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                         INTRODUZIONE 
 
Questo lavoro ha per oggetto lo Statuto di Autonomia della 
Lombardia approvato definitivamente il 14 maggio 2008, in 
attuazione delle nuove disposizioni degli artt. 114, 122 e 123, 
Seconda Parte, Titolo V, Costituzione, introdotte con la riforma 
costituzionale del 2001, che ha modificato sostanzialmente il 
ruolo e i poteri delle regioni a statuto ordinario rispetto ad un 
quadro previsto dal Legislatore nel 1948 e che non registrava 
sostanziali novità, quantomeno dagli anni 90 del secolo XX. 
L'idea di questo lavoro nasce dall'esperienza che l'autore ha 
avuto come Consigliere regionale della Lombardia per due 
legislature, dal 1990 al 2000, in una fase storica cruciale per la 
storia politica contemporanea del nostro paese, rivestendo 
anche dal 1996 al 2000 il ruolo di capogruppo consiliare per la 
Lega Nord. 
Nel lavoro si cercherà di analizzare i contenuti innovativi dello 
statuto ed evidenziare le ambizioni e i limiti di quella che è la 
maggiore regione italiana, ed in quanto tale alla ricerca di uno 
strumento normativo fondamentale come lo Statuto che le 
permetta di avere un ruolo intermedio tra lo Stato sovrano, 
quale non è, e una qualsiasi delle altre diciannove regioni 
italiane, rispetto alle quali, per dimensioni ed economia, si sente 
parecchio distante. Questa ambizione non è fuori luogo, ma le 
viene dal ruolo che ha sempre avuto nel contesto italiano ed
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europeo. E', infatti, dalla Lombardia, motore economico italiano 
ed europeo che nel passato, sia antico che recente, hanno preso 
le mosse tutti quei movimenti e quelle spinte al cambiamento 
che hanno portato mutamenti radicali nella società e nella storia 
del nostro paese. Così è stato nel risorgimento, nelle lotte sociali 
a cavallo del secolo XX, col fascismo che nasce a Milano nel 
1919 e trova qui il suo tragico epilogo a Piazzale Loreto nel 
1945, con il "vento del nord" successivo alla liberazione del 
paese dalla dittatura, con la ricostruzione, il boom economico 
degli anni '60 e le grandi trasformazioni sociali ed economiche 
degli anni '70, gli “anni di piombo” che inaugurano con Piazza 
Fontana una stagione buia e la "Milano da bere" degli anni '80, 
il leghismo, "mani pulite" e Berlusconi. 
Il nome stesso, Statuto di Autonomia della Lombardia, seppur 
non originale, è evocativo di un'ambizione per voler essere quello 
che altre regioni d'Europa, che occupano un ruolo analogo nei 
rispettivi Stati, come Catalogna o Baviera, già sono. Ed è con 
queste regioni, con il loro rapporto con i rispettivi governi 
nazionali, che la Lombardia si confronta, in diverse sedi, tra "i 
quattro motori d'Europa" o nella Comunità di lavoro ARGE-ALP. 
Il nuovo ruolo che le regioni oggi possono svolgere all'interno 
dell'Unione Europea ha rafforzato questa ambizione 
autonomista trasformandola in necessità oggettiva, ed, in effetti, 
nel corso di questi anni molte cose sono cambiate, imponendo 
allo Stato di ripensare il ruolo delle Regioni, anche per ciò che
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riguarda, ad esempio, la politica estera, come è avvenuto con 
numerose sentenze della Corte Costituzionale e con una legge, 
la cosiddetta legge "La Loggia", la n. 31/2003 che la comma 2 
dell'art. 6 attribuisce alle Regioni e Provincie autonome il potere 
di concludere intese dirette con realtà estere per favorire lo 
sviluppo economico, sociale, e culturale, nonché a realizzare 
attività di mero rilievo internazionale. 
Inoltre, la presenza massiccia sul proprio territorio regionale di 
un movimento politico come la Lega Nord ha ulteriormente 
accentuato le richieste autonomiste della Lombardia, tanto da 
attivare la procedura prevista all'art. 116 della Costituzione, per 
ulteriori forme di autonomia. Quindi un'autonomia a "geometria 
variabile", che ha posto la Lombardia come capofila delle regioni 
nella richiesta, con la Risoluzione del 3 aprile 2007, di poco 
precedente l'approvazione dello Statuto, "concernente l'iniziativa 
per l'attribuzione alla Regione Lombardia di ulteriori forme e 
condizioni particolari di autonomia ai sensi dell'art. 116, Terzo 
Comma, della Costituzione", secondo un modello riconducibile al 
rapporto che la Catalogna ha con la Spagna. 
