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1. Introduzione
La convergenza di conoscenze diverse nello studio dei sistemi biologici complessi ha portato
alla definizione di nuovi modelli interpretativi ed approcci sperimentali innovativi che
richiedono competenze proprie di settori anche lontani.
Da un lato, la funzionalità biologica degli organismi viventi è sempre più correlata ad
algoritmi molecolari specifici, dall’altro emergono comportamenti fisici, sia macroscopici sia
microscopici che assumono significati generali.
Tra i tanti temi oggi dibattuti ed affrontati nei vari laboratori, quello della mobilità dinamica a
diverse scale temporali e spaziali investe sia la ricerca fondamentale biofisica-biomolecolare
che aspetti applicativi di enorme rilevanza nel mondo biofarmaceutico, agro-alimentare e
biomedico.
La tematica centrale riguarda i livelli di mobilità che garantiscono le funzionalità del vivente e
la possibilità di modulare queste mobilità in modo da controllare lo stato di quiescenza per un
tempo prestabilito. Se macroscopicamente un parametro come la temperatura è in linea di
principio in grado di modificare la mobilità molecolare a piacimento, tuttavia il controllo
molecolare necessita di strutture stabili e plasmabili secondo regole ben definite. Lo stato
vetroso degli zuccheri sembra rispondere a questa richiesta ed è già utilizzato per soddisfare
una gran parte delle esigenze precedentemente descritte, sia in natura che in laboratorio.
In questa introduzione, anche se in modo incompleto e frammentario, verranno esposti alcuni
argomenti che riguardano gli zuccheri più implicati nei processi di immobilizzazione
biomolecolare (bioprotezione), in primis il trealosio, e alcuni elementi di base per la
comprensione del comportamento peculiare dello stato liquido sottoraffreddato, fino a
giungere allo stato di vetro vero e proprio.
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1.1.Caratteristiche chimico-fisiche di Trealosio e Sorbitolo
Il Trealosio
Figura 1.1.1-Immagine stick and ball di una molecola di t realosio: in azzurro gli atomi di carbonio, in rosso qu elli di
ossigeno ed in grigio quelli di idrogeno
Il trealosio (α-D-glucopiranosil-(1→1)-α-D-glucopiranoside) è un disaccaride non riducente,
formato da due molecole di glucosio unite da un legame α,α-1,1-glicosidico; la sua formula
molecolare è C
12
H
22
O
11
. Il suo nome deriva da una manna del deserto, la trehala, nella quale
venne rilevato dal chimico francese Marcellin Berthelot, anche se fu scoperto già nel 1832
nella segale cornuta da H. A. L. Wiggers, Professore all’università di Göttingen.
Figura 1.1.2-Struttura del trealosio, disaccaride costit uito da due molecole di glucosio; a destra l’isomero α ,α.
Commercialmente il trealosio viene venduto nella forma diidrata, sotto forma di polvere
bianca, avente massa molecolare di 378,34 g/mol e punto di fusione a 97,0°C, a differenza di
quella anidra che risulta di 342,30 g/mol, con punto di fusione a 210,5°C.
La sua solubilità in 100 grammi di acqua è di 1,775 mol kg
-1
a 25°C, il suo potere dolcificante
è circa il 45% di quello del saccarosio.
In natura è presente come isomero α,α, nonostante si possano ottenere anche il trealosio α,β
(neotrealosio) e β,β (isotrealosio); in particolare si trova in vari microorganismi, in alcuni tipi
4
di licheni, funghi e piante superiori, ed è oramai riconosciuto come un efficace bioprotettore
essendo coinvolto nei meccanismi biologici che permettono la sopravvivenza delle specie
sopraccitate in condizioni estreme di stress termico e meccanico, sfruttando particolari stati di
quiescenza. Non è ancora del tutto chiaro come il trealosio svolga questo cruciale ruolo
biologico, tuttavia le sue proprietà chimico-fisiche sono spesso descritte come “anomale”
rispetto a quelle di altri zuccheri, in particolare in condizioni prossime alla transizione vetrosa.
