Introduzione
La nascita del modello della Balanced Scorecard risale agli inizi degli anni 90
in seguito a uno studio su un campione di grandi aziende degli Stai Uniti
condotto da D.P. Norton e R.S.Kaplan e dal titolo “Measuring Performance in
the Organization of the future” che aveva l’obiettivo di progettare un modello
di riferimento per la misurazione della performance nelle organizzazioni del
futuro. La BSC trae la sua origine anche dalla cultura della generazione del
valore che si poggia sulle famose teorie della Catena del Valore di Michael
Porter.
Il termine Balanced ScoreCard tradotto nella nostra lingua sta per Scheda di
valutazione bilanciata. Bilanciata per l’appunto tra misure di performance di
natura puramente finanziaria (lagging indicators) e misure di performance di
natura non finanziaria (leading indicators), tra misure di risultato e misure che
indirizzano le performance future.
Essa serve a tradurre la strategia in obiettivi e misure tangibili.
Le 4 prospettive, attraverso le quali misurare le performance, suggerite da
Kaplan e Norton sono:
- finanza;
- cliente;
- processi interni;
- apprendimento e crescita,
quindi l’obiettivo primario è di affiancare ad una visione meramente
finanziaria, tre dimensioni non-financial.
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Le Balanced Scorecard sono uno strumento di controllo basato su un insieme
bilanciato di indicatori di gestione che consente alle organizzazioni di poter
monitorare le loro performance nel tempo. Ma non è esauriente considerare
tale strumento come un mero sistema di controllo, perchØ è allo stesso tempo
un valido strumento di gestione dell’intera attività. Potremmo, al limite,
considerarlo come una nuova forma evoluta di controllo di gestione dato che
non si basa solo su indicatori di natura finanziaria (che fa il controllo di
gestione nella sua accezione teorica), ma consente di evidenziare tra le varie
variabili, quelle che creano valore e che permettono di mantenere o
incrementare il vantaggio competitivo o una maggiore utilità sociale (nel
settore pubblico).
In sintesi l’ottica di misura dello Score Card consente di:
1. Chiarire e tradurre la visione e la strategia;
2. Comunicare e collegare gli obiettivi strategici e le misure;
3. Pianificare, stabilire i target e adeguare le iniziative strategiche;
4. Aumentare il feedback strategico e l‘apprendimento.
L’ambito di applicazione della balanced Scorecard è veramente ampio,
essendo applicabile non solo alle imprese, ma anche a Istituzioni Finanziarie,
Amministrazioni Pubbliche ed Enti no-profit.
Proprio in ambito pubblico, ove vi è sempre piø una necessità di spingere
verso sistemi innovativi di pianificazione e controllo dell’attività che superino
la tradizionale visione finanziaria limitata e di breve periodo, le Balanced
ScoreCard divengono un potente framework in grado di superare i limiti dei
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sistemi di gestione tradizionali, e di aiutare i city managers, e i vari dirigenti
di amministrazioni pubbliche, enti locali e aziende municipalizzate a
trasformare le linee guida del progetto di governo in obiettivi politico
amministrativi e questi ultimi in azioni concrete rispondenti alle reali
esigenze dei cittadini.
L’Ente Locale, come una qualsiasi organizzazione crea valore per i propri
portatori di interesse, i così detti stakeholder (nel caso specifico cittadini in
primis, ma anche soggetti economici, libere associazioni, soggetti del terzo
settore, ecc.), ed a tale fine elabora le proprie strategie.
I molteplici portatori di interesse (stakeholder) sono attenti e sensibili a
diversi aspetti del servizio che l’Ente eroga loro, e lo leggono sotto diverse
“prospettive”. Di conseguenza è opportuno che i sistemi di misurazione del
raggiungimento degli obiettivi strategici dell’Ente, considerino dette
prospettive (o dimensioni) ed abbiano un approccio “bilanciato
multidimensionale”.
Le quattro prospettive diventano per le P.A., che intendono cimentarsi
nell’implementazione di tale strumento, solo il punto di partenza per il
monitoraggio delle proprie strategie. Prospettive che possono essere ampliate
e modificate in base ai diversi obiettivi che i diversi soggetti pubblici
intendono perseguire e valutare. Ciò evidenzia la versatilità e flessibilità della
BSC. Ma non sono poche le problematiche e gli impedimenti che si
riscontrano qualora una organizzazione sia privata e anzitutto pubblica decide
di implementare una nuova forma di gestione quale può essere la BSC.
