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PRESENTAZIONE
Perché studiare il disegno infantile? La ragione principale consiste
nell‟esplorare l‟acquisizione dell‟abilità grafica considerandola una “finestra
aperta” sulla mente del bambino, attraverso la quale, lo sviluppo delle abilità e
delle emozioni dei più piccoli, può essere osservato e compreso. Il disegno è,
infatti, una modalità espressiva, un‟occasione comunicativa con il quale il
bambino manifesta le proprie idee, esperienze, conoscenze, interessi, paure,
desideri, condividendo parti di sé con gli altri.
L‟attività grafica infantile è un argomento ampiamente studiato dagli psicologi
dell‟età evolutiva, sia in ambito prettamente psicologico, che psicopedagogico,
grafologico e psicoterapeutico. I ricercatori continuano a dedicarvisi con
passione nel tentativo di comprendere, chiarire e spiegare cosa c‟è “dietro” un
segno tracciato da un bambino.
Questo elaborato è nato con l‟obiettivo di passare in rassegna gli approcci
teorici e gli strumenti che fin dall‟inizio dello sviluppo della psicologia ad oggi,
si sono occupati di studiare come il disegno possa essere un mezzo per
comprendere la persona, sia da un punto di vista intellettuale che per quanto
riguarda la personalità. Vari approcci teorici e metodologie si sono sviluppati
per approfondire la conoscenza di questi due ambiti attraverso il disegno. Tale
lavoro si sofferma in particolare sull‟aspetto cognitivo dello sviluppo del
bambino riguardo l‟evolversi delle sue capacità grafiche. Il punto di partenza è
quello di fornire una rassegna delle principali teorie psicologiche sul disegno
infantile; la tesi quindi si propone di indagare se il disegno evolve secondo
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stadi universali o cambia da bambino a bambino in base all‟influenza
dell‟ambiente socio – culturale, e se questa eventuale evoluzione può
appartenere anche ai bambini con una forma di sviluppo atipica.
Nella parte iniziale viene presentato un excursus storico generale sui primi
studi riguardanti il disegno infantile e le principali teorie del disegno e del suo
evolversi. Si inizia fornendo un quadro teorico di riferimento, citando i
contributi dei maggiori esponenti di ogni approccio.
In seguito ci si sofferma, su un primo richiamo, alle principali teorie cognitive
rapportate allo sviluppo del disegno; secondo tali teorie, coerenti con la
concezione dello sviluppo della mente attraverso teorie stadiali, si definiscono
le competenze che caratterizzano gli stadi evolutivi dell‟abilità grafica. Secondo
le ipotesi dei teorici della stadialità, i disegni dei bambini riflettono le
rappresentazioni mentali interne, quindi è possibile distinguere un realismo
intellettuale (disegnare ciò che si sa, non ciò che si vede) da un realismo visivo
(si disegna ciò che si vede). Questa ipotesi esprime un'interpretazione del
grafismo centrata sui concetti di stadio e di modello interno. Secondo queste
ipotesi il disegno sembra riprodurre gli stadi che la mente umana segue da uno
stato primitivo per arrivare a una fase di pienezza intellettuale. Proprio da
questo concetto, si giunge a ritenere le produzioni grafiche dei bambini, come
importante via di accesso per conoscere il loro livello di sviluppo. In tal modo
una forma di “primitivismo” nel disegno (in particolare si vedrà nella figura
umana) corrisponderebbe inevitabilmente a un deficit cognitivo. Questa
posizione è sostenuta da molti autori come la Goodenough, che proprio grazie
a questo assunto teorico elaborò il noto test della figura umana, ma soprattutto
da Piaget, il quale stipulò anche una stretta corrispondenza tra i disegni dei
bambini e il loro ragionamento spaziale – matematico, elaborando delle fasi.
Questo determina che, con l‟avanzare dell‟età, i disegni diverrebbero più
articolati, più coordinati, più realistici.
