1.1 Uno sguardo d’insieme:
le migrazioni internazionali nella crisi economica mondiale.
1
l Dossier Statistico 2009 sull’immigrazione, curato da Caritas e Migrantes, ristabilisce e
Irinforza l’immagine di sistemi migratori profondamente legati alle forze macro-strutturali
delle economie internazionali.
A determinare questa immagine è stata la crisi economica che ha investito i mercati globali.
Per molti anni infatti, le ricerche sui flussi migratori hanno cercato di contribuire all’analisi
del fenomeno, proponendo una prospettiva causale multidimensionale, che considerasse, ol-
tre ai menzionati fattori strutturali, anche i fattori microsociali. Si sono affermate così teorie
fondate sulle logiche della scelta personale e delle strategie familiari che hanno ridotto la
rilevanza delle cause strutturali, legate principalmente alle disuguaglianze tra le diverse aree
del mondo, aprendo nuovi orizzonti investigativi. Orizzonti che non si sono limitati ad una
visione dicotomica del fenomeno, ma hanno investito nuove aree che propongono un diverso
approccio analitico. Stiamo parlando delle teorie dei network che trovano un terreno fertile nel
2
livello meso (intermedio) che intercorre tra fattori strutturali e fattori individuali.
La crisi scaturita nel 2006 dalla bolla immobiliare statunitense e dai successivi profili di in-
solvenza dei mutui subprime hanno in qualche modo riportato l’attenzione sulle dinamiche
macroeconomiche che determinano certi processi migratori nelle comunità mondiali.
Come sottolinea il Dossier Statistico, la crisi, nella complessità delle sue cause e delle sue
conseguenze, non ha avuto origine solo dal susseguirsi di fallimenti finanziari che hanno ca-
ratterizzato i mercati dalla seconda metà del 2008, ma è stata ampiamente anticipata da un
3
preoccupante calo della produttività lavorativa nei paesi in via di sviluppo. La contrazione
dei consumi nei paesi ricchi ha poi contribuito a trasmettere la recessione anche ai paesi po-
veri, come conseguenza del crollo improvviso dei commerci internazionali.
Tra i paesi a sviluppo avanzato (PSA) c’è stata una perdita di posti di lavoro pari a 50 mi-
4
lioni di unità, molti dei quali erano occupati da lavoratori immigrati. Questi ultimi, oltre a
rappresentare per eccellenza i lavoratori precari, rischiano di diventare le fasce sociali più
colpite, perché inseriti in settori lavorativi maggiormente danneggiati dalla crisi economica.
1 Dossier Statistico 2009, Immigrazione XIX Rapporto, Caritas/Migrantes, Idos Edizioni
2 Ambrosini M., Sociologia delle migrazioni, l Mulino, Bologna, 2005
3 Http://www.oecd.org
4 Fonte ILO (Organizzazione Internazionale per il Lavoro): http://laborsta.ilo.org/
13
5
Nel rapporto OECD sull’immigrazione, si sottolinea come i paesi in cui la crisi ha colpito
prima mostrano un significativo incremento dei tassi di disoccupazione e una certa diminu-
zione del tasso di occupazione degli immigrati, sia in termini assoluti che relativi, rispetto alla
popolazione nativa.
Lo stesso vale per le decisioni politiche. La crisi economica ha incoraggiato manovre prote-
zionistiche volte a rafforzare l’inasprimento delle quote sui visti d’ingresso, che hanno in par-
te contribuito alla diminuzione delle migrazioni internazionali rispetto agli anni precedenti:
6
i dati ci dicono che la crescita complessiva dei flussi è passata dal 2,2% al 1,7%.
Questa particolare dimensione ha contribuito ad un aggravio economico sulle entrate dei
paesi in via di sviluppo (PVS), in quanto il numero di rimesse inviate al paese di origine è
7
diminuito proporzionalmente.
La graduatoria stilata nel 2008 dal centro studi dell’Economist (EIU), sulla base di indicatori
quantitativi e qualitativi relativi a 61 paesi, ha evidenziato come il polo anglosassone risulti
8
la meta con il maggior grado di attrattività e accessibilità ai flussi migratori, nonostante la
grave crisi economica che ha caratterizzato l’intera area. Tra i paesi più accessibili troviamo
Australia e Canada, mentre tra i più desiderati ci sono Stati Uniti e Regno Unito.
Per quanto ci riguarda, il dato più interessante sembra essere quello concernente l’indice di
bisogno degli immigrati all’interno delle economie nazionali. Questo indicatore viene calco-
lato sia sulla base dell’impatto potenziale che potrebbe avere un aumento della popolazione
in età pensionabile, sia sulla possibilità che un paese ha di mantenere alto il livello di be-
9
nessere sociale. L’Italia, in questa particolare graduatoria, si posiziona seconda, ribadendo
10
ancora una volta un’evidente incompatibilità tra opinione pubblica e dati statistici.
L’Italia controlla il fenomeno evidenziato dall’indice di necessità con politiche restrittive, mi-
rando ad una selezione predeterminata basata sulle quote di ingresso e il ricorso a sanatorie e
regolarizzazioni. Il flusso dei lavoratori non stagionali è stato sostenuto con quote di 520.000
11
persone nel 2006, 170.000 nel 2007 e 150.000 nel 2008, mentre nel 2009 non sono state
5 International Migration Outlook: www.oecd.org/dataoecd/57/29/43177006.pdf (Sopemi 2009)
6 http://www.unece.org/stats/documents/2008.03.migration.htm
7 Dossier Statistico 2009, Immigrazione XIX Rapporto, Caritas/Migrantes, Idos Edizioni, pp.299
8 Global Migration Barometer 2008. Economist Intelligence Unit. http://www.eiu.com/
9 È evidente, come un tale indicatore, sia pensato sulla base di una soggettiva visione di benessere sociale e
non possa quindi essere preso a misura per comprendere la situazione reale sui singoli territori.
