CAPITOLO I
L’evoluzione della disciplina sulle concentrazioni anteriore al
Regolamento 4064/89.
1.1 Il controllo delle concentrazioni nella politica antitrust comunitaria: cenni
introduttivi.
La facoltà di addivenire ad una concentrazione tra imprese rappresenta uno dei
fenomeni più importanti attraverso cui è possibile “riscontrare la piena esplicazione
dell‟autonomia dei privati” e della conseguente tensione tra tale autonomia,
“economicamente” orientata, ed i limiti ad essa applicabili in virtù di quanto disposto
dagli organi del potere pubblico, i quali sono giustificati da ragioni di ordine politico e
1
giuridico . Questa tensione non solo è fisiologica in un mercato economico degno di
tale nome, bensì risulta quanto meno auspicabile in considerazione delle criticità, che si
possono verificare al suo interno e che, se non altrimenti disciplinate, lascerebbero, alla
discrezionalità privata ed a leggi di mercato confuse e poco stringenti, l‟intera
organizzazione delle attività produttive. La constatazione di tali rapporti tra sfera
economica e sfera politica è ben presente nell‟evoluzione del sistema comunitario della
2
concorrenza, che sin dal Trattato di Roma del 1957 , istitutivo della CEE e
dell‟Euratom, ha posto grande attenzione sulla tutela di un mercato comune destinato ad
essere sempre più sviluppato, complesso, e tendente all‟efficienza. I “tre pilastri”
3
dell‟Unione, creati dal Trattato sull‟Unione Europea (TUE) , concluso a Maastricht nel
1992, stabiliscono inoltre una divisione dell‟ordinamento europeo in tre distinti ambiti,
quello delle Comunità Europee (CE), quello della Politica estera e di sicurezza comune
(PESC), ed infine quello dedicato alla Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia
penale (GAI).
1
TUFARELLI F., “L‟autonomia delle imprese e l‟attività di controllo da parte dei pubblici poteri:
evoluzione comunitaria e riflessi nazionali”, in Giur. merito 2009, 7-8, 2034.
2
Stipulato il 26 marzo 1957, ratificato con l. 14 ottobre 1957 n. 1203.
3
L‟idea dei tre pilastri è da attribuire alla proposta dell‟allora presidente di turno del Lussemburgo,
Jacques Santer, in sede di stipulazione del medesimo Trattato di Maastricht, e risulta una soluzione di
compromesso tra le differenti istanze portate avanti dagli Stati contraenti ai fini della riorganizzazione
della politica comunitaria.
5
La creazione del Pilastro comunitario di diretto e principale interesse ai fini del presente
elaborato, ha visto la confluenza nello stesso ambito rispettivamente del Trattato CEE
per l‟integrazione economica monetaria e sociale, del Trattato CECA per la regolazione
dei mercati del carbone e siderurgici (fino alla sua scadenza nel 2002), nonché del
Trattato EURATOM, relativo all‟energia atomica. Secondo autorevole dottrina, la
creazione della Comunità europea basata sulla libertà del mercato sembrava porre in
4
maggior rilievo le autonome scelte dei privati : in questo quadro storico, pare certo che
“oramai l‟intervento pubblico si è spostato per garantire al mercato correttezza ed
efficienza, non più per sostituirsi nel ruolo di guida del processo economico”. Di
conseguenza, la Comunità europea e gli Stati membri operano un controllo “a fini
sociali” dell‟economia di mercato per garantire una concorrenza che “funzioni come
stimolo per gli imprenditori per garantire alla collettività il più alto livello dei beni e la
5
più efficiente offerta dei servizi” ; e tale controllo si esplica attraverso un intervento
diretto “nelle ipotesi in cui l‟ordine naturale di alcuni mercati (e cioè il gioco della
concorrenza) è talmente imperfetto, se non assente, da richiedere che anche al
(dis)ordine naturale dei rapporti di scambio di beni e servizi si sostituisca, in tutto o in
6
parte, un ordine giuridico” .
Coerentemente con quanto appena esposto si può affermare che il Trattato di Roma
stipulato il 26 marzo 1957 rappresenta la più importante fonte dalla quale si può
ricavare in modo preciso il ruolo che la politica della concorrenza occupa nel processo
di integrazione comunitaria. Tale politica tende ad operare in un mercato a forte
ispirazione liberale: da ciò consegue che deve essere garantita (dal lato dell‟offerta di
prodotti e servizi) una concorrenza ad armi pari tra le attività svolte dalle diverse
imprese operanti nello stesso contesto economico; mentre dal punto di vista della
domanda, i consumatori devono essere liberi di scegliere i prodotti ed i servizi che più
soddisfano le proprie esigenze, al riparo da ingerenze esterne.
Secondo alcuni autori, all‟interno del Trattato “vi è la coesistenza di regole, sia a tutela
dell‟iniziativa economica dei soggetti privati e della loro autonomia contrattuale, sia di
regole antitrust volte ad evitare, attraverso limiti e correttivi, che non vi sia una
7
distorsione dei meccanismi competitivi all‟interno del mercato” . Risalta subito,
4
SCHLESINGER P., “L‟autonomia privata e i suoi limiti”, in Foro it., 1998, pp. 229 ss.