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Più avanti si propone invece un‟altra concezione che si dispiegherà nel corso
dell‟elaborato, concezione più contemporanea e che si tenterà di sostenere
attraverso l‟esposizione di studio di casi e successive ricerche. Tali concezioni
sono per lo più critiche agli approcci stadiali, ma l‟assunzione di queste nuove
concezioni, secondo le teorie prese in considerazione, non invaliderebbe
comunque necessariamente la teoria degli stadi evolutivi di Piaget. Questi
approcci più contemporanei sostengono che il responsabile della trasposizione
grafica di figure “imperfette” o “primitive” non è uno schema concettuale
immaturo o un fallimento dell‟analisi percettiva, per questo tali figure
“imperfette” non corrisponderebbero necessariamente a un deficit o ritardo
cognitivo. (Freeman, 1980; Golomb,1973). Tali autori sostengono che queste
imperfezioni potrebbero riflettere semplicemente problemi di realizzazione
tecnica (Freeman, 1987), una mancata abilità o una mancata motivazione o
pratica. Secondo questa concezione la corrispondenza ipotizzata da Piaget tra
gli stadi dello sviluppo artistico e gli stadi dello sviluppo cognitivo dovrebbe
essere ridiscussa, tenendo in considerazione che l‟età è solo un indicatore
conveniente e che l‟insorgenza di determinate conquiste grafiche dipende in
gran parte dal livello di abilità, dal talento, dalla motivazione, dalla pratica, dalla
persistenza e propensione a migliorare i propri disegni, dalle intenzioni
comunicative e rappresentative, dalle caratteristiche del compito e dal
processo. In questo senso si assiste a un importante cambiamento di
prospettiva da cui si studia il disegno infantile, che consiste nel passaggio dal
disegno considerato come una trasposizione fedele di un modello mentale ad
un disegno inteso come prodotto complesso di più fattori.
Dopo tale preambolo riguardante le teorie, ci si sofferma sulle tendenze nello
sviluppo del disegno dei bambini, dalla comparsa dei primi scarabocchi fino
agli esordi degli elementi rappresentativi, in particolare della figura umana. Si
vedrà come all‟inizio l‟attività grafica rappresenterà la semplice traduzione
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dell‟attività motoria; l‟emergere del disegno rappresentativo invece sarà
possibile solo se il bambino avrà acquisito l‟idea che “qualcosa stia per
qualcos‟altro”, per esempio che una linea possa raffigurare un braccio. In tal
senso quindi lo sviluppo del disegno è necessariamente collegato con la
capacità di simbolizzare, ossia con la capacità di servirsi di un oggetto al posto
di un altro e di usare un significante (immagine mentale o parola) per
richiamare un significato. Si è indagato inoltre se tali stadi possano essere gli
stessi in bambini dotati di talento artistico, e soprattutto se una particolare
dote artistica possa essere sinonimo di uno stadio cognitivo abbastanza
evoluto.
In seguito, poiché la figura umana riveste un ruolo importante in tale rassegna
teorica, e giacché essa assume un carico simbolico notevole per il bambino, si
è ritenuto opportuno presentare alcuni degli approcci stadiali che ne
descrivono l‟evoluzione rappresentativa. Sempre in questo capitolo ci si
soffermerà sull‟evoluzione della rappresentazione della figura umana analizzata
dal punto di vista dei principali approcci stadiali: Kellog (1959), Cox e Parkin
(1986), Barret e Eames. Dopo aver esposto tali teorie, si indicheranno due
ulteriori successioni evolutive, la prima distinta per sesso (Bandinelli,Manes
2004), la seconda più globale ( Federici 2005).