10 In questo caso ci riferiamo principalmente al complicato rapporto tra opinione pubblica e dati reali nei
riguardi dell’immigrazione. In parte si potrebbe riferire all’immaginario mass-mediatico costruito dai princi-
pali canali comunicativi. Se per la ricerca effettuata da Transcrime (Centro inter-universitario di ricerca sulla
criminalità trasnazionale dell’università di Trento e della Cattolica di Milano) 6 italiani su 10 pensano che
la presenza degli immigrati in Italia determini un aumento della criminalità, per la ricerca del 2008 della
Banca d’Italia basata sulle statistiche del ministero dell’Interno dal 1990 al 2003: “Nel periodo preso in esa-
me, a fronte di una rapida crescita della presenza straniera, non si è registrato nell’intero Paese un aumento
sistematico del tasso di criminalità, che invece mostrerebbe una lieve flessione.” (http://www.bancaditalia.it/
pubblicazioni/econo/temidi/td08/TD698_08/TD_698_08/abs_698.html)
11 Ministero degli Interni. http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/decreto_flussi_stagiona-
li_2010/index.html
1415
fissate quote, ma è stata disposta una nuova “campagna di emersione” (come è stata chiama-
12
ta dal governo), dal successo molto discusso. Si tratta comunque di una sanatoria in piena
regola, la seconda varata dopo quella del 2002-2003, che produsse all’incirca 630mila nuovi
residenti. Anche in quel caso faceva seguito all’inasprimento delle norme sull’immigrazione,
13
con la legge Bossi-Fini, tutt’ora in vigore.
Nel 2010 le quote per i lavoratori stagionali sono state circa 80.000 (come l’anno precedente),
mentre per i non stagionali sono state disposte 4.000 quote per gli autonomi, 1.500 per mo-
tivi di studio o formazione professionale e 1.000 per cittadini libici, in relazione all’accordo
14
sottoscritto il 30 agosto 2008 con la Libia .
Possiamo quindi dire che negli ultimi venti anni, sembrano acquisire dinamicità i procedi-
menti di regolarizzazione (l’attuale sarebbe la sesta), che da una parte incentivano l’ingresso
irregolare dei clandestini (convinti di poter poi “riemergere”) e dall’altra hanno un effetto di-
sorientativo, costringendo i migranti a scontrarsi col quotidiano appello mediatico (e politico)
sulla sicurezza, volto a creare consenso sulla chiusura delle frontiere.
D’altro canto dobbiamo constatare che la sanatoria del 2009 appariva difficilmente evitabile,
in quanto i numeri delle persone non in regola aveva raggiunto numeri estremamente eleva-
ti; problema questo, che non ricadeva solo sui migranti, ma anche sui cittadini italiani che,
dandogli lavoro, potevano essere accusati di favoreggiamento all’immigrazione clandestina.
Il ricorso alle regolarizzazioni, se pur discutibile, ci induce a pensare che persino in presenza
di una crisi economica internazionale, ormai pienamente sviluppata, l’Italia è costretta a
fare i conti con la necessità cronica di manodopera straniera, che proviene generalmente dai
paesi di nuova adesione all’UE. Come ha evidenziato l’Eures:
“senza la manodopera straniera ci sarebbero (...) forti effetti negativi sulla produzione di ricchezza e
sulla crescita economica; è importante ricordare a tale proposito che il numero degli stranieri occupati è
15
ampiamente superiore a quello degli italiani in cerca di occupazione”.
16
Secondo i dati Eurostat del primo gennaio 2009, in Italia ci sarebbero circa 3.900.000 cit-
tadini stranieri, dei quali il 54% appartengono al Vecchio Continente. In particolare, tra i
comunitari ben 85,5% (967.170) sono originari di uno dei 12 paesi di nuova adesione all’UE
(un quarto di tutti i residenti stranieri in Italia) mentre il rimanente 14% proviene dal resto
della vecchia Unione a 15. Mantenendo, la denominazione convenzionale di “lavoratori
stranieri” per indicare genericamente tutti quelli nati all’estero, l’Inail attesta che a gennaio
12 Pasquinelli S., Perché la sanatoria ha fatto flop, 2009, La voce, http://www.lavoce.info/articoli/pagi-
na1001325.html
13 Ambrosini M., L’ennesima ultima sanatoria, 2009, http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001254.html
14 Ministero degli Interni. http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/decreto_flussi_stagiona-
li_2010/index.html
15 Eures, Ricerche Economiche e Sociali, Lavoro, diritti e integrazione degli immigrati in Italia, Ottobre
2008, pp. 5
16 Eurostat: http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/population/publications/demography_
sub
1415
17
2009 ne sono stati assicurati 3 milioni (fonte Denuncia Nominativa Assicurati), aumentan-
do del 34% rispetto al 2005.
18
Nel 2008 il rapporto percentuale tra occupati netti e occupati equivalenti per i cittadini
stranieri è stato dell’84% circa. Un dato di poco superiore a quello dell’anno precedente
(82%), ma che possiamo considerare molto importante: in un contesto di rallentamento ge-
neralizzato del quadro macro-economico resta molto elevata la capacità di inserimento nel
mercato del lavoro dei migranti e la percentuale di stranieri impiegati per un intero anno la-
vorativo risulta addirittura aumentata. Questo dimostra in parte il ruolo giocato dalla crisi e
contemporaneamente evidenzia come la ragione fondamentale della presenza in Italia degli
immigrati resti quella occupazionale: la flessione dei flussi dimostra una importante relazione
tra crisi economica e migrazioni internazionali, ma la persistenza dei canali di mobilità e il
loro radicamento lavorativo testimoniano come, all’interno di un fenomeno così comples-
so, risiedano cause sovrastrutturali, non necessariamente accessorie, che contribuiscono a
determinare i flussi migratori, insieme ai mutamenti macroscopici del sistema politico ed
economico.
