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e sbiadisce, fino a rischiare di scomparire nell’Irrazionale, e l’uomo tende
a perdere la propria ‘solidità’, a divenire un gioco senza centro in se
stesso.
La seconda parte del capitolo illustra alcune risposte materialiste e
dualiste alla domanda ‘cos’è l’uomo?’. Le teorie presentate indagano il
rapporto fra mentale e cerebrale fornendo risposte in buona parte diverse
fra loro - secondo alcuni non vi sono ostacoli ad una riduzione totale
della mente al corpo (e vi è chi insiste sull’emergenza di certe proprietà);
altri ritengono impossibile la riduzione del mentale al cerebrale, ma
pensano che si tratti di una questione soltanto linguistica; altri ancora
propongono una soluzione dualista -; le diverse tesi trovano un
denominatore comune nella tendenziale riduzione della mente a
coscienza o a soggettività e nel fatto che non viene percorsa (almeno in
alcuni tratti) la strada che, partendo dall’atto cognitivo, giunge alla
mente.
Il secondo capitolo mostra, principalmente, i seguenti punti:
1.Il presupposto rappresentazionista è gratuito, ingiustificato; l’uomo
conosce la realtà, e la conosce così com’è; inoltre, conosce il proprio
adeguamento all’oggetto - l’uomo, cioè, non solo conosce, ma sa di
conoscere -.
2.La conoscenza umana ha inizio nella percezione di realtà sensibili, nel
frammento sensibile (non conosco immediatamente l’intero). L’uomo,
però, può trascendere la contingenza del sensibile, raggiungendo
l’universale e il necessario - si pensi al principio di non contraddizione:
so che questo principio vale per tutta la realtà pur avendo incontrato,
nella mia esperienza, soltanto alcune cose (chi pensa di conoscere
7
tutto?) -. Potendo conoscere in modo universale e necessario l’uomo
coglie, in qualche modo, l’intero.
La conoscenza per universali è una condizione necessaria affinché
l’uomo sia un animale che può scegliere - Relazionandosi all’ente finito
in questo modo, l’uomo lo pensa come un bene, ma non necessariamente
come il bene, e non è quindi detto che la sua scelta sia obbligata.
3.Anche la conoscenza di se stessi deve passare attraverso la conoscenza
di un ente che sia altro rispetto al soggetto conoscente. L’uomo è aperto a
se stesso soltanto attraverso l’altro-da-sé.
5.Da un punto di vista fisico, l’individuo è un sistema complesso o non-
lineare: per questa sua caratteristica, il meccanicismo ed il riduzionismo
sono votati allo scacco, anche qualora volessero occuparsi soltanto della
base fisica delle operazioni mentali.
4.La conoscenza per universali, la capacità di cogliere principi universali
in enti particolari il fatto che il conoscere possa terminare all’atto stesso
(cioè la trasparenza dell’atto), mostrano l’irriducibilità dell’uomo ad un
ente materiale. D’altra parte, il continuo ricorso al mondo fisico o alle
immagini (particolari) ricavate da tale mondo, impedisce di abbracciare
una teoria di tipo dualista: la mente non è una sostanza individua, unita al
corpo accidentalmente.
L’uomo, inoltre, è capace di atti liberi dal mondo fisico e di implementare
le proprie scelte nel mondo fisico. E’, quindi, responsabile. Questo non
significa che non sia possibile una scienza che preveda
probabilisticamente i comportamenti umani; tale possibilità è dovuta a
condizionamenti - fisici e non (si pensi al ‘collo di bottiglia cognitivo’,
al patrimonio genetico, alla storia personale e delle comunità in cui si
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vive) - e motivazioni - non posso scegliere ciò che non attrae in alcun
modo la mia scelta -.
Il terzo capitolo riflette sulla relazione fra individui e comunità e
conclude che non vi è alcun super-soggetto o coscienza meta-individuale
‘incentrata in se stessa’.
Ciò non significa che la comunità sia una semplice collezione di individui
isolati; perché vi sia comunità, invece, è necessario che l’individuo sia in
grado di riconoscere la soggettività dell’altro, così da accoglierlo, in
qualche modo, in sé; e l’uomo è in grado di superare se stesso verso
l’altro, rimanendo comunque radicato in sé.