Oltre allo studio degli approcci teorici, come si evince dal titolo, in tale lavoro
si approfondirà la conoscenza di alcuni strumenti utilizzati in ambito
psicologico, che utilizzano l‟abilità grafica per valutare la cognizione e
l‟affettività del bambino in termini sia quantitativi che qualitativi. Da tempo
ormai gli psicologi traggono informazioni sugli stati emotivi e sui vissuti dei
bambini, degli adolescenti e talvolta degli adulti, attraverso il disegno. Si ritiene
importante quindi inserire tali approfondimenti, in particolare, quelli che ci
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consentono di valutare lo sviluppo cognitivo del bambino poiché, come già
detto, molti approcci teorici li considerano significativi per l‟individuazione di
un eventuale deficit cognitivo o forma di sviluppo atipica (Goodenough –
Harris; Koch; Bender). Tuttavia si deve tenere in considerazione il fatto che
l‟aspetto cognitivo e quello affettivo vanno sempre di pari passo, per questo si
citeranno anche alcuni strumenti proiettivi (Koppitz; Machover; Buck;
Corman; Naglieri). Si ritiene inoltre importante inserire alcuni
approfondimenti riguardo il Bender Gestalt Test, il quale si propone di studiare la
rappresentazione grafica delle forme (gestalten) nelle diverse età per individuare,
anche in questo caso, eventuali ritardi o regressi nello sviluppo. Per quanto
riguarda le ricerche sul Bender Gestalt Test, in tale lavoro, si citeranno
considerazioni emerse da ricerche sperimentali effettuate da studiosi del
campo, le quali segnalano la possibile relazione tra l‟incidenza dell‟errore della
rotazione di tali forme o gestalten e la presenza di ritardo cognitivo.
Dopo aver passato in rassegna i test grafici, ci si occuperà di andare a
conoscere quali sono le principali caratteristiche del disegno e delle abilità
grafiche nei bambini con una forma di sviluppo atipica, in particolare si
prenderanno in considerazione casi di bambini con autismo e/o ritardo
mentale. Tra questi il caso di Nadia Chomyn, la bambina con autismo e
ritardo mentale incredibilmente dotata dal punto di vista artistico. Grazie a
questo e ad altri casi si vedrà come alcuni autori hanno cercato di spiegare la
mancanza di corrispondenza tra intelligenza e talento artistico. Tale studio si
contrapporrà naturalmente a quelli più cognitivisti secondo i quali, le
discordanze che si osservano nei disegni dei bambini con deficit intellettivi,
rispecchiano una più generale disarmonia del loro sviluppo.
A tal punto, nel corso del lavoro, sono nati degli interrogativi ai quali si è
tentato di dare una risposta, grazie all‟apporto dei numerosi approcci teorici: i
bambini con ritardo cognitivo disegnano in modo coerente al loro livello
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evolutivo ritardato o bloccato? Cioè disegnano come i bambini normalmente
sviluppati di pari età mentale? Oppure hanno una differenza di struttura vera e
propria nella rappresentazione grafica?
Proprio tale concetto ci condurrà infine, oltre a presentare altri casi di bambini
autistici particolarmente dotati dal punto di vista artistico (Bx e Cz e i loro
diversi stili di disegno), al capitolo riguardante l‟importanza dell‟influenza socio
– culturale e del ruolo delle competenze specifiche nello sviluppo delle abilità
grafiche. Capitolo considerato importantissimo, poiché ci ricorda il valore che
assume il contesto all‟interno del quale un individuo nasce e cresce e le
caratteristiche individuali di ciascuno. A tal ragione si citerà Gardner e la sua
teoria delle Intelligenze Multiple. Saranno inoltre presentate delle ricerche
riguardanti lo studio di produzioni artistiche provenienti da diversi contesti
culturali, in particolare dal mondo non occidentale, in relazione allo studio
sugli stadi universali nello sviluppo grafico. Si vedrà in che misura, secondo tali
studi, i modelli forniti dalla cultura influenzano il disegno e fino a che punto
vale la concezione “universale” degli stadi dell‟evoluzione grafica all‟interno
delle diverse culture.
