INTRODUZIONE
L’economia internazionale si interessa dei rapporti economici tra paesi sotto un
duplice aspetto: l’aspetto reale, il quale riflette le motivazioni che conducono i
paesi a commerciare tra di loro ed il criterio con cui si determina il senso dei flussi
commerciali, nonchØ la loro compensazione; e l’aspetto monetario, ovvero gli
effetti che il commercio internazionale e gli scambi di capitali hanno sulle bilance
dei pagamenti e sui tassi di cambio. Per motivi puramente didattici, molti libri di
testo trattano separatamente queste due macroaree. Tuttavia, la realtà dimostra
chiaramente che in una economia mondiale integrata, le politiche economiche di
un paese, specie in assenza di coordinamento, influenzano in genere anche
l’economia di altri paesi. Infatti, un problema fondamentale dell’economia
internazionale è costituito dal raggiungimento di una certa armonizzazione tra il
commercio internazionale e le politiche monetarie dei diversi paesi.
Negli ultimi decenni la globalizzazione, associata ad un rapido progresso
tecnologico, ha allargato le dimensioni del mercato e ridotto i confini economici
tra gli stati nazionali, ma le decisioni di politica economica rimangono
appannaggio dei singoli governi. L’attuale crisi economica mondiale rappresenta
un ottimo esempio degli effetti sulla vita dei singoli della discrepanza tra
ampiezza del mercato e dimensione politica. In questo contesto, le distorsioni
nell’allocazione delle risorse in una parte del mondo creano distorsioni in altre
parti, con reazioni a catena che alla fine rischiano di essere dannose per tutti.
A cominciare dagli anni ’80 si è presentata una fase di accelerazione del processo
di globalizzazione, che viene chiamata globalizzazione “neo-liberista”. Essa ha
alle sue spalle l’affermarsi del modello di capitalismo americano e l’evolversi
dell’assetto economico-sociale della Cina. La caratteristica peculiare della
globalizzazione neo-liberista riguarda la crescita esponenziale dei mercati
finanziari. Molti paesi hanno ridotto fortemente i vincoli amministrativi agli
investimenti di portafoglio, dando luogo a movimenti di capitale in investimenti
finanziari facilmente liquidabili e dotati, quindi, di grande mobilità. Questo
processo ha agevolato la distribuzione del risparmio internazionale su un mercato
1
piø grande che offre maggiori opzioni ai risparmiatori e ai paesi che necessitano di
prestiti esteri, ma rende il sistema finanziario internazionale piø esposto a possibili
crisi finanziarie, valutarie e bancarie.
L’evoluzione delle relazioni economiche internazionali, avvenuta principalmente
negli ultimi due secoli, è stata dunque sostenuta ed accompagnata dallo sviluppo
del sistema monetario internazionale, vale a dire quell’insieme di regole,
istituzione e altri elementi che permettono ai paesi di scambiare beni, servizi e
capitali. Tuttavia, la crescente interdipendenza economica tra paesi è influenzata
da e influenza a sua volta le relazioni politiche, sociali, culturali e militari,
rendendo necessaria un’adeguata gestione dei flussi di beni, servizi e pagamenti
tra una nazione e il resto del mondo.
La crisi finanziaria innescata nel 2007 dalla sovraesposizione degli istituti di
prestito mobiliare negli Stati Uniti è solo uno degli elementi piø eclatanti di un
quadro economico internazionale “disordinato”, con diverse tensioni in atto: gli
squilibri dei pagamenti tra le aree del mondo; il ruolo del dollaro come moneta di
riserva di riferimento; la comparsa di nuovi attori sulla scena economica mondiale
(paesi emergenti dell’Asia e dell’America Latina), i quali non hanno ancora
assunto un’adeguata posizione nella geopolitica internazionale; la vulnerabilità
delle economie nazionali e la conseguente debolezza delle politiche economiche.
Tutti questi fattori denotano l’attuale esistenza, di fatto, di un sistema monetario
internazionale asimmetrico.
