Nel 2009 si sono celebrate due importanti ricorrenze, entrambe legate alla
difesa dell'Europa: i sessant'anni del Trattato dell'Atlantico del Nord, e il primo
decennio di vita della Politica Europea di Sicurezza e di Difesa (PESD); tale anno è
stato battezzato da molti, primo fra tutti l'ex Alto rappresentante dell'Unione per la
1
Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC), Javier Solana, “anno della PESD” .
Il decimo anniversario della PESD è stato salutato con soddisfazione
talvolta retorica da molti europeisti; infatti, dal momento che non esiste un esercito
europeo né un’istituzione sovranazionale pienamente sovrana nell'ambito della
difesa, è davvero possibile parlare dell'esistenza di una simile politica? Senza
soccombere al cd. “europessimismo”, ci sembra più che legittimo interrogarsi sui
vincoli che limitano l'efficacia della difesa europea e avanzare dei dubbi sui suoi
2
progressi nell'immediato futuro .
Lo spunto per questo lavoro è nato anche dalla constatazione di un'altra,
fondamentale, mancanza che contraddistingue l'attuale situazione della PESD:
l'inesistenza di un mercato europeo di difesa. Nell'ambito di un'Unione europea che
rappresenta il PIL più elevato del pianeta, e di un Mercato Europeo Comune (MEC)
che investe praticamente tutti i settori del commercio, come si spiega una simile
mancanza? Il fatto che il mercato degli armamenti all'interno dei confini europei
continui ad essere fondato prevalentemente su basi nazionali rappresenta
un'eccezione perlomeno singolare (cfr . paragrafo 2.3).
Il presente lavoro vorrebbe tuttavia superare le semplificazioni e le
3
dicotomie che dal 2003 continuano ad affascinare molti autori : antico/nuovo,
moderno/postmoderno, europeista/atlantista, venusiano/marziano, potenza
1
SOLANA Javier (2009), “10 years of European Security and Defence Policy”,
ESDP Newsletter, special issue, ottobre 2009.
2
HEISBOURG François et alii (2008), “L'Europe et la puissance – Europe and
, collezione “Penser l'Europe”, Paris: Culturesfrance, p. 57.
3
Tra gli altri, KAGAN Robert (2003), “Of Paradise and Power: America and
Europe in the New World Order”, New York: Alfred A. Knopf; ELGSTROM Ole
e SMITH Michael (eds.) (2006), “The European Union's Roles in International
Politics. Concepts and analysis”, London-New York: Routledge.
8
power”
Introduzione
civile/potenza militare, soft power/hard power; sono tutte categorie che spiegano
solo parzialmente la natura complessa dell'UE nel sistema post-bipolare.
Per affrontare la questione della sicurezza e della difesa europea, è
necessaria una previa definizione dello status giuridico dell'UE. Si tratta di un
4
compito assai arduo, dal momento che l'Unione è un'entità ibrida e nebulosa ,
5
mutevole, un “oggetto politico non identificato” . Il processo di federalizzazione è
lontano dall'essere pienamente completato, anche se il Trattato di Lisbona (TL),
entrato in vigore il 1° dicembre 2009, ha permesso di superare la stasi in cui l'UE era
impantanata dopo il fallimento del progetto costituzionale.
Com'è noto, l'intersezione di tre diverse correnti europeiste (i.e.
confederalismo, federalismo di Monnet, federalismo di Spinelli), e più in generale
quella fra l'intergovernativismo e il sovranazionalismo, nel lungo periodo ha dato
luogo al Trattato sull'Unione europea (TUE): il testo firmato a Maastricht, anche se
più volte modificato, rimane il caposaldo dell'intero edificio europeo, la cui struttura
è stata paragonata a quella di un tempio greco. In base al temple approach (o tree
), l'UE era fondata su tre pilastri: Comunità europee, PESC, Cooperazione
di Polizia e Giudiziaria negli Affari Interni (GAI). Se nel primo caso veniva adottato
6
il metodo cd. “comunitario” , per gli altri due settori è prevalso il metodo
“intergovernativo”, nel quale le limitazioni alla sovranità degli Stati sono state
decisamente minori. Con l'entrata in vigore del TL, il approach è stato
superato, dal momento che la struttura post-lisbona si fonda su TUE e TFUE
(Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea) e sulla fusione dei pilastri.
Tuttavia la PESC, e soprattutto la Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC)
che ne fa parte, rimangono un settore dell'UE nettamente separato dal resto,
mostrando la difficile convivenza fra sistema integrazionista (i.e. sovranazionale) e
4
HUISSOUD Jean-Marc e ROYER Pierre (eds.) (2008), “Europe: la puissance au
bois dormant”, Rapport Anteios 2009, Paris: Presses Universitaires de France.