5
TUFARELLI F., op. cit.
6
POLICE A., Tutela della concorrenza e pubblici poteri, XIX ed., Giappichelli, Torino, 2007.
7
TUFARELLI F., op. cit.
6
analizzando i principi generali ivi contenuti, l‟attenzione dedicata al perfezionamento di
un mercato comune che si caratterizzi per uno “ sviluppo armonioso, bilanciato e
sostenibile delle proprie attività economiche”, nonché per un “alto grado di
competitività e convergenza” delle stesse (articolo 2 TCE). Anche da una prima lettura
dell‟articolo 3 TCE si ricava che, in esecuzione della previsione contenuta nell‟articolo
precedente, le attività della Comunità debbano garantire “un sistema che assicuri che la
concorrenza non sia distorta”, la c.d. “workable competition”,(articolo 3 lettera g TCE),
nonché l‟avvicinamento delle legislazioni nazionali in vista di un mercato comune
quanto più coordinato possibile (lettera h) ed il rafforzamento della concorrenza nel
sistema industriale europeo (lettera m).
Passando poi ad altre parti del Trattato, a differenza dei principi generali più specifiche
relativamente al regime antitrust, non si può non considerare la portata fondamentale
delle disposizioni rinvenibili negli articoli 81-82 e 86-89 TCE, rispettivamente dedicati
al regime della concorrenza applicabile alle imprese, quello applicabile alle imprese
pubbliche e quello relativo agli aiuti di stato, che si raccordano in maniera funzionale ai
principi stessi, con il chiaro obiettivo di “unificare i diversi mercati nazionali in un
8
mercato unico con caratteristiche analoghe a quelli dei paesi membri” .
In questa triplice direzione opera la Comunità: la prima, relativa alle imprese private, è
perseguita mirando ad evitare che esse, attraverso strategie concertate o concentrazioni
di potere economico e commerciale, riescano ad alterare il normale gioco
concorrenziale, a maggior ragione creando o rafforzando una posizione dominante nel
mercato comune; la seconda direzione, riguardante le imprese pubbliche o titolari di
diritti esclusivi o speciali in forza di un atto amministrativo, consiste nella previsione,
all‟articolo 86 TCE, del divieto per gli Stati membri di adottare misure contrarie alle
norme presenti nel Trattato, ed in particolar modo quelle relative alla politica della
concorrenza; infine, rivolgendosi agli Stati membri, la Comunità tende ad evitare un
coinvolgimento diretto degli stessi nelle vicende produttive delle imprese operanti sul
proprio territorio, le quali potrebbero trarre dalle politiche di intervento pubblico
(sottoforma di aiuti economici o attraverso l‟uso dello strumento fiscale) un indebito
beneficio, che le porrebbe in posizione privilegiata rispetto alle imprese estere, creando
quindi una situazione di concorrenza falsata.
8
TESAURO G., Diritto Comunitario, IV ed., Cedam, Padova, 2005.
7
Occorre comunque rilevare che restrizioni della concorrenza potranno essere giustificate
e tollerate in base all‟articolo 81 n. 3 del Trattato, ma solo nel caso in cui esse siano
finalizzate al raggiungimento di obiettivi parimenti importanti ai sensi del Trattato, che
le rendano idonee a contribuire allo sviluppo armonioso delle attività economiche
9
nell‟insieme della Comunità conformemente all‟articolo 2 del Trattato . Una disciplina,
quella della concorrenza, dunque indirizzata tanto alle imprese quanto agli Stati
membri, essendo questi ultimi tenuti a non mantenere e a non adottare misure legislative
o regolamentari suscettibili di eliminare l‟effetto utile delle norme sulla concorrenza
10
applicabili alle prime, in virtù del principio di leale cooperazione . Inoltre, con
11
l‟adozione del Regolamento 1/2003 una parte rilevante del sistema di attribuzione
della competenza in materia antitrust è stato modificato, essendo adesso attribuito non
più esclusivamente alla Commissione ma anche agli Stati membri, il potere di applicare
l‟articolo 81 n.3 (per l‟applicazione di tale previsione, in presenza delle relative
condizioni, non sarà necessaria un‟autorizzazione preventiva, essendo in tali casi le
intese valide ab initio).
Il fenomeno delle concentrazioni, in questo sistema, ha assunto rilevanza sempre
maggiore in funzione della progressiva realizzazione del mercato comune, proprio
perché un‟impresa può accrescere la propria presenza nel mercato in due modi: o
aumentando la produzione dei beni e la prestazione dei servizi oppure unendo le forze
con altre imprese, ovvero concentrandosi.