La forza intrinseca dell’economia reale americana, la sua illimitata credibilità
finanziaria, il beneficio che i suoi creditori hanno ricevuto grazie alla continua
espansione della domanda americana per le loro merci e i loro risparmi, sono
fattori che hanno lungamente attenuato la percezione del problema della
sostenibilità degli squilibri internazionali e la ricerca di soluzioni. Tuttavia, la
recente crisi, e l’ombra della recessione globale piø importante dal dopoguerra,
hanno rinnovato l’attenzione degli economisti verso la possibilità di instaurare un
nuovo ordine economico-monetario globale, maggiormente adatto a regolare
l’economia internazionale multipolare di fronte alla quale ci troviamo oggi.
2
ENOZIUDORTNI
L’intento del presente lavoro è quello di far luce sulle problematiche del sistema
monetario internazionale che attualmente regola i rapporti economici tra paesi,
ripercorrendo brevemente la sua evoluzione nel tempo e recuperando dalla storia i
contributi teorici di autorevoli economisti, in particolare John Maynard Keynes e
Robert Triffin, per sottolineare come possibili suggerimenti e soluzioni siano già
alla portata di eventuali azioni correttive da parte dei policy makers.
Il primo capitolo è dedicato al tema dei global imbalances, che indicano, appunto,
i persistenti squilibri dei pagamenti internazionali tra le diverse aree del mondo. In
seguito ad una sintetica spiegazione “da manuale” in termini di variabili
economiche, si prendono in considerazione le due economie maggiormente
coinvolte nel fenomeno (Stati Uniti e Cina), e si espongono alcune delle tesi
avanzate sulla loro formazione.
Il percorso evolutivo del sistema monetario internazionale trova spazio nel
secondo capitolo. Esso viene tracciato attraverso la scomposizione temporale
dell’ultimo secolo in quattro fasi. Si ripercorrono a grandi linee il sistema
bimetallico, il gold standard ed il sistema di Bretton Woods, per arrivare ad
analizzare, nel capitolo terzo, il funzionamento dell’attuale dollar exchange
standard, evidenziando come la predominanza del dollaro, il debito estero dei
paesi in via di sviluppo, l’ingente accumulo di riserve valutarie dell’ultimo
decennio siano elementi che forniscono ampio sostegno alle critiche rivolte al
vigente sistema di regolazione dei pagamenti internazionali.
Infine, nel quarto capitolo, dopo aver identificato gli elementi teorici che possono
costituire le basi da cui partire per attuare una riforma, si espongono due modelli
ideati dalla recente letteratura in risposta al bisogno, avvertito sempre con
maggior vigore dalla comunità internazionale, di una nuova governance
monetaria.
3
ENOZIUDORTNI
CAPITOLO 1 – I GLOBAL IMBALANCES NELLO
SCENARIO INTERNAZIONALE
1.1 Global imbalances
Il termine global imbalances sta ad indicare persistenti squilibri dei pagamenti
internazionali tra le diverse aree del mondo. Gli squilibri economici e finanziari,
se sostenibili, non sono necessariamente negativi. Anzi, possono favorire una
crescita maggiore perchØ consentono di finanziare una dinamica piø elevata dei
consumi e degli investimenti, attingendo in particolare a capitali esterni. Negli
anni recenti, tuttavia, gli squilibri tra le principali aree economiche si sono
ampliati, sollevando non pochi interrogativi sulla loro sostenibilità e sui rischi di
instabilità che potrebbero derivare da una loro brusca correzione.
La Figura 1.1 mostra il crescente divario tra le bilance commerciali (misurate in
percentuale del PIL mondiale) dei principali paesi “attivi” a livello internazionale.
Si nota, in particolare, che gli squilibri globali caratterizzanti l’attuale scenario
economico consistono nella persistenza di un ingente deficit della bilancia
commerciale degli Stati Uniti, e di un corrispondente surplus in quella dei paesi
asiatici emergenti e dei paesi produttori di petrolio. Tale dinamica chiarisce il
ruolo dei paesi emergenti come “finanziatori” degli USA.