Per cercare di determinare con precisione queste cause sovrastrutturali, cercheremo di pro-
cedere cronologicamente sulla storia delle migrazioni dalla Romania, mantenendo costan-
temente attivo un doppio filo analitico: da una parte cercheremo di sintetizzare e localizzare
le varie fasi storiche dei flussi migratori nazionali e internazionali, dall’altra tenteremo di
associare a queste fasi le teorie di riferimento, convinti che questo spazio di osservazione
incrociata possa suggerirci spunti interessanti e analisi attendibili. Siamo infatti convinti che
per ottenere un’analisi completa ed una solida base concettuale di riferimento, sia opportuno
utilizzare un impianto teorico estremamente orizzontale, che possa abbracciare sia le grandi
cause strutturali (operanti a livello mondiale e legate ai fattori di spinta e di attrazione), sia le
cause micro-sociali (legate alle scelte individuali e alle strategie familiari). Ad un così ampio
ventaglio di opzioni corrisponderà un altrettanto adeguato ventaglio di sistemi migratori
che emergeranno dall’analisi storica dei flussi. Inoltre è opportuno precisare che all’interno
dell’analisi storica abbiamo deciso di inquadrare anche il fenomeno della mobilità interna al
paese, in quanto in essa si possono rintracciare le fondamenta di una tradizione della mobi-
lità utile a comprendere le migrazioni contemporanee.
17 Dati Inail. Stranieri: in aumento lavoratori e infortunati. Gennaio 2010. http://www.inail.it/Portale/app-
manager/portale/desktop?_nfpb=true&_pageLabel=PAGE_STATISTICHE
18 Si definisce “occupato equivalente” un lavoratore impegnato a tempo pieno per un intero anno lavorativo
(composto in genere da 252 giornate).
1617
1.2 Le migrazioni interne della Romania
dalla fine della seconda guerra agli anni ‘80.
particolarmente difficile stabile con precisione gli intervalli temporali in cui certe pra-
È tiche migratorie si sono realmente sviluppate, ed è altrettanto vero che spesso molti
modelli da noi presentati venivano praticati simultaneamente dalle medesime persone, in un
interscambio di strategie e attori. Per non correre il rischio di creare un immagine aleatoria,
vorremmo sottolineare quello che dovrebbe essere il ruolo del lettore; un ruolo attivo, che
possa comprendere il fenomeno nella sua interezza, al di fuori delle nostre obbligate griglie
di definizione, cercando di valutare le sfumature concettuali che caratterizzano tale comples-
sità. Ma procediamo con ordine.
Subito dopo la firma del trattato di pace di Parigi nel 1947, la popolazione romena si rese
conto che la seconda guerra mondiale aveva di fatto accelerato un processo di avvicinamen-
to e sottomissione nei confronti dell’Unione Sovietica. Il fatto che alla Romania non venne
riconosciuto lo stato di paese “cobelligerante” ebbe gravi conseguenze sul piano economico.
Si trattò di un mancato riconoscimento che diede la possibilità ai Russi di saccheggiare il
paese. I risarcimenti dei danni di guerra, fissati in 300 milioni di dollari (al valore del 1938)
19
furono successivamente aumentati a 7 miliardi. La stessa economia nazionale fu improvvi-
samente bloccata. Sotto la spinta politica dell’Unione Sovietica vennero create delle società
miste dette “Sovrom” in cui i Russi davano solo il nome e prendevano il 50% delle azioni,
senza alcun versamento di capitale. I Sovrom furono l’espressione più evidente di quello che
il conflitto mondiale aveva provocato e rappresentarono uno strumento di feroce spoliazione
20
delle ricchezze del suolo e del sottosuolo. Si trattava di un “colonialismo di nuovo tipo” che
sottraeva risorse sia grezze che lavorate (in particolare prodotti petroliferi), importandole sul
proprio territorio.
Questa particolare condizione economico-politica va contestualizzata alla particolare condi-
zione produttiva del paese. Sul finire della seconda guerra mondiale la Romania si presenta-
va come un paese prevalentemente agricolo. Si stima che quasi i tre quarti della popolazione
fossero impiegati nelle campagne, mentre il rimanente quarto si distribuiva sulle aree urbane
della nazione. La specializzazione produttiva della Romania si concretizzò ulteriormente
19 Dragan G. C., La vera storia dei romeni, Edizioni Nagard, Milano, 1996
20 Cole, J. Family , Farm and Factory: rural workers in contemporary Romania, in Romania in the 1980’s, a
cura di D Nelson, Boulder, Westview Press, pp. 74
1617
21
al momento della creazione del Comecon, in quanto si cercava di creare un piano di pro-
duzione programmato, specializzando ogni nazione al tipo di produzione prediletta. Alla
Romania fu assegnato il compito di rifornire gli stati del blocco Sovietico di prodotti agricoli
per compensare le pesanti spese legate ai processi di industrializzazione delle altre nazioni.
22
Come sostiene Antonello Biagini si è trattato di:
“un progetto, come è facile constatare, che tende a riprodurre e a stabilizzare su piani e ruoli diversi
l’intero sistema dei Paesi satelliti in contrasto anche con i fondamenti teorici e pratici del marxismo-
leninismo, pervasi dall’ideologia dell’industrializzazione”.
Proprio a partire dalla contrarietà della Romania nei confronti dei piani di sviluppo voluti
dall’Unione Sovietica si rintraccia un’importante questione migratoria. L’allontanamento
dal Comecon, dovuto alla totale opposizione nei confronti della specializzazione nella divi-
sione del lavoro internazionale, ha portato la Romania verso uno sviluppo autonomo, dege-
nerato quasi in una forma di autarchia. Successivamente, nella Romania di Ceausescu, que-
sto disallineamento si trasformò nel progetto della “società multilateralmente sviluppata” che
comportava un’industrializzazione sostenuta, una produttività agricola intensiva, l’esporta-
zione di prodotti lavorati, l’autosufficienza di materie prime e l’educazione tecnica di massa.
