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INTRODUZIONE
È un vero peccato che “il libro della vita” non sia una specie di borsa dalla quale si possano
eliminare le cose brutte e lasciare solo quelle belle.
Purtroppo non funziona così!
Di sicuro, tutte le mamme e i papà che si trovano a vivere esperienze che hanno a che fare
con la Sindrome di Rett non hanno scelto di avere questo capitolo nella loro vita.
La sindrome di Rett è difficile. Fa male. Sconforta. Sconfigge la ragione. Non dovrebbe
essere così, e come dice Helen Keller: “ Quando una porta della felicità si chiude, se ne
apre un’altra, ma molto spesso siamo così intenti a fissare quella che si è chiusa da non
accorgerci di quella che si è aperta”.
Al contrario dei genitori delle bimbe affette da Sindrome di Rett, ho deciso io stessa di
inserire questo capitolo nella mia vita, ma con un ruolo ben preciso; quello del riabilitatore,
quello di far aprire gli occhi a questi genitori sconfortati e permettergli di vedere quella
piccola porticina che si è aperta cercando di distrarre la loro attenzione da quell‟enorme
porta che vedono ormai chiusa.
Ho intrapreso questa strada circa un anno fa, quando mi è stata data la possibilità di
valutare delle bambine affette da Sindrome di Rett.
Erano molte le domande che mi ponevo e a cui sono riuscita a dare una risposta, ma ce ne
era una che non abbandonava la mia testa e continuava a risuonare in continuazione dentro
di essa:
“ Quanto sono capaci di comprendere queste bambine?”
“Se hanno perso l‟articolazione della parola, hanno perso anche le capacità comunicative?”
“Riusciranno a capire cosa voglio dire quando mi rivolgo a loro?”
Da qui è incominciato il mio lavoro, un lavoro che mi ha dato tanta soddisfazione e che mi
ha permesso di scrivere questa tesi portando a compimento i miei tre anni di corso.
La riflessione, nel primo capitolo delinea le principali conoscenze relative allo sviluppo
tipico e atipico della comunicazione. Innanzi tutto si delineeranno le principali condotte
che caratterizzano la comunicazione sia in soggetti normodotati che affetti da Sindrome di
Rett. Per concludere si enunceranno le varie strategie messe in atto nella Sindrome di Rett
affinchè si possa instaurare una comunicazione.
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Nel secondo capitolo verrà effettuata una dettagliata descrizione della Sindrome di Rett. Si
incomincerà dalla definizione sino a delineare in modo specifico le condizioni esistenziali
di queste bambine, che rendono, nel contempo, così evidente la loro diversità rispetto agli
altri. Si ripercorrerà la storia, si enuncerà dettagliatamente l‟eziologia e i criteri che
attualmente permettono di “fare diagnosi” di Sindrome di Rett. Si chiarirà il quadro
complessivo dei sintomi caratterizzanti questa sindrome e si esporranno le varie forme
cliniche in maniera ben definita e delineata in modo da arricchire la conoscenza circa le
differenti organizzazioni neurologiche e comportamentali appartenenti a questa sindrome.
Il terzo capitolo tratterà nello specifico il concetto di riabilitazione e le varie forme di
terapie da attuare in questa sindrome con un approccio multidisciplinare. Si farà
riferimento anche alla terapia farmacologica e agli ultimi risvolti nella terapia genetica.
Il quarto capitolo mira ad esporre le linee ed i motivi fondamentali della comunicazione
Aumentativa Alternativa (CAA) , come approccio clinico all‟interno del campo della
riabilitazione.
L‟intento è quello di far cogliere la specificità della “valutazione” in CAA e
“dell‟intervento” di CAA. Si affronterà poi l‟argomento degli strumenti che si impegnano
nel lavoro di CAA e si tratterà in modo particolare le strategie in CAA, che costituiscono
l‟insieme delle modalità concrete con cui il progetto di CAA diviene un programma di
intervento. A questo proposito, si sottolinea quanto la consapevolezza di un intervento
consiste di rilevare, considerare, coinvolgere, sostenere e motivare l‟intero ambiente di vita
della persona con complessi bisogni comunicativi.