Figura 1.1: Bilancia delle partite correnti espresse in % del PIL mondiale
(a partire dal 2009 sono riportate le previsioni del FMI)
1,5
1
0,5
USA
0 UE
Giappone
-0,5
Asia –
Paesi emergenti
-1
Produttori
di petrolio
-1,5
-2
1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014
Fonte: Fondo Monetario Internazionale, WEO 2009
5
L’interesse nei confronti dei global imbalances si è manifestato con piø frequenza
dopo l’emergere della crisi finanziaria e della successiva recessione globale che
tutte le maggiori economie mondiali stanno attraversando, per il dubbio e il timore
che l’esistenza degli squilibri globali possa aumentare gli effetti negativi della
crisi, se non averne addirittura favorito ed accelerato la sua nascita.
La ricerca di capitali all’estero è diventata sempre piø facile grazie alla crescente
integrazione finanziaria. Oltre che in ambito finanziario, l’integrazione è stata
notevole anche sul piano reale: basti pensare a come i miglioramenti nelle reti di
trasporto abbiano permesso l’interconnessione delle piø grandi risorse produttive
delle economie nazionali. L’apertura di un sistema economico nazionale agli
scambi con l’estero implica l’inclusione di numerose nuove variabili nella politica
economica. Queste variabili sono:
- il tasso di cambio;
- le importazioni ed esportazioni;
- il livello dei prezzi, il reddito e il tasso di interesse del resto del mondo;
- il livello dei prezzi nazionali;
- il saldo della bilancia commerciale;
- il saldo dei movimenti di capitale e
- il saldo complessivo della bilancia dei pagamenti.
Pertanto, in economie aperte, i policy makers perseguono due macro-obiettivi,
l’equilibrio interno, il quale richiede il pieno impiego delle risorse disponibili nel
paese e la stabilità dei prezzi domestici; e l’equilibrio esterno, che viene
raggiunto quando il saldo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti di un
paese non si trova nØ pesantemente in deficit, nØ fortemente in attivo.
L’equilibrio esterno mira al livello ottimale del saldo delle partite correnti perchØ
il commercio internazionale di un’economia può porre problemi di natura
macroeconomica in funzione di numerosi fattori, come ad esempio il contesto
internazionale, gli accordi istituzionali che governano le relazioni con paesi terzi,
o le circostanze particolari in cui si trova l’economia stessa.
6
ELANOIZANRETNIOIRANECSOLLENSECNALABMILABOLGI–OMIRPOLOTIPAC
Un’identità fondamentale dell’analisi macroeconomica - in economia aperta - è
data dall’uguaglianza tra reddito nazionale e spesa nazionale:
[1.1]
Il reddito nazionale ( ) dell’economia, cioè il valore di tutti i beni e servizi finali
prodotti e venduti sul mercato in un dato periodo di tempo, viene diviso in quattro
voci fondamentali: il consumo, l’investimento e la spesa pubblica in beni e
servizi, che insieme formano la spesa domestica ( + + ), piø il valore delle
esportazioni nette ( ). Questa scomposizione del reddito consente agli
economisti di suggerire manovre di politica economica in fase di recessione o di
espansione, attraverso l’analisi delle variazioni occorse nelle principali voci di
spesa.
La differenza tra importazioni ed esportazioni viene definita bilancia
commerciale o anche CA (dall’inglese current account), essa rappresenta il
bilancio del commercio con l’estero. La bilancia commerciale è anche un
indicatore delle variazioni della ricchezza estera netta di un paese, in quanto:
quando la produzione supera la spesa domestica ( ), la
bilancia commerciale presenta un saldo positivo (in termini tecnici, un
avanzo commerciale), ciò che non viene assorbito dall’economia
nazionale, viene esportato all’estero. La vendita internazionale di beni e
servizi contribuisce ad aumentare la ricchezza estera netta di un paese.
quando la produzione è inferiore alla spesa domestica ( ), è
necessario importare beni e servizi dall’estero, e tale necessità provoca un
disavanzo commerciale: le importazioni superano le esportazioni.
Chiaramente, la ricchezza estera netta del paese diminuirà.
Un modo alternativo di interpretare la bilancia commerciale, che tornerà utile
nella spiegazione della teoria secondo la quale gli squilibri globali sono dovuti ad
7
null+null+null<nullnull+null+null>nullnullnull−nullnullnullnullnullnullnullnull−nullnull+null+null+null=nullELANOIZANRETNIOIRANECSOLLENSECNALABMILABOLGI–OMIRPOLOTIPAC
1
un eccesso di risparmio , è dato dalla differenza tra risparmi ed investimenti
domestici.