5
WOGAU Karl (ed.) (2009), “The Path to European Defence. New Roads, New
Horizons”, London: John Harper, p. 326.
6
Il metodo “comuitario” è caratterizzato da un ruolo forte della Commissione
nell' agenda-setting, dal diritto del Parlamento di emendare le proposte, dal
decision-making in Consiglio mediante votazione a maggioranza qualificata e dalla
supervisione da parte della Corte di Giustizia.
9
temple
approach
sistema intergovernativo, causa inevitabile di dualismo e ambiguità: “The CSDP is a
policy field guided by an integrationist ambition but controlled by
7
intergovernmentalism” , rimanendo quindi sostanzialmente sotto il controllo ultimo
degli Stati.
Per lungo tempo l'UE si è (auto)imposta un tabù sulle questioni relative alla
sicurezza e alla dimensione militare, ed ha confidato nella NATO come security
. Ciò le ha permesso di svilupparsi sul piano economico fino a diventare un
“gigante”, pur restando un “nano politico” e un “verme militare”. Dal 1999, tuttavia,
si sono verificati alcuni cambiamenti di non poco rilievo. Gli Stati membri dell'UE
hanno progressivamente acconsentito alla creazione di una dimensione “armata”
dell'UE, la quale ha subito una parziale militarizzazione sotto tre diversi profili:
quello istituzionale (EUMC, EUMS, EDA,...), quello operativo (ventisei missioni
sono state avviate dal 2003 a oggi), quello economico-strutturale (razionalizzazione
delle capabilities militari, lancio di programmi comuni, e.g. Eurofighter). Ma allo
stesso tempo l'Unione ha dimostrato di voler cercare soluzioni non-violente per le
sfide alla sicurezza. Detto altrimenti, mi è sembrato opportuno soffermarmi
inizialmente sulla rapidità con cui si è sviluppata la PSDC dal vertice di Saint-Malo
del 1998 fino ad oggi; ma non bisogna neanche permettere che un eccessivo
entusiasmo europeista ci faccia perdere di vista la debolezza intrinseca di questa
politica: soprattutto se paragonati all'impatto dell'euro o dell'allargamento in termini
di solidarietà economica e di integrazione europea, i risultati della PSDC sono
limitati. Fra tutti gli aspetti del processo di integrazione europea, la difesa è
sicuramente l'ambito nel quale sono stati fatti meno progressi.
“Va sottolineato quanto essa sia limitata sia dal punto di vista delle capacità militari sia
del loro potenziale utilizzo. Esistono poche possibilità che in un futuro prossimo essa
riesca ad andare oltre i limiti che le sono stati (auto)imposti [...]. Nel quadro della PESD
sono stati utilizzati una varietà di mezzi per migliorare le capacità europee in materia di
difesa e sicurezza, [...] la mobilità e l’utilizzazione delle forze, l’interoperabilità delle
7
BISCOP Sven e ALGIERI Franco (2008), “The Lisbon Treaty and ESDP:
Transformation and Integration”, Egmont Royal Institute for International
Relations, Egmont Paper n. 24, Bruxelles: Academia press, pp. 19-21.
10
provider
attrezzature e l’approvvigionamento delle munizioni; ma la realtà è che non esiste in un
futuro immediato alcuna possibilità che l’UE riesca – senza contare che deve volerlo –
8
ad avviare una campagna militare di ampia portata senza il supporto statunitense.”
L'ampia retorica che si è sviluppata nel corso degli ultimi anni non può
celare le pesanti (auto)limitazioni, i vincoli giuridici, le carenze in termini di risorse
che questa politica dell'Unione continua ad avere ormai da dieci anni. A nostro
avviso, la continua spinta da parte di accademici e politici verso una “potenza
militare europea” non fa che produrre un senso di inadeguatezza e di distanza
dall'alleato americano, distraendo l'UE dall'approfondire la sua nuova visione di
gestione delle relazioni internazionali e dal perseguire quelli che dovrebbero essere i
9
suoi veri obiettivi . Da questo punto di vista, come vedremo nell’ultimo paragrafo, il
concetto di “potenza civile” non è un eufemismo, né una “contraddizione in termini”
come sosteneva Hedley Bull, né tanto meno un sinonimo di debolezza e incapacità
10
secondo l'influente tesi di Robert Kagan , ma è al contrario il frutto di una scelta
consapevole e coerente.
