4
Introduzione
Sin dai tempi delle concezioni contrattuali dello Stato, si era soliti richiamare
la ragion d‟essere del pubblico potere di disporre e limitare i diritti dei cittadini
ravvisandola in una sorta di contraccambio con la garanzia di sicurezza collettiva
contro uno Stato di guerra. Io autorizzo e cedo il mio diritto di governare me stesso a
quest'uomo o a questa assemblea di uomini, a questa condizione, che tu gli ceda il tuo diritto,
e autorizzi tutte le sue azioni in maniera simile. Fatto ciò, la moltitudine così unita in una
persona viene chiamata uno stato, in latino civitas. Questa è la generazione di quel grande
Leviatano o piuttosto - per parlare con più riverenza - di quel Dio mortale, al quale noi
dobbiamo, sotto il Dio immortale, la nostra pace e la nostra difesa1. Thomas Hobbes.
L‟individuo cede diritti naturali in cambio di sicurezza. Anche in altre, successive,
riflessioni del giusnaturalismo classico il bene giuridico “sicurezza” è stato visto
non già come un diritto fondamentale della persona, bensì come un obiettivo del
contratto sociale. Di tale obiettivo gestore è lo Stato, che organizza la collettività
allo scopo di garantire al meglio i diritti primari di ciascun individuo,
permettendogli di conservare la facoltà di revocare il potere legislativo in caso di
necessità di tutela dell‟autoconservazione, in nome della quale i cittadini
conferiscono l‟autorità allo Stato2. Nel secolo scorso, il diffondersi delle Carte
Costituzionali ha notevolmente incrementato il bisogno di sicurezza nella
regolamentazione degli interessi della collettività fino a farlo assurgere a diritto
fondamentale dei singoli e dovere dello Stato3. Ad oggi, dimenticata e superata la
fictio del contraccambio, il diritto alla sicurezza viene equiparato a quello dei
singoli, ponendolo dunque nella gerarchia dei beni originari dell‟individuo e, allo
stesso tempo, in quella dei beni strumentali della politica. Lo Stato che consegue a
tale dimensione si sente legittimato a gestire questa fondamentale esigenza
controbilanciandola con quelle tipiche della vita e della libertà dei cittadini, come se
fossero di pari grado. Nasce, quindi, la necessità di fare i conti con le esigenze di
1
T. HOBBES, Il leviatano, 1651.
2
J. LOCKE, Primo trattato sul governo, 1660 e Secondo trattato sul governo, 1662.
3
A. BARATTA, Diritto alla sicurezza o sicurezza dei diritti?, in La bilancia e la misura. Giustizia, sicurezza,
riforme, a cura di S. Anastasia e M. Palma, Franco Angeli, 2001 pagg. 19 e ss.
5
bilanciamento degli interessi contrapposti, gerarchizzando i diritti collettivi
contestualmente a quelli connotati da un approccio prettamente individualistico4.
In altri termini, si chiede di giustificare le limitazioni ai diritti fondamentali
dell‟individuo sulla base dell‟esigenza dello Stato di prevenire, od eventualmente
reprimere, fatti che l‟ordinamento giuridico qualifica come reati e per i quali
prevede l‟irrogazione di una sanzione. Di fronte all‟allarme sociale destato nei
confronti della collettività, si legittima, ad esempio la limitazione della libertà
personale dell‟individuo, indagato o imputato per aver commesso un fatto
espressamente qualificato dalla legge come antigiuridico, a seguito della
valutazione della prevalenza dell‟interesse alla sicurezza della collettività,
adeguatamente garantita soltanto attraverso la sua restrizione. In alcuni casi, può
anche ammettersi che rispetto del singolo ed esigenze repressive non siano idee di
fondo completamente contrapposte, sostenendo che facciano entrambe
concettualmente leva sulla costruzione del “miglior diritto penale possibile”5.
Tuttavia, rimane il fatto che la dialettica di questi due principi costringe a chiedersi
chi sia legittimato a stabilire un punto di equilibrio e come tale conclusione debba e
possa essere raggiunta. Se con riguardo al primo aspetto è pacifico sostenere che da
secoli garante dell‟esigenza di sicurezza sembra essere lo Stato, per ciò che
concerne le modalità di attuazione della ricerca dell‟equilibrio fra le due garanzie,
vanno effettuate delle considerazioni: la tutela dei diritti individuali può essere
integralmente sospesa di fronte a situazioni di straordinaria necessità ed urgenza,
quali quelle che vengono a verificarsi a seguito dell‟integrazione di un reato di
criminalità organizzata o con finalità di terrorismo; in presenza di tali circostanze
un‟ efficace azione statale di contrasto risulta generalmente consentita e, alla luce di
sollecitazioni statali nonché di impegni sovranazionali, soprattutto dovuta; appare
necessario soffermarsi a elaborare delle critiche che investano, non già l‟intera
totalità delle azioni giuridiche di lotta, bensì i singoli aspetti derogatori rispetto al
diritto penale comune6.