Per lo svolgimento del lavoro, molto ci si è avvalsi degli atti del 
Consiglio e della commissione che ha lavorato all'elaborazione 
dello Statuto, oltre che su analisi critiche pubblicate in questi 
anni sia sulla stampa specialistica che in opere varie.  
Il primo capitolo è, pertanto, un necessario inquadramento 
storico della Regione Lombardia, nata come entità
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amministrativa, inventata dagli Asburgo, unendo territori diversi 
per storia e tradizioni, e quindi, a differenza di altre regioni 
italiane, non può vantare un'eredità statuale che possa 
rafforzare la volontà autonomista della Regione, diversamente, 
ad esempio, della Catalogna. La seconda parte del primo 
capitolo si occupa della storia politica contemporanea della 
Regione dal momento della sua istituzione nel 1970. Qui si è 
prestata attenzione all'evoluzione del precedente Statuto, 
concepito in un momento storico particolare, gli anni 70, 
all'insegna della partecipazione e della programmazione. 
Il secondo capitolo, suddiviso in cinque paragrafi, entra nel 
merito vero e proprio dello Statuto e lo analizza rispetto al suo 
iter procedurale e al conseguente dibattito politico, accennando 
alla risoluzione del 3 aprile 2007 per la richiesta di ulteriore 
autonomia, analizzando poi i contenuti veri e propri dello 
Statuto, con particolare attenzione alla legge elettorale e ai 
regolamenti attuativi. 
Nel terzo capitolo, suddiviso in quattro paragrafi, ci si è 
soffermati sulla questione della capacità di sviluppare una 
politica estera regionale, prerogativa questa assolutamente 
tipica degli Stati sovrani, affrontata nello Statuto e ampiamente 
sviluppata nella pratica, soprattutto nell'era "formigoniana", 
ossia dal 1995 ad oggi. E' questo un argomento indicativo delle 
"ambizioni" autonomiste lombarde, che, per la verità, precede
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l'era "Formigoni" e che trova nello Statuto una sua valida 
copertura giuridica per il futuro. 
Il quarto capitolo, suddiviso in quattro paragrafi, sviluppa la 
tematica del rapporto con gli enti locali della Regione nel nuovo 
Statuto, con particolare attenzione per il funzionamento del 
Consiglio delle Autonomie locali. Si analizza il sistema regionale 
lombardo degli enti locali dopo la riforma del titolo V della 
Costituzione, facendo una sintetica comparazione con le altre 
esperienze statutarie regionali che hanno preceduto la 
Lombardia nell'attuazione della previsione costituzionale del 
Consiglio delle Autonomie Locali, anche se fino ad oggi non si 
sono visti risultati sostanziali per questo strumento, essendo 
troppo recente la sua istituzione per esprimere una valutazione 
compiuta. 
L'ultimo capitolo, il quinto, si occupa della questione che in 
futuro determinerà lo sviluppo delle ambizioni autonomiste della 
Regione nell'attuazione delle previsioni statutarie, ossia il 
federalismo fiscale, il cui dibattito è ancora ampiamente aperto 
a livello governativo. Dalla piena realizzazione del federalismo 
fiscale dipenderanno le ambizioni, o i limiti, che la Lombardia 
ha riposto nell'approvare il suo Statuto.
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Capitolo I - LA LOMBARDIA: EVOLUZIONE STORICA 
 
I.1 L’invenzione della Lombardia; la genesi storica. 
 
"Noi possiamo mostrare agli stranieri la nostra pianura tutta 
smossa e quasi rifatta dalle nostre mani; sicché il botanico si 
lagna dell’agricoltura, che trasfigurò ogni vestigio della 
vegetazione primitiva. Abbiamo preso le aque dagli alvei profondi 
dei fiumi e dagli avvallamenti palustri, e le abbiamo diffuse sulle 
àride lande. La metà della nostra pianura, più di quattro mila 
chilometri, è dotata d’irrigazione; e vi si dirama per canali 
artefatti in volume d’aqua che si valuta a più di trenta milioni di 
metri cubici ogni giorno. Una parte del piano, per arte ch’è tutta 
nostra, verdeggia anche nel verno, quando all’intorno ogni cosa è 
neve e gelo".
