
legislazione dell’Unione Europea, per risolvere situazioni di conflitto all’interno degli
stati membri, vengono applicati il principio di “Country of Origin”, oltre che del Paese
Ricevente” secondo il quale la transazione debba essere regolata dalla legislazione
dello stato che riceve la prestazione.
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(1)Le industrie manifatturiere tessili e calzaturiere, infatti, gia’ dall’immediato dopoguerra erano state
s cartate da economie come Germania, Francia e Gran Bretagna in quanto piu’ povere ed adatte a paesi
non tecnologicamente sviluppati quale ad esempio l’Italia, a quei tempi, e le regioni del Sud Est Asiatico,
ai giorni nostri.
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Tale principio afferma inoltre che se un’azione o servizio venga realizzato in un paese
m a ricevuto in un altro, la legge applicabile sia quella dello stato in cui sia stato
realizzato, e l’obiettivo è informare l’utente sull’origine del prodotto che sta
acquistando, poiché questa caratteristica non può essere sempre evidente. Mira
dunque a consentire di prendere scelte consapevoli sui propri acquisti. In alcuni casi, il
fatto di sapere che cosa si stia comprando è un elemento che il consumatore non
trascura, si pensi al cibo od ai medicinali.
Va anche ricordato che la denominazione di paese d’origine viene ancor più
considerata quando il consumatore sia meno coinvolto e meno familiare con il
prodotto e risulta essere ancor più una variabile chiave quando si consideri l’acquisto
di prodotti di lusso (2) .
N agashima può essere considerato uno dei precursori della teoria dell’immagine del
Paese di origine, scrisse infatti nel 1970 un insieme di contributi dedicati alla
complessa tematica dell’immagine delle nazioni. Egli definì l’immagine Paese come “la
rappresentazione, la reputazione, lo stereotipo che gli uomini d’affari e i consumatori
associano ai prodotti di un paese”. Sottolineò l’influenza di variabili quali le
caratteristiche nazionali, il background economico e politico, la storia, le tradizioni e i
prodotti rappresentativi per la determinazione dello stereotipo proprio di una nazione.
Secondo lui esisteva, dunque, un legame percettivo tra gli stereotipi nazionali e precise
categorie merceologiche dove i prodotti sono considerati tipici di alcuni paesi, si pensi
ai profumi francesi, alla pasta italiana e agli zoccoli olandesi. In questi casi le strategie
di marketing utilizzate per tali prodotti in genere utilizzano riferimenti espliciti alle
origini nazionali per affermarsi all’estero. Tali stereotipi di paese tendono quindi a
diventare specifici per quel settore o prodotto.
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(2) Piron, Journal of Consumer Marketing, 2000, “Consumers’ perceptions of the country-of-origin effect
o n purchasing intentions of (in)conspicuous products”. Analizza l’effetto dell’importanza del Country of
Origin tra i prodotti di lusso vs quelli necessari (e tra quelli pubblici vs i privati) raggiungendo la
conclusione che l’impatto e’ più grande sui primi.
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Da un punto di vista marketing, tali classificazioni, consentono di differenziare il
p rodotto dai concorrenti. Per spiegare meglio questo concetto possiamo fare
riferimento ad alcuni articoli e ricerche (3) che sostengono che il “country of origin” ha
u n grande impatto sulla percezione da parte del consumatore del prodotto,
determinando o meno la sua volontà ad acquistare, ed ad altri studi che dimostrano
che i consumatori possono avere una relativa preferenza per prodotti provenienti dal
proprio paese o, per quelli provenienti da altre nazioni, predilezione o avversità (4).
L’ effetto della dichiarazione del Paese di Provenienza sugli acquisti è tuttavia dibattuto
dagli accademici dato che altri studi hanno evidenziato che sta diventando sempre più
importante la componente del “design di prodotto” piuttosto che il luogo di effettiva
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(3) Josiassen and Harzing, European Management Review, 2008, "Descending from the ivory tower:
Reflections on the relevance and future of country-of-origin research". In questo articolo gli autori
criticano Jean-Claude Usunier (2006), che afferma che la ricerca riguardo l’impatto del paese di origine
(COO) nel processo di acquisto sia di scarsa rilevanza sia per i consumatori che per le imprese,
dichiarando l’importanza del concetto di COO e confutando le passate ricerche. Queste, infatti,
dovrebbero essere guidate da fattibilità invece che da rilevanza teoretica o pratica.