4
M. DONINI Sicurezza e diritto penale, in Cass. Penale n. 10/2008, pagg. 3559 e 3560.
5
A. PAGLIARO Il reato, in Trattato di diritto penale. Parte generale, Milano Giuffrè 2007, pag. 3.
6
S. BONINI Lotta alla criminalità organizzata e terroristica, garanzia dell’individuo, garanzia della
collettività: riflessioni schematiche, in Cass. Penale n. 5/2009, pagg. 2223 e 2224.
6
Effettuate queste premesse, non si può fare a meno di notare come il
problema del sicuritarismo, di cui si è parlato finora, sia fortemente protagonista
nella società odierna e come, nonostante si caratterizzi per l‟avere delle radici
notevolmente risalenti, sia di fatto molto discusso oggigiorno e, per alcuni aspetti,
ancora irrisolto. Ad aggravare ulteriormente la situazione contribuiscono
circostanze fortemente attuali ed all‟interno delle quali va a radicarsi il fenomeno de
quo: le tendenze tratteggiate si riscontrano nella lotta al terrorismo, cosi come nel
tentativo di repressione della criminalità organizzata, ma anche in settori quali
quello del diritto del lavoro, dove ovviamente si persegue un concetto di sicurezza
inevitabilmente diverso, nonché in quello del contrasto all‟immigrazione
clandestina, ai reati finanziari, all‟ implementazione delle garanzie intaccata dalla
criminalità degli enti, o ancora alla sicurezza urbana.
Non potendosi, per ragioni di spazio, sviluppare la problematica della
sicurezza in ordine ad ognuno di questi fenomeni, si è scelto di privilegiare lo studio
di ciò che comporta la repressione dei reati di criminalità organizzata, avendo la
consapevolezza tuttavia che questo non sia l‟unico settore nel quale riecheggiano le
esigenze di cui si parla. Si riconosce, a tal proposito, l‟esistenza di un regime detto
di “doppio binario” che si esplica mediante la parallela gestione degli istituti
processuali e sostanziali, differenziata fra delitti di criminalità comune e delitti che
conseguono invece ad un‟associazione criminale dotata di stabile organizzazione e
sodalizio criminoso di riferimento. Trattasi di un fenomeno per il quale appare
improponibile effettuare un‟analisi completa ed esaustiva nella totalità dell‟ambito
di applicazione, in quanto regime che va a toccare una serie innumerevole di istituti
processuali e sanzionatori di riferimento. Per tale ragione, la trattazione che segue
si prefigge lo scopo di delineare un quadro generale che, in via trasversale, tocchi gli
istituti fondamentali di ogni fase del processo penale. La scelta si motiva sulla base
della volontà di sottolineare come l‟aspetto del “doppio binario” non inerisca
esclusivamente ad una specifica fase processuale ma si sviluppi, piuttosto,
all‟interno dell‟intero procedimento, partendo dalle indagini preliminari fino ad
arrivare a toccare il profilo penitenziario che afferisce alla fase esecutiva del
processo. A ciò si aggiunga che esistono delle deroghe anche per ciò che concerne
l‟aspetto sanzionatorio da applicare a questi reati, deroghe a cui, in alcuni casi, si
tende per completezza a fare accenno, pur prediligendo l‟analisi degli istituti che
7
interessano il profilo processuale in senso stretto. Nel tentativo di dare tale visione
di insieme, ovviamente, si è dovuto sacrificare la trattazione di alcuni istituti
esplicativi del doppio binario che non avrebbero potuto altrimenti essere
adeguatamente trattati. Ci si riferisce ad esempio al mancato approfondimento del
cosiddetto “regime del carcere duro” che, in attuazione di quanto prescritto dall‟art.
41 bis dell‟ordinamento penitenziario, contrappone l‟applicazione di una disciplina
di particolare rigore a quella premiale prevista per i collaboratori di giustizia, di cui
invece si è scelto di parlare più approfonditamente.
