4
Introduzione.
La storia di una società non riguarda solo ed esclusivamente la vicenda politica, ma per
considerarla a tutto tondo bisogna e gettare nuova luce sulle stesse vicende politiche, bisogna
far anche riferimento al modo di vivere quotidiano, agli usi e ai costumi. Cercherò, quindi di
esplorare una serie di documenti storici, che raccontano minuziosamente alcuni eventi non
sempre presi in debita considerazione, come gli ingressi trionfali, i festeggiamenti per nascite,
matrimoni, anniversari dei reali, le feste di corte e le feste popolari, inseriti però nel panorama
della “grande storia”, dove tali manifestazioni hanno sempre avuto notevole importanza, sia
dal punto di vista politico che sociale.
Se la spina dorsale di questo lavoro è costituita dalle vicende che hanno come protagonisti
Carlo III e Ferdinando IV, quelle vicende sono viste anche e soprattutto dal punto di
osservazione costituito dalla festa.
Il cuore pulsante risulta essere proprio il ruolo della “festa”, il“messaggio”, dei Borbone di
Napoli fecero passare per mostrare la loro “grandezza”, nei confronti sia dei propri sudditi, sia
del resto d‟Europa. Mi riferisco agli ambasciatori, agli stranieri , che potettero assistere
personalmente alle varie manifestazioni in occasione di eventi importanti legati alla Casa
Reale, nonché al Natale, al Carnevale oltre alle feste popolari.
Una particolare attenzione sarà rivolta nello svolgimento di questo lavoro alla celeberrima
festa di Piedigrotta, vista attraverso le parate borboniche e la partecipazione del popolo di
Napoli, dei casali e delle province, accorreva non solo per la devozione mariana e per
trascorrere spensieratamente alcune giornate di festa, ma anche per prendere parte a un rito
collettivo significativo dal punto di vista antropologico e politico.
Seguiremo,dunque, la festa dalle sue antiche origini sino all‟epoca borbonica e al tempo della
Restaurazione, quando con le parate militari e la sfilata reale, essa raggiungerà il culmine del
suo splendore più importante del ciclo festivo napoletano in sostituzione del Carnevale, un
momento di incontro fra tutte le componenti sociali sotto l‟egida della Chiesa e l‟esibizione
del nuovo accordo tra il Trono e l‟Altare.
5
Capitolo I : Breve profilo della dinastia Borbonica ,dal momento in cui il Regno di Napoli
raggiungeva una propria autonomia politica formale, e Napoli assumeva la dignità di grande
Capitale Europea fino alla fine del secolo XVIII.
Carlo di Borbone, non fu il primo re di Napoli, come generalmente si crede, ma fu invece suo
padre FilippoV, che visitò Napoli nel 1702 e vi restò dal 17 aprile al 2 giugno. Era la prima
volta che un sovrano spagnolo si recava nella città , dopo il soggiorno fattovi da Carlo V nel
1536. Poi le vicende della guerra portarono nel 1707 alla fine dell‟appartenenza di Napoli,
dopo 204 anni, alla Corona di Spagna. Fino al 1734 vi regnò l‟altro ramo degli Asburgo,
quello di Vienna, che dovè allora cedere il Regno a Carlo
1
.Questi, già con la nascita risultava
essere pretendente da parte di madre (Elisabetta Farnese era nipote di una Medici) ad uno stato
in Italia, che comprendesse il Ducato di Parma e Piacenza ed eventualmente anche i domìni
dei Medici, in caso di estinzione del ramo diretto. Elisabetta riuscì a garantire al figlio il
Ducato di Parma nel 1732 sotto la tutela della nonna; nel frattempo l'anno precedente Carlo si
era dichiarato "gran Principe ereditario" del Granducato di Toscana, essendo ormai certa
l'estinzione di Casa Medici, e Gian Gastone de' Medici, ultimo Granduca ancora vivente, fu
nominato co-tutore.
Carlo di Borbone, già duca di Parma e Piacenza, figlio di Filippo V re di Spagna e di
Elisabetta Farnese, a seguito della battaglia di Bitonto conquistò il regno di Napoli, e fece il
suo ingresso in città il 10 maggio 1734, assumendo il titolo di Neapolis rex, secondo la
consuetudine asburgica ; nel luglio dell'anno dopo fu incoronato anche re di Sicilia. La
conquista dei due regni da parte dell'Infante fu resa possibile dalle manovre della regina di
Spagna, la quale, approfittando della guerra di successione polacca nella quale Francia e
Spagna combattevano il Sacro Romano Impero, rivendicò a suo figlio le province dell'Italia
meridionale. Affidò la formazione del governo al conte di Santo Stefano e nominò Bernardo
Tanucci ministro di giustizia.Il Regno non ebbe una effettiva autonomia dalla Spagna fino alla
pace di Vienna, nel 1738, con la quale si concluse la guerra di successione polacca. Nell'
agosto 1744 l'esercito di Carlo, forte ancora della presenza di truppe spagnole, sconfisse nella
Battaglia di Velletri gli austriaci che tentavano di riconquistare il Regno.