Grazie a questo processo di accumulazione e ad una gestione centralizzata del potere politi-
co, la Romania conobbe un’incredibile crescita economica che nei tardi anni sessanta e nei
23
primi anni settanta era seconda solo al Giappone. Una tale impennata produttiva del paese
che si concretizzò in un processo di polarizzazione urbana. I grandi investimenti infatti, fu-
rono concentrati nelle aeree già sviluppate dove i costi per l’attivazione delle strutture erano
minori. Contemporaneamente però, molte regioni rimasero confinate ad una produttività
prettamente agricola, provocando forti spostamenti di manodopera all’interno del paese.
Iniziarono migrazioni di carattere definitivo o stagionale, affiancati a fenomeni di mobilità
più peculiari come il “pendolarismo”, che consisteva nello spostamento quotidiano di forza
lavoro dalle aree più depresse a quelle più produttive.
Possiamo dire che questo spaccato storico conferma in pieno quello che la teoria del sistema
24
mondo ha concettualizzato da ormai un ventennio: nel breve periodo le migrazioni nazio-
nali e internazionali non derivano dalla carenza di sviluppo economico, ma dallo sviluppo
stesso.
Tutte queste tipologie di movimenti sono stati descritti dalla letteratura sulle migrazioni in
Romania come la prima fase di una migrazione interna che però non era destinata ad esau-
21 Il Consiglio per la Mutua Assistenza Economica (COMECON, 1949-1991) fu un’organizzazione econo-
mica degli stati comunisti, come risposta alla costituzione dell’OECE (Organizzazione Europea per la coope-
razione economica) sorta per attuare il piano Marshall.
22 Biagini, A. Storia della Romania contemporanea, Bompiani, 2004, pp- 116-117.
23 Cingolani P ., Romeni d’Italia. Migrazioni, vita quotidiana e legami transnazionali. Il Mulino, Bologna,
2009, pp. 34
24 Sassen S., The mobility of labor and capital: a study in international investment and labor flow, Cambrid-
ge, Cambridge University Press, 1988
1819
25
rirsi con la fine del governo Ceausescu. Bisogna però ricordare che le dimensioni della mo-
bilità interna al paese ha contemporaneamente dato vita ad una classe sociale di contadini
inurbati che, come scrive Cingolani:
“...avevano un tasso di educazione basso, mancavano di formazione, avevano una bassa consapevolez-
za di classe ed in generale erano discriminati dai datori di lavoro rispetto ai colleghi di origine urbana.
Costoro erano più preparati, possedevano una rete di conoscenze nell’ambiente di lavoro e godevano dei
26
benefici della residenza urbana (welfare, alloggio, riscaldamento centralizzato)”.
Inoltre per effetto delle migrazioni permanenti dei giovani nelle aree industriali si verifi-
carono due fenomeni correlati: l’invecchiamento e la femminilizzazione della popolazione
agricola.
Così negli anni ottanta, mentre i giovani si insediavano nelle sfere occupazionali urbane più
instabili e peggiormente retribuite, nelle campagne si trasformava la forza lavoro e la strut-
tura sociale.
La cosa particolarmente interessante sta nel fatto che questi cambiamenti relativi alla strut-
tura sociale del paese iniziarono proprio dalle singole unità familiari. Il dislocamento della
forza lavoro familiare su un territorio esteso e la differenziazione di genere dovuta al cambia-
mento repentino delle aree produttive, provocò lo sgretolamento del criterio di coresidenza
inteso come definizione del gruppo domestico e introdusse quello che la letteratura specializ-
zata chiama “famiglia mista diffusa”, ovvero una singola unità socio-economica i cui membri
risiedevano in località diverse. Come vedremo successivamente, questa strategia familiare
legata alla nuova economia delle migrazioni del lavoro, serve appunto per contrastare le
impressionanti trasformazioni delle prime fasi dello sviluppo economico (disoccupazione e
sottoccupazione) e cerca di utilizzare le migrazioni dei propri membri come strumenti di ge-
stione dei principali fallimenti del mercato. Così, attraverso la diversificazione geografica dei
familiari, diminuiscono i rischi legati al mantenimento del proprio benessere e si garantisce
una protezione adeguata al nucleo familiare.
25 Su questo punto si veda Diminescu (2003), e Sandu (2006)
26 Cingolani P ., Romeni d’Italia. Migrazioni, vita quotidiana e legami transnazionali. Il Mulino, Bologna,
2009, pp. 37
1819
1.3 L’inversione di tendenza
delle migrazioni interne e la prassi transfrontaliera.
ra il 22 e il 25 dicembre del 1989, dopo 24 anni dalla sua ascesa al potere, venne
Tucciso il capo dello stato comunista nazionale Nicolae Ceausescu nella caserma di
27
Târgoviete. Il 20 maggio del 1990 vennero svolte regolari elezioni democratiche e il Fronte
di Salvezza Nazionale raggiunse una buona maggioranza eleggendo Ion Iliescu presidente
della nuova Repubblica. La situazione economica e sociale del paese fu gravemente colpita
a causa del clima politico che si respirava in quegli anni. La transizione dal totalitarismo co-
munista alla democrazia di tipo occidentale e dall’economia pianificata a quella di mercato,
presentò una serie di drammatiche situazioni.
La pesante eredità dell’era Ceausescu ricadde interamente sulle spalle della nuova dirigenza
che dovette affrontare una sfida che molti economisti ritenevano impossibile: riuscire a di-
rottare la vecchia economia statalizzata in una vera economia di mercato in totale assenza
di capitali interni.