Scopo della trattazione che segue è, dunque, quello di tracciare un quadro
d‟insieme delle modalità attraverso le quali lo Stato ritiene di poter, per quanto
possibile, prevenire e reprimere la commissione di reati riconducibili al fenomeno
della criminalità organizzata. Alle considerazioni enucleate, si aggiunga
ulteriormente che l‟elaborato vuole costantemente rimarcare il rapporto sussistente
fra la commissione di delitti di tale tipologia ed il particolare allarme sociale che
questi riflettono nella collettività. Infatti, l‟esigenza di sicurezza che ricorre
persistentemente con riferimento al diritto penale è, in relazione a questi più che ad
altri reati, particolarmente sentita, dato il disvalore sociale sotteso all‟integrazione
delle fattispecie in questione. Al fine di sottolineare, con il maggiore realismo
possibile, quale sia il riflesso dell‟associazionismo criminale all‟interno della società
attuale, si è scelto di riportare fedelmente, in preambolo ad ogni capitolo, articoli di
giornale o parti di testi di personaggi competenti che, in qualche modo, siano venuti
a contatto con la criminalità organizzata o con fenomeni ad essa riconducibili. Filo
conduttore del lavoro, infatti, vuole essere, la stretta connessione che sussiste fra
l‟operatività di queste associazioni e la realtà territoriale e sociale in continua
espansione ed all‟interno della quale le stesse operano.
Criminalità organizzata e “doppio binario”
8
CRIMINALITA’ ORGANIZZATA E “DOPPIO BINARIO”
L’epoca attuale costituisce uno dei momenti più critici, in cui il pensiero umano è in
via di trasformazione. Due fattori fondamentali sono alla base di questa trasformazione. Il
primo, la distruzione delle credenze religiose, politiche e sociali, dalle quali derivano tutti
gli elementi della nostra civiltà. Il secondo, la creazione di condizioni di esistenza e di
pensiero interamente nuove, originate dalle moderne scoperte della scienza e dell’industria.
Attualmente non è facile dire cosa potrà uscire da un tale periodo, forzatamente un po’
caotico. Su quali idee fondamentali si edificheranno le società che succederanno alla
nostra? Ancora lo ignoriamo. Ma, già da ora, si può prevedere che, nella loro
organizzazione esse dovranno fare i conti con una nuova potenza, novissima sovrana
dell’epoca moderna: la potenza delle folle. Damiano Palano7.
7
D. PALANO Il potere della moltitudine. L’invenzione dell’inconscio collettivo nella teoria politica e
nelle scienze sociali italiane tra otto e novecento, ed. Vita e pensiero Milano 2002, pag. 343.
Criminalità organizzata e “doppio binario”
8
1. L’ evoluzione storica della criminalità organizzata: dalle prime
manifestazioni degli anni ’60 alla criminalità internazionale.
Le prime manifestazioni criminali non riferibili alla delinquenza
individuale e che presuppongono l‟esistenza di associazioni stabilmente dedite al
compimento di delitti lesivi dell‟ordine e della sicurezza pubblica, possono essere
rintracciate a partire dalla fine degli anni sessanta. L‟inizio degli “anni di
piombo”, il diffondersi della “strategia della tensione”, l‟espandersi del
fenomeno dei sequestri di persona a scopo di estorsione sono soltanto alcune
delle linee fondamentali in cui si snoda il fenomeno criminoso in questione. Per
alcuni dei sodalizi che si consolidano in questa fase storica, particolarmente
incisivo appare il collegamento del reato con la realtà sociale all‟interno della
quale viene commesso il fatto: i gruppi si formano e si radicano nel tessuto
urbano delle città come pure nei fenomeni degenerativi esteriori di reciproco
contrasto, spesso violento e sanguinoso. Intorno agli anni ‟70 sorgono a Catania
i primi gruppi riconducibili a Cosa Nostra e, secondo le conoscenze di Tommaso
Buscetta, intorno agli anni ‟80 tali strutture sono già insediate in ogni provincia
della Sicilia, ad eccezione di quelle di Messina e
Siracusa. Le prime guerre di mafia vere e proprie risalgono al decennio
successivo, momento nel quale il territorio catanese conta un numero di cento-
centoventi morti ammazzati per anno che si inseriscono in una spirale di
degrado civile e corrispondente ascesa delinquenziale. All‟interno di tale quadro
politico-sociale, che vede il passaggio dalla tensione terroristica degli anni ‟60 al
nuovo fenomeno della mafia individualista mescolata alle forme eversive
politico-terroristiche degli anni „80, investigatori e magistrati del nostro Paese
sono costretti ad elaborare nuove e tempestive norme speciali8 idonee a
8
Oggetto dei provvedimenti adottati nel periodo in questione furono: nuovi strumenti di indagine
per la realizzazione di spontanee forme di coordinamento tra i vari uffici dei pubblici ministeri
Criminalità organizzata e “doppio binario”
9
contrastare il radicamento dei gruppi nel tessuto territoriale e la loro contestuale
capacità penetrativa negli ambienti imprenditoriali, politici e istituzionali. Tali
disposizioni emergenziali, tuttavia, non contengono alcuna definizione del
concetto di “criminalità organizzata” e l‟inevitabile necessità di collocare il
fenomeno entro parametri concreti ha determinato l‟attribuzione al concetto di
una connotazione eminentemente sociologica. Nonostante l‟impossibilità di
enucleare una nozione meno frammentaria ed instabile, presto anche gli atti
parlamentari, le sentenze e gli studiosi hanno fatto ricorso a tale accezione
dell‟espressione facendo leva su ragioni di esemplificazione espositiva piuttosto
che con l‟intento di cercare una “definizione di sintesi”. La connotazione
sociologica ha, dunque, determinato l‟argomentazione secondo cui sono
espressione di “criminalità organizzata” tutte le forme associative delinquenziali
e tutte le condotte costituenti reato che ad essa si collegano a qualsiasi titolo ed
in qualsiasi modo. Ciò rende necessario l‟assunto per cui non si può prescindere
dalle linee di evoluzione dei reati associativi nel tracciare un breve excursus
storico del fenomeno criminale in esame.
