INTRODUZIONE
Questo lavoro intende prendere sotto esame il musical classico,
proponendo come esempi dei film che hanno come sfondo una
città in modo emblematico, e che fanno di essa la vera
protagonista. I personaggi interagiscono con la città, si
immedesimano nella sua vita e nelle sue regole, acquistando i modi
di fare propri della città in cui sono collocati.
Nel primo capitolo ho trattato in generale il rapporto tra città,
cinema e cultura, cercando di spiegare con riferimenti scientifici i
comportamenti insiti nei modi di fare dei cittadini della metropoli,
rispetto a quelli del paese e poi rapportando il tutto alla città nel
cinema e nel musical in particolare. Prendendo ad esempio Il
Mago di Oz e Brigadoon, ho parlato anche della città immaginaria
e dell’onirismo. Il musical è un genere nato per intrattenimento ed
evasione, e come tale è quello che presenta più spesso dei temi di
fantasia. Registi come Vincente Minnelli o Victor Fleming hanno
fatto sognare milioni di gente con le loro “favole in musica”,
prestando attenzione ad ogni minimo dettaglio nella messa in
scena, nel décor o nella fotografia, che potesse stonare. Soprattutto
sono stati i grandi precursori dell’uso del colore nel sogno, che
hanno saputo utilizzare con grande maestria, influenzando tutti i
registi successivi a loro.
Nel secondo capitolo ho trattato New York, la città dove sono stati
ambientati più musicals in assoluto. Partendo da un po’ di storia ho
cercato di analizzare alcuni dei posti più salienti della città, come
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Broadway, con le backstage stories di Busby Berkeley, di cui
prendo in esempio Quarantaduesima Strada; o Central Park, luogo
eletto dagli innamorati, attraverso Spettacolo di varietà di Vincente
Minnelli; arrivando poi a parlare dei simboli della Grande Mela, i
grattacieli, attraverso l’energia che sprigiona Un giorno a New
York, il primo musical girato interamente fuori dai teatri di posa
nonché primo dei tre musical della coppia Stanley Donen e Gene
Kelly.
Nel terzo capitolo ho trattato Los Angeles, cercando di fare un
confronto generale con New York tra dimensione spaziale, cultura,
gente e clima. Di questa città ho preso in considerazione due film
in particolare, perché analizzano due dei punti chiave della
metropoli: Due marinai ed una ragazza, Cantando sotto la
pioggia. Il primo perché mette in scena la componente latina nella
realtà della metropoli californiana, facendo riflettere sulle
differenze caratteriali e culturali della gente americana in confronto
con le usanze dei latini. Il secondo è “il musical per eccellenza”,
una divertente commedia metafilmica che racconta di Hollywood
all’epoca del passaggio dal muto al sonoro, con tutti i suoi
problemi di produzione.
Nel quarto ed ultimo capitolo ho spostato i miei orizzonti
analizzando Parigi, la città europea che più di tutte ha avuto la
fortuna di essere protagonista di musical. Prendendo ad esempio
Un americano a Parigi e Cenerentola a Parigi ho analizzato due
componenti diverse della cultura di questa città: il flâneur da un
lato, legato alla nostalgica visione di una città di altri tempi, e la
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mondanità della moda dall’altro, simbolo di una modernità
dell’epoca, rapportandole anche alla visione dei due registi:
Minnelli più nostalgico e sognatore e Donen più realista e
moderno.
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CAPITOLO 1
LA CITTÀ NEL CINEMA
Città e cinema sono sempre andate molto d‟accordo. Quando il
cinema è nato, non esistevano ancora i teatri di posa e i film di
finzione, ma la novità che stupiva la gente era il riuscire a
riprodurre delle scene di vita reale. E, della vita reale, fa parte
anche la città. Così i fratelli Lumière ci hanno lasciato molte
immagini di scene cittadine dall‟arrivo del treno, alle passeggiate
nei boulevards.
