nullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnull
Per milioni di anni, l’evoluzione del pianeta ha lentamente trasformato l’atmosfera
fino a renderla un luogo ideale per la vita umana, animale e vegetale. Tuttavia la
rapida rivoluzione industriale degli ultimi due secoli, pur producendo
un’accelerazione straordinaria nel campo delle conoscenze scientifiche e
tecnologiche e nelle attività industriali, ha determinato cambiamenti sostanziali
nello stato dell’atmosfera, cambiamenti tuttora in atto e che destano non poche
preoccupazioni. Le attività umane (e.g. attività industriali, produzione di energia,
estrazione ed uso di combustibili fossili, trasporti, smaltimento dei rifiuti,
agricoltura), hanno fatto sì che fossero immesse in atmosfera sostanze non presenti
nella sua costituzione originaria e che alcune sostanze, naturalmente presenti in
essa, aumentassero pericolosamente la propria concentrazione (APAT, 2003).
1
Questo fenomeno di contaminazione dell’ambiente atmosferico è indicato
generalmente con il termine di inquinamento atmosferico, definito dalla normativa
italiana (D.P.R. 24 Maggio 1988 N. 203) come ogni modificazione della normale
composizione o stato fisico dell’aria atmosferica, dovuta alla presenza nella stessa di una o
più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da:
• alterare le normali condizioni ambientali e di salubrità dell’aria;
• costituire un pericolo ovvero un pregiudizio diretto o indiretto per la salute
dell’uomo;
• compromettere le attività ricreative e gli altri usi legittimi dell’ambiente;
• alterare le risorse biologiche, gli ecosistemi ed i beni materiali pubblici e privati.
Il problema legato all’inquinamento di origine antropica riguarda il fatto di essere
altamente concentrato in piccole aree, sopratutto urbane ed industriali, e spesso di
1
Si può definire contaminazione ambientale come la conseguenza di un'azione umana capace di
modificare le proprietà delle condizioni o la disponibilità e la qualità delle risorse in un determinato intervallo
di spazio e di tempo. La contaminazione ambientale non comporta necessariamente il manifestarsi di
danni misurabili a carico degli organismi viventi. Quando si ha un danno misurabile a carico di un
sistema biologico, sia esso a carico di un processo biochimico, cellulare o tissutale di un organismo, di
una popolazione o di una comunità biologica, allora la contaminazione diventa inquinamento (Bacci &
Vighi, 1998).
6
non essere in grado di diffondersi nell'intera atmosfera a causa della presenza di
barriere geomorfologiche naturali o artificiali che ne limitano la diffusione laterale.
Si assiste, quindi, ad un vero e proprio accumulo di queste sostanze nell’aria,
fenomeno che in alcuni giorni può essere accentuato anche da particolari
condizioni meteorologiche che, anziché favorire la dispersione degli inquinanti,
tendono a trattenerli in prossimità del suolo attraverso fenomeni come inversione
termica e formazione di nebbie (Finzi e Brusasca, 1991)
Le aree urbane e periurbane sono quelle che destano particolari preoccupazioni in
quanto la produzione di inquinanti è elevata e maggiore è la popolazione esposta
al rischio di danni alla salute. Le fonti principali di inquinamento sono
rappresentate dal riscaldamento domestico, dalle attività produttive e dal traffico
veicolare; quest’ultimo in particolare assume giorno dopo giorno dimensioni
sempre più preoccupanti. Le emissioni provocate dai veicoli a motore risultano
infatti essere responsabili del 50-60% dell’inquinamento atmosferico dei centri
urbani .
Gli inquinanti prodotti dal traffico stradale provengono principalmente dai gas di
scarico dei mezzi di trasporto, in particolare dalla frazione incombusta delle
reazioni di combustione dei carburanti, dall’usura delle varie componenti dei
veicoli (i.e. pneumatici, carrozzeria, freni) oltre che dall’abrasione del manto
stradale (Rossetti, 2010). Tra questi inquinanti sono compresi essenzialmente il
particolato atmosferico (PM, acronimo di Particulate Matter), l’anidride solforosa
(SO ), gli ossidi di azoto (NOx), il monossido di carbonio (CO), gli idrocarburi
2
policiclici aromatici (IPA), le dibenzodiossine policlorurate (PCDDs), i
dibenzofurani policlorurati (PCDFs), il benzene (C6H6 ), l’ozono (O3) ed i composti
ossigenati come il metil-terz-butiletere (MTBE). Inoltre, al PM sono usualmente
associate importanti concentrazioni di elementi in traccia aventi valenza
ecotossicologica, molti dei quali provengono da emissioni veicolari, come Fe
(ferro), Mn (manganese), Pb (piombo), Cu (rame), Cr (cromo), Ni (nichel), Zn
(zinco), Cd (cadmio), Hg (mercurio) e gli elementi del gruppo dei platinoidi
7
(essenzialmente Pt (platino), palladio (Pd) e rodio (Rh)) i quali sono comunemente
associati al degrado delle marmitte catalitiche (Di Lella et al., 2005).
Allo stato attuale, i valori limite di qualità dell’aria ambiente sono disciplinati dal
Decreto Ministeriale del 2 aprile 2002 n. 60 con il quale sono state recepite la
Direttiva 1999/30/CE, relativa ai valori limite di qualità dell’aria ambiente per
l’SO , il NO , gli NO , le polveri fini ed il Pb, e la Direttiva 2000/69/CE, relativa ai
2 2 X
valori limite di qualità dell’aria ambiente per il benzene e per il CO e dal D.Lgs. n.
183/04, attuazione della Direttiva 2002/3/CE relativa all’O nell’aria (Arpat, 2009).