Il debito estero di 14 miliardi di dollari che il Governo precedente ridusse a zero, incominciò
a riformarsi e ad aumentare esponenzialmente nel corso degli anni. La scomparsa di un mer-
cato interno e delle esportazioni internazionali con i partners del blocco sovietico, condusse i
maggiori centri di produzione industriale verso un lento e progressivo declino. Ciò comportò
una drastica diminuzione del livello occupazionale nell’industria, facendo segnare un -17%
28
tra il 1990 e il 2000. Gli intervalli di disoccupazione della popolazione aumentarono e con-
temporaneamente lo Stato ritirava la propria partecipazione nelle varie forme di assistenza
sociale. Per riuscire a contenere un tasso di inflazione del 70%, nel 1993 lo Stato adotta una
politica di privatizzazione delle strutture produttive che fino a quel momento erano tutte
29
centralizzate. Le scelte politiche fatte fino al 1989 subirono un netto e repentino cambio di
rotta. Quelle relative al mercato del lavoro furono ancor più severe in quanto si cercava di
reagire alle grandi variazioni strutturali sopra menzionate, importando dai modelli europei
quella che fino a poco tempo prima non poteva neanche essere nominata: una manovra di
flessibilizzazione. I massicci licenziamenti legati a doppio filo con le ristrutturazioni azien-
27 Dragan G. C., La vera storia dei romeni, Edizioni Nagard, Milano, 1996
28 Stanculescu, M. e Berevoescu, I., Literature review, Romania, in Households, Work and flexibility reserch
report 1, a cura di Wallace C., Vienna, Istitute for Advanced Studies, pp. 187-225.
29 Biagini, A. Storia della Romania contemporanea, Bompiani, 2004, pp 151
2021
dali, gli “aggiustamenti” degli orari di lavoro, le esternalizzazioni e le variazioni salariali
mensili, furono solo alcune delle trasformazioni che determinarono l’incredibile spostamento
occupazionale e territoriale della forza lavoro.
E’ in questo periodo che si verifica la seconda ondata di migrazioni interne che registra però
una inversione di tendenza; questa volta i flussi di persone si dirigono nuovamente verso
le campagne, abbandonando quel contesto urbano che pochi anni prima aveva garantito
un’occupazione stabile. La forza attrattiva dei centri urbani si estingue in quanto la popola-
zione di origine agricola viene sistematicamente discriminata attraverso il licenziamento. In
più dobbiamo aggiungere che la sospensione dell’edilizia sociale, la riduzione dei trasporti
30
pubblici e dei collegamenti giornalieri tra paesi e città rappresentano le cause addizionali
che provocarono un netto arresto del pendolarismo (o navettismo), stabilendo la fine di un
sistema migratorio nazionale e aprendo la strada ad una forma migratoria legata ad un
31
nuovo modello commerciale. Molti cittadini romeni denominati “falsi turisti”, effettuavano
degli spostamenti transfrontalieri approfittando del visto turistico per vendere merce romena
e acquistare beni da portare sul mercato interno.
32
Il modello dei “commercianti della valigia” è stato riprodotto dalla popolazione romena sul
modello precedentemente esistente (già ai tempi del blocco comunista) del popolo polacco,
specializzato nel settore grazie ad una particolare politica liberale nella concessione dei pas-
saporti.
La migrazione transfrontaliera era infatti già attiva durante gli anni del comunismo e cerca-
va di sfruttare al meglio le opportunità offerte dai differenziali di reddito tra la Romania e i
paesi ad essa confinanti. Il commercio informale che si estese soprattutto nelle frontiere con
l’Ungheria e la Jugoslavia subì un’incredibile impennata tra il ‘90 e il ‘93 dove quasi trenta
33
milioni di romeni varcò la frontiera in veste di turista. Come sostiene Biagini:
“la penuria di beni primari induce, molto più di quanto si riesca ad immaginare, a concentrare l’atten-
zione, le energie e le poche risorse nella ricerca di tali beni, attraverso i mille rivoli più o meno legali;
34
una “doppia” economia che provoca il ritorno al baratto e alla borsa nera dei beni”.
Come è facile supporre, molto presto il popolo romeno e in particolare le minoranze etniche
si resero conto che i differenziali di reddito con i paesi confinanti potevano essere maggior-
mente sfruttati attraverso un modello migratorio di tipo internazionale. Questo aprì le porte
ai primi flussi internazionali che si protrarranno fino ai nostri giorni.
30 Rotariu, T ., Mezei, E. - Asupra unor aspecte ale migratiei interne din România, in Sociologie Românea-
sca, nr. 3/1999, pp. 5-37. Bucuresti, Asociatia Româna de Sociologie, 1999.
31 Wallace C. e Stola, D., Patterns of migration in central Europe, Houndmills, Palgrave, 2001pp. 84
32 Wallace C. e Stola, D., Patterns of migration in central Europe, Houndmills, Palgrave, 2001
33 Cingolani P ., Romeni d’Italia. Migrazioni, vita quotidiana e legami transnazionali. Il Mulino, Bologna,
2009, pp. 41
34 Biagini, A. Storia della Romania contemporanea, Bompiani, 2004, pp. 137
2021
1.4 Le migrazioni internazionali.
ra i fattori che hanno indebolito il sistema transfrontaliero troviamo l’affermarsi di
Tminoranze semi-stanziali specializzate nel piccolo commercio, l’aumento del controllo
doganale e la diminuzione dei differenziali internazionali di reddito. A queste cause va ag-
giunta un’importante questione migratoria che ha permesso l’apertura di un canale nuovo
e il definitivo sradicamento dei “commercianti della valigia”. Durante gli ultimi anni del
regime comunista, molte minoranze etniche, tra cui rintracciamo ebrei, tedeschi e ungheresi,
iniziarono una serie di migrazioni attraverso la frontiera nel tentativo di tornare nei rispettivi
paese d’origine. Con il passare del tempo e con il passaggio alla Repubblica, questi rientri si
intensificarono: tra il 1990 e il 1993 ben 140.000 tedeschi oltrepassarono il confine e come
35
loro altri 29.700 ungheresi lo fecero nel 1990. Questi rimpatri costituirono un vero e pro-
prio ponte d’ingresso per gli altri romeni che iniziavano ad emigrare alla ricerca di un lavoro.