Il risparmio nazionale ( ) viene definito come la porzione della produzione ( ),
che non viene destinata nØ al consumo delle famiglie ( ), nØ alla spesa pubblica
( ). Pertanto, in un’economia chiusa il risparmio nazionale è sempre uguale agli
investimenti:
[1.2]
In un’economia aperta, risparmio ed investimento possono divergere grazie al
flusso di capitale estero in entrata o al flusso di capitale nazionale in uscita.
Quindi, un paese che investe piø di quanto risparmia sta utilizzando risorse estere,
e presenterà un saldo di conto corrente negativo. Viceversa, un paese che non
indirizza tutto il proprio risparmio agli investimenti domestici può prestare risorse
ad altri, registrando un saldo positivo. Ne deriva che:
[1.3]
I problemi connessi a deficit eccessivi del saldo delle partite correnti si
ricollegano a:
– rischio di incorrere in un pesante indebitamento estero;
– rischio di insolvenza, quindi incapacità del paese in disavanzo di far fronte
agli impegni di pagamento in conto capitale;
– perdita di fiducia da parte degli investitori, che determina il venir meno
della credibilità finanziaria del paese in deficit.
Un surplus eccessivo del saldo delle partite correnti si traduce in:
– minore investimento all’interno del paese;
– rischio per i creditori di mancata restituzione dei debiti (collegato,
appunto, al rischio di insolvenza del paese debitore);
– ragioni politiche.
1
Si tratta della spiegazione avanzata da Bernanke (2005).
8
null−null=nullnullnull=nullnull−null−null=nullnullnullnullnullELANOIZANRETNIOIRANECSOLLENSECNALABMILABOLGI–OMIRPOLOTIPAC
Considerate le dimensioni dei global imbalances, e delle conseguenze che
potrebbero avere nella configurazione di un nuovo assetto mondiale, sono state
avanzate diverse ipotesi per fornire una spiegazione su come essi si siano formati,
cercando di comprendere come intervenire per una loro riduzione.
Il dibattito in corso verte principalmente attorno a due differenti linee di pensiero:
alcuni sostengono che le cause vadano ricercate nell’analisi delle politiche
commerciali perseguite dai singoli paesi e nell’andamento del commercio estero,
imputando la nascita degli squilibri alle caratteristiche e alla storia recente dei
paesi in surplus; altri ritengono che il ruolo predominante l’abbiano avuto gli
squilibri interni degli Stati Uniti, individuando nelle politiche economiche e
monetarie statunitensi e nello status del dollaro come principale valuta di
riferimento, il configurarsi di un forte debito estero (che trova la sua contropartita
negli avanzi commerciali soprattutto asiatici).
1.2 Il disavanzo esterno degli Stati Uniti
Il deficit della bilancia commerciale degli Stati Uniti, come dimostra la Figura
1.2, ha raggiunto nell’ultimo decennio dimensioni consistenti, con un picco di 753
miliardi di dollari nel 2006, pari a circa il 6% del PIL degli USA, e con un valore
2
nel 2008 di 673 miliardi di dollari. Pur essendo una economia in deficit da circa
25 anni, ciò che maggiormente colpisce è il rapido aumento registrato dal 1998 al
2001 e dal 2003 al 2007, con incrementi vicini al 50%.
L’andamento del conto corrente fa capire che ogni anno gli USA si indebitano con
il resto del mondo. I loro “finanziatori” sono principalmente due, entrambi al di là
del Pacifico. Primo, in ordine cronologico, il Giappone, e negli ultimi quindici
anni i Paesi asiatici emergenti (India, Cina, ecc), che si sono inseriti nel
commercio mondiale e hanno adottato modelli tirati dalle esportazioni.
Un periodo particolarmente importante è quello tra il 1997 e il 1998. Il conto
corrente, sebbene già in deficit dal 1991, si aggirava a livelli che non destavano
assolutamente preoccupazione. Tuttavia, la crisi finanziaria globale che avvenne
2
Fondo Monetario Internazionale, World Economic Outlook, Aprile 2009.