(4) Shimp and Sharma, Journal of International Business Studies, 1987. Hanno sviluppato il Consumer
Ethnocentric Tendencies Scale (CETSCALE) per misurare l’impatto morale sui consumatori e la loro
tendenza ad acquistare prodotti stranieri od etnocentrici. La studio propone un questionario di 17
domande che si e’ rivelato molto piu’ accurato delle variabili demografiche.
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produzione (5).
Secondo la Commissione Europea, il COO, ovvero Country of Origin, è la nazionalità
“economica” delle merci nel commercio internazionale e ve ne sono di due tipi, ovvero
di natura preferenziale e non. L’origine preferenziale conferisce alcuni vantaggi per le
merci scambiate tra particolari paesi, e cioè l’ingresso con tassi di dazio ridotti o nulli.
La natura economica non preferenziale, invece, determina l'origine dei prodotti
soggetti a tutti i tipi di misure di politica commerciale (ad esempio, le misure
antidumping, le restrizioni quantitative) od i contingenti tariffari.
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(5) A) Usunier e Ghilsaine, Journal of International Marketing, 2007, "Product ethnicity: Revisiting the
m atch between products and countries". Gli autori affermano che i consumatori fanno associazioni
stereotipate tra prodotti e paesi di produzione a seconda della loro soggettiva percezione riguardo il
know-how, la reputazione in progettazione, la qualità di fabbricazione, o i marchi del paese. Quando tali
associazioni sono condivise su scala mondiale, si ha un’etnicità di prodotto che si basa su associazioni
dei consumatori tra un paese ed un particolare prodotto. Con i loro studi gli autori individuano la
"tendenza ad un’associazione con il proprio contesto" perché gli intervistati tendono ad associare le
merci con il proprio paese. Gli autori, analizzando paesi tra cui Cina, Messico, Germania e USA, correlano
l’etnicità di prodotto e la tendenza ad associazione con il proprio paese con la letteratura riguardante il
“paese d’origine”, arrivando alla conclusione che i consumatori preferiscono comprare prodotti che
sono più congruenti con l’etnicità di prodotto (un particolare prodotto è percepito migliore se
proveniente da un determinato paese). B) Usunier, European Management Review, 2006, "Relevance
versus convenience in business research: The case of country-of-origin research in marketing"; Usunier,
Revue Française du Marketing, 2002, "Le pays d'origine influence-t-il encore les évaluations des
consommateurs?". In questi articoli l’autore presenta l’argomento di marketing internazionale su come
un prodotto del paese d'origine influenzi le valutazioni dei consumatori e ne analizza lo sviluppo nel
tempo.
1.2. Il Made in Italy: cenni e settori chiave
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Soprattutto a partire dagli anni ’80, i prodotti italiani hanno subito una rivalutazione
sia per quanto riguarda la produzione artigianale che industriale. Pian piano si e’
venuta a costruire quella fama che, riconosciuta ampiamente all’estero, ha permesso
di ottenere il vantaggio commerciale proprio dei prodotti di qualità facenti riferimento
al “Made in Italy”.
Una rivista giapponese, in quegli anni, svolse accurate ricerche per cercare di indivuare
quale fosse il segreto che permettesse alle piccole imprese italiane, apparentemente
fragili, di ottenere tanti successi. Il risultato non fu una semplice strategia imitabile,
poiché la possibilità di competere poggiava su una cultura di prodotto molto forte che
proveniva da lontano, ovvero dalla storia artistica ed artigianale che fondava le sue
radici nelle botteghe rinascimentali e nell’ingente patrimonio storico, dove la cultura
estetica insieme all’orgoglio artigiano conducevano alla realizzazione di un prodotto di
alta qualità, dove l’artefice, prima ancora che per denaro, cercava di raggiungere la
propria soddisfazione personale in un prodotto quasi d’arte.
Possiamo evidenziare due modi in cui considerare il “Made in Italy”. Il primo come un
fenomeno relativamente recente, ovvero degli ultimi cinquant’anni, sviluppatosi per
una serie di coincidenze: il basso costo del lavoro del dopoguerra, la nascita di una
nuova generazione imprenditoriale, il successo di alcuni stilisti e designer e la voglia del
popolo italiano di riscattarsi dopo le Seconda Guerra Mondiale; il secondo, invece, si
riferisce ad una prospettiva tradizionalista della cultura italiana, dove cultura, arte,
artigianato, abilità manifatturiera, territorio e memorie storiche interagiscono
reciprocamente.
Oggi però, con il crescere della commercio globale, la fama di un tempo si sta
erodendo e si necessita di interventi che facciano fronte alla difficoltà di competere
con economie dove la forza lavoro sia a basso costo e dove la qualità manifatturiera
sta vedendo sempre più miglioramenti.