I primi due capitoli di questo lavoro saranno mirati ad individuare tutti quei
fattori che impediscono di parlare di una PSDC pienamente avviata ed operativa, e
quindi a dimostrare che l'UE non è una potenza militare. Nel primo capitolo
prenderemo in considerazione l'evoluzione storica della difesa europea, gli ostacoli e
le difficoltà che ne hanno impedito uno sviluppo coerente; partiremo dall'analisi delle
ragioni del fallimento della CED, fino ad arrivare alle modeste innovazioni introdotte
dal Trattato di Lisbona. La storia della PESD mostra già alcuni fattori che ne hanno
pesantemente condizionato la portata: il modo informale e poco trasparente con cui è
nata; l'andatura discontinua e “non teleologica” dei suoi progressi; la gestione della
8
NUGENT Neill (2008), “The Government and Politics of the European Union”,
The European Union Series, New York: Palgrave Macmillan. [“Governo e
Politiche dell’Unione Europea”, voll. I-III, Bologna: Il Mulino], pp. 156-157
(corsivo aggiunto).
9
Cfr. paragrafo 3.4.
10
BULL Hedley (1983), “Civilian Power Europe: A Contradiction in Terms?”, in
TSOUKALIS Loukas (ed.), “The European Community: Past, Present and
Future”, Oxford: Blackwell, pp. 150-170; KAGAN Robert (2003), “Of Paradise
and Power: America and Europe in the New World Order”, New York: Alfred A.
Knopf.
11
difesa del Continente europeo affidata alla NATO e agli Stati Uniti, almeno durante
tutto il periodo bipolare. Nel secondo capitolo, invece, individueremo tre dimensioni,
i.e. giuridico-istituzionale, operativa, ed economico-strutturale, in merito alle quali la
PSDC è ancora oggi fortemente vincolata, nonostante i limitati progressi avvenuti
negli ultimi dieci anni.
Il terzo capitolo verterà invece sulla ricerca delle ragioni dei limiti della
PSDC. Molti autori, adottando un approccio di tipo neorealista, imputano questa
situazione allo stretto rapporto che ancora oggi legherebbe il settore della difesa alla
sovranità degli Stati, i quali sarebbero quindi estremamente reticenti a concedere
quote di sovranità in tale ambito. A mio avviso un'argomentazione di questo tipo, ai
giorni nostri e all'interno dei confini europei, è quantomeno riduttiva. Lasciando
dunque da una parte questo tipo di spiegazioni e senza entrarvi nel merito, ci
proponiamo di individuare motivazioni ulteriori dell'assenza di un'industria europea
della difesa e, più in generale, delle difficoltà incontrate dalla PSDC. Vedremo, tra
l'altro, come la storia condivisa degli Europei, fatta di grandi tragedie e grandi
innovazioni culturali, abbia prodotto una mentalità comune, la quale esclude la
violenza dal novero delle possibilità cui fare ricorso nelle relazioni internazionali.
Infine, nella parte conclusiva di questo terzo capitolo prenderemo in
considerazione il dibattito, oramai ultra-trentennale, che si è sviluppato attorno al
concetto di “Europa potenza civile”. L'approccio cui abbiamo aderito prevede che,
nonostante la creazione a partire dal 1999 di (limitate) capacità militari europee, ciò
non impedisce, ma al contrario rafforza, il ruolo di potenza civile dell'Unione.
Questo lavoro propone anche una valutazione delle modifiche apportate dal
Trattato di Lisbona (TL), anche se a causa della flessibilità che lo contraddistingue
saranno necessari alcuni anni per osservarne il funzionamento concreto. Molti
aspetti, trattati nello specifico al paragrafo 2.1, presentano numerose incognite, tra
cui quella relativa ai futuri sviluppi dei rapporti fra NATO e PSDC.
“Only time will tell how the ambiguities of the Lisbon Treaty will work themselves out
in practice. Two things do seem certain, however. If the EU evolves as an actor willing
to work together with the United States and in harmony with NATO, Brussels can
12
probably expect enthusiastic support from whoever is in the White House. But if the
EU's long-term purpose is to counterbalance the United States, then transatlantic
11
relations will be in for a rocky future” .
Rispetto al TL i commentatori sono dunque divisi: alcuni vedono il
bicchiere mezzo pieno, altri mezzo vuoto. Ciò che è indubbio è che l'Europa, per
allontanare il rischio di invecchiare ed essere marginalizzata dai paesi emergenti (e.g.
BRIC), deve necessariamente dotarsi di nuove dinamiche.
“Un segno preoccupante è per l’Europa l’ascesa delle forze populiste e delle tendenze
alla ri-nazionalizzazione. Si pensa di potere tornare al passato ma è una pericolosissima
e anacronistica illusione. Ma se prendono piede queste illusioni è perché le forze
politiche orientate tradizionalmente all’europeismo non si battono in modo persuasivo
per l’affermazione di una visione corretta e lungimirante del ruolo dell’Europa e degli
12
Stati in Europa.”