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Tali difficoltà sono legate principalmente ad una avversione nei confronti dei
cambiamenti che caratterizza i team di lavoro legati alle tradizionale abitudini
lavorative, soprattutto se parliamo di Pubbliche Amministrazione.
Questa e anche altre problematiche possono essere superate solo se all’interno
si è creata e strutturata una “cultura del cambiamento”.
Quindi se si vuole applicare la BSC al settore pubblico è necessario adottare
opportune modifiche per adattarlo a quelle che sono le esigenze peculiari
della pubblica amministrazione e alle complesse relazioni che si hanno tra
società civile e soggetto pubblico.
Il presente lavoro parte, nel primo capitolo, proprio con il processo di
cambiamento che ha interessato la Pubblica Amministrazione negli ultimi
decenni, attraverso un excursus delle riforme che ancora oggi cercano di
trasformare la P.A., orientandola verso forme manageriali.
Nel secondo capitolo tratterò nello specifico del sistema di programmazione e
controllo che caratterizza gli enti locali, distinguendo le diverse tipologie di
controllo che le recenti normative prevedono, riservando particolare
attenzione al controllo di gestione e al controllo strategico.
Nel terzo si affronterà il tema centrale del lavoro di ricerca, ovvero la BSC:
origini, nuovi modelli e critiche, ed evidenziando le potenzialità che tale
strumento può offrire per gli enti locali. Si prenderanno in considerazioni le
piø moderne teorie di BSC applicata agli enti locali, attraverso un excursus
del pensiero di piø autori che hanno affrontato la questione della BSC negli
enti locali. Si farà riferimento inoltre al piø noto caso do BSC applicata agli
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enti locali: il Città di Charlotte. In un paragrafo apposito si cercherà di
provare a realizzare, seguendo gli step di base, una BSC per l’ente locale.
Infine, nel 4 capitolo verranno confrontate le esperienze di diversi comuni
italiani, che hanno in tempi diversi, adottato per diverse esigenze la BSC. Si
cercherà di valutare le differenze, i punti di forza e di debolezza.
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1.1) L’ente locale: scenario di riferimento
Gli enti locali sono da collocarsi nell’ampio macro-gruppo delle
aziende pubbliche. Per alcuni autori, essi costituiscono parte integrante del
settore pubblico, mentre secondo l’opinione di altri rientrano in un settore
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molto piø vasto conosciuto come settore non profit. Nello specifico, gli enti
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locali vengono classificati come aziende composte.
L’ente locale viene concepito come “azienda” secondo la prospettiva
dell’economia aziendale, che intende la Pubblica Amministrazione in generale,
“come un sistema di aziende dotate di una propria autonomia e non come un
mero sistema articolato in organi ed enti deputati a dare attuazione alle
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politiche che provengono dal governo centrale”. Definizione quest’ultima (di
tipo giuridico) che delinea la P.A. come un sistema unitario e rigido,
trascurando il processo di “aziendalizzazione” che l’ha investita nell’ultimo
decennio.
In realtà, l’azienda pubblica, differisce dal concetto base di azienda, per
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Gli autori Anthony e Young, considerano gli enti locali, come tutti gli altri enti
territoriali dello Stato, appartenenti ad una specifica categoria di aziende all’interno dell’ampio
settore non-profit (R.N. Anthony, W.J. Young, Management control in non profit organizations,
1984, in L. D’Alessio, La funzione del controllo interno negli enti locali, 1997). Gli studiosi che
cercano di identificare il sistema delle aziende pubbliche, nel sistema non profit, hanno difficoltà
per l’assenza di una definizione unica ed esauriente delle non profits organization nel diritto
pubblico italiano. Ponzanelli ritiene: “tutti gli enti pubblici sono non profit se intendiamo con
questo termine, le organizzazioni che perseguono senza fine di lucro un interesse socialmente
rilevante. Vi può essere qualche dubbio per qualche ente economico, anche se per questi enti lo
scopo è l’economicità e non la redditività” (Ponzanelli G., cit.,Gli enti non profit in Italia, Cedam,
1994)
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Tradizionalmente, le aziende in base ai propri caratteri distintivi, vengono distinte in
aziende di erogazione e di produzione. Le aziende composte presentano sia gli elementi dell’una
che dell’altra tipologia d’azienda, visto che la propria attività di produzione di beni e servizi, è
orientata principalmente a soddisfare i bisogni dei propri componenti. Per Amaduzzi, nelle aziende
composte, si svolge: “un processo di produzione, facendovi seguire il processo del consumo, del
soddisfacimento dei bisogni per i quali l’attività produttiva viene compiuta” (1978).