9
ELANOIZANRETNIOIRANECSOLLENSECNALABMILABOLGI–OMIRPOLOTIPAC
in quegli anni svolse un ruolo importantissimo per il posizionamento del reddito
all’estero e per la dinamica dell’offerta del dollaro. In breve, la preferenza degli
investitori stranieri per “beni di qualità”, li condusse a comprare i titoli di stato
3
americani, comportando un’ingente afflusso di capitali negli USA. Da quel
momento in avanti, l’andamento del deficit americano seguì un unico trend di
progressivo deterioramento che non si era mai osservato prima, sino a giungere
alla preoccupante situazione attuale.
Figura 1.2: Bilancia Commerciale USA
(dati espressi in miliardi di dollari)
100
1
0
0
-100
-1
-200
-2
-300
-400
-3
-500
-4
-600
-5
-700
-6
-800
-900 -7
1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008
Fonte: Fondo Monetario Internazionale, WEO 2009
% del PIL Valore Assoluto
I macroeconomisti hanno chiamato il decennio conclusosi nel 2000 The Great
4
Moderation : si era ormai certi che la volatilità economica creata dai sistemi
bancari del ventesimo secolo avesse raggiunto una certa stabilità. Tuttavia, la
validità di questo concetto come un cambiamento permanente è stata messa in
discussione dalla crisi economica e finanziaria iniziata nel 2007. Targetti e
Tamborini (2009), intitolano The Great IMModeration il paragrafo dedicato alla
descrizione dell’economia americana degli ultimi decenni.
A suscitare l’ottimismo degli economisti è stato il fatto che, dalla metà degli anni
’80, la maggior parte delle economie avanzate ha sperimentato una riduzione
3
Per una spiegazione piø chiara si rimanda al paragrafo 1.4.2 Il Global Saving Glut.
4
Il termine, che si richiama a due infausti precedenti storici, The Great Depression degli anni ’30 e The
Great Inflation degli anni ’70, fu coniato nel 2002, dall'economista di Harvard, James Stock, nel suo
paper intitolato "Has the Business Cycle Changed and Why?".
10
ELANOIZANRETNIOIRANECSOLLENSECNALABMILABOLGI–OMIRPOLOTIPAC
5
significativa della volatilità macroeconomica : si è verificata una diminuzione
della volatilità nell’andamento di alcune delle piø importanti variabili economiche
come il PIL, la produzione industriale e il tasso di disoccupazione. Questo lungo
periodo di stabilità ha alimentato il convincimento che il ciclo economico fosse
stato definitivamente sconfitto e che shock negativi, anche significativi, potessero
essere contrastati senza generare effetti rilevanti sul prodotto e sull'inflazione. La
maggiore prevedibilità della capacità economica e finanziaria ha indotto le
imprese a detenere meno capitali e ad essere meno preoccupate per le loro
posizioni di liquidità. Questo, a sua volta, è stato uno dei fattori determinanti
nell’aumento dei livelli del debito e nella riduzione dei premi per il rischio
richiesti dagli investitori (sostanzialmente i tassi di rendimento sulle attività
finanziarie).
Inoltre, gli squilibri dei pagamenti internazionali, su cui si è retta la Great
Moderation, hanno numerosi effetti collaterali che minano la stabilità economica
mondiale. Il piø importante riguarda la loro contropartita finanziaria: un paese con
un persistente disavanzo di conto corrente, come gli Stati Uniti, tipicamente ha
anche un afflusso di capitali finanziari dal resto del mondo, questi ultimi sono il
risultato di emissioni di titoli (azioni, obbligazioni pubbliche e private, ecc.)
acquistati da soggetti esteri. Pertanto, un disavanzo di conto corrente comporta un
aumento del debito estero. Le statistiche del Tesoro americano attestano che, alla
fine del 2008, il debito estero statunitense ammontava a circa 13.000 miliardi di
6
dollari . Gli USA sono attualmente i maggiori debitori esteri al mondo.