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La Lombardia è la maggiore regione italiana; lo è per numero di 
abitanti, quasi 10 milioni (9,7 per l'esattezza, superiore di gran 
lunga alle altre "grandi" regioni italiane che si attestano 
mediamente sui 5-6 milioni di abitanti), per P.I.L., per capacità 
produttiva, per numero di comuni (1546 su oltre 8000 comuni 
italiani) e provincie (12), per importanza economica, per 
l'informazione che ha in Milano il centro principale di 
irradiamento del paese, sia per la concentrazione di testate 
giornalistiche a diffusione nazionale, sia per i media che qui 
                                                           
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 Carlo Cattaneo, Notizie storiche e geografiche su la Lombardia, Milano, 1844.
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hanno sede e che ogni giorno trasmettono i propri notiziari da 
quella che un tempo era chiamata la "capitale morale", non 
senza una punta di orgoglio nel differenziarsi dalla capitale 
politica Roma.  
Considerata uno dei quattro motori d'Europa, anni addietro era 
stimata come la tredicesima potenza industriale del mondo, 
quando ancora non si erano affacciate sul mercato globale Cina, 
India etc. etc. Tuttora fa parte del G15 delle Regioni, il World 
Regions Forum, composto dai "governi subnazionali" delle aree 
più avanzate e innovative dei cinque continenti
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. 
E' naturale quindi che da essa partano e siano partiti nel 
passato tutti quei movimenti e quelle spinte che hanno portato 
cambiamenti radicali nella società e nella storia del nostro 
paese. Così è stato nel risorgimento, nelle lotte sociali a cavallo 
del secolo XX, col fascismo che nasce a Milano nel 1919 e trova 
qui il suo tragico epilogo a Piazzale Loreto nel 1945, con il "vento 
del nord" successivo alla liberazione del paese dalla dittatura, 
con la ricostruzione, il boom economico degli anni '60 e le 
grandi trasformazioni sociali ed economiche degli anni '70, gli 
“anni di piombo” che inaugurano con Piazza Fontana una 
stagione buia e la "Milano da bere" degli anni '80, il leghismo, 
"mani pulite" e Berlusconi. Tutto è partito da qui ed è perciò, 
                                                           
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 Fanno parte del G15 World Regions Forum, oltre la Lombardia, unica regione italiana, Baden Wuerttemberg, Baviera, 
California, Gauteng (Sud Africa), Illinois, Regione di Madrid, Massachussets, Nuevo Leon (Messico), New South 
Wales (Australia), Quebec, San Paolo del Brasile, Regione di San Pietroburgo, Shangai, Singapore.
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quindi, che la Lombardia e i lombardi sentono una specificità 
che è data, non tanto dalla loro storia passata come entità 
statuale, che non hanno avuto, come nel caso di altre regioni 
italiane che derivano da stati che nel corso della storia sono 
scomparsi, o da una presunta diversità etnico-linguistica come 
nel caso di altre realtà regionali, quanto dalla loro "missione" di 
regione guida nel contesto italiano, o come spesso ama ripetere 
l’attuale Presidente Formigoni, di “locomotiva” del sistema Italia. 
Storicamente, la Lombardia come regione amministrativa 
attuale è una creazione degli Asburgo. Sono, infatti, gli austriaci 
che all'indomani del congresso di Vienna accorpano i territori 
già sotto la corona d’Austria dal 1706 del Ducato di Milano, che 
apparteneva agli Asburgo di Spagna fin dal 1535 con 
l'Imperatore Carlo V, e del Ducato gonzaghesco di Mantova, 
finiti ambedue nell'orbita di Vienna per successione ereditaria al 
ramo Asburgo-Lorena, con le provincie occidentali di terraferma 
della Serenissima Repubblica di San Marco, veneziane da quasi 
quattrocento anni. Brescia, Bergamo e il territorio di Crema (la 
cosidetta Lombardia Veneta) sono scorporate da Napoleone nel 
1797, quando cedette la restante parte del territorio della 
Serenissima all'Austria col trattato di Campoformido, e 
aggregate alla Repubblica Cisalpina per compensare Milano 
della perdita di Novara e Vercelli passate al Piemonte.  
