Introduzione
4
II NN TT RR OO DD UU ZZ II OO NN EE
““ LL aa ff ii ll oo ss oo ff ii aa nn oo nn èè ll aa cc oo ss tt rr uu zz ii oo nn ee dd ii uu nn ss ii ss tt ee mm aa , , mm aa ll aa ff ee rr mm aa
dd ee cc ii ss ii oo nn ee dd ii gg uu aa rr dd aa rr ee ii nn gg ee nn uu aa mm ee nn tt ee ii nn ss éé ee ii nn tt oo rr nn oo aa ss éé ”” . .
HH ee nn rr ii BB ee rr gg ss oo nn
Nella citazione bergsoniana riportata in epigrafe s alta agli occhi
l’espressione: “ la filosofia non è la costruzione di un sistema ”. Essa che
chiarisce immediatamente che la filosofia non è né una teoria né
un’astrazione, bensì piuttosto una “ decisione ”, un comportamento, un modo
di vedere il mondo e “ di guardare ingenuamente in sé e intorno a sé ”.
L’avverbio “ ingenuamente ” sta a indicare che la percezione della realtà pa ssa
necessariamente attraverso lo sforzo di guardare le cose senza pregiudizi o
condizionamenti. Non è un caso, in questo senso, ch e Bergson per definire la
percezione filosofica scelga come esempio la percez ione estetica; l’artista, per
cogliere l’essenza di ciò che vuol rappresentare, d eve necessariamente
affrancarsi dall’artificiale, dall’abituale e dal c ostruito per tornare a una
percezione elementare, scevra da ogni preconcetto. Questo sforzo, che
appartiene tanto all’artista quanto al filosofo, è da considerare un esercizio
spirituale volto appunto a trasformare la percezione del mondo.
È da queste conclusioni che un giovanissimo Pierre Hadot, nel 1939 – anno
della sua dissertazione di maturità – intraprese il suo viaggio nella storia
della filosofia antica, per diventarne uno dei mass imi specialisti
contemporanei.
Dal 1946 al 1968 Hadot si dedicò totalmente alla fi lologia traducendo testi di
filosofi antichi, fra i quali Marco Aurelio, Mario Vittorino, Porfirio e
Introduzione
5
Sant’Ambrogio. Stando a quanto egli stesso racconta , in questo ventennio di
studi Hadot rimase molto colpito dal fatto che molt i storici moderni
ritenessero di poter rilevare incoerenze e contradd izioni nelle opere
dell’antichità. Proprio questo spinse Hadot ad appr ofondire l’intuizione,
avuta, come detto, nel ’39, della differenza fra f ilosofia antica e moderna –
una differenza anzitutto di funzione sociale. Avval endosi di indagini storiche
e filologiche, Hadot concluse che nell’antichità la filosofia non era una pura
teoria, ma un modo concreto di vivere, avendo compr eso che i testi filosofici
antichi erano da interpretarsi anzitutto come “scri tti di circostanza” 1
strettamente legati all’insegnamento, all’oralità e ai bisogni concreti di chi
doveva fruirne. Il maestro che scriveva o di cui er ano scritte le parole, infatti,
conosceva i suoi destinatari e ciò di cui essi eran o a conoscenza; conosceva la
loro condizione morale e i problemi che li affligge vano; parlava per i propri
discepoli, in funzione della loro situazione particolare.
Alla luce di tale consapevolezza, Hadot comprese ch e era inutile continuare a
cercare nelle opere dei filosofi antichi un preciso contenuto concettuale
valido universalmente; bisognava valutarle per ciò che erano in realtà:
appunto esercizi spirituali destinati a formare gli animi piuttosto che
informarli – per riprendere l’eccellente espression e di V.Goldschmidt. A dare
origine alle ricerche hadotiane non fu, dunque, un quesito filosofico ma un
problema anzitutto letterario; per fare un buon lav oro storico e filologico era
necessario tradurre le opere classiche consapevoli sia del loro intento
originario, sia del fatto che persino le frasi, nel tempo, assumono significati
diversi. E infatti anche le idee subiscono un’evolu zione attraverso i secoli, e il
valore delle parole muta a seconda delle circostanz e spazio-temporali in cui
sono scritte o pronunciate.
1
P.Hadot, La filosofia come modo di vivere. Conversazioni con J.Carlier e A.I.Davidson , Einaudi,
Torino 2008, p. 75.
Introduzione
6
Queste conclusioni di Hadot debbono molto alla lett ura delle Ricerche
filosofiche di Wittgenstein, avvenuta nel 1959. In quest’opera, infatti, il
filosofo austriaco introduceva notoriamente la nozi one di gioco linguistico
intendendo con questo nome il contesto concreto in cui una frase è
pronunciata, cioè la situazione reale che dà alle p arole un senso preciso.
Wittgenstein affermava in tal modo che le espressio ni linguistiche non hanno
un significato assoluto e immutabile; e con ciò anc he che, quando si è in
presenza di un testo, bisogna valutarne la collocaz ione sociale, storica e
tradizionale per poterlo interpretare correttamente . L’idea wittgensteiniana
dei giochi linguistici , come detto, colpirono moltissimo Hadot che, appun to,
ricorda:
È a proposito di questa nozione che ho avuto per la
prima volta l’idea che la filosofia fosse anche ese rcizio
spirituale perché, in fondo, l’esercizio spirituale è molto
spesso un gioco linguistico: si tratta di dire una frase per
provocare un effetto, sia negli altri sia in se ste ssi,
dunque in certe circostanze e con un certo scopo.