1
Giuseppe Galasso, Napoli Capitale : identità politica e identità cittadina, studi e ricerche 1266-1860. Electa
Napoli, 1998, p. 223.
6
La situazione trovata da Carlo nel Regno di Napoli fu tutt‟altro che rosea, pertanto i primi
tempi furono difficili perché bisognava scegliere tra un rinnovamento radicale e il tentativo di
migliorare l‟ordinamento esistente. Insomma : demolire il vecchio edificio per ricostruirlo di
nuovo oppure restaurarlo al meglio. La ricostruzione si rivelò irrealizzabile in quanto sarebbe
stato necessario mettere da parte tutti gli uomini politici e di governo d‟indirizzo chiaramente
teocratico, cioè fautori del clericalismo, che avrebbero osteggiato tale opera, pertanto la nuova
gestione borbonica proseguì sulle vecchie strutture con riforme e modifiche che, però, il più
delle volte furono insufficienti. Alla situazione precaria in cui versava la corona borbonica sul
Regno di Napoli corrispose una politica ambigua di Carlo III: all'inizio del suo governo, egli
cercò di assecondare le posizioni politiche delle gerarchie ecclesiastiche, favorendo
l'istituzione a Palermo di un tribunale d'Inquisizione e non contrastando la scomunica di Pietro
Giannone
2
.
Quando però la fine delle ostilità in Europa scongiurò le minacce al suo titolo regale, nominò
primo ministro Bernardo Tanucci, la cui politica fu da subito rivolta ad arginare i privilegi
ecclesiastici.Le sorti del Regno di Napoli mutarono a partire dal 1734, data che segnò l‟ascesa
della dinastia con Carlo di Borbone. Al suo arrivo a Napoli,il pomeriggio del 10 maggio del
1734,un grandioso corteo attraversò le strade di Napoli, da Porta Capuana alla Reggia tra
musiche e salve di cannone ; le strade si affollarono di suonatori ambulanti, danzatori e
prestigiatori. La nobiltà andò ad incontrare il giovane Carlo a Porta Capuana, attraverso la
quale erano sempre passati i Re ed i conquistatori di Napoli, e lentamente il corteo si mosse
verso Via Tribunali . Si vedevano in prima linea i cavalli coperti da ricche gualdrappe, poi gli
scudieri del Principe sui bei cavalli, poi Carlo che cavalcava tra Santo Stefano ed il Principe
Corsini, seguiti da cavalieri che gettavano denaro al popolo. Perfino il sangue di San Gennaro
sciogliendosi fuori stagione approvò Carlo. Infine il re giunse davanti alla Cattedrale e,
benedetto dall‟arcivescovo Pignatelli, donò una collana di diamanti e rubini al Santo patrono
della città, e poi, tra fanfare e rimbombo di cannoni, proseguì fino a Palazzo Reale dove cenò
in pubblico.
2
Intensa e drammatica fu l‟esperienza civile e religiosa di Pietro Giannone. Autore dell‟ Istoria Civile del Regno
di Napoli (1723) che affondava le sue radici nel giurisdizionalismo napoletano. Essa non era soltanto una
requisitoria contro il temporalismo pontificio perché si allargava anche alle istituzioni e s‟apriva all‟esigenza di
una rigorosa storicizzazione capace di superare la polemica, colorandosi di irriverenza libertina. In esilio a causa
di questa sua opera, Giannone, scrisse il “Triregno”, dove denunciò violentemente gli inganni e gli abusi
perpetrati dalla Chiesa romana. Perseguitato senza tregua dalla Chiesa romana finì i suoi giorni nelle prigioni
piemontesi, dedicandosi all‟Autobiografia e agli scritti in cui vennero rimeditati e ridiscussi i temi delle due
opere maggiori. Vedi La Storia , il Settecento: l‟Età dei lumi, Mondatori, 2007, vol. IX, pp.277 S.
7
Il popolo faceva ala al suo passaggio e applaudiva all‟indirizzo di un giovane a cavallo,
diciottenne dai capelli biondi e dagli occhi celesti : era un nuovo (vero) sovrano che andava ad
aprire una politica moderna e che mise dei limiti all‟assolutismo dinastico.