Questi flussi erano diretti verso la Germania, Israele, l’Ungheria e l’Austria e provenivano
36
nella maggior parte dei casi dalle regioni della Transilvania. Anche l’Italia inizia ad essere
selezionata come meta desiderata: dall’analisi della serie storica si riscontra l’arrivo improvvi-
37
so dell’immigrazione romena nel 1991, con una variazione dell’anno precedente del 73%.
In questo caso non possiamo che sottolineare l’importanza che le relazioni familiari e amicali
hanno avuto all’interno del processo di emigrazione internazionale. Come viene più volte
38
detto dalla teoria dei network ad un certo punto il reclutamento diventa superfluo perché le
migrazioni hanno una forte tendenza a perpetuarsi attraverso la crescita e l’elaborazione di
reti migratorie. Tramite amici e parenti si formano concentrazioni estese sui singoli territori
che aumenteranno ulteriormente la domanda di lavoratori immigrati e dei mediatori che
sostengono l’immigrazione.
In realtà va ricordato che oltre ai rimpatri delle minoranze etniche, a sostenere le migrazioni
39
intervennero altri fattori. Come evidenzia Remus, in Romania, benché esistessero delle di-
35 Cingolani P ., Romeni d’Italia. Migrazioni, vita quotidiana e legami transnazionali. Il Mulino, Bologna,
2009, pp. 43
36 Sandu D., A country report on romanian migration abroad: stocks and flows after 1989, Multicultural
Centre Prague, http://www.migrationonline.cz/centraleasterneurope/2007/
37 Ricci A., Flussi di lavoratori e di investimenti tra Romania e Italia. Le nuove opportunità dell’allargamento
a Est, in Romania-Italia-Europa. Storia, politica, economia e relazioni internazionali, a cura di Randazzo F .,
Periferia, 2003
38 Massey D.S., La ricerca sulle migrazioni nel XXI secolo, in Stranieri in Italia. Assimilati ed esclusi, a cura
di Colombo A. e Sciortino G., Il mulino, Bologna, 2002.
Ambrosini M., Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Bologna, 2005
39 Remus G. A., Come hanno fatto i rumeni ad arrivare in Italia?, in Colombo A. e Sciortino G., Stranieri in
2223
suguaglianze economiche nelle comunità d’origine, il socialismo aveva mantenuto una certa
uniformità di condizioni economiche, e le risorse mobilitate per migrare provenivano, in
alcuni casi, dallo stato post-socialista che stava ristrutturando il sistema industriale del paese.
Di conseguenza, i primi migranti non provenivano dalle classi medie, come nello studio di
40
Massey sulla comunità Messicana, ma dalle fila di quanti avevano capacità di iniziativa e
potevano contare sul sostegno della famiglia, o di piccoli imprenditori post-socialisti che non
intravedevano grandi spazi di affermazione in Romania.
Inoltre, in questi anni molti cittadini romeni di etnia Rom, attivarono dei flussi migratori
costanti in relazione alla continua richiesta di asilo. Solo verso la metà degli anni novanta
certe destinazioni europee come la Germania persero il loro carattere attrattivo, e questo a
causa della riduzione della concessione dell’asilo politico e dell’introduzione di norme re-
strittive rispetto alla presenza irregolare romena. Si inaugura così la fase del dirottamento
flussi che ha caratterizzato la seconda parte degli anni novanta e i primissimi anni del 2000.
Probabilmente dobbiamo ricollegare la nascita di questa fase migratoria con un fatto politico
estremamente importante. Il 21 giugno del 1995 viene siglata a Snagov una dichiarazio-
ne per il sostegno alla “strategia nazionale di preparazione all’adesione della Romania alla
Unione Europea”, appoggiata dalla quasi totalità delle forze politiche nazionali, che venne
depositata il giorno seguente congiuntamente alla presentazione della domanda ufficiale di
41
adesione. Crediamo che tale evento abbia profondamente influenzato il comportamento di
migliaia di romeni che i quel momento decisero di emigrare. Quell’atto politico attestava la
possibilità di raggiungere nel medio/breve periodo la condizione di cittadino comunitario,
pur risiedendo irregolarmente in un’altra nazione europea. Questa possibilità venne inserita
nel calcolo costi/benefici della scelta di emigrare, facendo orientare la lancetta verso i van-
taggi che tale condizione avrebbe portato.
Quella classe di contadini inurbati che erano stati costretti a tornare in campagna a causa
del processo di deindustrializzazione si ritrova nuovamente all’interno di una pesante crisi
economica e cerca l’inserimento lavorativo presso nuove destinazioni. I flussi si orientano sui
paesi della costa mediterranea, in particolare verso Italia, Spagna, Grecia e Portogallo alla
ricerca di un lavoro nel settore agricolo, turistico e delle costruzioni. Genericamente questi
flussi vengono inquadrati dalla letteratura di riferimento come migrazioni circolari, stagiona-
li o temporanee e rappresentano, nel nostro caso studio, la prima tappa di avvicinamento al
fenomeno preso in esame. Questo perché in questa delicata fase si riscontra genericamente la
costituzione di catene migratorie che collegano villaggi specifici a precisi comuni nelle nazio-
ni di destinazione. Crediamo infatti, che proprio in questi anni Chianciano inizia ad essere
selezionata come paese di destinazione, in quanto in quel periodo storico, l’intero comune
Italia. Trent’anni dopo, Il Mulino, Bologna, 2008. pp. 39-40
40 Massey D.S., Goldring L., Duran J., Continuities in Transnational Migration: An analysis of nineteen
Mexican Communities, in “ The American Journal of sociology”, vol.99, n.6
41 Biagini, A. Storia della Romania contemporanea, Bompiani, 2004, pp. 153
2223
condivideva con altre realtà del territorio un’ampia fetta del turismo termale e rappresenta-
va per gli immigrati (donne comprese) la possibilità di un inserimento occupazionale di tipo
stagionale nelle strutture alberghiere e della ristorazione.