La relazione con l’altro, inoltre, si dimostra di fondamentale importanza
nello sviluppo delle qualità e delle capacità della persona: la
realizzazione dell’uomo non può che passare attraverso la comunità.
La costruzione della personalità non deve però essere pensata come
‘costruzione dal nulla’ o degenerare in costrizione (più o meno
consapevole). Mentre la ‘costruzione dal nulla’ è impossibile, dal
momento che la società aiuta lo sviluppo, ma non produce esseri umani, i
quali esistono già come esseri capaci (in potenza, almeno) di azioni libere
e razionali, la costrizione (più o meno forte) di alcuni individui da
parte di altri è possibile, ma patologica.
Rappresentazionismi, materialismi e dualismi
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Capitolo 1
1. RAPPRESENTAZIONISMI, MATERIALISMI E
DUALISMI
1.1 KARL POPPER
1.1.1 L’irriducibilità della teoria alle osservazioni
Popper mostra come una teoria non possa essere derivata
dall’osservazione. Egli prende in considerazione la teoria di Newton, ma
ciò che dice può essere esteso ad un numero indefinito di teorie.
“L’affermazione che la teoria di Newton è derivata
dall’osservazione - scrive - sarà qui criticata da tre punti di
vista:
1)L’asserzione è intuitivamente non credibile, soprattutto
se confrontiamo la peculiare natura della teoria con quella
degli asserti osservativi.
2)L’asserzione è storicamente falsa.
3)L’asserzione è logicamente falsa: è un’asserzione
impossibile dal punto di vista logico”. (Popper 1969, p.
319)
Il primo punto viene dimostrato da Popper attraverso numerosi
argomenti; in particolare, egli contrappone l’inesattezza e la concretezza
delle osservazioni al rigore ed all’astrattezza della teoria. La teoria
supera la contingenza delle osservazioni, non solo perché isola ciò che è
rilevante tralasciando il resto, ma anche per il fatto che depura quanto
viene osservato fino a raggiungere un’esattezza che non si riscontra mai
Capitolo 1
10
‘in natura’. La teoria, insomma, non è considerabile come ‘sintesi dei
dati’: la distanza che separa questi da quella è incolmabile.
Tralasciamo la dimostrazione del secondo punto ed occupiamoci subito
del terzo. Per dimostrarlo Popper utilizza la critica di Hume
all’induzione: un asserto osservativo coerente relativo ad un evento
futuro non può essere in contraddizione con un insieme qualsiasi di
asserti osservativi veri riguardanti il passato. In altre parole, gli eventi
accaduti nel passato interessano soltanto quest’ultimo, e non anche il
futuro. Ma la teoria di Newton, congiuntamente ad osservazioni passate,
fornisce asserti riguardanti il futuro che possono contraddire un asserto
coerente relativo al futuro stesso: essa - congiuntamente alle osservazioni
effettuate - non può quindi costituire una semplice classe di osservazioni.
Popper osserva che:
“Abbiamo così dimostrato la nostra terza tesi. E possiamo
ora scorgere compiutamente l’enigma dell’esperienza, il
paradosso delle scienze empiriche, scoperto da Kant: la
dinamica newtoniana procede sostanzialmente oltre tutte
le osservazioni. Essa è universale, esatta e astratta;
storicamente, ha avuto origine da dei miti; e possiamo
mostrare con mezzi puramente logici che non è derivabile
da asserzioni osservative”. (Popper 1969, p. )327
1.1.2 Le teorie come intuizioni creative e guide necessarie
Esaminiamo, ora, ciò che Popper pensa dell’invenzione di una nuova
ipotesi.
Scrive Popper:
“La soluzione di Kant è ben nota. Egli suppone,
correttamente a mio avviso, che il mondo quale lo
Rappresentazionismi, materialismi e dualismi
11
conosciamo è una nostra interpretazione dei fatti
osservabili, alla luce di teorie che inventiamo noi stessi.