Il quinto capitolo espone il nucleo del presente lavoro: il modellamento del Test Primo
Linguaggio (TPL) per la somministrazione a soggetti con Sindrome di Rett.
Il discorso prende le mosse con gli strumenti di indagine presenti in letteratura per la
valutazione delle bambine con Sindrome di Rett per poi continuare con una dettagliata
discussione degli strumenti valutativi utilizzati in questo lavoro.
Gli strumenti sono:
- Vineland Adaptive Behavior Scales: un‟intervista standardizzata da somministrare
non direttamente al soggetto, ma alle persone più vicine; volta a valutare il comportamento
adattivo del soggetto e da cui si può ricavare un punteggio età equivalente.
- Portage: la check-list del Metodo Portage (Zappella, 1990) è costituita di cinque
aree di sviluppo: linguaggio, socializzazione, motorio, cognitivo e autonomia più una
sezione sulla stimolazione del bambino piccolo All‟interno di ciascuna area i
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comportamenti sono elencati secondo un criterio di complessità crescente e sono
raggruppati per livelli di età da 0-1 a 5-6 anni e durante la somministrazione occorre
riportare se la competenza è presente, emergente o assente.
La discussione termina con una dettagliata descrizione del Test Primo Linguaggio (TPL).
Sono state adattate le figure della Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA) a quelle
del TPL. Gli stimoli sono stati presentati a coppie anziché a 4. Lo scopo era quello di far
osservare attentamente le figure alla bambina e poi farci indicare (anche con gli occhi)
quella di nostro interesse. La modalità con cui si è deciso di procedere è stata quella
dimostrare dapprima la figura target a destra con distruttore a sinistra, poi la figura target a
sinistra con distruttore diverso a destra, per poi ritornare alla figure target a destra e altro
distruttore a sinistra. In questo modo, quindi, presentando gli stimoli a coppia, anziché a
quattro si è potuto procedere con una riduzione degli stimoli cercando di non alterare le
capacità attentive delle bambine, e confrontando comunque la figura target con le altre tre
distruttore.
Il quarto capitolo vuole esporre alcune concrete esperienze cliniche condotte dal candidato,
nell‟ambito del proprio impegno professionale, sotto la supervisione della Prof.ssa Cinzia
Galasso e della Dott.ssa Rita Maccallini.
Si è ritenuto opportuno chiudere il seguente lavoro con delle considerazioni conclusive: si
tratta di riflessioni personali che presuppongono capacità presenti in queste bambine, ma
non visibili e di conseguenza, che occorre aiutare a esporre.
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Carta dei diritti alla
Comunicazione
Ogni persona indipendentemente dal grado di disabilità
ha il diritto fondamentale di influenzare,
mediante la comunicazione, le condizioni della sua vita.
Oltre a questo diritto di base, devono essere garantiti i seguenti diritti
specifici:
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1
Il diritto di chiedere oggetti, azioni, persone e di esprimere preferenze e sentimenti
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Il diritto di scegliere tra alternative diverse
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Il diritto di rifiutare oggetti,situazioni,azioni non desiderate e di non accettare tutte le scelte
proposte
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Il diritto di chiedere e ottenere attenzione e di avere scambi con altre persone.
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Il diritto di richiedere informazioni riguardo oggetti, persone, situazioni o fatti che
interessano.
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Il diritto di attivare tutti gli interventi che rendano loro possibile comunicare messaggi
National Commitee for the Communication Needs of Persons with Severe Disabilities, 1992
Tradotto a cura del Servizio di Comunicazione Aumentativa e Alternativa del Centro Benedetta d’Intino di Milano
Membro Institutional di ISAAC- ITALY
Il diritto di avere riconosciuto comunque il proprio atto comunicativo e di ottenere una risposta
anche nel caso in cui non sia possibile soddisfare la richiesta.