Come nel caso Chiancianese, gli immigrati preferiscono una migrazione circolatoria o sta-
42
gionale, sopratutto negli episodi di introduzione clandestina, poiché questa garantiva rischi
minori in relazione alla brevità del soggiorno; se l’accesso al paese veniva effettuato tramite
il visto di Schengen, la circolarità dava la possibilità di sostare in un paese europeo per poi
entrare clandestinamente in un altro aspettando una regolarizzazione.
Ciò avveniva costantemente per Italia e Spagna che, avendo una forte tradizione nei con-
43
fronti di regolarizzazioni e sanatorie, rappresentavano quasi sistematicamente la seconda
tappa del percorso migratorio. Dobbiamo ricordare che la scarsa incidenza nei respingimen-
ti di questo periodo, indica che i romeni avevano una certa facilità nell’ingresso e una bassa
44
possibilità di essere rintracciati ed espulsi.
Questa strategia migratoria si verificò nella grande maggioranza delle regioni (Transilvania
compresa) livellando le precedenti differenziazioni territoriali, e corrispose cronologicamente
all’omogeneizzazione delle politiche comunitarie che procedevano uniformi verso la restrit-
tività.
Soltanto nel 2002, cambiando gli accordi politici, cambiano anche le strategie migratorie.
L’eliminazione del visto di ingresso per i cittadini romeni nell’area Schengen, fu un evento
di grande importanza simbolica, perché implicava la fine di un’iniqua discriminazione, che
45
vedeva la Romania esclusa da quel processo identitario che la UEstava costruendo. L’eli-
minazione del visto per soggiorni di massimo tre mesi con presupposti turistici, determina
il rafforzamento di Spagna e Italia come mete privilegiate, eliminando il faticoso percorso
a tappe precedentemente enunciato. Come ci ricorda Cingolani in una nota del suo libro:
“Alla frontiera bisognava presentare un biglietto di andata e ritorno all’interno del periodo definito, 100
euro per ogni giorno di permanenza, un’assicurazione valida per l’espatrio e l’indirizzo di una pensione
46
o di un conoscente presso il quale risiedere”.
Tutte restrizioni che, come è ovvio, vengono eluse attraverso l’utilizzo di varie strategie; tra
queste, una consisteva nel prestito di una notevole somma di denaro da parte dell’autista del
bus che veniva restituita appena oltrepassata la frontiera.
42 Torre A. R., Migrazioni femminili verso l’Italia: tre collettività a confronto, CeSPI, maggio 2008, www.
cespi.it/WP/WP41-TORRE.pdf
43 Tra il 1995 e il 2002 sono state fatte tre regolarizzazioni per un totale di 183.000 cittadini romeni. Stiamo
parlando del decreto legge n°489 del 1995, la legge 40 del 1998 e la legge 189 del 2002.
44 Ricci A., Flussi di lavoratori e di investimenti tra Romania e Italia. Le nuove opportunità dell’allargamento
a Est, in Romania-Italia-Europa. Storia, politica, economia e relazioni internazionali, a cura di Randazzo F .,
Periferia, 2003, pp. 265
45 Dossier n°16/fr., La Romania e l’adesione all’Unione Europea, Senato della Repubblica-Servizio Affari
Internazionali, novembre 2003, pp. 18
46 Cingolani P ., Romeni d’Italia. Migrazioni, vita quotidiana e legami transnazionali. Il Mulino, Bologna,
2009, pp. 45
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Una tale semplificazione nel processo di migrazione, consente il rafforzamento di cicli carat-
terizzati da un ancor più marcata tendenza alla circolarità; ciò si evince bene su Chianciano,
poiché la circolarità permette di soddisfare la domanda di lavoro stagionale che veniva ri-
47
chiesta durante la stagione estiva. L’Istituto Nazionale di Statistica di Bucarest sottolinea un
altro aspetto chiave: a partire dal 2002 fino al 2005 le donne raggiungono il 60% dei cittadini
romeni emigrati, superando nettamente la quota maschile (Tab.1). In particolare nel periodo
compreso tra il 2002 e il 2003 si è verificato un fenomeno di accentuata femminilizzazione
dei flussi e, stando anche ad altre stime del paese di origine, le donne che hanno scelto di
lasciare il paese sono state il 40% in più rispetto agli uomini.
Tab. 1. Cittadini romeni emigrati nel corso di ciascun anno, per sesso (1990-2005)
_________________________________________________________________________
Anno Totale (in migliaia) % Uomini % Donne
2005 10,9 37,6 62,4
2004 13,1 37,7 62,3
2003 10,7 41,3 58,7
2002 8,2 45,4 54,6
2001 9’9 50,5 49,5
2000 14,8 46,1 53,9
1999 12,6 46,5 53,5
1998 17,5 48,2 51,8
1997 19,9 47,2 52,8
1996 21,5 46,8 53,2
1995 25,7 44,7 55,3
1994 17,1 46,0 54,0
1993 18,4 47,4 52,6
1992 31,2 51,6 48,4
1991 44,2 48,0 52,0
1990 96,9 47,8 52,2
_________________________________________________________________________
Fonte: Romanian Statistical Yearbook 2006 (Institutul National de Statistica)
Proprio in questo periodo infatti, si diffonde capillarmente una nuova forma di assistenza
48
domiciliare e il termine “badante” inizia a entrare nel linguaggio comune, evidenziando un
47 Fonte: Romanian Statistical Yearbook 2006 (Institul National de Statistica)
48 Il termine badante è entrato nel vocabolario italiano alla fine degli anni novanta. Inizialmente nelle pagine
dei giornali e poi progressivamente nei libri e nei discorsi dei politici. Senza voler attribuire nessun valore
negativo utilizzerò anch’io questa terminologia (oltre a “assistente familiare”, “collaboratrice domestica”,
“lavoratrice di cura”), in quanto credo che la sociologia debba saper usare il linguaggio comune che, se pur
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radicamento sempre più stretto sul territorio. E’ così che in Italia, le donne romene costitu-
49
iranno il 39% delle collaboratrici domestiche arrivate a partire dal 2005. Chianciano non
si discosta da questa nuova tendenza e fa registrare dei flussi circolatori anche nell’ambito
dell’assistenza e della cura, oltre ai già menzionati ambiti turistici. In Italia, non solo il nu-
mero di assistenti familiari continua a crescere, ma si registra una sorta di ricambio continuo
50
della loro presenza. I dati pubblicati dall’Istituto per la Ricerca Sociale segnalano nuovi
arrivi, che in parte si aggiungono alle persone presenti e in parte sostituiscono chi ritorna in
patria o chi si dedica a un altro lavoro.