La recente deriva intergovernativa è una caratteristica di quello che la
rivista di geopolitica Limes chiama “sonno europeo” (che avrebbe ormai sostituito il
13
“sogno europeo”) . In effetti, come metteremo in luce nel corso del lavoro, il
processo d'integrazione ha subito un rallentamento; l'Europa e il legame
transatlantico hanno perso rilevanza in rapporto, per esempio, al continente asiatico;
le istituzioni comunitarie, i.e. Commissione e Parlamento, sono parzialmente
indebolite ed estromesse dal settore della PESC. I fattori determinanti di una simile
situazione, contraddistinta dalla “rassegnazione a non contare” da parte degli
Europei, sono l'inesorabile invecchiamento della popolazione e una qualità della vita
14
invidiabile . L'Ambasciatore Rocco Cangelosi, Consigliere diplomatico del
11
SOLANA Javier (2009), “10 years of European Security and Defence Policy”,
ESDP Newsletter, special issue, ottobre 2009.
12
Cfr. discorso di Giorgio Napolitano, in visita a Bruxelles il 2-4 marzo 2010; il
Presidente della Repubblica ha lanciato un accorato appello per non continuare
nella direzione di una “deriva intergovernativa”.
13
Cfr. “Sogno Americano e Sonno Europeo”, editoriale di Limes, vol. 1, gennaio
2010; vedi anche “Fiers d'être Européens?”, conclusioni di WOGAU Karl (ed.)
(2009), op.cit., pp.359-363.
14
“Sogno Americano e Sonno Europeo”, Limes, op.cit., p. 23.
13
15
Presidente della Repubblica, ha rilanciato l'appello : se l'UE non procede in senso
comunitario anziché intergovernativo, continuando quindi ad agire in ordine sparso
negli affari internazionali, è destinata all'irrilevanza e alla marginalizzazione politica.
Ritengo infine necessarie, prima di entrare nel merito di questo lavoro,
alcune puntualizzazioni preliminari. Per dieci anni, e fino ad alcuni mesi fa,
l'espressione utilizzata per indicare questa politica dell'Unione è stato, com'è noto, la
PESD. Per evitare equivoci, ho dato la preferenza all'acronimo più recente, PSDC
(Politica di Sicurezza e di Difesa Comune), formula utilizzata dal Trattato di
Lisbona, in vigore dal 1° dicembre 2009.
Per quanto concerne la numerazione degli articoli del TUE, ho adottato
quella del Trattato di Nizza nell'excursus storico del primo capitolo, salvo indicare
tra parentesi una numerazione diversa laddove necessario; la nuova numerazione,
introdotta dal TL, è stata utilizzata in parallelo a quella di Nizza nelle sezioni di
commento al nuovo Trattato (i.e. il quarto paragrafo del primo capitolo e il primo
paragrafo del secondo capitolo), così da identificare con maggiore facilità le riforme
e le innovazioni che sono state introdotte.
15
L'Ambasciatore Cangelosi ha preso parte ad una conferenza sul tema “L'Unione
Europea dopo Lisbona”, svoltasi il 5 marzo 2010 presso lo spazio QCR a Firenze.
14
CAPITOLO 1
Una storia non teleologica: gli ostacoli nel processo
evolutivo della PSDC
“Faire l'Europe c'est faire la paix”
J. Monnet (17 maggio 1953)
Discorso in occasione della consegna del Prix international Charlemagne per la pace, Aix-la-Chapelle
In questo capitolo si cercherà di mostrare come l'analisi del percorso storico
all'origine dell'attuale Politica Comune di Sicurezza e di Difesa (PSDC) fornisca già
alcune indicazioni sulla limitatezza di questo settore dell'Unione europea. In
particolare verranno messi in luce i seguenti fattori, che contribuiscono a spiegare
perché gli Stati membri si sono imposti dei “paletti”, delle auto-limitazioni, nel
settore della sicurezza e della difesa: l'assenza di un obiettivo strategico individuato
con chiarezza; il monopolio della difesa europea, almeno fino al termine della guerra
fredda, da parte dell'Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), degli
Stati Uniti e dei governi nazionali; la modalità “subdola”, informale e scarsamente
trasparente con cui è nata la PSDC; l'andatura discontinua e altalenante dei suoi
progressi.
Il processo di integrazione europea, iniziato con la CECA, proseguito con
CED, UEO, CEE, EURATOM, fino all'Unione europea, è stato concepito per
rendere impossibile un altro conflitto fra Stati europei, ma è nato senza un esplicito
obiettivo in termini di sicurezza.