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Borgonovi E., Principi e sistemi per le amministrazioni pubbliche, Egea, 1996.
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la presenza di alcune “anomalie”.
Prima dell’analisi delle cosiddette anomalie, è opportuno, per meglio
comprendere le diversità con le aziende private, soffermarci sue due aspetti: il
fine ed i criteri alla base dell’attività pubblica. Il fine è di carattere extra-
economico, i criteri invece sono quelli tipici delle aziende orientate al profitto
(di seguito verranno ripresi i due concetti). Parliamo di azienda “anomala”,
perchØ limitata talvolta da vincoli istituzionali o scelte diverse fissate a livello
nazionale che definiscono un livello minimo di servizi che l’ente deve
assicurare alla comunità di riferimento. Non solo, rispetto alla definizione che
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si ha di azienda, altra caratteristica che determina un’anomalia, è la capacità di
non dissolversi, determinata dalle tipiche finalità pubbliche che la
caratterizzano. Questo vuol dire che l’ente locale, anche quando non sussiste
piø alcuna condizione che ne determini l’esistenza, deve necessariamente
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Esistono diverse definizioni del concetto di azienda attribuito dagli studi economici-
aziendali. Due sono le concezioni tradizionali principali: l’azienda “meccanicistica”, sostenuta da
coloro che la concepiscono come un sistema meccanico e l’azienda come “complesso organico”,
che intende l’azienda come un organismo, di cui si ricercano le condizioni di funzionalità
attraverso l’analisi dei ruoli e delle funzioni svolte dai vari organi che la compongono. Piø diffusa
è invece la concezione sistemica di azienda, che ne sottolinea il carattere unitario e focalizza
l’attenzione sui rapporti di interrelazione tra i vari componenti dell’azienda stessa. Zanda afferma:
“l’azienda è un sistema aperto, finalizzato, eccessivamente complesso, probabilistico, dotato di
particolari vie di regolazione e della prerogativa di influenzare l’ambiente esterno” (Zanda, cit.,
1974, in Paolani M., Il sistema informativo e le funzioni direzionali negli enti pubblici non
economici, 1999). Riguardo la distinzione azienda pubblica e privata, una definizione che pone
l’attenzione sulla natura dei soggetti, si cita Onida P.: “ in relazione alla diversa condizione del
soggetto giuridico si sogliono fare alcune classificazioni delle aziende. Si distinguono così le
aziende private dalle aziende pubbliche: fra le prime si allogano quelle il cui soggetto giuridico è
una persona fisica o un ente giuridico di diritto privato; fra le seconde si collocano le aziende
aventi per titolare una persona giuridica di diritto pubblico o come brevemente si dice, un ente
pubblico” (Onida P., cit. Economia d’azienda, 1971). Per una definizione conclusiva del concetto
di azienda, citiamo: Amaduzzi: “un sistema di forze economiche che sviluppa, nell’ambiente di cui
è parte complementare, un processo di produzione, o di consumo, o di produzione e di consumo
insieme, a favore del soggetto economico, ed altresì degli individui che vi cooperano” (A.
Amaduzzi, L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, Utet, 1978 pag. 20);
Bertini: “L’azienda costituisce l’espressione piø elevata del comportamento umano sul piano
economico. Essa è un’istituzione sociale in quanto creata dagli uomini per il raggiungimento di
finalità umane nel contesto della collettività organizzata” (U. Bertini, cit., Il sistema azienda,
Giappichelli, 1990).