12
Secondo autorevole dottrina una concentrazione si realizza quando un‟impresa si fonde
con un‟altra o ne acquisisce il controllo, esercitando su di essa un‟influenza
determinante oppure quando due o più imprese mettono insieme le rispettive attività per
creare un‟impresa comune, da esse controllata. Tale fenomeno potrebbe definirsi come
neutro, sincera espressione dell‟autonomia dei privati nella scelta del tipo di apparato
produttivo da predisporre per far fronte alle proprie esigenze imprenditoriali, se non
fosse che esso può destare “preoccupazioni per il funzionamento del mercato e per il
suo assetto competitivo”, laddove un‟impresa, concentrandosi con altri operatori in
precedenza indipendenti, acquisti un “significativo potere di mercato che le consenta, da
sola o congiuntamente con altre di “ridurre in modo sostanziale e durevole la
9
Si veda, ad esempio: Wilhelm, causa 14/68, sentenza 13 febbraio 1969.
10
Sancito dall‟articolo 10 del Trattato.
11
Art. 5 regolamento n.1/2003 del consiglio, del 16 dicembre 2002, in GUCE L 1/1 del 4 gennaio 2003.
12
TESAURO, op.cit.
8
concorrenza, in particolare accrescendo la propria capacità di aumentare i prezzi e di
13
praticare condizioni svantaggiose per i consumatori” .
Il tema delle concentrazioni tra imprese appartiene quindi a quella branca del diritto
comunitario rivolta alla salvaguardia del sistema concorrenziale all‟interno del mercato
unico europeo, un mercato che si trova, come si è visto, in continua evoluzione tanto a
livello economico quanto a livello organizzativo, un‟evoluzione che riflette gli
andamenti politici comunitari e risente delle costanti influenze che arrivano dall‟arena
delle attività produttive nazionali e comunitarie. Il diritto della concorrenza appare
quindi il genere, nel quale è andato formandosi in maniera sempre più consistente la
species, ovvero la tematica delle attività di trasformazione industriale, che ricadono
nella disciplina proprio in quanto suscettibili di alterare il delicato equilibrio tra le
imprese all‟interno del mercato, fonte diretta di crescita per l‟economia europea e di
benessere per i cittadini della Comunità.
Tale equilibrio, insieme allo sviluppo sociale, è l‟ obiettivo che si vuole raggiungere con
sempre maggiore incisività sia a livello comunitario, attraverso un‟armonizzazione
normativa e amministrativa, sia a livello mondiale, attraverso accordi di cooperazione
internazionale. Da ciò deriva la necessità di affrontare le problematiche che le
concentrazioni possono sollevare, tenuto conto della tendenza sempre maggiore che si
registra tra le imprese a trasformare la propria struttura nel mercato per fronteggiare le
sfide che l‟economia globalizzata comporta, nonché dell‟impatto che tali procedure
possono avere in un mercato, quello europeo, che fa della “workable competition” un
caposaldo della propria efficienza e stabilità.
Il presente elaborato cercherà di tracciare le linee evolutive di quel lungo e travagliato
processo che ha portato nel tempo ad un‟analisi delle concentrazioni, dapprima come
elemento volutamente “secondario” ed inespresso della disciplina della concorrenza
contenuta negli articoli 81 e seguenti del Trattato CE, in seguito come snodo sempre più
centrale ed indipendente della stessa. Successivamente infatti verrà messo a fuoco
l‟innovativo sistema introdotto dal Regolamento N. 4064/1989 ( Merger Regulation ), la
prima fonte espressamente dedicata al tema delle concentrazioni, valutando criticamente
la disciplina nel suo insieme alla luce dell‟impatto che la stessa ha determinato sulla
successiva opera di riforma. In seguito ci si soffermerà sulla nuova disciplina delle
13
Ibidem.
9
concentrazioni disposta dal Regolamento N. 139/ 2004, che sostituisce il precedente
modificandolo in più parti, pur mantenendone al contempo la medesima struttura. Di
tale Regolamento si traccerà una panoramica generale, concentrandosi però sulle
tematiche che ancora risultano oggetto di critiche e proposte di riforma sia da parte della
Commissione (e delle Autorità Garanti della concorrenza presenti nei vari Stati membri
in virtù del ben noto principio di sussidiarietà), sia da parte delle imprese che, nel
sistema delle concorrenza comunitaria operano in prima persona e ricoprono quindi un
ruolo decisivo.
1.2 Il Trattato CECA e le concentrazioni tra imprese: le prime forme di controllo in
ambito europeo.
Usualmente si fa risalire la prima traccia del concetto di concentrazione di imprese al
1951, quando durante la redazione del Trattato di Parigi, istitutivo della Comunità
14
Europea del Carbone e dell‟Acciaio (CECA) , si decise di inserire all‟articolo 66 una
disposizione allora innovativa nel formando ordinamento comunitario e che, malgrado
la scadenza del Trattato CECA il 23 luglio 2002, ha continuato ad avere una certa
influenza sul tema, quantomeno per l‟attenzione dimostrata dalla Comunità nei riguardi
delle operazioni di fusione o acquisizione di imprese.
L‟art. 66 CECA subordinava ad un‟autorizzazione preventiva l‟efficacia di operazioni
che avessero, come effetto diretto o indiretto, quello di attuare “concentrazioni idonee a
produrre effetti restrittivi della concorrenza all‟interno del mercato comune, poste in
essere tra imprese di cui almeno una localizzata all‟interno del mercato comune”.