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Il diritto di avere accesso in qualsiasi momento ad ogni necessario ausilio di comunicazione
aumentativa-alternativa, che faciliti e migliori la comunicazione e il diritto di averlo sempre
aggiornato e in buone condizioni di funzionamento.
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Il diritto a partecipare come partner comunicativo, con gli stessi diritti di ogni altra persona,
ai contesti, interazioni e opportunità della vita di ogni giorno.
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Il diritto di essere informato riguardo a persone, cose e fatti relativi al proprio ambiente di vita.
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Il diritto di ricevere informazioni per poter partecipare ai discorsi che avvengono
nell’ambiente di vita, nel rispetto della dignità della persona disabile.
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Il diritto di ricevere messaggi in modo comprensibile e appropriato dal punto di vista culturale e
linguistico
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CAPITOLO 1
LA COMUNICAZIONE: DEFINIZIONE, SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
1.1 CARATTERI GENERALI
Quando parliamo di comunicazione la prima cosa a cui ci viene da pensare è “parlare”, ma
comunicare è più che “semplicemente parlare”.
Comunicare è un bisogno ed una priorità per ogni persona; la comunicazione è un
fondamentale diritto umano. Nella comunicazione si apre la relazione con l‟altro e si crea
la nostra identità personale. In situazioni di normalità la comunicazione avviene attraverso
le parole, la scrittura e il linguaggio del corpo.
Lo sviluppo della comunicazione è un processo molto più complicato di quanto si pensi. I
vari sistemi biologici e neurologici iniziano a svilupparsi alla nascita, fin dal primo pianto.
Le prime fasi dello sviluppo coinvolgono la maturazione dei processi sensoriali, della
percezione, della memoria e di altre numerose abilità che, successivamente, guideranno il
pensiero, il ragionamento e la risoluzione dei problemi.
Nello sviluppo cognitivo si intrecciano molte abilità che, alla fine, evolvono nella
comunicazione.
Il termine comunicazione deriva dalla parola communis ossia comunicare che
fondamentalmente significa: “mettere in comune” con gli altri informazioni, idee,
emozioni, pensieri etc…
Gli elementi indispensabili per la realizzazione di un processo comunicativo sono:
Emittente
Ricevente
Messaggio
Codice
Canale
Codifica
Decodifica
Feed-back
Contesto e ambiente
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Per esempio: in una comunicazione umana interpersonale, in cui un soggetto E (emittente)
desidera comunicare ad un altro R (ricevente) un proprio pensiero M (messaggio), E
(emittente) lo formulerà verbalmente (codice) e mediante opportuni suoni vocali (canale)
emessi dalla laringe attraverso l‟aria (codifica). I suoni raggiungeranno l‟apparecchio
acustico del ricevente R, che decodificherà l‟immagine acustica del messaggio, ricevendo
il pensiero M dell‟emittente.
Le abilità necessarie che devono essere presenti nell‟individuo affinchè si possa
intraprendere un processo comunicativo sono:
Aggancio visivo
Alternanza dei turni
Attenzione congiunta
Comprensione e uso delle espressioni del volto
L‟uso intenzionale del linguaggio gestuale e verbale
L‟utilizzo delle parole con molteplici significati e/o per definire concetti
L‟uso pragmatico del linguaggio
Gli studi contemporanei dividono la comunicazione umana in verbale e non verbale. La
differenza consiste in questo: la comunicazione verbale, cioè linguistica, fa uso di un
codice discreto o digitale, che è particolarmente adatta a veicolare contenuti formali
complessi (funzione referenziale), poiché fa uso di un codice continuo o analogico, è adatta
a veicolare relazioni, ma non contenuti (funzione relazionale) (Ricci Bitti e Zani 1983,27 e
41).
In tutti i messaggi comunicativi si possono evidenziare due aspetti inscindibili:
L’aspetto di contenuto che riguarda il messaggio, l‟informazione, la notizia che una
persona invia esplicitamente a un‟altra
L’aspetto di relazione che consiste nel modo in cui si esprime il contenuto.