Studiando il comportamento di soluzioni acquose concentrate di zuccheri si è capito che gran
parte dei sistemi di questo tipo vetrificano anche a temperature prossime a quella ambiente
man mano che diminuisce la percentuale di acqua; questo comportamento, ampiamente
confermato in letteratura, come si vedrà anche nel corso di questa tesi, fa intuitivamente
pensare al fatto che gli organismi viventi che riescono a sopravvivere ad elevate temperature
in condizioni di anidrobiosi, cioè in un particolare stato di quiescenza che prevede la perdita
dell’acqua corporea, o in altre condizioni di stress dovute a condizioni di vita estreme,
sfruttano in qualche modo la vetrificazione del trealosio da loro stessi prodotto.
Forme cristalline e amorfe del trealosio
Prima di parlare in dettaglio del ruolo bioprotettivo che molti zuccheri, ed in particolare il
trealosio, svolgono a beneficio di vari sistemi biologici, è significativo descrivere le sue
possibili forme cristalline, e le strategie con cui possono essere ottenute sperimentalmente.
Una di queste, caratterizzata nel 1972 ai raggi-X [1,2] , è quella del cristallo diidrato (TRE-h),
con cella ortorombica (P2
1
2
1
2
1
) che comprende quattro unità di zucchero C
12
H
22
O
11
e due
molecole d’acqua che interagiscono grazie a una complessa rete di 12 legami a idrogeno
intermolecolari in cui i gruppi idrossilici del trealosio fungono sia da donatori che da accettori
di legami a idrogeno [3].
Inoltre, le due molecole d’acqua non sono equivalenti all’interno di questo network, in quanto
una è accettrice di due legami idrogeno, e l’atomo di ossigeno è coordinato tetraedricamente,
mentre l’altra ha l’ossigeno coinvolto in una coordinazione piramidale ed è accettrice di un
solo legame a idrogeno, formando complessivamente un arrangiamento elicoidale.
Prendendo la forma cristallina TRE-h, da questa è possibile ottenere altre forme non solo
cristalline ma anche amorfe, a seconda del trattamento termico che si intraprende; in Figura
1.1.4 vengono riassunte le trasformazioni che avvengono partendo dal cristallo diidrato [4].
La forma anidra indicata come TRE-α si ottiene evaporando l’acqua dalla forma diidrata
seguendo un processo reversibile; le due forme sono legate da una correlazione topotattica.
5
Il Tre-α solo negli ultimi anni ha suscitato l’attenzione di molti ricercatori, che si sono
interessati soprattutto al basso punto di fusione e alla struttura cristallina, determinata nel
2008 da Nagase e altri [9]: questa forma ha simmetria di tipo C
2
, alla stregua di quelle idrata e
β, e cella ortorombica; l’arrangiamento molecolare si avvicina molto a quello del TRE-h, ed
ha la particolarità che eliminando in condizioni blande e lentamente l’acqua dal diidrato, che
si dispone preferenzialmente in due canali, presenta ancora i due canali di differenti
dimensioni privi delle molecole d’acqua contenute nel TRE-h, come si può osservare in
Figura 1.1.3.
Figura 1.1.3-Immagini che rappresentano molecole di Tre -α (a) e Tre-h (b); nella figura in alto si osservano i due canali
vuoti, quello più ampio in giallo e quello più ridott o in verde (il diametro delle due circonferenze misu ra 4,3 Å). W1 e W2
sono i cristalli d’acqua che si vanno a disporre nelle due differenti cavità.