Questa norma pareva ispirarsi liberamente al sistema vigente negli Stati Uniti, dove nel
1890 era stato adottato il cosiddetto Sherman Act. Esso prevedeva infatti una disciplina
14
Il trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell'acciaio viene infine firmato a Parigi il
18 aprile 1951 ed entra in vigore il 24 luglio 1952, con una durata limitata a 50 anni. Il trattato CECA è
giunto a scadenza il 23 luglio 2002. Il mercato comune previsto dal trattato viene inaugurato il 10
febbraio 1953 per il carbone, il minerale di ferro e i rottami di ferro e il 1° maggio 1953 per l'acciaio.
10
applicabile ad ogni fattispecie restrittiva della concorrenza, indipendentemente dalla
sua natura, e la cui ratio consisteva nel proteggere il commercio statunitense da
illegittime restrizioni della concorrenza.
Da considerare che, negli USA, l‟esigenza di regolare i fenomeni concentrativi fu
avvertita a breve distanza dallo Sherman Act, nel 1914, quando, insieme al Federal
Trade Commission Act (istitutivo di un‟apposita autorità con competenze specifiche in
ambito antitrust) fu emanato il Clayton Act, contenente un‟apposita sezione dedicata
alle fusioni e concentrazioni societarie. Quest‟ ultimo, in seguito alla constatazione della
lacunosità della disciplina, fu emendato e rafforzato in più punti nel 1950, attraverso il
Celler-Kefauver (Anti-merger Amendment) Act; nel 1968 inoltre sono state emanate le
Merger Guidelines consistenti nella raccolta di criteri adottati dalle amministrazioni
15
interessate per la valutazione delle operazioni di concentrazione nonché, nella
disciplina antitrust generale, successivamente è intervenuto l‟ Hart- Scott- Rodino
Antitrust Improvements Act del 1976, il quale fissa per le imprese la regola della “pre-
merger notification”, consistente nell‟obbligo di notifica preventiva alla Federal Trade
Commission ed alla Divisione Antitrust del Department of Justice, nel caso in cui le
imprese lancino un‟offerta pubblica di acquisto o diano vita ad una concentrazione ed il
valore economico dell‟operazione (così come il fatturato delle parti) ricada all‟interno di
soglie predeterminate.
Senza addentrarsi nell‟analisi storica del sistema antitrust americano fino ad oggi,
bisogna comunque evidenziare le diverse caratteristiche di quel mercato rispetto al
mercato europeo dell‟epoca: infatti il punto di riferimento della disciplina
nordamericana della concorrenza è costituito da un mercato rilevante comunque
sottoposto ad un‟autorità unica di governo; nell‟allora costituenda Comunità europea
invece a tale unitarietà si contrapponeva una rete di mercati nazionali, che vivevano
sotto la regolamentazioni di differenti autorità nazionali. In virtù di tali presupposti
nell‟attività di controllo statunitense era riscontrabile una tendenza al bilanciamento tra
“la tutela della concorrenza tra imprese competitive sul mercato con i principi di equità
15
Esse inoltre hanno introdotto strumenti mirati ad identificare il grado di concentrazione oltre il quale
diventa probabile il rischio di collusione tra concorrenti residui. Il più importante di tali strumenti è
l‟indice di Hirshman-Herfindhal che permette, mediante una struttura matematica, di determinare
l‟impatto della concentrazione sul mercato e valutarlo sulla base di una scala di valori che indirizzano
l‟intervento pubblico; si veda sul punto BERNINI G., Un secolo di filosofia antitrust, Clueb editore,
Bologna, 1991.
11
16
distributiva posti nell‟interesse pubblico” mentre, sul versante europeo, si tentava di
superare le iniziali condizioni protezionistiche con il chiaro obiettivo, avvertito come
vera e propria necessità politica, di abbattere le barriere doganali. La necessità di
regolare la libertà di concorrenza in Europa viene quindi in evidenza come conseguenza
17
dell‟intento politico di unificare il mercato . Come evidenziato dalla dottrina, limite
endogeno del Trattato di Parigi è quello di essere riferito ad un contesto doppiamente
18
delimitato : primo, a livello geografico, perché il Trattato CECA era ovviamente
applicabile territorialmente ai soli paesi firmatari; secondo, a livello settoriale, perché
esso si riferiva a mercati merceologicamente definiti, ovvero quelli del carbone e
dell‟acciaio. L‟articolo 66 prevedeva infatti che la concentrazione avrebbe dovuto
riguardare imprese che svolgevano “attività di produzione o di distribuzione nel settore
del carbone e dell‟acciaio all‟interno del mercato comune”. Si trattava dunque di
mercati predisposti ad un forte grado di concentrazione e considerati, già prima degli
anni ‟50, come degli esempi di mercato oligopolistico, caratterizzato dalla forza
economica schiacciante di due o più imprese rispetto alle restanti concorrenti.