Tutti gridavano che Sua Altezza era bello, che il suo arrivo era come quello di San Gennaro
nella statua che lo rappresenta. Il 16 maggio del 1734 per festeggiare il suo ingresso nella città
fu costruita davanti a Palazzo Reale una Cuccagna ad opera del celebre ingegnere D. Nicola
Tagliacozzi Canale. La struttura era abbondantemente fornita di pane, formaggi, salami, polli
,agnelli, vacche e vitelli e riscuotè l‟applauso comune. La Cuccagna era costruita a modo di
teatro, lunga 300 palmi (metri 79) ; “ e lasciando in mezzo palmi quaranta di altezza, che
faceva un zoccolo, in cui era con giusta simmetria e bell‟ordine posto molto di quello, che
dovevasi saccheggiare. Di sopra, bell‟ordine prosciutti, caciocavalli, mortadelle, forme di
cacio ed ogni altro bene di Dio. Nel mezzo poi una fontana grande gittava vino di continuo, e
vino gittavano due fontanelle in mezzo ai giardinetti. E i popolani andavano e s‟inebriavano, e
con vasi portavano il vino alle case. Sulle 22 ore tuonò il cannone dai castelli ed i popolani
sbrigliati ebbero licenza di correre dentro e mettere tutto in preda. Questa Cuccagna era un
immenso teatro, costruito sulla piazza attigua al Palagio carico d'ogni sorta di commestibili ,
elevato in modo da presentare qualche difficoltà ad impadronirsene. La scena rappresentava il
giardino delle Esperidi, con gli alberi dalle frutta d'oro, custodito dal favoloso dragone e
contenente molte fontane nelle quali il vino faceva le veci dell'acqua. Il popolo si precipitò in
questo giardino incantato, ma nel momento in cui il teatro era stivato di gente, malamente
assicurato sulle sue basi, sprofondò, sfracellando coloro che stavano di sopra, e schiacciando
quelli che si trovavano al di sotto. I morti furono circa 80 e si contarono due o trecento feriti.
Il giovane re, che dal suo verone assisteva allo spettacolo, vide la terribile catastrofe e diede
ordini onde fossero dati soccorsi ai feriti, e sovvenzioni alle famiglie dei morti
3
”. Oltre alla
passione per la caccia, egli aveva anche quella della dignità regale ; ma era anche infastidito
dalla pompa regale, e detestava ogni cerimonia. La sua noia per le funzioni di Stato era
visibile a tutti i suoi cortigiani, uno dei quali scrisse che quando doveva vestirsi per una
cerimonia indossava sopra al suo vestito di cacciatore, e con cattivo umore, un vestito di ricca
stoffa, magari con i bottoni di diamante.
Così abbigliato Carlo si presentava a Corte, in cappella, al baciamano, e quando la cerimonia
era terminata,con un gran sospiro di sollievo esclamava : Grazie al Cielo è finita!, come se si
fosse liberato da un grosso peso
4
.
3
Vedi “Napoli Mobilissima”, periodico 40, V. II, Fasc. X, pp.156 s.
4
Harold Hacton, I Borboni di Napoli (1734-1825) Giunti,1997, p.56.
8
Due avvenimenti di rilievo rassicurarono i napoletani circa l‟avvenire della monarchia da poco
instaurata e infusero in loro grande fiducia : il matrimonio di Carlo con la principessa Maria
Amalia di Sassonia, figlia di Augusto III re di Polonia, celebrato nel giugno del 1738, e il
trattato di pace, firmato a Vienna il 18 novembre dello stesso anno, con il quale l‟Austria
riconosceva Carlo sovrano del Regno di Napoli.
Il suo avvento al trono di Napoli fu salutato con entusiasmo non solo dai napoletani, ma in
tutta la penisola, nella speranza che l‟auspicato rinnovamento si estendesse sull‟intero
territorio nazionale, favorendone l‟unificazione. Si ricorda a tal proposito l‟appello rivolto al
Re del piemontese Adalberto Radicati : “ Sire , quantunque io non abbia la fortuna d‟essere
vostro suddito, poiché l‟Italia non ha quella di essere governata da un solo Monarca, tuttavia
io mi considero tale, nella speranza che V. Maestà ne sarà un giorno l‟unico e tranquillo
possessore
5
”. La Monarchia instauratasi a Napoli con Carlo di Borbone ebbe il merito di non
ricalcare le caratteristiche delle vecchie monarchie, ma di tendere a un graduale adeguamento
della concezione del potere inteso come assolutismo illuminato.
Con Carlo il Mezzogiorno riconquistava , dopo quasi tre secoli dall‟esperienza Aragonese, un
proprio Re e la sua indipendenza. Il Regno giunse col 1734 al recupero della propria
autonomia dinastica e politica (non però all‟indipendenza istituzionale) dopo essere
appartenuto dal 1501 alle Corone di Francia e Spagna, e poi, dal 1503 a quella Spagnola e, dal
1707 al 1734, a quella Austriaca.
Costante fu la lotta di Carlo per liberarsi dalla tutela della madre Elisabetta Farnese, ed in ciò
ebbe il sostegno affettuoso della giovane ed amata moglie Maria Amalia, ed infine anche
dall‟influenza di quest‟ultima, pur non venendo mai meno al profondo legame affettivo che lo
legava a lei. Carlo sposò la giovane sassone all‟età di ventidue anni, lei ne aveva solo
quattordici, in seguito alla dispensa papale del dicembre 1737 ; l‟incontro tra i due giovani
avvenne a Portella, alla frontiera napoletana. Notevoli furono i preparativi per accogliere
Maria Amalia di Sassonia giunta nel Regno di Napoli il 19 giugno del 1738.