La dottrina penalistica classica, a partire dal Carrara, costruisce una teoria
del delitto di “associazione” che evidenzia come le caratteristiche fondamentali
dell‟agire in collettività, piuttosto che singolarmente, delineino fattori peculiari di
generalizzazione della responsabilità, cioè di definizione di una responsabilità
relativa al complesso dell‟attività delittuosa dell‟associazione; elementi di
interdizione concreta e dinamica dell‟esistenza e dell‟attività nella fase stessa
dello svolgimento delle condotte che ad essa ineriscono; profili di collegamento e
coordinamento delle indagini processuali. Circoscrivendo l‟analisi di tali
caratteristiche al fenomeno associazionista che più interessa in questa sede,
ovvero quello relativo alla criminalità organizzata comune (con particolare
addetti alle indagini; introduzione di rigorose disposizioni in materia di carcerazione preventiva;
possibilità di celebrare “maxi-processi”; modifiche alle precedenti normative in materia di armi,
ordine pubblico e misure antiterrorismo e antimafia; previsione di un regime sanzionatorio più grave
rispetto a quello previsto per i delitti analoghi della criminalità individuale; concessione di speciali
attenuanti in favore dei soggetti collaboranti con l’autorità giudiziaria per la ricostruzione dei fatti o
per la cattura dei loro autori.
Criminalità organizzata e “doppio binario”
10
riferimento a quella di stampo mafioso), va sottolineato che quanto finora
esposto risulta essere perfettamente compatibile anche col settore della
criminalità organizzata di tipo politico-terroristico. Sebbene infatti autorevoli
esponenti della dottrina, fra i quali Flick, sottolineino la mancanza della finalità
lucrativa nell‟azione di tipo eversivo9, è innegabile che, prescindendo dal profitto
(tipico delle associazioni di stampo mafioso) e dall‟ideologia che anima la lotta
terroristica, il metodo di azione caratterizzante le due forme di criminalità
organizzata risulti essere il medesimo quanto a struttura e strumenti impiegati.
La tendenza, dunque, ad identificare la criminalità organizzata con la sola
criminalità di stampo mafioso fonda le sue origini in quelle connotazioni di
matrice storica che hanno determinato nel legislatore la necessità di porre
maggiore attenzione al fenomeno mafioso con conseguente disinteresse per la
realtà politico-eversiva. La considerazione, peraltro, che la criminalità
organizzata di tipo mafioso configuri una realtà delinquenziale a sé stante,
distinta da quella terroristica, non nasce contestualmente all‟insorgenza delle
originarie manifestazioni criminali poste in essere dai suoi membri. Il primo
riconoscimento giurisprudenziale del fenomeno mafioso va infatti ricondotto alle
dichiarazioni rese da Buscetta in relazione alla “Strage di Natale” (anche detta
“Strage del Rapido 904”) del 1984, indicato dalla Commissione Parlamentare sul
Terrorismo come il punto di collegamento tra gli anni di piombo e l‟epoca della
guerra di Mafia nei primi anni novanta. Prima di allora la giurisprudenza non
sembra aver avuto conoscenza diretta del fenomeno probabilmente a causa del
suo operare mediante forme politico-eversive che, celando l‟effettiva natura del
reato e la determinante motivazione che spingeva i soggetti attivi ad agire, hanno
finito col generare una Mafia mescolata alla realtà terroristica.