Conseguentemente la previsione contenuta all‟articolo 66 risultava affetta da evidenti
limiti applicativi, non potendo cioè essere riferita a mercati diversi da quelli oggetto di
normazione. Inoltre il meccanismo introdotto dall‟articolo 66 si azionava
indipendentemente dal pregiudizio agli scambi e non prevedeva la competenza delle
autorità nazionali, risultando invece irrimediabilmente sottoposto al controllo della
Commissione. Si preferì allora, in assenza di determinazioni legislative in tal proposito,
optare per una valutazione del fenomeno delle concentrazioni alla luce degli articoli 81
ed 82 del Trattato CE (i quali, in base ad una differente numerazione precedente al
trattato di Maastricht, erano gli articoli 85 e 86) , rispettivamente dedicati al divieto di
intese restrittive della concorrenza ed all‟abuso di posizione dominante.
Segue)Gli articoli 81 e 82 del Trattato, momenti fondamentali della “european
antimerger policy”
16
SCAGLIONE M. – CARUSO B.,”Considerazioni sulla recente disciplina delle concentrazioni e
dell‟abuso di posizione dominante delle imprese, con riferimento anche al settore pubblico”, in rivista it.
dir. pubb. comunit. 2002,04,739
17
Su tale evoluzione comparatistica e sui temi economici ad essa inerenti si rimanda a: BIANCHI P. –
GUALTIERI G. (a cura di), “Concorrenza e controllo delle concentrazioni in Europa”, Il Mulino,
Bologna, 1993.
18
TUFARELLI F., op.cit.
12
Gli articoli 81 e 82 TCE costituiscono il central core della disciplina della concorrenza
applicabile alle imprese, è quindi necessaria una breve introduzione al contenuto di tali
disposizioni.
a) L‟articolo 81 sancisce il divieto, e quindi “l‟incompatibilità col mercato
comune”, di accordi tra imprese, decisioni di associazioni tra imprese e pratiche
concordate, che abbiano come oggetto, o prevedano come effetto diretto o
indiretto, l‟alterazione della concorrenza all‟interno del mercato comune. In sede
di individuazione delle condotte vietate, sarà quindi necessario riscontrare caso
per caso la presenza di un‟intesa, sia in senso orizzontale che verticale. L‟intesa
in senso orizzontale è quella che si instaura tra imprese operanti allo stesso
stadio del processo economico, commerciale o industriale; quella in senso
verticale si manifesta tra imprese operanti in ambiti distinti. Come accennato,
l‟intesa può consistere in un accordo, la cui nozione sembra essere utilizzata in
modo abbastanza ampio, lasciando più spazio alla sostanza che alla forma, e che
può consistere quindi tanto in un contratto scritto e giuridicamente valido quanto
in un “gentlemen’s agreement” o in un accordo verbale; in una decisione di
associazioni di imprese, la quale può essere anche non vincolanti ed espressa
sottoforma di mere raccomandazioni da parte di un‟associazione di categoria; in
una pratica concordata, espressa tanto in un accordo formale quanto in un
comportamento concludente, che comunque implichi “un certo grado di
concertazione tra le imprese coinvolte, un comportamento successivo ad essa ed
un nesso causale tra questi due elementi”, come ha precisato la Corte di
19
giustizia . Questa tipologia di concertazione potrà essere considerata, in sede di
controllo, tanto come un‟intesa unica costituente una singola violazione
all‟articolo 81, quanto molteplici e distinte forme di intesa da valutare come
autonome ipotesi di violazione.
Dopo l‟individuazione dell‟elemento concertativo, si dovrà analizzare la sussistenza di
un certo grado di autonomia operativa delle imprese, le quali devono aver avuto la
possibilità di determinare i propri comportamenti nel mercato in modo libero: ne
19
Vedi Commissione c. ANIC, causa C-49/92P, sentenza 8 luglio 1999. A proposito del concetto di
intesa rilevante ai fini antitrust, la medesima giurisprudenza ha chiarito essere una nozione ampia, basata
sul dato sostanziale della concertazione tra soggetti che rimangono comunque entità indipendenti.
13
consegue che non saranno considerate come intese rilevanti ai fini antitrust quelle che
non trovano origine nella scelta del privato ma che invece sono dovute a precise scelte
normative da parte delle autorità nazionali, le quali abbiano di per sé creato o rafforzato
un contesto produttivo in cui è esclusa ogni possibilità di una workable competition, e
20
che perciò rendono l‟articolo 81 inapplicabile al caso concreto .
Successivamente sarà opportuno procedere alla ricerca dei due elementi che rendono
tali intese suscettibili di essere dichiarate incompatibili col mercato comune: si tratta
innanzitutto del pregiudizio al commercio tra Stati membri, ovvero, come ha chiarito la
21
Corte in alcune pronunce , la possibilità che l‟intesa sfoci in “un‟ influenza diretta o
indiretta, attuale o potenziale, sulle correnti di scambio tra stati membri in una misura
tale da poter nuocere alla realizzazione degli obiettivi di un mercato unico”. Per rilevare
ai sensi della disciplina antitrust tale pregiudizio dovrà quindi avere una certa
consistenza, ma potrà essere tanto attuale e percepibile ad una prima analisi, quanto
potenziale (ovvero non ancora verificatosi ma suscettibile di verificarsi). Inoltre i suoi
22
effetti sugli scambi potranno essere diretti o anche indiretti . Risalta in questa sede la
differenza tra codesta normativa e quella contenuta nel Trattato CECA ed analizzata
precedentemente (paragrafo 2): essendo a quest‟ultima completamente estraneo il
concetto di pregiudizio agli scambi, conseguenza ne è che le regole anticoncorrenziali si
applicavano indipendentemente da tale pregiudizio, per cui non restava alcuno spazio
per la competenza delle autorità nazionali in merito all‟applicazione della normativa
23
comunitaria, riservata esclusivamente alla Commissione .