La giovane Maria Amalia sostò al confine con lo stato romano dove era stato eretto un
padiglione a cura di Angelo Caratale ; si trattava di una grossa costruzione a pianta quadrata
realizzata in “raso color latte arricchito d‟ermellini a frange d‟oro con alcuni festoni
all‟intorno. Una vasta sala centrale era circondata da sei camere rivestite di damasco cremisi
trinato d‟oro , una delle quali , con un comodo canapè e con sedili in oro , era destinata al
riposo dei sovrani. Ad una certa distanza, una palizzata con drappi di damasco variopinto
5
Così iniziava la dedica del Radicati , F.Venturi, Saggi sull‟Europa Illuminista : I. A. Radicati di Passerano,
Torino,1954,p. 1.
9
formava un bellissimo teatro. La girandola dei festeggiamenti, esplose all‟ingresso della reale
coppia in Napoli, poco avvezza a questo genere di spettacoli, di assistere ad una summa del
repertorio festivo napoletano. Al San Carlo si rappresentò : Le Nozze di Amore e Psiche
seguito qualche giorno più tardi dalla Locandiera e dopo gale, spari, salve, cerimonie a corte,
vi fu una cavalcata cui presero parte alcune centinaia di sudditi capricciosamente vestiti i quali
suddivisi in corporazioni, padulani, lattari, salsumari, panettieri, fornari, tavernari, beccari,
precedevano un carro rappresentante Cerere e Bacco che si fermò al largo di Palazzo per il
solito saccheggio. Dopo una corsa di carri si ebbe una Cuccagna alla Riviera di Chiaia nello
specchio d‟acqua antistante la chiesetta di San Leonardo. Questa cuccagna rappresentava un
castello a pianta quadrata che assalito da due squadre di galeotte, dopo un lungo
cannoneggiamento, venne saccheggiato dalla solita orda di popolo”.
6
Maria Amalia era alta,
bionda, occhi azzurri ; condivideva col marito la passione per la caccia e per le passeggiate a
cavallo. A deturpare il suo viso fu il vaiolo che a detta di molti la rese brutta, ma non per
Carlo che rimase sempre legato a lei. Non aveva un carattere docile, era sempre impaziente e
non ammetteva contraddizioni, e quando perdeva il controllo picchiava i paggi e
schiaffeggiava le dame d‟onore. In onore di questo matrimonio reale, venne fondato un nuovo
ordine cavalleresco : quello di San Gennaro il 3 luglio 1738. I principali doveri di un
Cavaliere investito da tale Ordine erano : difendere la fede cattolica ; riconciliare i nemici ;
giurare fedeltà al Gran Maestro, il Re ; ascoltare giornalmente la Messa ; comunicarsi a
Pasqua e all‟anniversario del Santo ; non offrire né accettare sfide a duello, ma sottomettere
tutte le offese ricevute alla decisione del Gran Maestro ; adorare il Santo in ogni Cappella
dove fosse venerato. Il distintivo dell‟Ordine era una croce circondata da quattro gigli e
dall‟immagine del Vescovo Martire con il motto “In sanguine foedus”,
7
motto scritto su una
sciarpa cremisi per simbolizzare il martirio del Santo. Successivamente il Papa Benedetto XIV
garantì loro assoluzione e indulgenza plenaria se visitavano tre chiese almeno tre volte
all‟anno nei giorni miracolosi del Santo, e li dispensò anche dal digiuno. Sulla sua vita non si
hanno notizie storicamente documentate. Pochi sanno che Ianuario era il vero nome di
S.Gennaro. Discendeva, infatti dalla famiglia gentilizia Gens Januaria sacra al bifronte dio
Giano.
Qundi Gennaro (trasformazione napoletana di Ianuario) non era il suo nome, bensì il
cognome. Fonti non ufficiali affermano che il suo nome fu Procolo.
6
Franco Mancini, Feste ed Apparati civili e religiosi dal Viceregno alla Capitale, Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, 1997, p.46.
7
Harold Hacton, I Borboni di Napoli (1734-1825) Giunti,1997, p.51
10
La storia di San Gennaro è stata tramandata da opere agiografiche dove la realtà e la leggenda
spesso si intrecciano e mescolano in un unico racconto, i cui elementi storici non sempre sono
facilmente distinguibili.
Le principali fonti cui si attinge sono: gli "Atti Bolognesi" (di VI-VII secolo), più semplici e
lineari, e forse più verosimili; gli "Atti Vaticani" (di VIII-IX secolo), forse un
rimaneggiamento del precedente ma arricchiti di vicende avventurose e favolose. Il fatto che
portò alla consacrazione di Gennaro sarebbe avvenuto all'inizio del IV secolo, durante la
persecuzione dei cristiani da parte dell'imperatore Diocleziano
8
. Gli Atti affermano che nel
luogo del supplizio sorse una chiesa in ricordo del loro martirio, mentre il corpo di Gennaro
sarebbe stato sepolto nell'Agro Marciano e solo successivamente traslato da un vescovo nelle
Catacombe di San Gennaro. Negli Atti Vaticani, come detto, si narrano molti altri episodi
mitici. I più conosciuti narrano di Gennaro e dei suoi compagni che si sarebbero recati a Nola
dove avrebbero incontrato il perfido giudice Timoteo il quale, avendo sorpreso Gennaro
mentre faceva proselitismo, lo avrebbe imprigionato e torturato. Ma poiché le tremende
torture inflittegli non sortivano effetto, lo avrebbe infine gettato in una fornace ardente; una
volta riaperta la fornace, non solo Gennaro vi uscì illeso e senza che neppure le sue vesti
fossero state minimamente intaccate dal fuoco, ma le fiamme investirono i pagani venuti ad
assistere al supplizio
9
. Caduto malato pur guarito da Gennaro, Timoteo non mostrò alcuna
gratitudine ma lo fece condurre all'anfiteatro di Pozzuoli affinché fosse sbranato dalle fiere.