Il disavanzo commerciale è sinonimo di ingenti importazioni, la domanda
americana di beni esteri ha permesso ai Paesi esportatori emergenti di realizzare
una forte crescita economica. Tuttavia, la recente caduta della domanda nazionale
negli Stati Uniti – dovuta all’attuale crisi economica – ha determinato il verificarsi
di un ampio shock reale negativo a livello globale: un importante segnale circa
l’insostenibilità degli squilibri attuali.
5
Saltari E. (2008).
6
Fiorentini R., Montani G., Global Imbalances and The Transition to a Symmetric World Monetary
System, Perspectives on Federalism, Vol. 2, issue 1, 2010, p.5.
11
ELANOIZANRETNIOIRANECSOLLENSECNALABMILABOLGI–OMIRPOLOTIPAC
1.3 L’economia della Cina ed il surplus commerciale
Uno squilibrio di segno opposto a quello americano denota l’economia dei Paesi
emergenti, in particolare quelli asiatici, e quelli esportatori di petrolio. Il caso
della Cina, come dimostrato dalla Figura 1.3, è quello piø eclatante.
Figura 1.3: Bilancia Commerciale della Cina
(dati espressi in miliardi di dollari)
Fonte: National Bureau of Statistics of China
L’evoluzione economica cinese è il piø evidente esempio di progresso economico
che ha caratterizzato un paese emergente e in transizione. Le radici della crescita
vanno ricercate in una graduale ristrutturazione del settore economico,
trasformatosi da economia pianificata e centralizzata a economia moderna, con
una rete diffusa di imprese private. Nel 2005, a tassi di cambio di mercato, la Cina
è diventata la quarta economia del mondo, e la seconda se il Pil viene valutato a
parità di potere d’acquisto. La Figura 1.4 evidenzia la distribuzione percentuale
del Prodotto mondiale, prendendo in considerazione le 13 nazioni con il maggior
Prodotto Interno Lordo, valutato a parità di potere d’acquisto.
12
ELANOIZANRETNIOIRANECSOLLENSECNALABMILABOLGI–OMIRPOLOTIPAC
Figura 1.4: Suddivisione del Pil mondiale tra i “top 13”
(dati espressi in percentuale, basati sulla PPP)
Fonte: United States Central Intelligence Agency
All’indomani della costituzione della Repubblica Popolare Cinese, nel 1949 venne
adottato il modello sovietico come strategia di sviluppo economico, il quale
prevedeva la pianificazione centralizzata attraverso la predisposizione di Piani
Quinquennali. Al potere si trovava allora il portavoce del Partito Comunista
Cinese, Mao Zedong. La sua strategia di sviluppo si basava su un sistema
industriale pienamente statalizzato, in cui i prezzi e i salari non venivano
determinati in base alle dinamiche di mercato, ma fissati per via amministrativa.
Le imprese statali non avevano autonomia decisionale, dovevano raggiungere gli
obiettivi, quasi esclusivamente mirati ad aumentare la produzione con i mezzi resi
disponibili dallo Stato, senza dedicare attenzione alla profittabilità.
In questo modello, anche il sistema finanziario era lungi da una situazione di
mercato: composto da un unico istituto bancario statale, che svolgeva il ruolo sia
di banca centrale che di banca commerciale, indirizzava gli investimenti
soprattutto all’industria pesante.
Nel 1978 venne annunciato per il nuovo Piano Quinquennale lo sviluppo
sostenuto dell’industria attraverso un massiccio programma di investimenti e
l’importazione di macchinari dall’estero. Inizia così, attraverso l’avvio di svariate
riforme, la demaoizzazione dell’economia. Di seguito sono elencati i principali
cambiamenti.
13
ELANOIZANRETNIOIRANECSOLLENSECNALABMILABOLGI–OMIRPOLOTIPAC
- Riforme del sistema industriale: uno dei passi cruciali compiuti in campo
industriale fu la scelta di passare, nel 1984, da un sistema fondato su
imprese statali che ricevevano sussidi a fondo perduto dallo Stato, e a
quest’ultimo versavano i loro profitti, a uno nel quale le imprese hanno
diritto a trattenere i profitti, sui quali pagano le imposte. Di vitale
importanza fu, inoltre, il riconoscimento della compatibilità della proprietà
privata con gli ideali del socialismo (1989).