La seconda condizione che dovrà essere verificata ai fini dell‟applicazione dell‟articolo
81 TCE riguarda la portata invasiva di tale pregiudizio sul mercato europeo in termini di
alterazione dell‟assetto competitivo previsto per lo stesso. La verifica si svolgerà in due
fasi distinte ma funzionalmente collegate. Dapprima si procede ad un‟analisi
dell‟anticompetitività insita nell‟oggetto stesso dell‟intesa, ovvero delle finalità che le
20
Così nei casi Ferriere nord c. Commissione causa C- 219/95 sentenza 17 luglio 1997, racc. p I- 4411;
Irish sugar, causa T-228/97, sentenza 7 ottobre 1999, racc. II- 2969, punto 130.
21
Tra tutte, si richiama il caso Consten e Grundig, cause 56 e 58/64, sentenza 13 luglio 1966, racc. p 299
sp.341.
22
Nel senso del pregiudizio indiretto al commercio, conseguente ad un‟intesa sanzionabile, militano
alcune importanti pronunce quali: United Brands, causa 27/76 sentenza 14 febbraio 1978, Racc. p. 207
punti 197- 203; Bagnasco, cause C-215 e 216/96, sentenza 21 gennaio 1999, Racc. p. I- 135, punti 49- 52.
23
A tale proposito si segnala, in occasione della scadenza del Trattato CECA nel 2002, la pubblicazione
da parte della Commissione di una Comunicazione mirante a regolare alcuni aspetti del trattamento dei
casi in materia di concorrenza a seguito della scadenza del Trattato in esame; al punto 6 detta
Comunicazione delega alle autorità nazionali l‟applicazione dell‟articolo 81 TCE nei casi in cui le intese
seppur vietate non incidano sugli scambi a livello comunitario.
14
parti intendono perseguire, nel contesto in cui operano, tramite accordo, decisione di
associazione e pratica concordata. Ove non si riesca a rintracciare un intento
anticoncorrenziale nell‟oggetto, si affronterà una valutazione degli effetti sulla
concorrenza che l‟intesa è concretamente idonea a produrre, ed in particolare sarà
considerata incompatibile qualora essa sia suscettibile di alterare, in modo sensibile il
24
gioco della competizione tra le imprese concorrenti . In questo modo è andato
configurandosi in ambito europeo (con il fondamentale ausilio apportato dapprima dal
Regolamento di applicazione N. 17/1962 e successive modifiche, attualmente dal più
recente Regolamento N. 1/2003) un sistema molto articolato di controllo sulle intese
concluse dalle realtà produttive europee, che ha portato alla definizione da un lato di
ipotesi in cui tali intese risultano vietate in quanto incompatibili con un mercato che
aspira ad essere perfettamente concorrenziale e dall‟altro di ipotesi per cui, risultando il
momento concertativo poco incidente sul mercato o comunque “esentato” dal divieto
(singolarmente o perché appartenente a casi specifici di accordi consentiti) in base
25
all‟articolo 81 n. 3 , le intese appaiono compatibili col mercato unico europeo e con i
principi previsti per la regolazione dell‟assetto concorrenziale dello stesso.
b) L‟articolo 82 CE prevede l‟incompatibilità con il mercato unico, intesa come
divieto espresso per le imprese, dello sfruttamento abusivo di una posizione
dominante su una parte sostanziale del mercato, o sulla sua interezza. La nozione
di posizione dominante si riferisce ad una collocazione nel mercato che consente
all‟impresa che detiene tale posizione di operare a proprio piacimento nella
scelta delle strategie da seguire, in condizioni di relativa indipendenza rispetto ai
concorrenti, così come ai clienti dell‟impresa stessa nonché ai consumatori del
prodotto (o fruitori del servizio) finali; l‟impresa in posizione dominante agisce
autonomamente, e dalle regole di concorrenza riesce anche a prescindere qualora
24
In caso contrario l‟intesa non ricadrà nell‟ambito dell‟articolo 81 perché poco rilevante la posizione sul
mercato dei partecipanti. si tratta della regola de minimis, che (in seguito alla Comunicazione della
Commissione sulle soglie sensibili per l‟applicabilità dell‟articolo 81 par 1, pubblicata in GUCE C 368
del 22 dicembre 2001) consiste anche di specifiche soglie di fatturato che la Commissione utilizza al fine
di determinare le potenzialità competitive delle imprese stesse. La stessa Comunicazione, quasi a
bilanciare la regola de minimis, prevede la non applicabilità della regola appena accennata (anche se le
soglie di fatturato ivi previste non vengono raggiunte) nei casi di restrizioni gravi (hardcore) alla
concorrenza derivanti da intese che abbiano ad oggetto (o esplichino i propri effetti su) la fissazione dei
prezzi, la limitazione della produzione e delle vendite nonché la ripartizione del mercato o della clientela.