15
Introduzione
L'integrazione è ha avuto inizio ed è proseguita dietro la spinta degli Stati
Uniti, frutto della loro iniziativa e protetta dal loro ombrello atomico: la creazione di
un'entità europea (i.e. il riavvicinamento fra Germania e Francia) è stato possibile
solo grazie alla presenza americana nel Continente. Di conseguenza, a causa del
fallimento della CED nell'agosto 1954, per cinquant'anni la NATO è rimasta l'unica
organizzazione responsabile della sicurezza europea, con l'UEO collocata in un ruolo
marginale: a queste due organizzazioni regionali gli Stati dell'Europa occidentale
hanno demandato gran parte delle questioni concernenti sicurezza e difesa,
escludendole dalle priorità della loro agenda politica.
Una volta terminata la guerra fredda, diversi fattori hanno contribuito a far
sì che l'UE si dotasse progressivamente di strumenti per una politica di difesa
autonoma. Furono eventi esterni come le guerre in ex-Jugoslavia a dare la spinta
decisiva nel far percepire l'esigenza di difendere e promuovere attivamente i valori
dell'UE. Quella della PSDC non è una storia teleologica, costituita cioè da una serie
di passi nella giusta direzione, poiché i progressi verso un'unione più stretta sono
spesso accompagnati da fallimenti e bruschi ritorni verso la ri-nazionalizzazione
16
della politica estera e di sicurezza . Ciò ha determinato uno sviluppo oscillante,
discontinuo e tutt'altro che lineare. L'intero processo di evoluzione che va da
Maastricht a Lisbona è contraddistinto da una serie di momenti critici, seguiti da
miglioramenti generalmente modesti, “piccoli passi in avanti”. L'integrazione
17
europea, in particolare in ambito PESC/PSDC, è stato un processo “reattivo” ,
poiché ogni singolo progresso è avvenuto in seguito alla presa di coscienza di errori
passati: al fallimento della CED sono seguiti i Trattati di Roma del 1957; il crollo del
sistema di Bretton-Woods e le crisi petrolifere hanno contribuito alla creazione del
Sistema Monetario Europeo (SME) nel 1979; la formulazione della PESD è stata una
16
TELO' Mario (2006), “Europe: A Civilian Power? European Union, Global
Governance, World Order”, New York: Palgrave Macmillan, pp. 201 ss; RIFKIN
Jeremy (2004), “Il Sogno europeo: come l’Europa ha creato una nuova visione del
futuro che sta lentamente eclissando il Sogno Americano”, Milano: Mondadori, pp.
211-212.
17
RIEKER Pernille (2009), “The EU – A Capable Security Actor? Developing
Administrative Capabilities”, European Integration, vol. 31, n. 6, p. 709; BISCOP
Sven e ALGIERI Franco (2008), “The Lisbon Treaty and PESD: Transformation
and Integration”, Egmont Royal Institute for International Relations, paper n. 24,
Bruxelles: Academia press, pp. 19-20.
16
conseguenza delle guerre nei Balcani; gli attentati dell'11 settembre e le divergenze
transatlantiche e intra-europee in occasione del conflitto iracheno hanno determinato
18
gli ultimi sviluppi della PSDC .
La nascita e il successivo sviluppo della PSDC sono stati affidati a decisioni
di natura politica (e.g. decisioni del Consiglio, dichiarazioni comuni, rapporti della
Presidenza), che spesso non sono state tradotte in modo formale all'interno del
quadro istituzionale dell'Unione. Questo basso livello di “codificazione” è
giustificato dal timore che un dibattito sull'argomento difesa in sede di CIG possa
19
comportare problemi di ratifica da parte di alcuni Stati membri ; tuttavia, in questo
modo, queste decisioni in ambito PSDC vengono lasciate alla mercé delle
oscillazioni politiche e dei cambi di governo negli Stati membri. Tutte le innovazioni
in tema di PSDC, a partire dalla carica di Alto rappresentante fino all'EUROFOR,
sono state negoziate passo dopo passo, “strappate” come concessioni politiche nelle
sessioni del Consiglio europeo e nei vertici bilaterali, per poi essere in seguito
“erose” e parzialmente svuotate nella sostanza dagli apparati diplomatici e militari, in
particolare da quelli dei paesi di fede atlantista, diffidenti nei confronti della
20
costruzione di una dimensione difensiva autonoma ed esterna alla NATO . Il
Trattato costituzionale e quello di Lisbona hanno riformato l'articolo 17 TUE
lasciando fondamentalmente intatto il carattere “in divenire” della PSDC, concepita
21
solo come una “tappa” verso una vera e propria difesa europea .