D’altronde Wittgenstein usava, nello stesso contest o,
l’espressione “forma di vita”. Anche questo mi ha i spirato
per comprendere la filosofia come forma di vita o m odo
di vita.
2
*
La prima parte di questo lavoro, dopo aver specific ato come e quando
iniziano le indagini di Pierre Hadot sul mondo anti co (capitolo I), si propone
di illustrare molto brevemente che cosa significass e secondo Hadot fare
filosofia nelle maggiori scuole ellenistiche (capit olo II). Nell’antichità l’atto
filosofico non si situava solo nell’ordine della co noscenza ma, soprattutto,
nell’ordine del Sé; era un progresso che faceva ess ere l’uomo più pienamente,
2
P.Hadot, La filosofia come modo di vivere , cit., p. 181.
Introduzione
7
che lo rendeva migliore. La filosofia era una conve rsione che sconvolgeva la
vita intera, che cambiava colui che la praticava fa cendolo passare da una vita
inautentica, oscurata dall’incoscienza, rosa dalle preoccupazioni, a
un’esistenza autentica, in cui l’uomo raggiungeva l a coscienza di sé, la visione
corretta delle cose del mondo, la pace e la libertà interiori. Ogni scuola
ellenistica, ovviamente, aveva metodi diversi, ma o gnuna, ugualmente,
insegnava a trasformarsi mediante esercizi spirituali – così definiti da Hadot
per il loro valore propriamente esistenziale (capit olo III). Queste pratiche –
che coinvolgevano tutti gli aspetti dell’essere: in telletto, immaginazione,
sensibilità e volontà – servivano insomma a entrare in sintonia con il cosmo e
a trasformare gli animi in vista di un’esistenza al servizio della conoscenza,
del Bene, della Ragione, della virtù, della felicit à e, non ultima, della comunità.
Imparare a vivere un’esistenza filosofica lucida e consapevole richiedeva, in
primo luogo, che si imparasse a morire (capitolo II I-1); ciò portava a una
rivalutazione del momento presente, da esperire in tutta la sua ricchezza e
irripetibilità (capitolo III-2). Da questo atteggia mento, infine, derivava il
superamento del proprio io egoistico e l’adozione di quello sguardo dall’alto
che Hadot definisce coscienza cosmica (capitolo III-3) . Quanto detto non deve
tuttavia indurre a pensare che i filosofi antichi c ercassero di ignorare le
brutture del mondo, fuggendo al loro cospetto; essi cercavano solo di
collocare il tutto della loro esperienza in una pro spettiva più ampia, in un
orizzonte aperto, e di comprendere gli eventi, per quanto terribili fossero,
come parti necessarie di un disegno più vasto. Nel seguito del lavoro viene
poi presentata la fondamentale differenza, tematizz ata dagli stoici, fra
filosofia e discorso filosofico (capitolo IV); la f ilosofia per gli antichi era una
pratica concreta che si avvaleva del discorso come suo potente ausilio e non,
si badi bene, come suo sostituto. Hadot non si stan ca mai di ripetere che la
filosofia non era – e non è – discorso filosofico; fare filosofia non significava
elaborare un pensiero sulla giustizia, sul linguagg io o sul mondo, ma
piuttosto scegliere liberamente una strada da segui re ogni giorno. Con
costanza e con coraggio. Questo voleva dire essere filosofi nell’antichità:
Introduzione
8
esser coerenti con le proprie idee e dimostrare cos a fosse il Bene non con le
parole bensì con le proprie scelte. La filosofia an tica era dunque un’ arte della
vita , che ha poco in comune con la filosofia moderna in tesa come costruzione
teorico-speculativa riservata a pochi specialisti (capit olo V).
L’intermezzo del presente elaborato è dedicato a Wi ttgenstein, in riferimento
all’influenza che le sue opere ebbero sul pensiero e sul lavoro hadotiani. La
scelta di collocare questa parte in posizione centr ale è dovuta al fatto che,
come si è già accennato, le idee del filosofo austr iaco condizionarono sia il
modo di Hadot di intendere la filosofia antica come un’attività e non come
una dottrina (capitolo VI), sia la sua riflessione sulla condizione del filosofo
moderno, caratterizzato da una crescente “schizofre nia” per l’incapacità di
conciliare il proprio linguaggio con quello quotidi ano (capitolo VII). Centrali
risultano a questo proposito la nozione di gioco linguistico –inteso come
contesto reale in cui collocare qualsiasi frase per poterne cogliere il
significato autentico – e il tentativo wittgenstein iano di curare la filosofia
attraverso la pratica filosofica stessa. Per questo motivo Hadot interpreta le
Ricerche filosofiche di Wittgenstein come degli attuali esercizi spirituali volti a
cambiare il modo di vivere e di vedere il mondo del loro autore che, quindi, si
presenta come un fulgido esempio di saggio moderno.
La seconda parte di questo lavoro si interroga, sul la scorta delle
considerazioni precedenti, sul ruolo che la filosof ia ha assunto nel mondo
moderno e valuta che cosa significhi, secondo Hadot , fare filosofia oggi
(capitolo VIII). Il filosofo francese sostiene che i modelli che le varie scuole
hanno proposto possono essere riattualizzati; essi corrispondono, infatti, ad
atteggiamenti permanenti e fondamentali che si impo ngono a ogni essere
umano che sia alla ricerca della saggezza. I mezzi che ci consentono di
pervenire alla pace interiore e alla comunione con gli altri uomini o con
l’universo, secondo Hadot, non sono illimitati; ci ò che l’uomo moderno deve
fare è dunque sforzarsi di rinnovare gli antichi es ercizi spirituali, non
perdendo mai di vista il mondo e l’umanità di cui f a parte. Di particolare