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CAPITOLO 1
IL DISEGNO INFANTILE: TEORIE ED EVOLUZIONE
Fin dall‟inizio dello sviluppo della psicologia, il disegno è stato considerato
uno strumento utile alla comprensione della persona, sia da un punto di vista
intellettuale che per quanto riguarda la personalità di un individuo. Vari
approcci teorici e metodologici si sono sviluppati per approfondire la
conoscenza di questi due ambiti, è necessario perciò tracciare un quadro di
riferimento sulle teorie e l‟evoluzione dell‟attività grafica del bambino.
1.1. Breve excursus storico sulle principali teorie del disegno infantile
Iniziando una ricerca sul disegno infantile ci si rende immediatamente conto di
quanta letteratura ci sia sull‟argomento, tuttavia si è portati a far subito un
rilievo: tale tematica diventa a pieno titolo oggetto di attenzione e di ricerca
psicologica soltanto sul finire del diciannovesimo secolo, quando venivano
pubblicate le prime raccolte di disegno infantili raffiguranti la figura umana.
Di seguito verranno presentati gli studi che si sono susseguiti riguardo
l‟argomento.
1.2. I Primi studi sulla rappresentazione grafica (intento descrittivo.)
I primi ad interessarsi all‟argomento e ad offrire il loro contributo alla
letteratura degli inizi sono stati il maestro inglese Ebenezer Cooke (1885) e
soprattutto il Ricci (1887). Il Cooke insieme al Ricci, pubblicando una vasta
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raccolta di disegni infantili della figura umana, tracciano una prima linea
evolutiva delle competenze grafiche infantili.
Con il volume “L’arte dei bambini “ (1887) Corrado Ricci ha fornito un quadro
dell‟evoluzione grafica nell‟infanzia. Inizia osservando scherzosamente che,
mentre le fatiche del Signore hanno avuto termine con la creazione dell‟uomo,
il bambino, quando disegna, è proprio dalla creazione dell‟uomo che
incomincia. Il primo schizzo, secondo il Ricci è un pupazzo d‟uomo formato
da un quadrato o da un tondo che rappresenta la testa e da due linee che
rappresentano le gambe. Da questa forma rudimentale il bambino non passa
all‟improvviso, osserva il Ricci, a disegnare l‟uomo nella sua integrità fisica, ma
va per gradi. Prima disegna le braccia e il busto; poi le altre parti. Conquistata
la figura intera, il bambino non nasconde più nulla. Disegna anche le cose che
non si vedono: gli uomini dietro le pareti delle case, i viaggiatori dentro il
treno, il feto dentro la pancia della mamma. Poiché, secondo il Ricci, i bambini
non rappresentano artisticamente le cose, ma le descrivono, cercano cioè di
riprodurle nella loro compiutezza e non di renderle nella loro risultanza ottica.
L‟intento del Ricci era chiaramente tassonomico e normativo e lo scopo era la
ricerca di stadi e tappe distintive dello sviluppo che conducono il bambino ad
impadronirsi della capacità grafica di rappresentarsi il mondo. Tuttavia le
osservazioni del Ricci, estetiche e psicologiche insieme, sono così precise e
numerose che, in tutta la letteratura che è venuta dopo di lui, è difficile trovare
qualche cosa che egli non abbia già detto o lasciato intendere.
Nel 1888 usciva nel frattempo in Francia il libro di Bernard Perez, pedagogista e
psicologo di indirizzo darwiniano, non voleva costruire, come egli
espressamente dice nella prefazione, una teoria estetica; voleva piuttosto fare
opera di psicologia descrittiva sull‟arte e sulla poesia del fanciullo. Al disegno è
dedicato il capitolo sesto del volume, che parte dall‟osservazione del
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comportamento del bambino davanti allo specchio. Il bambino di pochi mesi,
posto davanti a uno specchio, si comporta in maniera ben differente che le
scimmie delle specie superiori, i cani o i gatti. Questi animali non provano, né
sorpresa, né piacere nel vedere la loro immagine, o la scambiano con la realtà,
o passano davanti ad essa con indifferenza. Al contrario, il bambino, davanti
all‟immagine dello specchio, dice Perez, riconosce le persone e le cose e si
meraviglia gioiosamente di questo riconoscimento. Come riconosce
un‟immagine nello specchio, così il bambino la può riconoscere in una pittura
o in un disegno.