Qualche anno più tardi è arrivato Méliès che, con le sue
riproduzioni in studio si è opposto con forza al loro realismo
cittadino. E allora, qual è il luogo del cinema? La città o il teatro
di posa? È partendo da qui che il cinema si è diviso in cinema di
finzione e cinema documentario. In realtà ciò che Méliès intuisce
è l‟utilizzabilità dello spazio teatrale come luogo della messa in
scena degli elementi pro-filmici. La costruzione del teatro di posa
di Montreuil-sous-Bois è un evento: dà la possibilità di creare dei
cinegiornali finti simulando dei personaggi viventi (come re
Edoardo VII d‟Inghilterra impersonato da un garzone della
lavanderia) ma anche degli eventi naturali. Ciò segna l‟inizio del
docudrama e del teatro filmato. Le riprese in studio
rappresentano di fatto il momento della „teatralizzazione‟ del
cinema: il momento in cui la macchina da presa non deve andare
più in nessun luogo, perché qualunque luogo può essere simulato
davanti ad essa.
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Durante gli anni Trenta e l‟avvento del sonoro, Hollywood
prende sempre di più le distanze dalla città reale. Le fasi di
ripresa del film comportano ora il ricorso ad una serie di
apparecchiature complesse ed ingombranti che favoriscono la
tendenza a girare nei teatri di posa. I cineasti però, si sono trovati
a dover fronteggiare il problema della rappresentatività delle
storie che raccontano e degli ambienti che descrivono, in
relazione alla città: ovvero valutare in che misura è possibile
considerare emblematico un repertorio scenografico che quasi
sempre si limita alla ricostruzione, sia pure accurata, di interni,
rimuovendo del tutto l‟immagine esteriore della città.
Per rendere il film sempre più simile alla realtà, il contesto non
poteva più essere rappresentato solo da stanze di palazzi o ville,
si sentiva il bisogno di inserire i personaggi all‟interno di uno
spazio ben più grande, quindi di farli interagire con la città: di
mandarli a far la spesa, o una passeggiata, insomma: di fargli fare
le cose comuni che fa la gente comune. Quindi, gli scenografi si
sono trovati a ricostruire sul set qualche scorcio urbano (piuttosto
che a scendere in strada per cercarne di autentici) dove gli attori
potessero interpretare le loro storie che, man mano, si facevano
più complesse e articolate.
In molti film americani di quegli anni, inoltre, è presente una
sequenza introduttiva, che ha il compito di collegare ad un
contesto e ad un‟esperienza di tipo urbano i protagonisti della
vicenda, i loro comportamenti, la loro morale e il loro destino.
Il rapporto tra città e cinema si intensifica nel secondo
dopoguerra, quando, sulla scia del Neorealismo, i cineasti, aiutati
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anche dall‟evoluzione delle apparecchiature, diventante
sostanzialmente più leggere e maneggevoli, hanno deciso di
scendere in strada e di riprendere tutto ciò che potesse
rappresentare scene di vita reale, in ambienti reali.
Questo è avvenuto in modi diversi a seconda dei film, come
viene affermato ne La città e il cinema:
“Il rapporto tra cinema e città varia di volta in volta per
ogni film. Talora è la città che genera il film e non solo
dal punto di vista architettonico, ma sociologico,
geografico, storico o pittorico. […] Un esempio tipico di
scelta sociologica è Paisà di Rossellini, film per il quale
sarebbe impensabile, e comunque impossibile, collocare
alcuni episodi in città diverse da quelle in cui furono
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girati.”
A volte il film nasce a prescindere dalla città in cui viene girato:
il contesto urbano finisce col fare da sfondo a una tematica di
ordine psicologico o narrativo. È il caso delle città fantasma,
quelle città che non vediamo, che se non ci viene detto durante il
film di dove siamo, che l‟azione si sviluppi a New York o a Los
Angeles, o a Roma, tanto per esagerare, è lo stesso.
Il mio interesse, invece, si rivolge a quei registi che hanno voluto
raccontare la città “viva”, che sia ricostruita in studio o no,
esperita, sofferta, amata o detestata, ma che provochi delle
1
Licata, Mariani, Travi, La città e il cinema, Librerie Dedalo, Bari, 1985. Cit. pag. 53.
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emozioni vere. Parlerò di città con una storia e un‟identità
precise, come New York, Los Angeles e Parigi, rispetto alle quali
i registi si pongono come interpreti e critici. E anche quando non
abbiamo una città reale, ma del tutto fantastica, come nel caso di
Oz o di Brigadoon, i registi la fanno sembrare reale, viva e ben
definita.
Alcuni cineasti hanno dei rapporti particolari con una
determinata città, una sorta di legame indissolubile: ad esempio
Woody Allen con New York o, senza andare troppo lontano,
Federico Fellini con la sua Rimini, che raccontano, ricordano e
interpretano in tutti i modi possibili.