Come dice Kant: «Il nostro intelletto non trae le sue leggi
dalla natura...ma le impone alla natura». Anche se ritengo
sostanzialmente corretta questa affermazione kantiana,
essa mi sembra tuttavia un po’ troppo radicale, e vorrei
quindi formularla nella seguente forma modificata:
«l’intelletto non trae le proprie leggi dalla natura, ma
cerca di imporre ad essa - con variabili possibilità di
successo - le leggi che liberamente inventa». La
differenza è questa. La formulazione kantiana non implica
solo che la ragione tenta di imporre leggi alla natura, ma
anche che essa riesce in ciò invariabilmente. Kant credeva
infatti che le leggi di Newton fossero da noi imposte con
successo alla natura: che fossimo costretti a interpretare la
natura secondo queste leggi; dal ché concludeva che
dovevano essere vere a priori. Questo era il pensiero di
Kant, e Poincaré vedeva le cose in maniera analoga.
Dopo Einstein, tuttavia, sappiamo che sono possibili
anche teorie assai diverse e interpretazioni differenti, e che
queste possono risultare anche superiori a quella di
Newton. La ragione è dunque capace di più d’una
interpretazione, e non può imporne alla natura una
propria, una volta per tutte. (...)
Kant, credendo che il nostro compito fosse di spiegare
l’unicità e la verità della teoria di Newton, fu indotto a
credere che questa seguiva inevitabilmente, e con
necessità logica, dalle leggi del nostro intelletto. La
modifica della soluzione kantiana da me proposta
conformemente alla teoria einsteiniana, ci libera da questo
nesso necessario. In tal modo le teorie sono considerate
come libere creazioni della mente, risultato di
un’intuizione quasi poetica, di un tentativo di
comprensione intuitiva delle leggi della natura. Non
cerchiamo più di imporre alla natura le nostre creazioni”.
(Popper 1969, pp. 329-330)
Capitolo 1
12
In questo passo, Popper insiste particolarmente sull’attività di libera
creazione da parte della mente umana; inoltre, secondo lui, ‘la ragione
procede per prova ed errore’.
Per mostrare la libertà della ragione, Popper considera il passaggio dalla
fisica newtoniana alla fisica einsteiniana: il passaggio da una teoria ad
un’altra dovrebbe evidenziare la libertà della mente umana nel costruire
ipotesi. In realtà, il passaggio dice soltanto che l’uomo può pensare cose
diverse, lasciando del tutto insondata la questione della produzione di
ipotesi.
Il pensiero di Popper può facilmente essere inteso in questo senso: che le
teorie sono libere creazioni della mente umana è dimostrato dal fatto che
essa può inventare le teorie più diverse per spiegare la stessa realtà.
Questa argomentazione non è priva di problemi: dedurre la libertà
creativa dall’invenzione di una nuova teoria non è lecito, a meno che per
‘invenzione’ non si intenda ‘libera invenzione’, nel qual caso il
ragionamento soffrirebbe di circolarità.
Inoltre, Popper fa appello al passaggio da una teoria all’altra senza
domandarsi se non siano cambiati, insieme ad essa, anche gli oggetti
spiegati.
Ma andiamo con ordine, iniziando col vedere se Popper dice qualcosa di
più riguardo alla nascita delle ipotesi. Alcune righe della ‘Logica della
scoperta scientifica’ sembrano confermare quanto visto sopra: la scienza
si fonda su intuizioni per lo meno a-razionali - per non dire irrazionali.
Scrive Popper:
“Comunque, il mio modo di vedere la cosa - per quello
che vale - è che non esista nessun metodo logico per avere
nuove idee, e nessuna ricostruzione logica di questo
Rappresentazionismi, materialismi e dualismi
13
processo. Il mio punto di vista si può esprimere dicendo
che ogni scoperta contiene un «elemento irrazionale» o
«un’intuizione creativa» nel senso di Bergson. In modo
analogo, Einstein parla della «ricerca di quelle leggi
altamente universali...dalle quali possiamo ottenere
un’immagine del mondo grazie alla pura deduzione. Non
esiste alcuna via logica, egli dice, che conduca a queste
...leggi. Esse possono essere raggiunte soltanto tramite
l’intuizione, basata su un alcunché che possiamo chiamare
immedesimazione (Einfühlung) cogli oggetti
d’esperienza»”. (Popper 1934, p.11)
L’irrazionalità, dunque, è menzionata anche da Popper. Più che di
qualcosa di irrazionale, però, sembra trattarsi di qualcosa che supera la
ragione e che la ragione non può cogliere. Il contesto della scoperta così
come inteso da Popper pare sfuggire alla ragione senza per forza
contrapporsi ad essa.