A seguito di lunghi dibattiti è prevalsa la tesi secondo la quale, malgrado
l‟attuale presenza di norme nelle quali la nozione di criminalità di tipo mafioso si
sovrappone a quella di criminalità organizzata, quest‟ultima configura
9
Contra D’AMBROSIO il quale invece ritiene che i due settori criminosi costituiscano parte di un
medesimo sistema nonostante le inevitabili divergenze ideologiche derivanti dalla diversità del
contesto socio-culturale nel quale operano, La Pratica della polizia giudiziaria, Cedam 2007;
Criminalità organizzata e “doppio binario”
11
comunque una categoria generale più ampia di quella speciale solitamente
denominata “criminalità organizzata di stampo mafioso”.
Con l‟espandersi del fenomeno delittuoso in esame, anche la comunità
internazionale, che precedentemente aveva espresso perplessità circa le
previsioni sanzionatorie previste dal nostro ordinamento giuridico per la
repressione dei reati commessi da aggregazioni criminali, giunge alla
consapevolezza della necessità di una cooperazione investigativa e giudiziaria tra
diversi Paesi. E‟ con particolare riferimento all‟attività di riciclaggio,
occultazione e reimpiego dei proventi illeciti che emerge la necessità di estendere
in ambito internazionale strumenti di assistenza giudiziaria che, dopo
l‟accertamento delle prime trasformazioni e dell‟avvenuto trasferimento
all‟estero del prodotto, vengono a coniugarsi con una corrispondente attività di
indagine patrimoniale, mirata e concatenata, svolta dalle autorità del Paese nel
quale i proventi sono stati trasferiti subendo ulteriori trasformazioni. Gravi e
delicati problemi di giurisdizione e di armonizzazione sono posti, altresì, dalla
attuale possibilità di effettuare in tempo reale scambi commerciali con pagamenti
elettronici da un paese all‟altro in via telematica, cosi da rendere impossibile il
frazionamento delle transazioni nel binomio azione-evento, poiché il secondo
tende a coincidere sempre più spesso con la prima dando luogo ad una
transazione che, seppur realizzata ad immensa distanza, si manifesta nel
momento stesso in cui avviene l‟effrazione al sistema. Né può trascurarsi il
rilievo secondo cui le grandi organizzazioni criminali tendono ad infiltrarsi
proprio negli anelli deboli della catena internazionale predisposta per reprimere
forme di reati economico-finanziari, al fine di investire e far transitare i capitali
di origine illecita proprio in quei paesi che presentano legislazioni di contrasto
lacunose. E‟ evidente, dunque, l‟importanza di un rapido, efficace e costante
scambio di informazioni rilevanti tra le autorità di polizia e quelle giudiziarie
degli Stati interessati da indagini o procedimenti relativi all‟accertamento di
delitti transnazionali. La spinta per la progressiva attrazione della materia penale
fra i temi oggetto di cooperazione internazionale multilaterale non è, tuttavia,
priva di ostacoli e contraddizioni: rispetto al topos della globalizzazione come
tendenza generale della realtà moderna, il coinvolgimento dello specifico settore
del diritto penale ha certamente risentito del radicato convincimento in base al
Criminalità organizzata e “doppio binario”
12
quale il rapporto sistema penale-ordinamento giuridico nazionale costituisca un
binomio esclusivo e necessario, in conseguenza dell‟inevitabile nesso esistente fra
diritto penale e valori diffusi nella cultura di un popolo. Il superamento di tale
binomio esporrebbe, quindi, il singolo a rischi di prevaricazione dei suoi diritti
primari da parte di poteri pubblici lontani dai cittadini, incontrollabili
democraticamente ed insensibili a quella cultura delle garanzie sorta e
lungamente affinatasi nei sistemi penali nazionali.10 L‟alternativa fra una politica
criminale sovranazionale ed una tutela dei diritti affidata al sistema penale
nazionale risulta tuttavia inesigibile laddove si consideri l‟inadeguatezza degli
strumenti locali a contrastare il fenomeno associativo delle organizzazioni
criminali attuali, che tendono, in misura sempre maggiore, a mettere in comune
rispettivi campi di azione e forme di manifestazione. Un fenomeno di tale
portata non può, dunque, essere identificato quale causa della cooperazione
giudiziaria e dell‟armonizzazione normativa, bensì sarà da qualificare come
prodotto di una società mutevole che ha assunto ormai caratteristiche tali da
imporre un coordinamento degli strumenti di contrasto impiegati nei singoli
Stati e che funge da “banco di prova”11 non solo per misurare funzione, limiti e
scelte incriminatrici del sistema penale, ma anche per evidenziarne i bisogni di
integrazione sovranazionale del sistema.