25
sul regime delle esenzioni individuali e per categoria si rinvia alle opere di TESAURO, Diritto
comunitario, op. cit.; VAN BAEL I. – BELLIS J. F. (a cura di), Il diritto comunitario della concorrenza :
con analisi della disciplina del procedimento antitrust in Italia, II ed., Giappichelli, Torino, 2009, pp.
785-786; WHISH R., Competition law, V ed., London, Lexis Nexis, 2003, pag. 989.
15
il potere che detiene sul mercato le consenta di non subire in alcun caso un
pregiudizio.
La posizione di dominio di un‟impresa sul mercato non è in se stessa incompatibile con
la disciplina comunitaria della concorrenza. Al contrario, come rileva dalla medesima
disposizione e come sottolineato dalla dottrina, “non è vietato detenere una posizione
26
dominante, ma abusarne tanto da alterare le condizioni normali della concorrenza” ; va
pertanto tenuta distinta tale situazione da quella che si registra nel caso di monopolio,
dove la concorrenza è completamente assente, nonché dall‟oligopolio, dove i
comportamenti delle imprese nel mercato sono influenzati in modo reciproco,
mancando nel primo caso un mercato, (seppur in minima misura) concorrenziale,
mentre nel secondo esiste una relazione tra le politiche delle imprese concorrenti,
relazione della quale l‟impresa dominate può fare volentieri a meno.
La posizione dominante non sarà quindi censurabile, ma i comportamenti posti in essere
da una impresa con tali caratteristiche verranno vagliati dalle autorità antitrust in modo
del tutto differente rispetto agli stessi comportamenti posti in essere da un‟impresa che
27
non goda di una peculiare potenza economica . A differenza di quanto accade per la
fattispecie contenuta nell‟articolo 81 TCE, in forza della quale le imprese non saranno
responsabili delle intese comunque favorite da un contesto normativo nazionale poco
attento alla politica della concorrenza, in questo caso l‟abuso di posizione dominante
sarà comunque perseguito e sanzionato a norma dell‟articolo 82 TCE, a prescindere cioè
dall‟operare di scelte di politica economica nazionale che abbiano predisposto un
sistema, normativo e di agevolazione fiscale per le imprese, che possa provocare un
28
ridimensionamento della concorrenza nel mercato rilevante .
Quello di “mercato rilevante” ai fini dell‟analisi antitrust è un concetto molto utile per
misurare la reale potenza dell‟impresa in un contesto il quanto più definito possibile, ed
è strutturabile su almeno due livelli distinti. Il primo livello è quello geografico,
costituito dall‟area in cui l‟impresa interessata fornisce o acquisisce prodotti (o servizi)
ed in cui le condizioni di concorrenza risultano omogenee, creando così una separazione
26
TESAURO G., op. cit.
27
Per approfondimenti si vedano: Michelin, causa 322/81, sentenza 9 novembre 1983 racc. p.3461, punto
57; Irish sugar, causa T-228 /97, sentenza 7 ottobre 1999, racc. p. II-2969, unto 112; ITT Promedia, causa
T-111/96, sentenza 17 luglio 1998, racc. p. II-2937, punto139.
28
Questa circostanza è stata più volte confermata dalla giurisprudenza, per esempio nei casi Deutsche
post, cause C- 147 e 148/97, sentenza 10 febbraio 2000, racc p I-825, punto 38; oppure Aèroports de
Paris, causa T-128/98, sentenza 12 dicembre 2000 racc. p II 3929, punto 148.
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di fatto tra tale area ed i mercati ad essa contigui, come precisa il punto 8 della
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Comunicazione sul concetto di mercato rilevante . Secondo la stessa Comunicazione
lo sfruttamento abusivo della posizione dominante deve ripercuotersi sul sistema del
commercio relativo al mercato unico o almeno su una parte sostanziale di esso,
intendendo in via di principio come parte “sostanziale” del mercato comunitario un
intero mercato nazionale; è comunque degno di considerazione il fatto che una
giurisprudenza costante ha chiarito come contesti più circoscritti possono essere
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considerati parimenti mercati “rilevanti” . Il secondo livello di analisi è quello relativo
al mercato rilevante dal punto di vista del prodotto, il quale viene invece ricostruito
dall‟individuazione del mercato dei prodotti e dei servizi che, in seguito ad un‟analisi
economica, risulteranno fungibili e sostituibili (dal lato tanto della domanda quanto
dell‟offerta, con prevalenza in tale analisi per il criterio della sostituibilità dal lato della
domanda) per via delle caratteristiche degli stessi o in base ai relativi prezzi o ancora
all‟uso che ne fanno i consumatori finali. Occorrerà fare pertanto riferimento “non solo
al mercato del prodotto in discussione, ma altresì al mercato dei prodotti equivalenti,
tenendo conto delle rispettive proprietà, dei prezzi, dell‟utilizzazione nonché delle
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tendenze dei consumatori” . Nella causa Hoffmann – La Roche è stato evidenziato
come sia importante, ai fini dell‟individuazione di una posizione dominante, l‟esame
delle quote di mercato detenute da un‟impresa, così come il rapporto tra queste e le
quote di mercato detenute dalle imprese concorrenti nello stesso contesto geografico o
merceologico ed altri indici di dominanza quali il vantaggio tecnologico, l‟efficienza
della rete distributiva e l‟assenza di concorrenza potenziale. Altro importante strumento
di approfondimento per la determinazione della potenza economica di un‟impresa sul
mercato sarà costituito dall‟individuazione della presenza di barriere all‟entrata,
strumentali all‟acquisizione ed al consolidamento del dominio sul mercato e che
possono derivare tanto da vincoli legali o amministrativi quanto da elementi
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completamente diversi come i costi di entrata nel mercato per un‟impresa concorrente .