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continuare a sopravvivere per garantire beni e servizi indispensabili alla
comunità. Questa caratteristica crea una enorme disparità con tutte le altre
tipologie d’azienda, in quanto comporta una impossibilità di scioglimento e
conseguente dissolvimento, anche se si versa in gravi condizioni economiche-
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finanziarie. Dunque, se l’ente locale non può mai dissolversi, dovendo sempre
avviare un risanamento, è opportuno che il processo di trasformazione (ancora
in atto), si indirizzi continuamente verso l’individuazione di nuovi strumenti
che consentano di monitorare e controllare in modo costante lo stato di
“salute” dell’ente locale, salvaguardando tutti gli equilibri aziendali.
A differenziare l’ente locale dalle imprese è poi la propensione a creare
utilità o valore non finalizzata al raggiungimento di un risultato economico
positivo (profitto), data la completa estraneità dell’agire pubblico al concetto di
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reddito. Inoltre nel settore pubblico è assente un mercato, mancando quindi la
dimensione che consente di analizzare le finalità raggiunte. Ciò non deve però
in alcun modo distogliere dall’importanza di verificare il raggiungimento o
meno delle diverse finalità aziendali (anche perchØ l’assenza di un mercato non
è del tutto veritiera dato che un particolare tipologia di mercato esiste, ed è
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rappresentato dalla comunità stessa). L’assenza di un vero mercato provoca
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Proprio questa peculiarità che ha contraddistinto lo scenario degli enti locali italiani
negli anni 80, segnati da gravi crisi ed indebitamenti, ha spinto verso la necessità di un processo di
“aziendalizzazione” degli stessi.
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Farneti scrive: “… per le aziende non lucrative, l’equilibrio economico determinato per
via contabile, attraverso la quantificazione del risultato economico (costi/proventi), esprime solo il
processo di creazione o di consumo di risparmio aziendale, dove il primo accresce il patrimonio, il
secondo lo diminuisce. Ma non esprime la combinazione di efficienza/efficacia, non permette il
confronto tra utilità creata e quella consumata…” (Farneti G.,cit., Le aziende non profit e le
peculiarità del loro sistema informatico, 2000, in Farneti F., 2004)
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A riguardo della inesistenza di un mercato per le aziende pubbliche, Mariniello dice:
“pertanto, l’assenza di una valutazione monetaria dell’output espressa dal mercato – che è
peculiarità forte delle aziende - non può essere argomentato a sostegno della loro “non
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anche un minore grado di competitività, inducendo le aziende pubbliche ad
assumere comportamenti tipici dei mercati monopolistici. Infatti l’attività
aziendale non viene finalizzata a soddisfare nella maniera piø efficiente ed
efficace le aspettative degli utenti, e beni e servizi non saranno ceduti a quei
prezzi che si sarebbero formati in un mercato concorrenziale. Tuttavia, tali
vincoli pur limitando l’autonomia, carattere indispensabile per una azienda,
rappresentano una delle caratteristiche principali del settore pubblico, rispetto
a quello privato, quasi a volerli intendere come vincoli strutturali dell’ambiente
di riferimento. Quindi, da questa prima breve analisi, si comprende come nella
complessa attività pubblica, devono coesistere necessariamente due aspetti:
un’attività con finalità sociale, con l’osservanza del principio dell’economicità
(tipico delle aziende private).
Altra caratteristica degli enti locali è il territorio, che non solo
rappresenta l’ambito spaziale che delimita la sfera di competenza e l’efficacia
dei rispettivi poteri, ma anche uno dei principali elementi costitutivi della
propria identità.
Il soggetto economico, invece, è rappresentato dai soggetti che
compongono la maggioranza politica, eletta dalla collettività. Tali soggetti
provvedono a soddisfare bisogni ed esigenze dei vari stakeholders (i cittadini,
da intendersi nel senso generale del termine) che, secondo le linee politiche e
strategiche, hanno contraddistinto una parte politica piuttosto che un’altra,
aziendalità”, in quanto risolve i suoi effetti sul piano delle sole tecniche di misurazione delle
condizioni di efficacia e di efficienza della gestione” (L.F. Mariniello, cit. 2000, in F. Farneti,
2004).