Dall'unione di queste due entità, distinte per storia, tradizioni, 
cultura e linguaggio fin dall'assoggettamento all'orbita della
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civiltà romana, gli austriaci inventano una regione 
amministrativa, con capoluogo Milano, che chiamano Lombardia 
resuscitando un nome antico che era riferito genericamente a 
tutta l'Italia settentrionale.
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Nasce così dalle due realtà della Lombardia e della Venezia, lo 
stato pre-unitario del REGNO LOMBARDO-VENETO sotto la 
dinastia degli Asburgo-Lorena. Lo stato cesserà di esistere nel 
1866, anche se nel 1859, con la seconda guerra di Indipendenza 
perderà quasi tutta la Lombardia, tranne Mantova. Permarrà 
invece per lungo tempo, e permane tuttora, nell'immaginario 
collettivo, come esempio lungimirante di efficienza 
amministrativa che il successivo Regno d'Italia non riuscì ad 
eguagliare, tanto da essere successivamente evocato dai 
movimenti autonomisti di Lombardia e Veneto che si affacciano 
sulla scena politica italiana a partire dall'inizio degli anni '80 del 
secolo XX come elemento caratterizzante e distintivo delle 
                                                           
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 In epoca pre romana, il territorio dell'attuale regione è abitato prevalentemente da due distinte tribù celtiche, gli 
Insubri stanziatisi tra il lago Maggiore e l'Adda, con capitale Midland (la romana Mediolanum), e i Cenomani a est 
dell'Adda fino all'Adige, con capitale Brixia (l'attuale Brescia) e con Bern (Verona) città sorella. Mentre gli Insubri 
scelgono lo scontro con Roma venendone sconfitti, i Cenomani, assieme ai Veneti, optano per la collaborazione, 
traendone numerosi vantaggi e indovinando il corso della storia. Durante la dominazione romana, le attuali provincie di 
Brescia, Cremona e Mantova, pur essendo di stirpe celtica, in virtù del loro legame con le popolazioni venetiche sono 
inserite amministrativamente nella X REGIO VENETIA ET HISTRIA che si estende fino ad Aquileia e Pola, mentre la 
restante parte del territorio è inserito nella XI REGIO TRANSPADANA che arriva sino alle Alpi occidentali. Questa 
separazione resta fino alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente. Nel 568 calano in Italia i Longobardi e suddividono 
il territorio in ducati autonomi l'uno dall'altro, dai quali deriveranno molte diocesi ecclesiastiche dell'italia 
settentrionale, e successivamente i comuni medievali. Tale ripartizione, si perpetua poi, e, trascorsa l'epoca comunale e 
fallito il tentativo dei Visconti signori di Milano di unificare sotto il loro dominio tutta la Langobardia Maior storica, 
l'espansione veneziana riporta il confine geopolitico all'Adda nel 1428, incorporando nella Serenissima Brescia, 
Bergamo e Crema, mentre Mantova è un ducato a se stante sotto i Gonzaga. La situazione rimane inalterata sino al 
1797, quando Napoleone spazza via ciò che resta del vecchio ordine. Anche linguisticamente la regione non ha un 
dialetto unificante e resta distinta in almeno quattro aree differenti che hanno propri dialetti classificati dai linguisti 
come lombardo orientale, lombardo occidentale, lombardo alpino e lombardo emiliano, tutti facenti parte della koinè 
inespressa dei dialetti gallo-romanzi, ossia tutti quei dialetti parlati a nord dell'Appennino Tosco-Emiliano, lungo la 
linea Massa-Senigallia, per altre vicende chiamata anche Linea Gotica.
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attuali regioni che vi hanno fatto parte (Lombardia, Veneto e 
Friuli) rispetto al resto del paese, e la difficoltà di questa parte 
d'Italia ad essere sintonizzata con il resto della comunità 
nazionale, tanto da sentirsi, a torto o a ragione, spesse volte 
distinta e distante da quest'ultima, e così ad essere percepita 
dagli altri italiani, compresi quelli delle restanti regioni 
settentrionali. 
Le due regioni che componevano il regno, la Lombardia e la 
Venezia, separate dal Mincio, ebbero ciascuna un governo 
proprio composto da un Consiglio di Governo, affidato ad un 
Governatore, e distinti organismi amministrativi dette 
Congregazioni Centrali, alle cui dipendenze stavano le 
amministrazioni locali, tra cui le Congregazioni Provinciali e le 
Congregazioni Municipali. 