Questo trend si consolida e acquisisce stabilità tra il 2000 e il 2007, anno di entrata ufficiale
nell’Unione Europea che rappresenta l’ultimo passo verso la libera circolazione.
Sembra che a partire da questa data la tipologia di migrazione messa in atto dai cittadini
romeni sia profondamente cambiata. Ci riferiamo sopratutto alle motivazioni dello sposta-
mento e alle intenzioni future circa il proprio progetto migratorio. Mentre prima si preferiva
uno spostamento di tipo stagionale o circolatorio, mantenendo un forte legame con il paese
51
di origine adesso si tende ad una progettualità maggiormente legata al paese ospitante.
52
Le stesse dinamiche familiari evidenziano una tendenza ai ricongiungimenti che preceden-
temente non venivano riscontrati e lo stesso vale per i dati analizzati circa l’acquisto di immo-
bili di proprietà da parte di cittadini rumeni. Risulta infatti, che a sostenere il mercato degli
acquisti, sono i lavoratori immigrati di più lunga residenza in Italia e secondo Caritas (2009)
53
un terzo di questi lavoratori provengano dall’Est-Europa, di cui un terzo dalla Romania.
Basti pensare che a Roma sono stati 10.000 gli acquisti di immobili da parte dei cittadini
54
romeni nel solo 2007.
Evidentemente nel corso degli anni le cause e le motivazioni sono cambiate; sicuramente le
politiche migratorie, il grado di riproduzione di certe pratiche e il versante relativo alla “cul-
55
tura delle migrazioni” hanno determinato un aumento della complessità causale.
Secondo Ramus Gabriel Anghel:
“le cause strutturali di fondo, andrebbero ripensate per quanto riguarda le fasi successive di questo flusso
56
migratorio. A partire dalla fase della libera circolazione si possono individuare altre cause, come la
sbagliato, identifica perfettamente un fenomeno e aiuta nell’identificazione.
49 Pasquinelli S., Rusmini G., Badanti: la nuova generazione. Caratteristiche e tendenze del lavoro privato di
cura, Novembre 2008, IRS
50 Ibidem
51 Ibidem
52 Dossier Statistico 2007, Caritas/Migrantes, Fondazione ISMU, 2008
53 Dossier Statistico 2009, Immigrazione XIX Rapporto, Caritas/Migrantes, Idos Edizioni, pp. 184
54 Dossier Statistico 2007, Caritas/Migrantes, Fondazione ISMU, 2008
55 Gli antropologi si sono domandati in che modo l’evento migrazione diventi culturalmente rilevante, ovvero
su come venga integrato ed elaborato nel sistema di significati locali, e quali modificazioni e forme culturali
nuove produca.
56 Si riferisce all’abolizione dei visti d’ingresso.
2627
strutturazione delle reti migratorie e altri fattori causali, tra loro cumulativi, che meglio si prestano a
57
spiegare il proseguimento dell’emigrazione”.
Anche se esistono “notevoli discrepanze nel modo col quale, nei diversi paesi, i migranti vengono contati
58
e registrati” e “definire un movimento (migratorio) richiede di tracciare una riga e convenire che essa è
59
stata attraversata”, possiamo dire che dopo anni di espansione la comunità romena oggi ha
raggiunto il primato sulle altre popolazioni immigrate arrivando a circa 796.000 presenze
nel 2008 e rappresentando il 70% dell’intera componente comunitaria e un quinto di tutti i
60
residenti non italiani.
Probabilmente è ancora presto per azzardare delle ipotesi su i condizionamenti che l’in-
troduzione della Romania nell’Unione Europea ha avuto nei confronti dei flussi migratori;
certamente possiamo affermare, con le parole di Massey che:
“la politica migratoria è il prodotto di un processo politico nel quale gli interessi in competizione inte-
ragiscono – all’interno di aree burocratiche, legislative, giudiziarie e pubbliche – col fine di influenzare
61
il flusso degli immigrati”.
57 Remus G. A., Come hanno fatto i rumeni ad arrivare in Italia?, in Colombo A. e Sciortino G., Stranieri in
Italia. Trent’anni dopo, Il Mulino, Bologna, 2008. pp. 39
58 Massey D.S., La ricerca sulle migrazioni nel XXI secolo, in Stranieri in Italia. Assimilati ed esclusi, a cura
di Colombo A. e Sciortino G., Il mulino, Bologna, 2002. pp. 48
59 Ibidem, pp. 47
60 Dossier Statistico 2009, Immigrazione XIX Rapporto, Caritas/Migrantes, Idos Edizioni, pp.83
61 Massey D.S., La ricerca sulle migrazioni nel XXI secolo, in Stranieri in Italia. Assimilati ed esclusi, a cura
di Colombo A. e Sciortino G., Il mulino, Bologna, 2002, pp. 36
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