Oltre ad essere un’intuizione creativa, la teoria è, - secondo Popper -,
una guida necessaria affinché vi siano osservazioni.
“Kant - scrive Popper - mostrò poi che ciò che vale per la
teoria di Newton deve valere anche per l’esperienza di
ogni giorno, sebbene, forse, non proprio nella stessa
misura: che cioè anche l’esperienza di ogni giorno
procede assai oltre ogni osservazione. Anch’essa, infatti,
deve interpretare l’osservazione; senza l’interpretazione
teorica, infatti, questa resta cieca - non informativa
(corsivo mio). L’esperienza quotidiana opera
costantemente con idee astratte, come quella di causa ed
effetto, e non può dunque essere derivata dalle
osservazioni”. (Popper 1969, p. 327)
In queste righe è presente un punto di notevole importanza: la teoria non
è soltanto qualcosa che, per i motivi visti, sta ‘oltre’ i dati; non solo essa
non è deducibile dai dati, ma è anche una guida necessaria per il
Capitolo 1
14
compimento di qualsiasi osservazione. Quando Popper contrappone la
concretezza delle osservazioni all’astrattezza della teoria, non ha in mente
un processo di astrazione da parte dell’intelletto, che nell’afferrare
intenzionalmente il particolare concreto forma un concetto astratto
predicabile-di-più. Il procedere oltre l’osservazione è un interpretare
l’osservazione, in cui l’idea - o, perlomeno, ciò che ci si aspetta in modo
innato - precede il fatto; senza interpretazione non si può accedere ai dati.
L’impossibilità di derivare le ipotesi dall’osservazione non è soltanto -
per Popper - una impossibilità di deduzione, nel senso che tutti i dati del
mondo non possono fornire, da soli, una teoria; essa, invece, denuncia la
priorità di quanto ci si aspetta su ciò che si osserva. Se non ci si aspetta
qualcosa, ci si perde nell’infinità del reale: bisogna che lo sguardo sia
pre-disposto a cercare una cosa perché possa effettivamente darsi la sua
osservazione; Popper arriva, in questo modo, ad una sorta di innatismo.
La teoria come ‘punto di vista’
Proseguiamo nella nostra ‘incursione’ nello scritto di Popper.
“L’idea centrale della dottrina di Hume - scrive - è quella
della ripetizione, basata sulla similarità (o
«somiglianza»). Questa idea è usata in maniera assai poco
critica. Siamo indotti a pensare alla goccia d’acqua che
scava la pietra: a sequenze di eventi sicuramente simili,
che lentamente ci si impongono, come il ticchettio di un
orologio. Ma dovremmo renderci conto che in una teoria
psicologica come quella di Hume, soltanto alla
ripetizione-per-noi, basata sulla similarità-per-noi, si può
riconoscere un qualche effetto su di noi. Rispondiamo
necessariamente alle situazioni come se fossero
equivalenti; le assumiamo come simili; le interpretiamo
come ripetizioni.
(...)
Rappresentazionismi, materialismi e dualismi
15
Il tipo di ripetizione concepito da Hume non può mai
essere perfetto; i casi cui egli si riferisce non possono mai
essere identici; può trattarsi solo di casi di similarità.
Dunque, si tratta di ripetizioni soltanto da un certo punto
di vista. Ciò che è per me una ripetizione, può non
apparire tale a un ragno. Ma ciò significa che, per ragioni
logiche, deve esserci sempre un punto di vista - un sistema
di aspettazioni, anticipazioni, assunzioni, o interessi -
prima che possa darsi una qualsiasi ripetizione; e questo
punto di vista, di conseguenza, non può essere
semplicemente il risultato della ripetizione”. (Popper
1969, pp. 80-81)
Popper afferma che non si danno mai due casi identici, e che si tratta
quindi sempre di ripetizioni soltanto da un certo punto di vista. ‘Ciò che è
per me una ripetizione - dice - può non apparire tale a un ragno’, e quindi,
è necessario che vi sia un punto di vista - aspettative, anticipazioni,
assunzioni ,o interessi - prima che possa darsi una ripetizione; e questo
punto di vista, dovendo precedere la ripetizione, non può essere frutto
della ripetizione stessa.