L‟esistenza di una criminalità organizzata internazionale diffusa in ogni
Stato, la tendenza di gran parte dei gruppi criminali a commettere reati
transnazionali e le sempre più diffuse ed allarmanti attività terroristiche hanno
portato all‟emissione di Convenzioni, Protocolli e Decisioni- quadro che
riconoscono esplicitamente l‟esistenza di gruppi criminali strutturati per il
10
Ad esempio, soltanto poco più di dieci anni fa, nell’assise biennale dei penalisti tedeschi WEIGEND
rappresentava l’internazionalizzazione del diritto penale come una minaccia per la conservazione
delle identità possedute dalle singole culture penalistiche nazionali. Numerose le riserve espresse con
specifico riferimento al processo di europeizzazione del diritto penale.
11
Tale espressione viene utilizzata da MILITELLO, in Attività di contrasto alla criminalità organizzata,
Giuffrè 2005 per indicare come il contrasto al crimine organizzato sia stato il primo settore
all’interno del quale è stata misurata l’effettiva necessità di aprire i sistemi penali nazionali alla
dimensione giuridica globale, mediante il coordinamento e l’integrazione delle attività avvenute nei
diversi livelli operativi.
Criminalità organizzata e “doppio binario”
13
conseguimento di vantaggi materiali o per finalità terroristiche e in grado di
compiere delitti che creano grave allarme sociale, destabilizzando le strutture
politiche ed economiche di un Paese o di una organizzazione internazionale. La
Convenzione di Palermo, rappresenta, secondo quanto espressamente dichiarato
da Ciampi in sede di apertura della Conferenza internazionale di Palermo nel
dicembre del 2000, il primo strumento giuridico mondiale contro il crimine
transnazionale e alcune delle sue più gravi manifestazioni. Tale documento,
ormai entrato in vigore a partire dal 29 settembre 2003, per i primi quaranta
Paesi che l‟hanno ratificato e recepito, segna un vero e proprio cambio di
velocità nell‟azione globale contro il fenomeno in questione. Il fine fondamentale
dell‟atto è quello di incrementare l‟efficacia della cooperazione internazionale
predisponendo misure idonee ad elevare la capacità preventiva degli operatori di
polizia giudiziaria nei confronti delle organizzazioni criminali transnazionali.
In particolare, il testo si preoccupa di fornire definizioni comuni di
riferimento in un terreno da sempre afflitto da un deficit di determinatezza,
avendo preliminarmente cura di specificare il carattere di transnazionalità12 che
deve riguardare il reato (art. 3, comma 2), nonché individuando una nozione di
criminalità organizzata utile ai fini della definizione dell‟ambito applicativo di
suddetta normativa. La Convenzione di Palermo definisce il “gruppo
organizzato” accostando elementi di matrice naturalistica, quali la
partecipazione di almeno tre persone all‟integrazione della fattispecie criminosa
e l‟esistenza di un‟attività prolungata nel tempo e concordata fra i soggetti del
gruppo, ad elementi di natura normativa, quali la presenza di un “gruppo
strutturato” e la commissione di un “reato grave”. Nonostante il testo definisca
ulteriormente i contenuti di questi concetti, tale ultima nozione pone problemi
applicativi notevolmente rilevanti e assolutamente intrascurabili: si richiede che
12
L’art 3, comma 2 dispone che ai fini dell’applicazione della Convenzione “un reato è di natura
transnazionale se: a) è commesso in più di uno Stato; b) è commesso in uno Stato, ma una parte
sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avviene in un altro Stato; c) è
commesso in uno Stato , ma in esso è implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in
attività criminali in più di uno Stato; d) è commesso in uno Stato ma ha effetti sostanziali in un altro
Stato”.
Criminalità organizzata e “doppio binario”
14
il reato, ai fini dell‟ individuazione della sua gravità, sia punito con una pena
detentiva massima non inferiore a quattro anni. In questo modo la norma finisce
per comprendere gruppi di soggetti che compiono attività criminali molto
differenziate a seconda del paese in cui operano. Ad esempio, il reato di
estorsione, tipica manifestazione della criminalità organizzata, viene punito in
Germania con una pena detentiva massima che è pari al minimo di quella
prevista in Italia (cinque anni), dove può arrivare nel massimo al doppio della
prima (dieci anni: art. 629 c.p. italiano); in Francia il Code Pénal prevede un
massimo di sette anni di reclusione per la commissione del medesimo reato; in
Portogallo, nei casi non aggravati, la pena detentiva massima non supera i tre
anni, mentre in Spagna va da un minimo di un anno ad un massimo di cinque.