Il TRE-β è anch’essa una forma cristallina anidra, con una cella monoclina (P2
1
), in cui tutti i
gruppi ossidrilici sono coinvolti in legami a idrogeno, come anche entrambi gli ossigeni
dell’anello, a differenza, invece, degli atomi di ossigeno glicosidici. Come si vede dallo
schema in Figura 1.1.4 si ottiene dalla forma vetrosa amorfa, grazie ad una cristallizzazione a
freddo. Può venire anche preparata direttamente nella cella del calorimetro scaldando un
campione amorfo di trealosio a basso contenuto iniziale d’acqua, raffreddando poi fino a
temperatura ambiente [5].
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Figura 1.1.4-Rappresentazione schematica delle interconv ersioni del trealosio [3]
Una volta presentati i polimorfi h e β, si può introdurre la forma γ, che probabilmente è
costituita da cristalli di TRE-h incapsulati in strati di TRE-β [5]; questo polimorfo è stato
caratterizzato grazie a misure di diffrazione ai raggi-X, ma anche grazie a misure
calorimetriche. Può essere ottenuto scaldando tra i 14 e 40 K al minuto il cristallo TRE-h e
sospendendo il riscaldamento alla temperatura di cristallizzazione a freddo dopo la
disidratazione. A velocità di riscaldamento non comprese tra i valori indicati si è osservato
che la forma γ non viene ottenuta.
Nella Tabella 1.1 vengono presentati i dati ottenuti per via calorimetrica relativi alle
temperature alle quali avvengono le transizioni tra le forme del trealosio, presi da
letteratura[3].
Mentre le tre forme TRE-α, TRE-β e TRE-h hanno tutte in comune la simmetria C
2
,
la forma
γ, pur essendone dimostrata l’esistenza, da alcuni non viene considerata una fase cristallina
distinta, ma una fase mista tra quelle idrata e α.
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TRANSIZIONE T
tr
(Kelvin) T
tr
(°C)
Transizione vetrosa: Tre-g → Tre-amorfo 393 120
Disidratazione di TRE-h: TRE-h→Anidro 373 100
Disidratazione di TRE-h: TRE-h→ TRE-γ 373 100
Disidratazione di TRE-h: TRE-h→ TRE-α <373 <100
Fusione di TRE-α: TRE-α→ Tre-amorfo 399 126
Transizione di TRE-γ: TRE-γ→TRE-β 393 120
Fusione di TRE-β: TRE-β→TRE-Liquido 478 205
Tabella 1.1-Temperature di transizione per i vari polimo rfi del trealosio [3].
Per ottenere il trealosio amorfo secondo McGarvey e altri [5] è possibile utilizzare un
procedimento di disidratazione a freddo (freeze-drying) a partire da una soluzione acquosa di
TRE-h.
A basso contenuto d’acqua il trealosio amorfo solitamente ricristallizza subito nella forma
anidra β, mentre a contenuti maggiori ricristallizza nella forma γ, che da queste analisi
termiche è stato dimostrato sia più comune di quanto si pensasse, come preludio della
formazione del TRE-h.
Sempre da queste misure calorimetriche che coinvolgono in particolare la ricristallizzazione
dal trealosio amorfo, è emerso, quindi, che il comportamento termico di quest’ultimo è
strettamente dipendente dalle condizioni in cui vengono condotte le misure stesse,
particolarmente in termini di presenza d’acqua nel campione. Questo fatto fa sicuramente
riflettere, perchØ si può ipotizzare sia direttamente correlato col ruolo bioprotettivo del
trealosio, che cambia forma influenzato dalla presenza o dall’assenza dell’acqua, e quindi
subisce queste trasformazioni anche all’interno di un organismo vivente che affronta un
processo di disidratazione, ad esempio in seguito ad uno stress termico. Il processo che
avviene in natura può essere simulato sperimentalmente grazie a dei fori nel crogiolo che
viene posto all’interno del calorimetro. Si può quindi introdurre un’altra variabile nello studio
calorimetrico di questi sistemi che è la dimensione dei pori, la quale influisce direttamente
sulla velocità di evaporazione dell’acqua, e quindi sulle trasformazioni tra le forme cristalline
ed amorfe del trealosio. Nel lavoro contenuto nel riferimento bibliografico [4] si giunge ad un
diagramma dinamico delle trasformazioni (Figura 1.1.5) che ben simula un sistema “in vivo”,
in cui sono presenti tre variabili: la temperatura, la velocità di riscaldamento nel tempo e il
tempo necessario per far avvenire le transizioni.