Per questi racconti è chiara la derivazione dalla Bibbia, in modo particolare dal Libro del
profeta Daniele, a cui il redattore degli Atti deve essersi ispirato. Secondo la tradizione, subito
dopo la decapitazione sarebbe stato conservato del sangue, come era abitudine a quel tempo,
raccolto da una pia donna di nome Eusebia che lo racchiuse in due ampolle ; esse sono
divenute un attributo iconografico tipico di San Gennaro. Il racconto della pia donna è tuttavia
recente, e compare pubblicato per la prima volta solo nel 1579, nel volume del canonico
napoletano Paolo Regio su “Le vite de' sette Santi Protettori di Napoli”. Documenti liturgici
8
Gennaro era il vescovo di Benevento e si recò insieme al lettore Desiderio ed al diacono Festo in visita ai fedeli
a Pozzuoli. Il diacono di Miseno Sossio - già amico di Gennaro che lo era venuto a trovare in passato a Miseno
per discutere di fede e leggi divine -, volendo recarsi ad assistere alla visita pastorale, fu invece arrestato lungo la
strada per ordine del persecutore Dragonzio, governatore della Campania. Gennaro insieme a Festo e Desiderio si
recarono allora in visita dal prigioniero, ma, avendo intercesso per la sua liberazione ed avendo fatto professione
di fede cristiana, furono anche essi arrestati e da Dragonzio condannati ad essere sbranati dagli orsi nell'anfiteatro
di Pozzuoli. Il giorno dopo, tuttavia, per l'assenza del governatore stesso, impegnato altrove, il supplizio fu
sospeso. Dragonzio comandò allora che a Gennaro ed ai suoi compagni venisse troncata la testa. Condotti nei
pressi del Forum Vulcani (l'attuale Solfatara di Pozzuoli), essi furono decapitati nell'anno 305. La stessa sorte
toccò anche a Procolo, diacono della chiesa di Pozzuoli, ed ai due laici Eutichete e Acuzio che avevano osato
criticare la sentenza di morte per i quattro.
9
Splendido il quadro di Jusepe Ribera che ritrae l'episodio, e che si trova nel Duomo di Napoli dove decora
l'altare laterale destro della Cappella del Tesoro di San Gennaro.
11
molto antichi, come il calendario cartaginese (redatto poco dopo il 505) ed il Martirologio
Geronimiano di V secolo assegnano come data del martirio di Gennaro e dei suoi compagni il
19 settembre; indicano invece nel 13 aprile la data della prima traslazione dei resti del santo.
Anche in un altro martirologio risalente all' VIII secolo, redatto dal monaco inglese Beda, il
19 settembre viene indicato come data del martirio. Nel calendario marmoreo di Napoli la data
del 19 settembre viene indicata come “dies natalis”di San Gennaro. Tutte queste fonti, e
numerose altre ancora, attestano che la venerazione per San Gennaro ha origini antichissime
che risalgono all'epoca del suo martirio o al più tardi a quella della prima traslazione delle sue
spoglie, avvenuta nel V secolo. Secondo la leggenda, il sangue di San Gennaro si sarebbe
liquefatto per la prima volta ai tempi di Costantino, quando il vescovo San Severo (secondo
altri fu il vescovo Cosimo) trasferì le spoglie del Santo dall'Agro Marciano, dove era stato
sepolto, a Napoli. Durante il tragitto avrebbe incontrato la nutrice Eusebia con le ampolline
del sangue del Santo: alla presenza della testa, il sangue nelle ampolle si sarebbe sciolto
10
.Di
fatto, la prima notizia documentata dell'ampolla contenente la presunta reliquia del sangue di
San Gennaro si ha soltanto nel 1389, come riportato nel Chronicon Siculum (ma dal testo si
può dedurre che doveva avvenire già da molto tempo): nel corso delle manifestazioni per la
festa dell'Assunta di quell'anno, vi fu l'esposizione pubblica delle ampolle contenenti il
cosiddetto “sangue di San Gennaro”. Il 17 agosto 1389 vi fu una grandissima processione per
assistere al “miracolo”: il liquido conservato nell'ampolla si era liquefatto “come se fosse
sgorgato quel giorno stesso dal corpo del santo”.La cronaca dell'evento sembra suggerire che
il fenomeno si verificasse allora per la prima volta. Del resto, la Cronaca di Partenope,
precedente di qualche anno (1382), pur parlando di diversi “miraculi” attribuiti alla potenza di
san Gennaro, non menziona mai una reliquia di sangue del martire.