- Riforme del sistema bancario: venne abbandonata la preesistente struttura
monopolistica a favore di un sistema di quattro banche commerciali
specializzate, di proprietà statale (le c.d. State-owned banks – SOB) e fu
divisa la responsabilità della politica monetaria dall’attività creditizia.
- Riforme nel settore agricolo: si procedette alla decollettivizzazione
dell’agricoltura attraverso lo scioglimento delle comuni popolari, sostituite
dalle circoscrizioni cantonali (particolare suddivisione amministrativa).
- Riforme politiche: in ambito politico si è attuato un decentramento del
potere gestionale a favore dei governi locali, con la conseguente
ripartizione delle risorse tra stato centrale e province.
- Riforme commerciali: si è passati dall’autarchia alla politica della “porta
aperta”. Nell’arco di un quarto di secolo (1975-2000), la Cina si è
trasformata da un paese quasi del tutto chiuso agli scambi internazionali ad
uno dei paesi piø aperti del mondo.
Fra le prime misure di riforma economica attuate dal governo, va citata la
creazione di zone economiche speciali (ZES) al fine di attrarre gli investimenti
esteri attraverso esenzioni, sgravi fiscali e dazi preferenziali sulle importazioni.
Questi incentivi furono progressivamente estesi ad ampie aree delle province
costiere. Attualmente, la Cina conta decine di zone di attrazione degli
investimenti, centinaia di export processing zones, e altre aree come zone di
sviluppo e parchi industriali, scientifici e tecnologici dedicati alle attività
produttive delle imprese estere. La prima zona economica speciale fu
14
ELANOIZANRETNIOIRANECSOLLENSECNALABMILABOLGI–OMIRPOLOTIPAC
7
SHENZHEN , città simbolo e laboratorio della riforma. Questa città costituisce il
primo distretto industriale cinese per la produzione, ricerca e commercio estero di
prodotti high-tech (computer, biotecnologie, ecc) e il sesto porto container
mondiale, quindi un importante nodo infrastrutturale.
In relazione alla struttura dell’economia, l’insieme delle riforme ha
profondamente trasformato il modello di specializzazione cinese in direzione dei
beni nei quali il paese gode di un vantaggio comparativo a livello internazionale,
cioè quelli intensivi in lavoro non o poco qualificati e/o ad alta intensità di lavoro
all’interno di produzioni piø avanzate. Queste scelte hanno impresso una forte
dinamica al commercio estero cinese.
Oggi la Cina è tra i primi esportatori del mondo, un protagonista importante dello
scenario economico internazionale e di molte filiere industriali. La comprensione
delle cause della crescita cinese può consentire di valutarne la sostenibilità futura.
Sebbene non sia facile elencare i fattori alla base di una crescita economica
prolungata senza correre il rischio di eccessive semplificazioni, si possono
individuare due grandi forze propulsive: l’apertura al resto del mondo, sia al
commercio internazionale, sia agli investimenti diretti esteri; e un vasto e graduale
programma di riforme strutturali che ha posto le basi per la nascita di un sistema
produttivo privato. Alcuni dei principali vantaggi competitivi della Cina
consistono nell’enorme disponibilità di forza lavoro a basso costo, nella relativa
facilità di gestire un personale disciplinato e incline all’apprendimento, e infine,
nella notevole dimensione raggiunta dal mercato interno.
Nonostante il presente lavoro sia incentrato sul sistema monetario internazionale,
è doveroso ricordare che la crescita cinese non è certo avvenuta senza costi.
Alcuni aspetti negativi riguardanti questo “gigante” economico e destinati a
perdurare nel tempo, sono ad esempio i problemi ambientali, consistenti
soprattutto nel degrado del territorio e nell’inquinamento atmosferico; le
violazioni delle norme sulla tutela dei diritti di proprietà intellettuale, come la
falsificazione di marchi e brevetti.
7
Nel 1978, Deng Xiaoping, leader de-facto della piø popolosa nazione del mondo nei primi anni
successivi alla morte di Mao (1976), scelse Shenzhen per stabilirvi una delle zone economiche speciali
per sperimentare le nuove riforme economiche.
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ELANOIZANRETNIOIRANECSOLLENSECNALABMILABOLGI–OMIRPOLOTIPAC