Watzlawick aveva sostenuto che ogni comunicazione avviene contemporaneamente su due
piani, quello del contenuto e quello della relazione: mediante le parole trasmettiamo delle
informazioni e con i segnali del corpo diamo “informazioni alle informazioni”.
Attraverso l‟uso della comunicazione non verbale (gesti, espressioni del volto, tono della
voce …), uno stesso messaggio può essere espresso in modi diversi.
Nell‟ interrelazione umana, ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di
relazione di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi meta comunicazione,
ovvero “comunicazione sulla comunicazione”.
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La confusione che spesso deriva quando si parla di comunicazione e che spesso si intende
per “verbale” la comunicazione basata sul linguaggio e per “non verbale” la
comunicazione non basata sui linguaggi, ma allo stesso tempo altre volte si afferma che il
linguaggio non è solo verbale (ad esempio non lo è il linguaggio dei segni). Se la categoria
del non verbale comprende sia linguaggi che comportamenti comunicativi non verbali e
non linguistici (ad esempio atteggiamenti posturali), ciò significa che la distinzione tra
verbale e non verbale non corrisponde a quella tra “linguaggio” e “non linguaggio”, cioè
tra comportamento comunicativo linguistico e comportamento comunicativo non
linguistico.
Infatti, la comunicazione non verbale comprende non solo codici analogici con funzione di
relazione, ma anche codici digitali con funzione referenziale (il linguaggio dei sordomuti è
non verbale, ma digitale) e la comunicazione verbale non solo codici digitali con funzione
di referenza, ma anche codici analogici con funzioni relazionali (il pianto di un bambino).
In considerazione di tutto ciò, è più preciso distinguere la comunicazione prima di tutto in
linguistica e non linguistica. Sia la comunicazione linguistica che quella non linguistica
possono poi essere verbali o non verbali (ad esempio, possiamo avere linguaggio parlato,
gestuale o scritto per la comunicazione linguistica e vocalizzazioni, posture e movimenti
del corpo o azioni per la non linguistica).
Questa distinzione rende più chiara l‟idea che ci può essere comunicazione anche senza
linguaggio.
1.2 LO SVILUPPO DELLA COMUNICAZIONE E DEL LINGUAGGIO
Imparare a parlare significa acquisire in un tempo relativamente breve, di norma nei primi
3 anni di vita, una capacità straordinariamente complessa. Negli anni successivi il sistema
linguistico si espande, si specializza e si consolida fino all‟inizio dell‟età scolare, quando
l‟acquisizione della lingua scritta segna un altro progresso importante.
Per imparare a utilizzare efficacemente il linguaggio il bambino deve:
a) Analizzare i suoni linguistici che ascolta così da identificare le unità costituenti la
propria lingua materna (fonemi, morfemi, parole e frasi).
b) Padroneggiare i pattern articolatori necessari a produrre fonemi e le sequenze di
fonemi della propria lingua.
c) Acquisire e ampliare un vocabolario contenente un enorme numero di voci lessicali.
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d) Padroneggiare le regole morfologiche e sintattiche per combinare le parole in frasi
grammaticali corrette
e) Imparare a conversare, ad utilizzare le diverse funzioni comunicative del linguaggio
in base al contesto e all‟interlocutore e a produrre un discorso.
Non si può parlare di sviluppo del linguaggio senza inserirlo all‟interno di una più ampia
capacità comunicativa, ma nel tempo stesso è importante sottolineare la sua specificità,
cioè le proprietà che rendono il linguaggio unico e diverso da altri sistemi comunicativi.
Queste proprietà sono essenzialmente due: la creatività e l‟arbitrarietà. Chi parla una
lingua è in grado di produrre una grande varietà di messaggi combinando tra loro un
numero limitato di unità-base di quella lingua (fonemi e parole). Inoltre nel linguaggio la
relazione tra suoni e significati è arbitraria; il significato non può essere ricavato dalla
forma del suono e pertanto deve essere appreso e trasmesso culturalmente da una
generazione all‟altra.