Oggi le due ampolle, fissate all'interno di una piccola teca rotonda realizzata con una larga
cornice in argento e provvista di un manico, sono conservate nel Duomo di Napoli. Delle due
ampolle, una è riempita per 3/4, mentre l'altra più alta è semivuota poiché parte del suo
contenuto fu sottratto da re Carlo III di Borbone che lo portò con sé in Spagna. Tre volte
l'anno (il sabato precedente la prima domenica di maggio e negli otto giorni successivi; il 19
settembre e per tutta l'ottava delle celebrazioni in onore del patrono, ed il 16
dicembre),durante una solenne cerimonia religiosa guidata dall'arcivescovo, i fedeli accorrono
per assistere al “miracolo della liquefazione del sangue di san Gennaro”.La liquefazione del
10
Per questa leggenda ed il persistere della credenza che la liquefazione avvenga quando le ampolle del sangue si
trovino in vista della testa , nel Duomo di Napoli le reliquie sono racchiuse in una nicchia dietro l'altare che è
divisa da uno scomparto di marmo affinché il Santo non possa vedere il suo sangue e provocare una liquefazione
fuori tempo.
12
tessuto durante la cerimonia è ritenuto foriero di buoni auspici per la città; al contrario, si
ritiene che la mancata liquefazione sia presagio di eventi fortemente negativi e drammatici per
la città. Mayer
11
ha assistito ben due volte alla liquefazione del sangue di San Gennaro ; la
prima volta a Santa Chiara, il primo maggio, giorno in cui il corpo del santo fu portato a
Napoli, e poi nella cattedrale, il 19 settembre. Egli scrisse che “Di solito San Gennaro a Santa
Chiara opera più rapidamente il miracolo perché , come dicono i napoletani, ha troppo
gentilezza, per fare aspettare a lungo la santa”. E ancora : “ A fatica riuscii a giungere,
attraverso la folla fittamente serrata, nella cappella del Tesoro, da cui mi risuonava incontro la
clamorosa musica della guardia. Per l‟appunto avevano collocato il rozzo busto d‟ottone, per
vestirlo, lungo la via che va a Santa Chiara. Gli misero addosso una mantellina rossa, ricamata
in oro, scintillante di grosse pietre preziose e di perle vere ; altrettanto ricco era il cappello da
cardinale, che fu posto sulla testa del santo. La processione si era ordinata, e si mise in moto.
Dalle strade, , dalle finestre e dai balconi si gettavano dappertutto foglie di fiori sul santo,
cosicché i preti che lo attorniavano, ne erano tutti ricoperti.” Nel pomeriggio il Mayer si recò a
santa Chiara per assistere anche lui al miracoloso evento e, prese posto come tutti, quando
all‟improvviso, un prete fece cenno che il sangue si era sciolto. “Io lo vidi allora denso
davanti a me. È una sudicia cassetta d‟argento quadrata, alta circa sei pollici con una
coroncina e dei vetri, proprio come una lanterna. Internamente si vedono due ampolle di vetro
di tre e due pollici di altezza, delle quali, la più piccola che raggiunge all‟incirca la grossezza
di un dito, è cilindrica, mentre l‟altra ha un collare a modo di ampolla.Erano ambedue
riempite a metà di una massa rosso scuro, densa, difficile a fondersi, che sembrava piuttosto
ceralacca o miele che sangue. A chi aveva baciato il vetro del vaso, il prete toccava con
questo, in segno di benedizione, la fronte, la bocca e il petto”. La seconda volta che il tedesco
vide il miracolo fu il giorno dell‟ onomastico del santo nella cattedrale , dove racconta,
che tutto fu più solenne. “Trovai chiusi i negozi vicini alla cattedrale, e tappeti appesi ai
balconi. Sulla piazza della Chiesa erano state messe su delle baracche, dove si vendevano
silografie e storie del santo, e ogni sorta di giocattoli e di dolciumi. Uomini tutti addobbati
riempivano l‟alta navata mediana del vasto Duomo, che era stata ricoperta di stoffe di seta
rossa bordate d‟oro, e anche le navate laterali, che erano state drappeggiate di lenzuoli bianchi
e multicolori. Ardeva un numero infinito di candele. In tutti gli altari laterali i preti, in
panneggiamenti d‟oro, leggevano la messa, i coristi suonavano, esalava l‟incenso, i fedeli si
inginocchiavano e si facevano il segno della croce, mentre una fiumana di gente andava e
veniva”. “Verso le dieci giunse una processione col busto di San Gennaro e con l‟ampolla del
11
C.A Mayer.Vita Popolare a Napoli nell‟Età romantica, traduzione dal Tedesco a cura di Lidia Croce,1840
Bari, G. Laterza e Figli, 1948, pp. 254 ss.