Spesso la città è vista nella sua dimensione di metropoli, perché
solo la metropoli offre una grande molteplicità di punti-
macchina, al contrario delle piccole città e dei villaggi, che sono
privi della dimensione verticale e, più ancora, dell‟articolarsi dei
quartieri e della differenziazione degli spazi. Ma non solo. La
differenza tra città piccola e città grande non è dovuta certo solo
all‟estensione degli abitanti. Ci sono molteplici componenti che
concorrono alla differenziazione. Innanzi tutto,
“la metropoli si impone con i suoi modelli, la sua forza di
attrazione, e squalifica la piccola città, così che in
quest‟ultima si vive nell‟attesa della fuga, nel desiderio di
abbandonare la volgarità e la noia della vita di provincia,
il controllo capillare dei comportamenti dei singoli, per
immergersi nel bagno rigeneratore dell‟eccitante
anonimato della metropoli, nella sua indifferenza, dalla
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quale si spera poi di emergere” .
È il caso dei molti film su Broadway o Hollywood, o più in
generale New York o Los Angeles, dove i protagonisti spesso si
trasferiscono in cerca di fortuna dal piccolo paese e poi tentano il
successo cercando di sfondare a teatro o nel cinema.
Inoltre la grande città è quella in cui il giorno dura di più, in cui il
tempo si presenta più lungo, più intenso e più teso. C‟è una gran
differenza di ritmo, nel senso che nella metropoli è più veloce e
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sincopato: c‟è una prevalenza del prestissimo, la gente corre e si
affretta a fare le mille cose di ogni giorno, facendone derivare lo
stress, la tensione e il nervosismo, e il tempo appare più screziato
e differenziato, al contrario di quello dei piccoli centri, dominati
da una percezione di esso più lenta, pigra e mediamente più
compatta. Anche nel campo della moda il tempo è molto
importante: nella piccola città arriva con ritardo, in differita,
quando nelle metropoli ormai ne imperversa un‟altra.
La metropoli e la piccola città sono molto diverse da vivere. E
all‟interno delle prime, spesso ci sono delle piccole città,
racchiuse in quartieri: sono mondi separati, segnati da soglie
invisibili. Pensiamo ai ghetti, alle China Town e alle Little Italy,
ai santuari metropolitani in cui nemmeno la polizia osa entrare.
Sono luoghi in cui valgono leggi diverse, e che vengono
2
Remo Bodei, Piccola e Grande città, in Giacomo Martini (a cura di) Città e metropoli, le
culture e i conflitti, Comune di Ferrara, Assessorato alla Cultura. 1982. Cit. pag. 42.
3
Ibidem.
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raccontati in film molto realisti e crudi, perché spesso fanno da
scenario atti di violenza, rapine, omicidi, e guerre di bande:
esattamente come, per rimanere nell‟ambito del Musical, il West
Side di New York, che vede la guerra tra i portoricani Sharks e
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gli angloamericani Jets di cui parleremo nel capitolo successivo.
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Nel suo saggio Città, metropoli, cinema, Guido Fink afferma
che ora a cinema
“non ha più senso vedere la vecchia contrapposizione fra
mimesi e fantastico, Lumière e Meliés: lo sfondo cittadino
di un film qualsiasi avrà sempre qualcosa di familiare a
un tempo e irreale, sia che venga esplorato dalla „camera‟,
sia che venga sottinteso al di là degli interni ricostruiti in
studio, o magari ridotto alla stenografia e al repertorio.”
Il mondo che vediamo sullo schermo viene percepito come
doppio non identico rispetto a quello reale. Questo perché siamo
coscienti che la storia che ci stanno raccontando spesso non è
realmente accaduta e se lo è, è stata comunque romanzata. Inoltre
il vedere una città racchiusa dentro un rettangolo e tutto intorno il
buio, sebbene sia il massimo per l‟identificazione con i
personaggi, fa sì che il processo di riconoscimento della città sia
parziale.
4
West Side Story, Robert Wise e Jerome Robbins, 1961.
5
Guido Fink, Città, metropoli, cinema, in Giacomo Martini (a cura di) Città e metropoli, le
culture e i conflitti, Comune di Ferrara, Assessorato alla Cultura. 1982. Cit. pag. 76
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