Ovviamente le discrasie aumentano a dismisura non appena si estende il
confronto ad aree giuridiche più lontane: in Bolivia, per esempio, l‟estorsione è
considerata un delitto poco grave ed, in quanto tale, è punita dall‟ordinamento
con la reclusione da uno a tre anni, pur essendo un sistema penale che prevede la
pena di morte. Quanto appena detto sembra essere sufficiente a dimostrare che il
riferimento della Convenzione di Palermo ad una pena detentiva di quattro anni
per il “reato grave”, lascia fuori situazioni come quelle richiamate per
l‟estorsione in Belgio ed in Bolivia. Di fronte ad un tale quadro sanzionatorio,
ancora fortemente frammentario a livello mondiale, sarebbe stato forse
preferibile affidare ai singoli Stati, in sede di ratifica, la specificazione della
nozione di reato grave, limitandosi ad indicare in sede sovranazionale una lista
di singoli reati necessariamente da considerare come tali.
Torna, in altri termini, sempre attuale il problema del rapporto fra diritto
penale nazionale e necessità di integrazione e cooperazione internazionale data
dalla transnazionalità dei reati associativi. Il riconoscimento della
globalizzazione come esigenza ineludibile, tuttavia, induce a ritenere che,
nonostante siano numerose le relazioni calibrate sul sistema locale, sia
fondamentale proiettare e collocare tali problematiche in una dimensione
sovranazionale. In questa prospettiva si è efficacemente evidenziato come ogni
forma di manifestazione di criminalità organizzata si caratterizzi sempre più per
la pluralità dei settori di incidenza e tenda ad agire non semplicemente dentro gli
Stati, ma spesso anche contro gli Stati, attaccandone gravemente l‟esercizio della
Criminalità organizzata e “doppio binario”
15
sovranità. Ne è scaturita una forma di “federazione della sovranità” tale da
imporre l‟avvio di un inarrestabile processo evolutivo irreversibile in grado di
trasformare la cooperazione tra Stati in cooperazione tra giurisdizioni. Proprio il
contrasto alla criminalità organizzata, quindi, svela la fallacia teoria
dell‟equazione fra l‟esigenza di collocare entro un corretto quadro di garanzie le
risposte ad ogni livello ordinamentale e gli atteggiamenti di nazionalismo
penalistico, avendo cura di ritenere che il processo di internazionalizzazione del
diritto non possa essere tenuto isolato dai fenomeni che esso stesso regola.
2. Analisi sociologica.
Vari studi socio criminologici hanno ampiamente illustrato come il
comportamento del singolo, in un determinato contesto deviante, subisca
specifiche sollecitazioni per cui, quanto più i fattori criminogenetici ed
ambientali favoriscono la commissione di atti ostili, tanto meno risulteranno
significative le componenti legate alla personalità individuale. La storia insegna
che il territorio funge da base consolidata per i mafiosi: la stessa suddivisione
urbanistica di Palermo, delimitata da quattro macro aree metropolitane, ha in
qualche modo facilitato il compito della spartizione delle zone di egemonia delle
famiglie dominanti. Il filo conduttore di ogni tipo di devianza è il quartiere: il
gruppo criminale occupa gli spazi vuoti dei giovani. Coloro che non hanno un
lavoro, non frequentano la scuola, non hanno un legame con la famiglia
naturale, trovano identità e senso di appartenenza nell‟aggregazione mafiosa.