La politica di difesa europea ha compiuto quest'anno (2009) dieci anni di
esistenza; si tratta di uno strumento relativamente ancora giovane, ed è dunque
prematuro trarre un bilancio della sua attività. Da un lato è evidente che dal vertice di
Saint-Malo ad oggi le realizzazioni concrete sono state rapide e numerose, in termini
sia di organi politico-militari sia di missioni operative; dall’altro, questi progressi
non sono stati accompagnati da un adattamento delle istituzioni comunitarie, e
18
GNESOTTO Nicole (ed.) (2004), “EU Security and Defence Policy: the first five
years (1999-2004)” , Paris: EU-ISS, pp. 38-39.
19
MISSIROLI Alessandro e PANSA Alessandro (2007), “La difesa europea”,
Genova: Il Melangolo, p. 81.
20
HEISBOURG François et alii (2008), “L'Europe et la puissance – Europe and
, collezione “Penser l'Europe”, Paris: Culturesfrance, p. 46.
21
GRAZIANI Francesca (2006), “Lo spazio di sicurezza europeo. L'Unione Europea
e i suoi rapporti con NATO e OSCE”, Napoli: Editoriale Scientifica, 216.
17
power”
l’inquadramento istituzionale della politica di difesa nel Trattato di Lisbona sembra
essere, come vedremo, ancora incompleto.
1.1 – Tentativi falliti (1950-1990)
L'idea di creare un esercito europeo è molto più vecchia dell'Unione
europea stessa. Nel XVII secolo il ministro delle Finanze di Enrico IV, Duca de
Sully, fu il primo ad impiegare il termine “Europa”, o meglio quello di “République
très chrétienne d'Europe”, intesa come un nuovo spazio in via di nascita, un luogo di
dialogo e di equilibrio. Con la sua opera “Mémoires des sages et royales économies
d’Etat” (1610) Sully propose di istituire una forza, supervisionata da un “Consiglio
Cristiano”, che avrebbe dovuto risolvere le controversie fra le grandi monarchie
22
europee e rafforzare le regole comuni, al fine di ottenere un equilibrio di potenza .
Il quacchero pacifista William Penn avanzò nel 1693 un piano per gli Stati
Uniti d'Europa, nella sua voluminosa opera intitolata “An Essay towards the Present
and Future Peace of Europe by the Establishment of a European Dyet, Parliament
or Estates”. All'inizio del secolo successivo, l'abate francese di Saint-Pierre scrisse
un “Projet pour rendre la paix perpetuelle en Europe” (1712) – il cui titolo ricorda il
successivo e ben più famoso saggio di Kant, di cui tratterò nel capitolo 3.1.2 – nel
23
quale preconizzava la creazione di un'armata multinazionale a livello europeo .
Potremmo proseguire ancora, ma riteniamo che questi esempi siano
sufficienti per constatare che l'idea di una forza armata comune e la ricerca di un
sistema per garantire la pace in Europa non sono certo una novità. E' altrettanto vero
che occorre attendere il XX secolo, e in particolare la duplice devastazione del
Vecchio Continente, per assistere a tentativi di maggior spessore e concretezza. Il
Trattato di Bruxelles, firmato il 17 marzo 1948 in risposta al golpe di Praga del mese
22
Molte delle informazioni contenute in questa prima sezione sono rielaborate dal
corso di Jean Picq, Professore all'Institut d'études politiques (Sciences-Po) di
Parigi, da me frequentato il secondo semestre dell'a.a. 2007/2008; le lezioni
vertevano proprio sulla genealogia delle relazioni interstatuali nella storia
dell'Europa.
23
MERAND Frédéric (2008), “European Defence Policy. Beyond the Nation State”,
Oxford: Oxford University Press, pp. 1-3.
18
precedente, costituiva un ampliamento del Trattato anglo-francese di Dunkerque del
1947; mentre quest'ultimo era stato pensato in funzione espressamente antitedesca, a
Bruxelles Gran Bretagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo stipularono un
patto di autodifesa collettiva che rientrava pienamente nelle dinamiche della guerra
24
fredda . Attraverso l’Unione Occidentale (UO), creata dal Trattato del 1948, i
firmatari si impegnavano a condividere informazioni, personale e materiali, nonché a
coordinare le loro politiche di difesa: per la prima volta in tempo di pace furono
25
stabiliti a Fontainebleau un ridotto staff militare ed un comitato di capi della Difesa.
Tuttavia apparve da subito chiaro che la sicurezza del Continente sarebbe stata
credibile solo se accompagnata dal supporto addizionale da parte dell'alleato
maggiore: i vari colloqui preliminari avviati dagli Stati Uniti portarono quindi alla
26
firma, il 4 aprile 1949, del Trattato del Nord Atlantico . Ma i timori europei non
erano ancora pienamente condivisi: furono la fine del monopolio atomico e la
proclamazione della Repubblica Popolare Cinese a spingere Washington, attraverso
la famosa risoluzione NSC-68, verso la militarizzazione della presenza americana in
Europa e la trasformazione del Patto Atlantico in una vera e propria organizzazione
militare, la North Atlantic Treaty Organiszation (NATO). A partire da questo
momento, e per tutta la durata della guerra fredda, la politica di difesa sarebbe stata
coordinata fra gli Stati europei all'interno della struttura della NATO (cfr . paragrafo
1.1.3), e si sarebbe fondata sul coinvolgimento e sulla leadership degli Stati Uniti.