Da questa capacità di riconoscere e di immaginare, secondo Perez, il bambino
trae modo per tentare di rappresentare l‟uomo e l‟animale. Egli ha una
predilezione particolare per la figura umana. Vengono fuori così quegli
scarabocchi embrionali dell‟uomo e dell‟animale disegnati dal bambino fra i tre
e i cinque anni. In genere si tratta di uno schema tondo che rappresenta la
testa, e di quattro linee che rappresentano le estremità. Il Perez inizia, a questo
punto, una descrizione minuziosa delle forme primordiali di figurazione, di
prospettiva, di composizione e di colorazione, mettendo in rilievo l‟arbitrarietà
della prospettiva infantile. Ed è a questo punto che il Perez, a conferma delle
sue osservazioni, cita il volumetto del Ricci. Non si sa con certezza se si tratti
di una concomitanza di scoperte, o se sia stato lo scrittore francese ad essere
influenzato dalle osservazioni dello scrittore italiano che egli cita a convalida
delle sue.
In quegli stessi anni James Sully, col quale Ebenzer Cooke era in contatto,
studiava la questione e preparava le conclusioni a cui doveva poi arrivare nel
1895 con la sua teoria delle tre fasi del disegno infantile, corrispondenti , allo
scarabocchio informe come gioco, alla fase del disegno primitivo,
caratterizzato dal pupazzo umano con faccia tonda lunare, alla fase di
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conquista di una certa tecnica nella rappresentazione della figura umana e
degli animali. Questa tappa corrisponderebbe al sesto anno di età circa. Non si
sa se il Sully avesse letto o no il libretto del Ricci, non lo cita, tuttavia è il terzo
a insistere sul fatto che il bambino quando disegna, enumera le nozioni che
possiede e non raffigura le cose che vede, e che inoltre le raffigura con una sua
logica particolare. Egli spiega l‟attività artistica come prolungamento
dell‟attività ludica.
Questa tendenza a catalogare e descrivere l‟attività grafica infantile si
concretizza con ulteriori ricerche, quali quella condotta da Kerschensteiner (1903),
che sulla base di oltre centomila disegni, cercò di stabilire i livelli di sviluppo
dell‟attività grafica infantile, quella di Goodenough che cercò di individuare le fasi
di sviluppo della rappresentazione grafica in rapporto alla figura umana.
Rispecchiando un intento descrittivo, tutti questi contributi sono volti alla
ricerca degli stadi e delle tappe che portano il bambino ad impadronirsi della
capacità di rappresentarsi graficamente il mondo. Ben presto, però, l‟intento
descrittivo è stato sostituito da quello interpretativo che cerca di offrire
un‟interpretazione coerente e generale del disegno stabilendo una sequenza di
stadi nell‟evoluzione della capacità di rappresentazione grafica del bambino,
soffermandosi in particolare sulle teorie dello sviluppo cognitivo che
sottendono la rappresentazione grafica infantile (Piaget; Inhelder; Luquet…).
1.3. Principali teorie cognitive sullo sviluppo del disegno
Lo studio psicologico del disegno infantile proseguì quindi, coerentemente con
la concezione dello sviluppo della mente attraverso teorie stadiali, definendo le
competenze che caratterizzano gli stadi evolutivi dell‟abilità grafica.