Probabilmente a causa del tradizionale individualismo italiano, anche per quanto
riguarda la frammentazione settoriale delle organizzazioni imprenditoriali, le azioni
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coordinate, seppur nell’ambito di un solo settore, sono molto difficili e raramente
r aggiungono i risultati sperati.
Inoltre, proprio a causa del gran numero di piccole e medie imprese prevalentemente
a conduzione familiare tipiche della nostra economia, sembra opportuno pensare che
la valorizzazione del “made in Italy” sia compito degli organismi pubblici, ma così
facendo si rischia di incorrere in un’illusione politico-economica. Azioni quali la tutela
dei marchi italiani ed il marketing operativo da sviluppare nelle fiere internazionali
sono compiti sostenuti principalmente dagli enti governativi per lo sviluppo di
un’economia di esportazione, ma l’azione imprenditoriale in primo luogo, che
dovrebbe puntare sulla valorizzazione della cultura e dello stile italiano e su come
questi elementi interagiscano con i prodotti, porterebbe anch’essa immediati risultati.
Le azioni dovrebbero dunque basarsi su un pensiero imprenditoriale comune, al fine di
ottenere una riscoperta del valore universale della cultura italiana e dei suoi prodotti.
In generale possiamo dire che i prodotti italiani si contraddistinguono per l'elevato
contenuto creativo attraverso l'intero processo industriale, elemento che giustifica la
nascita del termine “Italian style”.
Alcuni settori merceologici godono, più di altri, di un’elevata fama per la qualità del
“Made in Italy”. Esempi eclatanti sono l’industria automobilistica “veloce”, la moda,
l’artigianato (che comprende al suo interno la gioielleria, gli occhiali, la pelletteria e
l’abbigliamento calzaturiero e sartoriale) e l’industria alimentare (tra cui prodotti da
forno, pasta e pizza, la pasticceria, la gelateria, le carni e gli insaccati, l’industria
casearia, gli alcolici e l’acqua), le biotecnologie, l’arredamento e le machine utensili.
Sebbene si parli di recessione economica e i rapporti di Confartigianato denuncino la
necessità di maggiori azioni a tutela delle PMI, a livello macroeconomico aggregato
sembra che la situazione non sia pessima (6).
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(6) Paola Jadeluca, La Repubblica, 18 febbraio 2008, “ Le 'quattro A' del made in Italy compensano tutti i
settori in rosso”.
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Le "quattro A" ovvero l’abbigliamento, l’arredamento, l’alimentare, e le
apparecchiature industriali sono settori che risultano ottenere buoni risultati anche
paragonati agli altri paesi europei. In questi ultimi 2 o 3 anni, le vendite extra Europa
assumono un grande peso, basti pensare al sistema moda che vede la crescita di
vendite in queste aree aumentate di oltre il 10% portando il giro d'affari italiano a EUR
104,7 miliardi, superando Francia e Regno Unito con rispettivamente EUR 103,1
miliardi e EUR 98,9 miliardi. Anche le macchine industriali vedono ottimi risultati
extra UE con EUR 23,5 miliardi di esportazioni. Altri settori che raggiungono ottimi
risultati sono i vini, dove l’Italia supera la Francia per bottiglie vendute, e
l’arredamento, dove l’Italia ha persino il primato nel “vestire” gli hotel superlusso di
Dubai.
Considerando l’economia italiana in generale, secondo una ricerca condotta per
Symbola e Fondazione Edison (7) , la situazione del paese nel confronto dei mercati
i nternazionali non è malvagia. Gli elementi che esprimono le nuove geografie del Made
in Italy sarebbero riconducibili ad un anagramma del termine “Italia”, ovvero Industria,
Turismo, Agroalimentare, Localismo e terzo settore, Innovazione, Arte e Cultura.
Secondo questa suddivisione, vengono messe in evidenza varie caratteristiche di
competitività e successo sui mercati internazionali, dati che a volte sembrano in
disaccordo con quanto dichiarato dalle associazioni di categoria.
Secondo questo studio, infatti, l’industria, per esempio, porta l’Italia ad essere il
secondo Paese manifatturiero d’Europa subito dopo la Germania, secondo l’indice di
competitività Tpi (Trade Performance index) elaborato da ONU e WTO.
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(7) Ricerca “ITALIA – Geografie del nuovo Made in Italy” presentata presso la fiera Campionaria delle
Qualita’ Italiane di Milano, dal 7al 10 maggio 2009, dove vengono presentati i capolavori delle aziende
italiane. Ente promotore Symbola e Fondazione Edison.