8
Figura 1.1.5-Diagramma dinamico delle transizioni tra le f orme cristalline ed amorfe del trealosio.
L’influenza della dimensione dei pori sui processi di trasformazione viene rappresentata
mediante le frecce, che mostrano la variazione delle linee di coesistenza tra le forme (linee
tratteggiate) in funzione della variazione della dimensione dei pori.
Secondo ciò che è riportato in questo diagramma lo stato amorfo può essere ottenuto in tre
modi:
a) per amorfizzazione diretta del TRE-h;
b) passando attraverso la forma α;
c) raffreddando il liquido formato dopo la fusione della forma β.
La temperatura di amorfizzazione risulta essere sempre al di sopra di quella di disidratazione,
a circa 110°C per quanto riguarda il caso a) e a 130°C per il caso b).
Considerando invece la formazione del TRE-α, questa si può ottenere dalla forma diidrata,
applicando condizioni blande quali basse temperature (60°C) e basse velocità di
riscaldamento, con una grande dimensione dei pori, quindi in presenza di poca umidità sul
campione. Anche questo equilibrio reversibile tra queste due forme è di notevole interesse e si
pensa sia implicato strettamente nelle funzioni bioprottetrici che il trealosio ha verso le
proteine e altre molecole biologiche in condizioni di stress.
Per quanto riguarda la metodica c) è doveroso sottolineare l’importanza del liquido
sottoraffreddato e della sua stabilità, in quanto, secondo studi effettuati da Sussich e Cesàro
[7], si possono ottenere due differenti amorfi, a seconda che il liquido sottoraffreddato
provenga dalla fusione del cristallo α o da quello β; questo differente comportamento può
essere spiegato in termini di mobilità molecolare nel liquido stesso, ottenuto con differenti
9
metodi di preparazione: infatti nel riferimento bibliografico [7] si attuano svariate metodiche
di amorfizzazione, quali ad esempio la fusione con differenti velocità di riscaldamento e
raffreddamento, milling del TRE-β a temperatura ambiente, freeze-drying di soluzioni
acquose di trealosio, estrazione supercritica, trattamento con le microonde, analizzando poi
l’amorfo ottenuto nei vari casi con metodi calorimetrici (DSC, Differential Scanning
Calorimetry).
La possibile esistenza di due differenti forme amorfe di trealosio amplia quindi ulteriormente
lo scenario riguardante la correlazione tra le proprietà chimico-fisiche di questa molecola e le
sue proprietà bioprotettrici.
Trealosio e bioprotezione
In letteratura sono svariati gli studi che indagano in proposito alle note proprietà bioprotettive
che gli zuccheri svolgono nei confronti di cellule sottoposte a svariati tipi di stress (termico,
meccanico…) in vitro e in vari organismi viventi. Il punto fondamentale per quanto riguarda il
trealosio e la bioprotezione riguarda il fatto che questo, rispetto ad altri disaccaridi, presenta
proprietà migliori in questo campo; è nato quindi un vero e proprio “mito” riguardo a questo
carboidrato, che è stato considerato come molecola protettiva, anche perchØ venne trovata in
alte concentrazioni in organismi capaci di sopravvivere ad una quasi completa disidratazione,
e di riattivare le proprie funzioni vitali una volta reidratati. La bioprotezione è un aspetto
importante nell’industria alimentare, medica e farmaceutica, ma tuttavia è nota da tempi
antichi la capacità degli zuccheri di conservare i cibi.