Popper identifica l’avere un punto di vista col possedere ‘un sistema di
aspettative, anticipazioni, assunzioni, o interessi’. Le ipotesi, dunque, non
sono altro che un punto di vista? Anche quelle degli scienziati? Se sono
un punto di vista e nient’altro, allora non sono certo identificabili con le
scoperte di cui Popper parla nella ‘Logica della scoperta scientifica’; egli,
infatti, in quel libro afferma che ‘ogni scoperta contiene un «elemento
irrazionale» o «un’intuizione creativa» nel senso di Bergson’ (Popper
1934, p.11): non sembra parlare di un punto di vista qualunque. E’
necessario, perciò, distinguere fra diversi ‘tipi’ di ipotesi: vi è un tipo
necessario, dovuto al fatto che percepiamo il mondo in un certo modo, e
Capitolo 1
16
ve ne è uno contingente e creativo, per avere il quale non è sufficiente
percepire in un modo qualsiasi.
Qui, però, non ci interessa esaminare la distinzione fra i due tipi di
ipotesi; vogliamo riflettere sulle ipotesi considerate come semplici punti
di vista.
La frase ‘Ciò che è per me una ripetizione può non apparire tale a un
ragno’ è suscettibile di (almeno) due interpretazioni.
Secondo una prima interpretazione, il ragno non percepisce un fatto che
comunque ‘sta lì’, indipendentemente dal suo ‘accedervi’; sebbene forse
non possano darsi eventi identici - nemmeno sotto un singolo aspetto - vi
sono analogie alcune delle quali sfuggono al ragno - e, magari, non
sfuggono all’uomo. La similitudine degli eventi - almeno per un certo
aspetto - è, secondo questo modo di vedere, qualcosa che si dà
indipendentemente dall’osservatore, e che l’osservatore è in grado di
cogliere se e solo se è dotato di un certo punto di vista.
Secondo un’altra interpretazione, invece, non c’è alcuna somiglianza - né
uguaglianza - ‘in natura’. Ciò che è un aspetto di somiglianza fra due
eventi per l’uomo può non essere tale per il ragno, e la somiglianza in sé
non esiste. Non è che il ragno non si accorga di una somiglianza che,
però, esiste. Il mondo non esiste fuori dall’essere percepito, e la
differenza di punti di vista moltiplica i mondi. Neppure l’esistenza - o
meno - di una qualsiasi cosa, fatto o evento, sfugge alla relatività del
punto di vista.
Rappresentazionismi, materialismi e dualismi
17
1.1.3 L’attaccamento di Popper alla verità
Probabilmente Popper ha in mente la prima delle due interpretazioni -
almeno ‘ogni tanto’ -. Altrimenti non si capirebbe nel modo più assoluto
il suo frequente riferirsi alla verità: ‘Grazie ad Einstein, - scrive -,ora
consideriamo questa teoria come un’ipotesi (o un sistema di ipotesi) -
forse la più ragguardevole e importante ipotesi nella storia della scienza,
e, sicuramente, una straordinaria approssimazione della verità’. (Popper
1969, p. 329).
Nonostante il fatto che parlare di sicura approssimazione alla verità non
abbia molto senso - dal momento che, per sapere se ci si sta avvicinando
ad essa, è necessario conoscerla già -; e il fatto che parlarne dovrebbe
avere ancor meno senso per Popper, secondo il quale non è mai possibile
stabilire la verità di una teoria; nonostante queste cose, dico, Popper di
verità - intesa in sensi diversi - parla spesso. Le teorie, secondo lui, sono
‘seri tentativi di scoprire la verità’ (Popper 1969, p. 198); inoltre, egli
scrive:
‘Sin dall’inizio, comunque mi sta a cuore confessare che
io sono un realista (corsivo mio): io sostengo
analogamente a un realista ingenuo, che ci sono mondi
fisici e un mondo di stati di coscienza, e che questi due
mondi interagiscono’. (Popper, Epistemologia, razionalità
e libertà, p.8)
Insomma, il ‘punto di vista’ di cui parla non può essere ‘qualcosa’ che
forma la realtà; esso deve lasciare lo scienziato libero di vedere come
stanno le cose. Quindi l’interpretazione corretta pare la prima: il ragno
non coglie alcuni aspetti della realtà e perciò gli sfuggono certe
somiglianze - lo stesso, evidentemente, potrebbe essere detto dell’uomo.