L'idea di una sicurezza europea fondata sul primato delle consultazioni in ambito
atlantico sarebbe stata dominante ancora per lungo tempo, anche se ripetutamente
sfidata dalla Francia gollista che promuoveva una difesa europea autonoma da
Washington (vedi infra ).
24
DI NOLFO Ennio (2008), “Storia delle relazioni internazional. Dal 1918 ai giorni
, Bari: Laterza, pp. 774 ss.
25
MERAND Frédéric (2008), op.cit., p. 46.
26
Per una comparazione dettagliata fra le garanzie di assistenza reciproca contenute
nel Patto di Bruxelles modificato, nel Trattato del Nord Atlantico e nel Trattato di
Lisbona cfr. paragrafo 2.1.3.
19
nostri”
1.1.1 – I negoziati per la CED e per la CPE (1950-1954)
In risposta all'emergenza della minaccia sovietica, allo scoppio della guerra
di Corea (25 giugno) e alle conseguenti pressioni americane per il riarmo della
Germania, nel 1950 i “sei” (ovvero i paesi firmatari del Patto di Bruxelles più l'Italia)
iniziarono ad affrontare la delicata questione di una politica estera e di difesa
27
comune. Fino a quel momento gli europei ritenevano sufficienti le garanzie offerte
dal Patto Atlantico, ma la percezione della crisi coreana come una “guerra per
procura” e il parallelismo con la situazione europea determinarono l'esigenza di
affiancare all'alleanza politica un'alleanza militare. Nell'ottica di Washington,
l'organizzazione difensiva della NATO avrebbe dovuto includere anche la Germania
federale, ma ciò si scontrava con la ferma opposizione francese ad una politica di
riarmo da parte di Bonn. Negli anni Cinquanta e Sessanta il governo di Parigi si fece
promotore di due diverse (ed opposte) iniziative nel campo della difesa europea,
entrambe destinate al fallimento. La prima è il Piano Pléven per una Comunità
Europea di Difesa (CED), la seconda è rappresentata dai due Piani Fouchet (cfr.
paragrafo 1.1.4). Entrambe le proposte mostrano la volontà francese di rafforzare la
cooperazione politico-militare fra Stati europei, in modo da riequilibrare il rapporto
28
strategico fra le due sponde dell'Atlantico .
L' impasse relativa alla rimilitarizzazione della Germania venne
brillantemente superata da Jean Monnet, divenuto Commissario generale per il Plan
de modernisation et d'équipement: la sua intuizione riuscì a convincere il Presidente
del Consiglio, il centrista René Pléven, e il suo ministro degli Esteri, il democristiano
29
Robert Schuman . Il Piano Pléven, approvato dall'Assemblea nazionale il 21 ottobre
1950, recuperava l'approccio federalista del progetto CECA (Comunità Europea del
Carbone e dell'Acciaio), lanciata pochi mesi prima da Schuman su ispirazione dello
stesso Monnet. Esso prevedeva un esercito europeo integrato composto da forze
27
WALLACE William (2005), “Foreign and Security Policy. The Painful Path from
Shadow to Substance”, in WALLACE Helen, WALLACE William e POLLACK
Mark (eds.), “Policy-Making in the European Union”, Oxford: Oxford University
Press (quinta edizione), pp. 430-432.
28
GRAZIANI Francesca (2006), op.cit., pp. 27 ss.
29
MERCHET Jean-Dominique (2009), “Défense européenne, la grande illusion”,
Paris: Larousse, pp. 84-89.