Per cercare di capire da dove derivino le proprietà particolari del trealosio in confronto agli
altri zuccheri, come ad esempio il sorbitolo, se ne studiano le proprietà in soluzione acquosa
(non può essere, infatti, ignorata la capacità degli zuccheri di proteggere strutture biologiche
in soluzioni concentrate o semi-diluite) e, come vedremo, in prossimità della transizione
vetrosa. Innanzi tutto il fatto che questi organismi prediligano disaccaridi non riducibili è
dovuto alle reazioni che spesso avvengono tra zuccheri riducibili e proteine in condizioni
anidre (reazioni di Maillard). Poi, per quanto riguarda il comportamento del trealosio in acqua
si è capito che un ruolo importante potrebbe averlo proprio il raggio di idratazione, circa 2,5
volte maggiore a quello di altri zuccheri in condizioni analoghe [8].
In proposito alla transizione vetrosa, una delle varie anomalie che il trealosio presenta è
proprio una T
g
più elevata rispetto a quelle di altri carboidrati; poi l’evidenza sperimentale che
la T
g
diminuisca all’aumentare del contenuto di acqua all’interno del campione e la
10
conversione dell’amorfo nella forma idrata in condizioni appropriate. Queste considerazioni
non possono non far pensare alla possibilità che il meccanismo della bioprotezione sia almeno
parzialmente dovuto alla combinazione della stabilità del trealosio vetroso e la particolare
interazione dell’acqua con lo stato cristallino: infatti, Nagase e altri [9], dopo aver studiato le
strutture cristalline sono giunti alla conclusione che l’acqua, nella forma diidrata, è confinata
in due canali cavi monodimensionali non equivalenti tra loro per quanto riguarda le
dimensioni del diametro, come già accennato precedentemente.
Tuttavia non è ancora del tutto chiaro come effettivamente avvenga la bioprotezione e come
il trealosio sia implicato in questo processo; esistono quattro ipotesi che vanno a cercare di
dare una spiegazione a questo fenomeno:
• Ipotesi della sostituzione dell’acqua: venne proposta da Crowe nel 1973 e si
studiarono sistemi acquosi modello con composti polari e apolari per predire il
comportamento di macromolecole biologiche, studiando l’interazione soluto-soluto e
soluto-solvente. In questa ipotesi viene sottolineato il fatto che l’effetto bioprotettivo
sia dovuto non ad un solo fattore ma alla cooperazione di diversi contributi. Il concetto
fondamentale è che in soluzione le proteine, o le strutture biologiche in generale,
tendono a formare legami a idrogeno con le molecole d’acqua. Anche i disaccaridi
sono in grado di formare legami a idrogeno con le molecole organiche, per cui
possono fungere da sostituti dell’acqua nei sistemi biologici. Il trealosio, infatti, con i
suoi quattro ossidrili per anello è in grado di formare legami a idrogeno con gruppi di
proteine che in presenza di acqua sono normalmente solvatate; quando, però, si va
incontro a fenomeni di disidratazione, il trealosio (o un disaccaride in generale) può
andare a creare un ambiente attorno alla proteina simile a quello che subirebbe in
presenza d’acqua. Questo tipo di protezione spiega bene come alcune proteine che
sono particolarmente sensibili a fenomeni di denaturazione e degradazione riescano a
riprendere le loro funzionalità e la loro condizione iniziale.
• Meccanismo dell’effetto destrutturante: è stato proposto da Magazù [10] e descrive
l’effetto destrutturante degli zuccheri sul network di legami a idrogeno dell’acqua
impedendone la coordinazione tetraedrica e in questo modo sfavorendo la nucleazione
e la cristallizzazione dell’acqua; in questo modo i danni che le proteine subirebbero a
basse temperature in seguito alla formazione di ghiaccio vengono evitati. Molti autori
sono convinti che questo effetto è possibile grazie al fatto che le interazioni trealosio-
solvente/soluto sono più forti rispetto a quelle solvente-solvente: l’acqua, cioè, si lega
preferenzialmente con una molecola di trealosio formando legami a idrogeno,