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In tale ambito al primo posto si colloca il tessile, l’abbigliamento, il cuoio e la
p elletteria e le calzature. Mentre per la meccanica sia non elettronica che elettrica, che
negli elettrodomestici, nella chimica, nei manufatti di base (metalli, marmi, piastrelle in
ceramica), nell’occhialeria e nell’oreficeria risulta al secondo posto. L’Italia e’ poi anche
leader negli yacht di lusso.
Per quanto riguarda il Turismo, le entrate risultano essere al quarto posto nella
classifica mondiale dei Paesi piu’ visitati e solo al secondo posto in Europa dopo la
Spagna. I siti classificati dall’Unesco nella lista dei partimoni culturali sul territorio
italiano sono i più elevati al mondo, cosa che sembra attirare i turisti cinesi e russi che
preferiscono visitare l’Italia più di ogni altra nazione.
L’agroalimentare nel 2008 ha registrato un incremento tra i più elevati nelle
esportazioni, generando il 10% in più rispetto l’anno precedente. I prodotti Dop e Igp (8)
r egistrati sono al primo posto in Europa seguiti da Francia e Spagna. Il vino prodotto è
il 40% in meno rispetto alla meta’ degli anni ’80 ma le esportazioni sono aumentate in
valore di 4 volte raggiungento Eur 3,5 miliardi. Inoltre risultiamo esportatori anche del
metodo adottato nella produzione biologica di alimenti.
Con il termine localismo e terzo settore viene esaltata la caratteristica di sussidiarietà
orizzontale tipica dei distretti italiani dove le varie fasi delle attività produttive
vengono separate e derivano da importanti forme di collaborazione tra vari
imprenditori, associazioni ed istituzioni locali.
L’innovazione poi risulta essere una carta vincente poiché le PMI nel 2008 hanno
incrementato la qualità dei prodotti cercando di raggiungere il mercato globale (71%
contro il 64% della media europea). Inoltre la fotonica ed il biotech stanno portando
l’Italia ad essere un leader mondiale. Buona anche la posizione nell’aerospaziale in cui
il paese risulta essere il settimo al mondo.
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(8) Dop - Denominazione di origine protetta- e Igp – Indicazione geografica protetta.
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Anche l’arte e la cultura contribuiscono al PIL per un valore circa del 6%.
L’ Italia risulta essere il leader europeo nel cinema di animazione e seconda al mondo
per registrazione di brevetti dal 2003 all’inizio 2009, ma il potenziale di crescita di
questi settori è elevatissimo.
Si vede dunque come l’Italia risulti vincente in vari settori e sembra quindi di poter
dare ragione al rapporto della Goldman Sachs intitolato “L’Italia va meglio di quanto si
creda” dal quale risulta che il Paese è tra i meno indebitati, le imprese hanno bilanci
solidi, le famiglie sono risparmiatrici e ricche ed il cui sistema bancario sembra in grado
di resistere meglio di altri alla turbolenza finanziaria dovuta alla crisi attuale (9) .
Se comunque il Made in Italy ed il commercio con l’estero risulti in buona posizione,
bisogna però considerare le perdite dovute alla contraffazione o le opportunità di
mercato non ancora sfruttate pienamente.
Per questo, fino a 4 anni fa, veniva dichiarato che la contraffazione sottraeva alle
aziende intorno ai 6 miliardi di euro l’anno, individuando tra i settori più colpiti la
moda (tessile, abbigliamento e calzature) e l’oreficeria (10) . Inoltre un sentimento di
q uasi “paura” della contraffazione si era diffuso tra le imprese che iniziavano a capire
che nessun settore poteva ritenersi sicuro. Ad esempio anche le ceramiche di Vietri sul
Mare, cittadina del Salernitano, sono state copiate e vendute come autentiche
seguendo gli stessi disegni ma con prezzi decisamente inferiori. Ed inoltre, spesso, il
prodotto contraffatto viene importato, ma sono presenti anche casi in cui la copia
viene prodotta nello stesso distretto industriale in cui risiede la produzione originale.
In definitiva, non solo la contraffazione risulta danneggiare l’artigianato e le PMI, ma
anche quella merce che seppur fabbricata all’estero, riporti il marchio Made in Italy,
sfruttando il posizionamento di qualità elevata usando un prezzo congruo, toglie
ovviamente opportunità ai prodotti con la reale provenienza italiana.
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(9) Rapporto pubblicato ad inizio maggio 2009.
( 10) Pubblicazione del Rapporto di Confartigianato di luglio 2005, analizza il problema della
contraffazione a livello delle PMI italiane.