13
sangue dalla Cappella del Tesoro, dove questa era stata fino allora esposta sull‟altare. Tutti
caddero in ginocchio. Il busto fu posto sull‟altare principale, dove già lo aspettavano i
trentasette santi d‟argento ; l‟ampolla era sempre in mano a un cappellano della Cappella del
Tesoro, che tuttavia la toccava solo per il manico. Il coro si riempì di canonici, di diaconi e di
coristi ; l‟arcivescovo apparve in apparato di festa. Quando egli si fu posto da lato sotto il
baldacchino, cominciò verso le undici il lungo ufficio musicale. Prima di questa messa, che
dura fino alle due, di rado il sangue diventa fluido. A mezzogiorno l‟alto clero si allontanò ;
agli stranieri, che erano in gran parte eretici
12
fu permesso di avvicinarsi alle ampolle
dell‟altare, ma la massa rossa era ancor sempre dura. Allora le quindici donne cominciarono le
loro preghiere, i canti, i gridi, gli urli e gli insulti fin verso le due, quando un prete salì fino
all‟ultimo scalino dell‟altare ed espose minutamente la leggenda di San Gennaro con moralità
edificatoria. Finalmente verso le tre il cappellano, che teneva l‟ampolla, diè il segno col
fazzoletto : un grande grido si alzò nella chiesa, e tutti si precipitarono avanti, per vedere il
miracolo coi propri occhi. Presto l‟organo cominciò a infuriare, e un giubilante : Te Deum
Laudamus rumoreggiò in tutto il tempio. In un attimo la notizia giunse a Sant‟Elmo come un
razzo, e tre colpi di cannone rimbombarono dalla rocca sulla città. Il sangue, quando è
divenuto fluido, non si irrigidisce subito di nuovo, e resta otto giorni esposto a tutti. Anche il
re coi principino viene una o più volte. Allora l‟alto clero si trova riunito, e appena il principe
entra, vien salutato dalla musica. Bacia con i principino l‟ampolla santa, dopo di che lascia di
nuovo la chiesa. Il popolo si rallegra molto di ciò : Anche il re l‟ha baciato, dicono con grande
soddisfazione”.Secondo il Galanti,”da provincia di una monarchia l ontana ”, Napoli era
tornata , ad essere un grande centro autonomo di politica interna ed estera, e non più solo un
centro di grande rilievo politico amministrativo. L‟insediamento di Carlo a Napoli venne
accolto con entusiasmo e consensi dalla maggior parte della classe dirigente e dagli
intellettuali proprio perché il nuovo Re mostrò una spiccata volontà riformatrice. E quindi la
sua ascesa al potere apparì a dir poco prodigiosa, quasi un dono della sorte ; insomma,
prospettava un futuro migliore per Napoli. Carlo fu considerato uno dei monarchi più
benemeriti della storia di Napoli per lo slancio e la volontà di rinnovamento che seppe
imprimere al governo del paese. Venne definito uomo della provvidenza , sovrano illuminato
, mentre fu denigrato dalla critica antiborbonica. Carlo ha avuto un destino storiografico
singolare : quello di essere esaltato dalle diverse correnti politiche ottocentesche, vale a dire
sia dalle correnti di tipo borbonico, sia dalle correnti di tipo liberale ; le prime, difatti, hanno
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Mayer scrisse che :”talvolta, quando il miracolo non va da sé, il popolo arresta gli stranieri”.Vedi C.A.
Mayer Vita Popolare a Napoli nell‟Età romantica, traduzione dal Tedesco a cura di Lidia Croce,1840.
Bari,GLaterza e Figli, 1948, pp.260-261
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celebrato in lui il fondatore della dinastia e della nuova indipendenza dell‟Italia meridionale ;
le seconde, come, ad esempio, lo storico Pietro Colletta, hanno visto nel primo Borbone di
Napoli un sovrano “non borbonico”, ma italiano, contrapposto ai suoi degeneri successori. È
certo, comunque, che sotto il suo regno, il Mezzogiorno visse,come disse il Croce, un
“risoluto progresso”. All‟avvento di Carlo di Borbone, Napoli era sovrappopolata e si
sosteneva grazie alla presenza degli uffici governativi. Così Napoli sottraeva risorse al resto
del Regno; il mantenimento della capitale, la più popolosa d‟Europa dopo Parigi, immiseriva
soprattutto le province, ed i contadini erano spesso costretti a emigrare nella metropoli,
aumentandone la massa dei diseredati. Il Regno mancava quasi completamente di strade,
osteggiate in passato perché ritenute pericolose in caso di invasione Turca. In tal contesto,
l‟azione del giovane Borbone fu volta sia a generare lavoro e benessere, sia a favorire il
ripopolamento delle campagne . Carlo aveva coraggio e spirito innovativo,doti che gli diedero
ben presto un ruolo di spicco nel‟700. Impressionante fu l‟opera di ricostruzione di interi
quartieri obsoleti, di realizzazioni di ospedali, chiese, giardini, palazzi. Basti pensare al Teatro
San Carlo, alla Reggia di Caserta a quella di Capodimonte dove nel 1743 nel grandioso parco
nacque la celebre fabbrica di porcellane. In effetti le commissioni di opere urbanistiche di
grande rilievo, furono per Carlo il mezzo attraverso il quale testimoniare innanzi ai suoi
sudditi la propria grandezza , nonché la sua concezione di prestigio.La politica architettonica
di Carlo mirò innanzitutto a rendere credibile l‟immagine di Napoli come una capitale a
livello europeo, dotandola in primo luogo di edifici pubblici di rappresentanza. Dunque, i
numerosi cantieri che si aprirono a Napoli risposero a un evidente disegno propagandistico
che puntò a moltiplicare i luoghi simbolici della presenza attiva e forte del re nel tessuto
urbano
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.