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Secondo le ipotesi dei teorici della stadialità, i disegni dei bambini riflettono le
rappresentazioni mentali interne, quindi è possibile distinguere un realismo
intellettuale da un realismo visivo. Questa ipotesi esprime un'interpretazione
del grafismo centrata sui concetti di stadio e di modello interno.
Queste ipotesi ritennero le produzioni grafiche dei bambini importanti vie
d‟accesso per lo studio della vita mentale infantile, poiché il disegno sembrava
riprodurre gli stadi che la mente umana segue a partire da uno stato primitivo
per arrivare a una fase di pienezza intellettuale.
Tali studiosi richiamarono l‟attenzione su alcune peculiarità del linguaggio
grafico – pittorico infantile: rilevarono l‟omissione o la collocazione scorretta
di importanti parti del corpo (per esempio, braccia che fuoriescono da una
testa) e le “trasparenze”, descrizioni di parti non visibili dal punto di vista
dell‟osservatore. Notarono l‟indifferenza del bambino piccolo per le
dimensioni relative delle figure, le proporzioni bizzarre delle loro varie
componenti e la natura schematica delle raffigurazioni, che violano le regole
del realismo o naturalismo in arte. Tali peculiarità furono giudicate
manifestazioni tipiche di una mente immatura, confusa e concettualmente
carente. Concezioni simili (secondo cui il “primitivismo” corrisponderebbe a
un deficit cognitivo), erano piuttosto diffuse e si riscontravano in ambiti
disciplinari affini, per esempio, nella psicologia dello sviluppo. Tale posizione
teorica è sostenuta anche negli scritti di due psicologi che influenzarono gli
studi sull‟arte infantile nei decenni seguenti. Florence Goodenough (1926)
trasformò le prime misure qualitative dei disegni infantili in uno strumento
quantitivo per valutare l‟intelligenza dei bambini in conformità a come
disegnavano la figura umana. Questo test d‟intelligenza divenne una misura,
ampiamente usata, della maturità concettuale del bambino, pratica
successivamente elaborata da Dale Harris (1963) che ristandardizzò ed estese il
test.
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Un‟influenza altrettanto importante sullo studio dell‟arte infantile, come indice
della maturità mentale o concettuale del bambino piccolo, fu esercitata da Jean
Piaget (1923, 1924, 1926, 1945; Piaget, Inhelder, 1948, 1971). Fin dall‟inizio
della sua carriera altamente produttiva, Piaget era convinto che il modo
migliore per descrivere la vita mentale fosse in termini di stadi evolutivi
qualitativamente differenti, e che l‟evoluzione del grafismo infantile
corrispondesse alle tappe fondamentali dello sviluppo mentale. In questo
modello evolutivo tanto più il bambino cresce, tanto più i suoi disegni
diventano dettagliati, proporzionati e visivamente realistici, denotando così
una crescita intellettuale attraverso una serie di stadi. In una prima fase di
sviluppo, il bambino usa dei simboli che mancano di differenziazione e
producono una comprensione distorta di sé e degli altri. La vita mentale del
bambino è dominata dall‟egocentrismo cognitivo, vale a dire, dall‟incapacità di
tenere in considerazione prospettive diverse che, secondo Piaget, sono una
caratteristica del pensiero prelogico e dei suoi limiti concettuali.