Le competenze del Governatore, attraverso il Consiglio di 
Governo, erano assai ampie e riguardavano: censura, 
amministrazione generale del censo e delle imposizioni dirette, 
direzione delle scuole, lavori pubblici, nomine e controllo delle 
Congregazioni Provinciali. Oltre, naturalmente, al comando 
dell’esercito imperiale stanziato nel Regno, che, negli anni 
successivi si sarebbe occupato soprattutto di garantire l’ordine 
pubblico. 
A ciascun governatore sottostava un Vicepresidente di governo il 
quale aveva funzione di operare in assenza del governatore, al 
quale seguiva un Imperial Regio Consigliere Aulico prescelto
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dall'Imperatore, col compito di vigilare sull'operato di 
governatore e vicepresidente di governo. 
A queste prime cariche seguivano gli Imperial Regi Consiglieri di 
Governo che avevano il compito di coadiuvare il Governatore 
nell'amministrazione fisica della regione assegnatagli, ed erano 
solitamente nel numero di 9 per Lombardia e 9 per il Veneto. A 
questi facevano seguito gli Imperial Regi Segretari di Governo ed 
altre cariche minori di cancelleria ed amministrazione spicciola. 
Seguivano quindi le Imperial Regie delegazioni provinciali che 
vantavano un delegato ed un vice-delegato per ogni provincia del 
regno, sia in Lombardia che in Veneto. Tali delegazioni 
raccoglievano, di fatto, le questioni delle congregazioni 
municipali e le portavano a conoscenza del governo. 
L’amministrazione finanziaria e di polizia, infine, era sottratta al 
Consiglio di Governo ed attribuita direttamente al governo 
Imperiale a Vienna, che agiva attraverso un Magistrato camerale 
(Monte di Lombardia, zecca, lotto, intendenza di finanza, cassa 
centrale, fabbricazione di tabacchi ed esplosivi, uffici delle tasse 
e dei bolli, stamperia reale, ispettorato dei boschi e agenzia dei 
sali), un Ufficio della Contabilità, una Direzione generale della 
Polizia. 
Considerata l'eccezionale centralizzazione del potere nelle mani 
del Governatore, nominato da Vienna, e del governo imperiale, il 
ruolo del Viceré, unico per tutto il Regno Lombardo Veneto in 
sostituzione del Re che era anche Imperatore d’Austria ed era il
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capo del regno, era assai marginale, una carica per lo più 
onorifica, concessa inizialmente ai cadetti della casa d’Austria 
fratelli dell’imperatore e ridotta a mera rappresentanza. A tal 
fine egli manteneva splendidi palazzi, ove teneva corte, anche se 
preferibilmente il Viceré soggiornava a Vienna presso la corte 
imperiale. La capitale del Regno fu comunque fissata a Milano, 
poiché la città lombarda era asburgica dal 1535 con Filippo II di 
Spagna e in mani austriache dal 1706, oltre cento anni, e quindi 
considerata, a ragione, più affidabile e amica che non Venezia; 
come ha scritto Franco Cardini “strano destino, quello di Milano. 
Dopo aver rappresentato, fra il 1154 e 1183, il fulcro della 
resistenza italiana al Barbarossa ed essere divenuta all’indomani 
di tale data, la figlia primogenita del sovrano, a partire dal 
Trecento si sarebbe trasformata prima nel baluardo del 
ghibellinismo italiano, poi nella città più fedelmente imperiale 
d’Italia. Visconti, Sforza, quindi Asburgo di Spagna, poi Asburgo 
d’Austria. Con brevi soluzioni di continuità, e sia pure attraverso 
vari mutamenti costituzionali, il destino di Milano e quello del 
Sacro Romano Impero, poi Impero d’Austria, sembrano 
indissolubilmente uniti e tali restano fino al 1859-60 ”
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.  
Tutte le alte cariche del Regno erano, naturalmente, di nomina 
regia, mai elettive. È questo uno dei motivi per cui esse erano in 
gran parte affidate ad austro-tedeschi e comunque tutti austro-
tedeschi furono, sempre, i governatori, la grandissima parte 
                                                           
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 Franco Cardini, La vera storia della Lega Lombarda, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1991, pag. 131.