3
In linea con le suddette direttive, la normativa italiana, in adeguamento a quella
europea, ha imposto, relativamente alle emissioni, vincoli sempre più stringenti
per l’immatricolazione dei veicoli. Tra le misure adottate, una tra le più importanti
è stata senza dubbio l’introduzione della marmitta catalitica. Tutto ciò ha
comportato una sostanziale diminuzione, dal 1990 ad oggi, delle emissioni dei
principali inquinanti precedentemente citati. Tuttavia, nonostante le limitazioni
imposte da leggi nazionali e locali, in un rapporto dell’Agenzia Europea
dell’Ambiente (EEA, 2008) è stato documentato il non rispetto dei limiti normativi
imposti a livello europeo per PM , NO , O e SO . Secondo l’EEA nel periodo
10 2 3 2
compreso tra il 1997 ed il 2007 una significativa percentuale della popolazione
urbana europea è stata potenzialmente esposta a concentrazioni dei suddetti
contaminanti superiori, rispettivamente:
• PM - 8-50% della popolazione esposta a concentrazioni superiori a 50 µg ·
10
-3
m (media su 24 h) per un periodo superiore a 35 d in un anno civile;
• NO - 18-42% della popolazione esposta a concentrazioni superiori ad una
2
-3
media annuale di 40 µg· m ;
• O - 14-61% della popolazione esposta a concentrazioni superiori a 120 µg·
3
-3
m (media giornaliera su 8 h mediata su tre anni) per un periodo superiore
a 25 d in un anno civile;
• SO - la percentuale della popolazione urbana esposta decresce fino a
2
raggiungere valori molto vicini all’1% e la tendenza è al rispetto del limite di
-3
125 µg · m per meno di 3 d all’anno (EEA, 2008).
8
In particolare, il tetto alle emissioni fissato per gli NO rimane ad oggi il più
x
difficile da rispettare ed allo stato attuale, per alcuni stati (e.g. Austria, Irlanda e
Spagna) si prevede un superamento addirittura del 50% (EEA, 2008).
Per quanto detto finora è evidente che risulta sempre più necessaria non solo la
sorveglianza dei livelli di contaminazione ma soprattutto la valutazione dei
comparti di esposizione e dei rischi per la salute umana e per i sistemi naturali
(Rossetti, 2009).
nullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnullnull
La valutazione dell’inquinamento atmosferico è solitamente effettuata attraverso
l’analisi delle concentrazioni di determinate sostanze presenti nell’aria compiuta
tramite campionatori automatici; questo approccio non consente tuttavia di avere
dati specifici dell’impatto sull’ambiente e, in particolare, sulla componente
biologica (Gottarini et al., 2003). A tal fine negli ultimi anni si stanno sempre più
diffondendo studi volti ad analizzare lo stato di naturalità - alterazione del
comparto aria utilizzando organismi viventi come bioindicatori. Tra le tecniche di
biomonitoraggio dell’aria più diffuse si citano quelle utilizzanti licheni epifiti
(Nimis, 1999; Giordano et al., 2004). Licheni sia selvatici che transplanted e briofite
sono impiegati come bioaccumulatori di elementi in traccia (Bargagli et al., 1997;
Castello et al., 1999; Cenci et al., 1999; Cercasov et al., 2002), anche piante vascolari
sono utilizzate per la valutazione di O , SO , fluoruri, elementi in traccia e per test
3 2
di mutagenicità (Lorenzini, 1999; Migheli et al. , 1995; Casera e Blasior, 2001;
Calzoni et al. , 2007), Apis mellifera è impiegata per il monitoraggio di pesticidi
(Porrini, 1999; Chandra et al., 2000; Decourtye, 2005).
Accanto a queste metodiche, la cui validità e affidabilità sono comprovate da
numerosi studi, si va diffondendo la ricerca e sperimentazione di nuovi
bioindicatori, tra cui il polline. I granuli pollinici sono organismi che interagiscono
costantemente con l’ambiente e quelli anemofili hanno un tempo di residenza
medio in atmosfera abbastanza alto. Il polline maturo, pronto per essere rilasciato
dalla pianta, è disidratato e di conseguenza altamente igroscopico, cosicché può
assorbire l’umidità dell’atmosfera; se questa contiene inquinanti, il polline,
9
assorbendo l’acqua, entra in contatto con tali sostanze che possono influenzare la
sua vitalità, ovvero la sua capacità di completare gli eventi post-pollinazione e di
compiere la fecondazione (Gottarini et al., 2003). Studi condotti utilizzando pollini
come bioindicatori (Gottardini et al., 2004), hanno infatti dimostrato che inquinanti
atmosferici come SO , NO , O e PM inducono nei granuli di polline risposte
x x 3 10
biologiche che possono variare da effetti riscontrabili a livelli molecolari fino ad
alterazioni della loro intera funzionalità riconoscendo nel polline un sensibile
bioindicatore dell’inquinamento atmosferico. Oltre ad impatti diretti riguardanti la
fisiologia del polline, gli inquinanti atmosferici possono indurre su di esso anche
impatti di tipo indiretto, che, coinvolgendo il processo ontogenetico, agiscono
sull’intera pianta in riproduzione (Rezanejad, 2007) e quindi sull’efficienza
riproduttiva della stessa.
Il granulo pollinico, gametofito maschile delle Spermatophyta, rappresenta un
elemento di fondamentale importanza per il successo riproduttivo della pianta; per
questo lo studio della sua vitalità rappresenta un punto di fondamentale
importanza nelle ricerche ecologiche che si occupano di tali argomenti.
10