Piaget stipulò, in particolare, una stretta corrispondenza tra i disegni dei
bambini e il loro ragionamento spaziale – matematico. Il suo pensiero è
illustrato in modo coerente in numerose pubblicazioni, ma ancor più
chiaramente nel libro “La rappresentazione dello spazio nel bambino” (Piaget e
Inhelder, 1948). In questo lavoro, Piaget delineò una progressione evolutiva:
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Piaget, per i propri studi riguardanti la progressione evolutiva delle abilità
grafiche, prese in considerazione il sistema di classificazione elaborato da
Jeorge Henri Luquet (1913, 1927), influente storico dell‟arte che aveva
identificato una serie di stadi nelle produzioni grafiche di sua figlia. Nel 1913
G.H. Luquet mostrò che i disegni del bambino rappresentano un realismo
logico e non un tentativo di disegnare ciò che si vede con gli occhi. L‟oggetto
esterno costituiva soltanto uno stimolo, un‟indicazione; ciò che il bambino
disegnava era il suo “modello interiore”, rappresentazione schematica di
1) Rapporti topologici, rappresentati tra i due e i quattro anni, Piaget include questa fase
del disegno nel periodo pre - operatorio dello sviluppo cognitivo (dai due ai sette anni) in
cui il bambino mostra di conoscere nient‟altro che elementari rapporti topologici di
vicinanza, separazione, ordine, inclusione e continuità, perché ancora essi sono molto vicini
a una dimensione che è in sé percettiva e motoria, una dimensione radicalmente
“egocentrica”, centrata sulla prospettiva di un mondo molto soggettivo e costruito con
scarsi, quanto essenziali collegamenti spazio – temporali tra gli oggetti da porre e
coordinare in uno spazio rappresentativo.
2) Rapporti euclidei, rappresentati tra i 4 e i 7 anni e caratterizzati dall‟invarianza dei
rapporti quando le trasformazioni dell‟oggetto sono rotazioni o spostamenti ancora pregni
di contenuti soggettivi, essi riguardano “ proprietà che rimangono percettivamente invariate
col variare del punto di vista da cui una figura viene guardata”;
3) Rapporti proiettivi, conquistati tra i 7 e i 9 anni e caratterizzati dai rapporti
prospettici e dalla comprensione della posizione del punto di vista richiesto; , in questo
caso, riesce a coordinare le dimensioni e le distanze tra gli oggetti. Il bambino è capace di
decentrarsi così da porsi da prospettive rappresentazionali diverse dalla propria.
Tabella 1.1.2.a : Progressione evolutiva delle abilità grafiche secondo Piaget e Inhelder
(1948)
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oggetti, in cui l‟aspetto percettivo subisce a livello mentale, una rielaborazione
di tipo astrattivo. Infatti, il bambino disegna una persona nello stesso modo sia
che il soggetto sia presente, sia che disegni a memoria. I bambini piccoli
disegnano ciò che conoscono, non quel che vedono. Il loro realismo è stato
definito intellettuale e non visivo. Secondo Luquet quindi, il disegno, proprio
per il suo scopo di rappresentazione riconoscibile da altri, tende ad essere
“realistico”. In una prima fase (2 – 3 anni) il realismo è “fortuito” in quanto il
bambino assegna ai propri scarabocchi un significato, cogliendo casuali
analogie con la realtà; il secondo tipo di realismo (3 – 5 anni) è definito
“mancato”, ad indicare l‟incapacità a rappresentare qualcosa in modo
compiutamente riconoscibile (presenza di elementi giustapposti e non
coordinati); segue poi dai 5 anni il realismo “intellettuale”, in cui il bambino
tende a disegnare ciò che conosce delle cose, non ciò che percepisce (e dunque
dominano trasparenze, ribaltamenti, cambiamenti di punti di vista). Intorno
agli 8 – 9 anni, il bambino inizia a rappresentare con un unico punto di vista e
un buon coordinamento spaziale, solo ciò che è visibile (per questo è
denominato realismo “visivo”), giungendo al punto massimo dello sviluppo
dell‟attività grafica.
Piaget trovò congruente con la sua teoria del ragionamento spaziale –
matematico la classificazione stadiale usata da Luquet per i vari tipi di
“realismo” e la incorporò per questo nel suo modello di analisi del disegno
come rappresentazione spaziale (Piaget, Inhelder 1948). La rappresentazione
grafica rappresenta dunque per Piaget un progressivo sviluppo delle strutture
cognitive in senso razionale: in relazione al crescere dell‟età cronologica, i
disegni diventano più articolati, più coordinati, più riconoscibili e realistici.