20
multinazionali di Francia, Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, con
un budget comune e sotto l'autorità (sovranazionale) di un ministro della Difesa
30
europeo . Mentre il processo che portò alla creazione della CECA si concluse in
meno di un anno, i negoziati relativi alla CED si prolungarono per tutto il 1951,
finché in ottobre il governo italiano avanzò la proposta di trasformarla in una vera e
propria Comunità Politica Europea (CPE), accentuandone il carattere confederativo e
sovranazionale. La cd. “proposta De Gasperi” (che prevedeva, fra l'altro, l'istituzione
di un'Assemblea europea eletta a suffragio universale) fu inserita nell'articolo 38 del
31
Trattato istitutivo della CED, firmato finalmente a Parigi il 27 maggio 1952 . La
CED presentava numerose analogie con la CECA, sia perché era anch'essa di tipo
sovranazionale, sia perché era dotata di organi simili: un Commissariato di nove
membri che avrebbe deciso a maggioranza, un'Assemblea, un Consiglio dei ministri
della Difesa e una Corte di Giustizia (una differenza sarebbe d'altra parte
rappresentata dal fatto che nel Trattato CED l'organo politicamente dominante è il
32
Consiglio dei Ministri, e non il Commissariato/Alta Autorità ). L'articolo 5 del
Trattato istitutivo della CED, oltre ad una stretta cooperazione con la NATO,
prevedeva che all'interno dell'esercito europeo le unità di base (a livello di
reggimenti) dovessero rimanere nazionali ed essere riunite in strutture integrate (a
livello di corpi d'armata); gli Stati avrebbero inoltre conservato alcune forze
nazionali per operazioni al di fuori dall'Europa (in altre parole, nei territori coloniali
33
francesi) . Certo, i poteri della CED erano limitati, dal momento che non poteva
dichiarare guerra per conto dei propri membri né stabilire quale avrebbe dovuto
essere la strategia da seguire: ciononostante essa rappresentò una rottura con le
tradizioni europee ed una svolta avveneristica in termini di cessione di sovranità
statale.
30
MERAND Frédéric (2008), op.cit., p. 27; DI NOLFO Ennio (2008), op.cit., pp.
782-787.
31
Gli accordi di Parigi furono firmati il giorno dopo quelli fra la Repubblica federale
di Germania e le tre potenze occupanti; il Trattato del 26 maggio 1952 costituiva
l'altro fodamentale tassello in vista dell'integrazione di Bonn nel sistema
occidentale e del suo recupero dei diritti di sovranità, tranne che su Berlino.
32
DI NOLFO Ennio (2008), op.cit., p. 792.
33
WALLACE William (2005), op.cit., pp. 430-431; vedi anche MERCHET Jean-
Dominique (2009), op.cit., p. 87.
21
Lo stesso giorno della firma del Trattato istitutivo della CED, i “sei”
stipularono un accordo con il governo di Londra, che definiva la condizione della
Gran Bretagna come Stato alleato, ma non membro, della CED. Di conseguenza la
Francia sarebbe stato l'unico paese a dover sacrificare il proprio esercito nazionale,
dal momento che la Germania non ne possedeva, l'Italia era impegnata a ricostituirlo,
34
e l'apporto di Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo era poco più che simbolico .
L'elemento di maggiore attrattiva della CED costituiva il suo principale svantaggio:
infatti, come Schuman dichiarava con tono propagandistico, ci sarebbero stati soldati
35
tedeschi ma non un “esercito tedesco”, e lo stesso discorso era valido per la Francia.
L' iter delle ratifiche, durato due anni, non superò quindi lo scoglio dell'opposizione
francese, sulla quale convergevano forze politiche differenti: comunisti, gollisti del
RPF, alcuni socialisti di sinistra, una parte dei radicali e dei moderati. Il 30 agosto
1954, provocando lo smarrimento degli europeisti, l'Assemblée Nationale approvò
una mozione “pregiudiziale” con la quale respingeva il Trattato CED senza
discuterlo, con 319 contrari, 264 favorevoli e 43 astenuti (dei quali 22 erano membri
del governo!). In effetti, quella che Raymond Aron definirà una “grande quérelle
si era protratta fino ad un momento in cui il contesto internazionale era
avviato in senso distensivo, e in cui era legittimo porsi dei dubbi sull'effettiva
necessità di un “esercito europeo”; ma ciò che il Parlamento francese aveva respinto
36
era soprattutto “il pur flebile accento sovranazionale contenuto nel trattato” .
Nessuno dei Trattati istitutivi delle Comunità europee (CECA, CEE,
Euratom) contiene norme rilevanti in materia di politica estera, tanto meno in materia
di politica di difesa. I Trattati di Roma (25 marzo 1957), che vanno ad aggiungersi al
Trattato istitutivo della CECA (18 aprile 1951), erano intenzionalmente limitati alla
cd. low politics, lasciando che la high politics rimanesse di competenza degli Stati
nazionali e della NATO. CEE ed Euratom determinarono un ritorno al funzionalismo
37
e una battuta d'arresto per la cooperazione nel campo della difesa .
34
MERCHET Jean-Dominique (2009), op.cit., p. 87.
35
SHEEHAN James (2009), “L'età post-eroica. Guerra e pace nell'Europa
, Bari: Laterza, pp. 177-179.
36
Ibidem, p. 800.
37
MERAND Frédéric (2008), op.cit., pp. 71 ss.
22
contemporanea”
idéologique”