29
Pubblicata in GUCE C 372 del 9 dicembre 1997.
30
Come nel caso del porto di Genova, nella causa Merci convenzionali Porto di Genova, C-170/90,
sentenza 10 dicembre 1991, Racc p I 5889, punto 15.
31
Così chiarisce ad esempio TESAURO G., op. cit.
32
Causa 85/76, sentenza 13 febbraio 1979, racc. p 461, punti 39 e seguenti.
33
Così in United Brands, causa 27/76, sentenza 14 febbraio 1978, racc p 207, punti 34-35.
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Il comportamento vietato dall‟articolo 82 TCE consisterà, come detto, in un abuso della
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posizione privilegiata che l‟impresa possegga nel mercato ; l‟abuso di cui trattasi potrà
distintamente (ma anche congiuntamente) rappresentarsi sottoforma di pratiche
escludenti, miranti cioè a marginalizzare la posizione delle concorrenti fino ad
escluderle dall‟arena degli scambi comunitari; ovvero sottoforma di pratiche di
sfruttamento, le quali pur non sfociando in comportamenti che ledano le imprese
concorrenti, arrivano a ripercuotersi direttamente sui consumatori e sulle scelte di
questi. Ad abusare di una posizione dominante potrà essere una singola impresa
“campione” oppure una pluralità di imprese dotate di quote di mercato rilevanti, ed in
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quest‟ultimo caso si sostanzierà un‟ipotesi di posizione dominante collettiva . Questa
costituisce un‟ entità dalle sfumature instabili, caratterizzata comunque dalla presenza
di più imprese che restano indipendenti, ma che sono accomunate da un disegno
imprenditoriale coordinato e diretto alla massimizzazione del loro profitto, senza però
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rinunciare ad ogni forma di concorrenza tra loro .
Per concludere questo breve excursus, si rileva che le violazioni degli articoli 81 n1 e
82 del Trattato CE, in quanto pregiudicano gli obiettivi posti dallo stesso e contenuti
nell‟articolo 3 lettera g), sono sanzionate in modo rigoroso, e permettono inoltre una
possibile applicazione cumulativa delle due norme. Gli articoli 81 e 82, per quanto
collegati e suscettibili di applicazione cumulativa, regolano fattispecie differenti tra loro
sia in base ai presupposti di applicazione sia relativamente alla loro disciplina: ad
esempio, le pratiche di sfruttamento di una posizione dominante non saranno
assoggettabili ad esenzioni né individuali né per categoria, essendo vietati tout court,
proprio perché la restrizione della concorrenza in questi casi risulta essere implicita
nell‟abuso stesso. Inoltre, mentre la nullità per le intese vietate è rinvenibile dal tenore
letterale della disposizione (articolo 81 n.2 TCE), l‟articolo 82 TCE non prevede nulla a
riguardo. Questa mancata tipizzazione della nullità non deve trarre in inganno, proprio
perché “pare ragionevole far conseguire all‟accertamento dell‟abuso ogni conseguenza
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Anche se va precisato che la giurisprudenza della causa Tetrapak, causa C-333/94 P, sentenza 14
novembre 1996, racc. p. 5951 punto 27 e seguenti, ha precisato che la censura antitrust arriverà a coprire
anche effetti anticoncorrenziali che si verifichino al di fuori del mercato “dominato”.
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Importante a tal proposito è la causa Gencor c. Commissione, T- 102/96, sentenza 25 marzo 1999, racc.
p II-753, punti 273-284, relativa ad una concentrazione tra imprese, la quale chiarisce come i legami
strutturali tra le imprese non siano un requisito essenziale della dominanza collettiva e precisa che
parimenti essenziali possono rivelarsi anche quei rapporti non strutturali quali la “semplice
interdipendenza economica tipica di un oligopolio ristretto”.
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Vedi il caso Atlantic Container, cause T-191/198 e da T- 242/98 a T- 214/98, sentenza 30 settembre
2003, racc. p. II- 1577, punto 114).
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