Non deve stupire dunque se, nell‟esame del fenomeno criminale in questione,
venga utilizzato un canone metodologico consistente nell‟ analisi della
dimensione umana degli appartenenti al gruppo in correlazione con il territorio
in cui operano e con la struttura a cui si affiliano. Il rapporto dualistico singolo-
organizzazione si sostanzia in un complesso quadro destinato ad orientare i
comportamenti dei soggetti che ne fanno parte, pur in mancanza di effettive
norme interne scritte. Il concreto funzionamento del sistema è riconducibile al
metodo violento ed intimidatorio utilizzato dall‟associazione: la capacità del
reggente di censurare comportamenti dissenzienti, ottenendo l‟autorevolezza
Criminalità organizzata e “doppio binario”
16
necessaria per guadagnarsi il rispetto degli affiliati, funge da formula di
obbedienza e collante tra gli appartenenti al gruppo. In questa realtà
delinquenziale un aspetto peculiare è rappresentato dall‟ambiente familiare e
culturale dove ha inizio il percorso criminale dei futuri “uomini d‟onore”: la
disoccupazione, il precocissimo abbandono scolastico, la povertà e le situazioni
di degrado in cui questi giovani soggetti versano determina la commissione dei
primi reati, spesso riconducibili a delitti contro il patrimonio. L‟impiego dei
minori ovviamente si modifica con il trascorrere del tempo. Come emerge da
quanto sostenuto da Barbara Strappato, Commissario Capo della Polizia di Sato
in Bari, in L’impiego dei minori nella criminalità organizzata, si assiste ad una
escalation nella integrazione di fattispecie criminali che passa dalla commissione
di furti di lieve entità, posti in essere da soggetti aventi non più di dieci anni, allo
spaccio di sostanze stupefacenti intorno ai quattordici, per arrivare alla vera e
propria partecipazione all‟associazione mafiosa intorno ai vent‟anni, assumendo
in taluni casi addirittura funzioni di rilevante responsabilità all‟interno
dell‟organizzazione. E‟ ovvio che non è assolutamente probatio diabolica
dimostrare la riconducibilità di questi reati all‟aggregazione criminale: minori di
quattordici o sedici anni non potrebbero assolutamente procurarsi il materiale
necessario alla commissione del reato, ne organizzare l‟attività illecita senza
l‟appoggio e l‟indirizzo dell‟organizzazione, sia per gli elevati costi economici
da supportare, sia per la gestione stessa dell‟attività, soprattutto alla luce degli
scopi a cui essa sembra essere legata. Il tutto risulta sicuramente aggravato dalla
circostanza per cui l‟apprendimento di questi comportamenti criminali avviene
presso il contesto sociale di appartenenza, così rafforzando nelle “giovani leve”13
l‟errato convincimento che tali condotte siano socialmente ammissibili e per
nulla lesive del quadro economico ed istituzionale legalmente prestabilito.
La realtà operativa all‟interno della quale il fenomeno, cosi delineato, va
ad operare ricalca l‟immagine di una piramide stratificata dalla base fino al
13
S. SIRAGUSA, Commissario Capo della Polizia di Stato di Enna, in Sulla Mafia ed i suoi uomini: breve
analisi socio criminologica,in Rivista di Polizia. Rassegna di dottrina e tecnica di legislazione, 2007 con
riferimento ai giovanissimi soggetti impiegati dalla criminalità organizzata nella commissione di reati
di stampo mafioso.
Criminalità organizzata e “doppio binario”
17
vertice. Le varie articolazioni in cui questa si diparte delineano quello che oggi
potremmo definire antistato: un complesso di strutture organizzative,
contrapposte a quelle istituzionali, che opera laddove si lamenta il
malfunzionamento del sistema statale ed ingerisce in questo intaccando la
sicurezza pubblica e mettendo seriamente a rischio il regolare andamento della
vita civile. La strategia descritta, quindi, orienta il comportamento dei singoli
costruendo gerarchie interne sulle quali si innestano le spinte motivazionali
necessarie per la commissione degli atti delinquenziali.
Alla luce di quanto esposto, nonostante la lotta alla criminalità organizzata
risulti estremamente difficile, sono stati elaborati numerosi strumenti di
contrasto del fenomeno volti ad arginare il dilagare dell‟associazionismo
delinquenziale in tutte le sue varie forme. Particolarmente rilevante è il tipo di
analisi proposto da Roberto Cirese, in L’analisi criminale strategica. Mezzo
fondamentale per la lotta preventiva al dilagare della criminalità organizzata., il quale
mette in luce un metodo innovativo espressamente diretto all‟individuazione
degli obiettivi e degli strumenti della criminalità organizzata, tentando di
conoscerli e contrastarli prima che possano creare danni o pericoli alla società.
Tale attività si esplica, prima facie, con l‟indicazione della eventuale presenza di
interessi mafiosi nazionali o stranieri in una determinata area geografica del
territorio, e la successiva definizione di possibili evoluzioni dell‟assetto
organizzativo già noto ed operante nell‟area considerata. Per fare questo è
fondamentale il ricorso a tutte le fonti disponibili nella realtà regionale e
indicative di particolari aspetti riguardanti l‟ambiente socio- economico e
criminale. Questi dati vengono messi a confronto con quelli emergenti dall‟
analisi della “criminalità evidente”, cioè quella concretamente manifestatasi sul
territorio nei cinque anni antecedenti alla data di rilevazione, per leggere e
verificare potenziali variazioni dell‟orientamento criminale. Particolare
attenzione va, inoltre, posta alle informazioni relative alla “criminalità reale”,
quella riferita alla sommatoria delle attività criminali non ancora individuate ,
ancorché consumate sul territorio e che si desumono da ulteriori elementi sociali.
Si tratta di reati spesso individuabili attraverso la constatazione della presenza di
soggetti o associazioni in qualche modo collegati all‟organizzazione mafiosa,
oppure a flussi migratori provenienti da altri Paesi e tali da determinare nel