Capitolo 1
18
Insomma: in Popper la distinzione fra teoria e dati sembra mantenuta -
anche se ‘a sprazzi’: quando Popper parla della ‘macchina induttiva’,
afferma che siamo noi a decidere per lei quali oggetti debbano
considerarsi simili o uguali; la similitudine deve essere posta a priori. Se
questo vale anche per l’uomo, è ancora possibile distinguere fra teoria e
dati? -.
Ora, se avere un punto di vista è semplicemente cogliere alcuni aspetti
della realtà e non altri, non si vede in che modo possa essere identificato
col formulare delle ipotesi riguardanti il futuro e precedenti qualsiasi
osservazione.
Potremmo dire che avere un punto di vista è semplicemente un modo di
essere al mondo, che non ipotizza nulla prima di vedere almeno qualcosa
del mondo.
E’ vero che, come dice Popper, noi cerchiamo di imporre regolarità al
mondo - o, come preferirei dire, ipotizziamo che vi siano delle regolarità
nel mondo -; ma non è vero che l’ipotesi di regolarità - come ogni altra
ipotesi - precede qualsiasi osservazione.
In conclusione, Popper pare nutrire un certo attaccamento alla verità, -
non senza tentennamenti -, anche se la sua è una verità puramente
negativa: possiamo sapere soltanto come la realtà non è.
“La ragione - scrive - procede per prova ed errore. Noi
inventiamo miti e teorie, e li sottoponiamo a dure prove;
cerchiamo di vedere quanto lontano ci portano e, se
possiamo, li miglioriamo. La teoria migliore è quella che
ha il maggior potere di spiegazione: quella, cioè, che
spiega con maggior precisione e ci consente di fare
previsioni migliori. (...)
Non cerchiamo più di imporre alla natura le nostre
creazioni. Al contrario, come ci insegnò Kant, la
interroghiamo, e cerchiamo di provocare in essa risposte
Rappresentazionismi, materialismi e dualismi
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negative circa la verità delle teorie: non cerchiamo di
dimostrarle o di verificarle, ma le controlliamo, tentando
di invalidarle o di falsificarle, cioè di confutarle.
Per tal via, la libertà e l’audacia delle creazioni teoriche
possono essere controllate e mitigate mediante
l’autocritica ed i controlli più severi che possiamo
concepire. E’ a questo punto, attraverso i metodi critici
applicati nei controlli, che il rigore scientifico e la logica
entrano nel dominio della scienza empirica”. (Popper
1969, pp. 329-330)
1.2 THOMAS KUHN
1.2.1 Storia, psicologia e società
L’analisi della scienza fornita da Kuhn offre un quadro profondamente
relativistico, non senza qualche contraddizione.
Nell’introduzione a ‘La struttura delle rivoluzioni scientifiche’, Kuhn
scrive:
“L’osservazione e l’esperienza possono e debbono
limitare drasticamente l’ambito delle credenze
scientifiche ammissibili, altrimenti non vi sarebbe
scienza; ma non sono in grado, da sole, di determinare un
particolare insieme di tali credenze. Un elemento
arbitrario, composto di accidentalità storiche e personali,
è sempre presente, come elemento costitutivo, nelle
convinzioni manifestate da una data comunità scientifica
in un dato momento”. (Kuhn 1962, p. 23)
Ciò che è da approfondire, è quello che Kuhn intende con ‘elemento
arbitrario’, in che senso esso modifichi le convinzioni della comunità
scientifica, quale sia il rapporto fra le diverse convinzioni ed il mondo.