1.2.1 I primi suoni
I primi suoni che il neonato e il lattante producono sono di natura vegetativa (sbadigli,
ruttini, ecc..) o compaiono legati al pianto, che svolge all‟inizio un ruolo importante nel
regolare l‟interazione del bambino con gli adulti che lo allevano.
Wolff analizzò le caratteristiche del pianto e ne individuò diversi tipi: il pianto di fame, il
pianto di dolore e il pianto di irritazione che sta a significare che il lattante desidera
l‟attenzione. Esso infatti si placa soltanto quando qualcuno interviene a intrattenere il
bambino. Gradualmente le cause scatenanti il pianto, così come i mezzi capaci di inibirlo
acquistano una natura sociale e psicologica. Tra 2 e 6 mesi compaiono le vocalizzazioni
non di pianto e si stabilizzano quindi i suoni vocalici. Durante questo periodo si osservano
delle “proto conversazioni” in cui le vocalizzazioni del bambino si inseriscono tra i turni
verbali del genitore, come se rispondesse vocalizzando all‟adulto che gli parla.
Verso i 6 – 7 mesi compare la lallazione canonica: il bambino produce sequenze
consonante – vocale con le stesse caratteristiche delle sillabe (per esempio “da” “ma”)
spesso ripetute due o più volte (per esempio “dadada” “mamama”). In questa fase
compaiono alcune caratteristiche della lingua materna, in particolare la prosodia. Inoltre
l‟iniziale ampiezza fonetica (ovvero la capacità di produrre tutti i contrasti fonetici
possibili) si riduce notevolmente e si consolidano i suoni propri della lingua materna.
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Verso i 10 – 12 mesi la maggior parte dei bambini produce sequenze sillabiche complesse
(p.e “bada”, “dadu”), che caratterizzano la lallazione variata. Sempre a questa età
compaiono i primi suoni simili a parole o proto-parole che, pur avendo una forma fonetica
idiosincratica (per esempio “tata” o “papa”) assumono un significato specifico quando
vengono utilizzate consistentemente in determinati contesti (ad esempio il suono “nanà”
prodotto sempre in situazioni di richiesta).
Da questo momento in poi lo sviluppo fonologico interagisce con lo sviluppo lessicale e
grammaticale e ne risulta influenzato.
I bambini differiscono tra loro non soltanto nei suoni che preferiscono produrre
(preferenze fonetiche), ma anche nella stabilità di queste preferenze e nell‟organizzazione
del proprio sistema fonologico.
I risultati di numerosi studi hanno dimostrato che la lallazione canonica è un indice
predittivo molto importante di disturbi linguistici e comunicativi. L‟inizio ritardato della
lallazione può essere predittivo di aprassia, disartria, disordini fonologici e, in generale,
disordini del linguaggio.
1.2.2 Gesti comunicativi
Negli ultimi mesi (9 – 12) del primo anno di vita il bambino comincia a utilizzare gesti
come indicare, mostrare, offrire, dare e richieste ritualizzate (ad esempio estendere il
braccio con la mano aperta e il palmo in su o in giù, aprire e chiudere ritmicamente il
palmo della mano), che chiamiamo gesti performativi o deittici. Essi
esprimono un‟intenzione comunicativa e si riferiscono a un oggetto/evento esterno che si
può facilmente individuare osservando il contesto.
I gesti deittici sono accompagnati dallo sguardo al destinatario del gesto, in alcuni casi il
bambino guarda alternativamente il destinatario e il bersaglio.
Sono tre le caratteristiche dei gesti comunicativi:
a) Sono usati con un‟intenzione comunicativa
b) Sono convenzionali
c) Si riferiscono a un oggetto o evento esterno
Ad esempio, quando il gesto di indicare è usato per chiedere all‟adulto un giocattolo, sono
presenti sia l‟intenzione comunicativa sia l‟uso di un segnale convenzionale per fare
riferimento a un oggetto esterno. Quando invece il bambino usa l‟indice per esplorare i