Diede poi vita al Museo Borbonico e relativa galleria, ecc… Il merito principale di Carlo fu
quello di riuscire a produrre con la sua azione energica, ma allo stesso tempo raffinata, un
periodo di crescita e di sviluppo che resta memorabile nella storia del Sud.
Il giovane Carlo in tal modo si discostò da tutte le politiche economiche dell‟epoca,
dimostrandosi un vero e proprio precursore, utilizzando efficacemente il pubblico denaro per
opere che crearono lavoro, occupazione, rimettendo in moto il settore dell‟economia. Ma
Carlo fece anche di più : portò il Regno ai primi posti del mondo dell‟epoca per dinamismo e
trasformazione, per ricchezza e varietà delle arti e della cultura in generale. Napoli in
particolare, ma anche le tantissime altre città d‟arte del Meridione, divennero meta obbligata
dei viaggiatori, che trovarono un paese in rapido e armonico progresso, tanto che lo stesso
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Stefano Zuffi, La Storia dell‟Arte: il primo Settecento, Mondatori Electa Milano, 2006, Vol. XII, p.747.
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Goethe espresse ammirazione per “gli operosi napoletani”. Riferendoci all‟epoca, il Regno di
Carlo è da considerarsi innovativo, volto al progresso dello Stato inteso come collettività, e
tale fu percepito dai sudditi, che uscivano da lunghi secoli di dominazioni vicereali. Di Carlo
si serba il ricordo delle grandi realizzazioni, come il Teatro San Carlo
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il più grande e
sontuoso dell‟epoca, terminato nel 1737 in appena otto mesi di lavori, e gli scavi di Pompei e
di Ercolano, che svelarono il loro formidabile patrimonio archeologico. Altrettanto importante
è la profonda riforma dello Stato, a cui proprio Carlo aveva restituito l‟indipendenza, da lui
attuata con la collaborazione del valente ministro Bernardo Tanucci : lo Stato feudale, dagli
innumerevoli conventi, con una profusione di privilegi nobiliari, civici e religiosi, fu oggetto
di una continua e decisa azione riformatrice. Furono raggiunti importanti risultati, con la
soppressione di molti abusi e la possibilità per i contadini di cominciare ad affrancarsi dalla
tirannia dei baroni, e di poter raccogliere e seminare nei terreni demaniali. E a proposito
dell‟organizzazione interna va ricordata la riforma dei servizi dell‟amministrazione centrale
che fu effettuata con una drastica riduzione del personale sovrabbondante ; il che snellì e rese
più funzionali gli uffici. Non vi furono invece cambiamenti di rilievo nelle istituzioni
periferiche e in quelle municipali napoletane : rimasero infatti immutate per la città di Napoli
le funzioni dei Seggi, degli Eletti, delle deputazioni. I Seggi, detti anche sedili o piazze , già
all‟epoca del vicereame erano il risultato di elezioni avvenute nelle varie “ottine” , cioè nelle
29 circoscrizioni in cui era divisa la città (ognuna di esse retta da un Capitano); questi Seggi
avevano ciascuno una propria sede ove i cittadini si riunivano per deliberare ed eleggevano un
loro rappresentante chiamato appunto “Eletto”.
Ai Seggi che in tutto erano sei , spettava il compito di eleggere anche il Sindaco che in tutte le
cerimonie pubbliche rappresentava sia la città sia il Regno.
Gli Eletti erano tutti nobili, tranne quello che rappresentava il Seggio popolare ; infatti uno dei
Seggi era il “Seggio Popolare”, eletto dal ceto plebeo. I Seggi nobili
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erano quelli di
Capuana, Nido, Montagna, Porto, Portanova. Gli Eletti a loro volta costituivano il “Consiglio
degli Eletti”che si riuniva nel Tribunale di San Lorenzo.
Già dall‟epoca vicereale esisteva anche un “Parlamento”, organo rappresentativo dei nobili di
tutto il Regno e di qualche rappresentante di “comuni non infeudati”.
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Il Teatro S. Carlo fu iniziato a marzo nel 1737 da Angelo Carasale su progetto di Giovanni Antonio
Mediano ed inaugurato otto mesi dopo, il 4 novembre, in occasione dell‟onomastico del Re.
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Con l‟avvento di Carlo di Borbone nel 1734, la Nobiltà dei Seggi cominciò ad allargarsi : le 119 famiglie
aggregate ad esse agli inizi del XVIII secolo diventarono, dopo sette o otto decenni, circa 250.Vedi
G.Galasso, Napoli Capitale : identità politica e identità cittadina, studi e ricerche 1266-1860.
Electa Napoli, 1998, p. 216.