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durante il periodo elettorale. Tale soggetto economico potrebbe ricevere forti
pressioni da parte degli stakeholders. Infatti i ben noti meccanismi politici
possono non assicurare il corretto raggiungimento delle finalità dell’ente, ma
soddisfare solo particolari interessi di taluni gruppi di influenza, a discapito
dell’intera comunità. Si tratta di un altro rischio tipico dell’attività pubblica, a
cui i nostri enti locali non sembrano sottrarsi.
Di seguito, per meglio completare il quadro dei tratti distintivi degli enti
locali, si farà riferimento alle principali norme che hanno caratterizzato il
processo di cambiamento.
1.1.1) Il concetto di economicità per gli enti locali
Per le aziende pubbliche si pone il problema di come perseguire e
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valutare il principio di economicità, inteso in senso generale come la capacità
di realizzare le diverse finalità secondo il mantenimento dell’equilibrio
economico, con il vincolo dell’osservanza delle risorse disponibili. Il concetto
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Altri autori identificano il soggetto economico con l’insieme dei portatori d’interesse
istituzionali economici (stakeholders).
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Amaduzzi afferma: “. . . l’azienda è per definizione un sistema economico” con la
“logica conseguenza che la sua conduzione, il suo governo, la sua amministrazione insomma, sia
del tutto economica” (A. Amaduzzi, cit., L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue
rilevazioni, Utet, 1978, pag. 34). Tale affermazione evidenzia che come in tutte le categorie
aziendali, qualsiasi sia l’obiettivo, sia esso religioso, culturale, o pubblico, . . ., si configura sempre
come un’attività economica, cioè che “che richieda l’allestimento e l’organizzazione di mezzi
economici per realizzare nel modo piø conveniente possibile ed efficace i suoi obiettivi di
soddisfacimento dei bisogni umani” (M. Paoloni, 1999, pag. 38); Mussari, afferma: “. . . ogni
azienda, indipendentemente dalla natura giuridica dell’ente aziendale (privato o pubblico),
dovrebbe conseguire nel modo piø efficace ed efficiente possibile le finalità che ad essa sono state
assegnate, garantendosi continuità operativa attraverso il mantenimento di un equilibrio economico
a valere nel tempo” (R. Mussari, cit., Il management delle aziende pubbliche, CEDAM, 1994).
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di economicità aziendale fa perno su due regole (Onida, 1970; Airoldi, 1989):
1) l’equilibrio economico, fra componenti positivi e negativi di reddito,
inteso come l’attitudine a remunerare convenientemente i fattori
produttivi di cui l’azienda ha bisogno (per le imprese) o a produrre
risparmio (per le famiglie e gli istituti pubblici territoriali);
2) l’equilibrio monetario, fra entrate e uscite di mezzi monetari.
Con riferimento alle caratteristiche prima delineate per le aziende pubbliche, è
necessario ulteriormente specificare le due condizioni. Le condizioni devono
essere così interpretate (Zangrandi, 1994):
1) soddisfazione degli utenti sulla quantità/qualità dei servizi erogati e sulle
funzioni svolte dall’azienda pubblica rispetto agli obiettivi definiti;
2) equilibrio economico, finanziario e monetario.
Risulta quindi, quale elemento primario, anche per le aziende
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pubbliche come per le aziende private, il principio dell’economicità della
gestione di lungo periodo. Nello specifico economicità significa, rivolgere
l’attività per soddisfare i bisogni dei cittadini e contemporaneamente ricercare
le modalità piø opportune di impiegare le risorse, preservando i vari equilibri e
non perdere la propria autonomia.
Le aziende pubbliche locali, incontrano però dei limiti legati alla natura
stessa dell’azienda. Tali limiti sono da ricondurre alla delimitazione delle
competenze degli enti, ai limiti dimensionali delle loro attività, ai rapporti tra i
diversi livelli di governo, . . . . Inoltre, le condizioni di ricerca
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D’Amico afferma che “il processo erogativo è, al pari di quello produttivo, un processo
economico, poichØ ha per oggetto anch’esso una scelta di convenienza tra possibili utilizzi di beni
alternativi” (D’Amico L., cit., L’economia aziendale, 2002).
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