INTRODUZIONE
“Le persone che guidano l’innovazione e
creano le possibilità di costruire e
trasformare la vita sono quelle che
sognano, pensano e pianificano il flusso di
beni, idee ed esperienze”
- Kevin Roberts -
All‟inizio del 2010 la televisione è definitivamente entrata nel ventunesimo secolo
attraverso la cosiddetta transazione al digitale, il cui passaggio si completerà nel
2012. Ciò è stato possibile grazie all‟opera delle principali aziende del settore
televisivo e come conseguenza delle decisioni prese a livello istituzionale per far
diventare realtà la tecnologia del digitale terrestre, la quale trasforma
profondamente il settore dell‟audiovisivo portando in scena nuovi attori e
imponendo la definizione di nuove regole.
Guardando indietro, a partire dal 1954, l‟anno di introduzione del servizio televisivo
in Italia, neanche l‟avvento del colore e l‟entrata nel mercato degli operatori privati
avevano avuto un effetto così dirompente sulle dinamiche competitive.
La televisione ha così iniziato a muovere i primi passi verso il proprio “mondo
nuovo” operando in un paesaggio audiovisivo che abbraccia nuovi ambiti: la
tecnologia digitale, innanzitutto, ha cambiato radicalmente il modo di fare tv; nuovi
player investono in questo settore proponendo contenuti e contenitori video; quelli
1
“tradizionali” sperimentano e si attrezzano per guidare il passaggio verso la
frontiera; gli investitori pubblicitari, sempre più consapevoli della propria forza
contrattuale, guardano con attenzione al movimento e lo analizzano in tutte le
possibili conseguenze per i propri business; il pubblico sperimenta le novità, si
scopre differente dal passato, più sofisticato ed esigente avendo sempre più
opzioni di scelta e alternative a disposizione, muta abitudini, gusti e modalità di
consumo televisivo sollecitato dalle nuove offerte e dalla sensazione che lo
pervade di un rinnovamento profondo dell‟offerta.
Lo sviluppo del mercato è stato accompagnato, e al tempo stesso favorito, anche
da una intensificazione delle azioni di valorizzazione dell‟immagine aziendale
messe in essere da parte delle principali imprese televisive. Soprattutto nei
contesti più evoluti, con la crescita della concorrenza e la presenza di
telespettatori sempre più esigenti e critici, le emittenti hanno compreso quanto
fosse importante ascoltare il mercato e sviluppare una relazione vera e propria
con il pubblico. Questo ha spinto molti produttori e broadcaster ad avviare
specifiche attività di marketing riguardanti la valorizzazione del canale come
brand.
In questo nuovo contesto, un‟azienda televisiva deve maturare l‟attitudine a
“cercarsi” i suoi spettatori/clienti instaurando con questi un legame di lungo
termine affermandosi sui numerosi concorrenti.
Nel sistema televisivo digitale le attività di marketing sono quindi destinate ad
accrescere la propria rilevanza strategica tra gli operatori, nonché a evolvere e a
modificarsi strutturalmente. Il marketing televisivo oggi deve essere al tempo
stesso capace di generare profittabilità e sostenibilità sociale mediante
comportamenti strategici al contempo razionali e creativi, tecnologici e umani,
2
internazionali e locali, innovativi e tradizionali, privati e pubblici.
In quest‟ottica emerge la complessità del marketing televisivo che “deve saper
presidiare tutte le articolazioni della filiera che caratterizza il sistema televisivo
moderno, partendo dalla fase di creazione e progettazione fino ad arrivare
all‟assistenza alla clientela, ma anche integrandosi trasversalmente con tutte le
dimensioni tecnologiche che possono connotarlo e le dimensioni applicative che il
1
sistema può favorire”.
Il digitale terrestre rappresenta allora per le emittenti televisive una grande sfida
che, se opportunamente gestita, può costituire una importante possibilità di
sviluppo.
Il presente lavoro si propone allora di analizzare e comprendere le strategie di
marketing che le imprese televisive attuano per realizzare un reale orientamento al
cliente capace di assecondare l‟evoluzione tecnologica e fronteggiare
efficacemente la concorrenza all‟interno di un mercato che si fa sempre più
complesso e imprevedibile. In particolare l‟attenzione è posta sulle piccole-medie
imprese televisive locali focalizzando lo studio sull‟emittente campana Napoli
Canale 21.
È soprattutto per queste imprese che il digitale si pone come una sfida: se da un
lato la nuova tecnologia porta con sé grandi opportunità di sviluppo, prima fra tutte
la moltiplicazione della propria offerta televisiva, dall‟altro lato esso fa emergere
tutte le difficoltà con cui si devono scontrare le piccole-medie imprese, dalle
scarse risorse finanziarie per sostenere i necessari e inevitabili cambiamenti a una
concezione aziendale che guarda ancora al marketing con diffidenza.
1
Nardello C., Pratesi C. A., “Il marketing televisivo. Strumenti e modelli di business per competere nel nuovo mercato
digitale”, Il Sole 24 Ore, 2010, p. 15
3
L‟analisi condotta in queste pagine nasce da una passione personale verso un
ambito di studi interessante e coinvolgente quale appunto il marketing ed è il
risultato di anni di studio delle scienze della comunicazione, di una
consapevolezza riguardo l‟evoluzione della società postmoderna, avvenuta anche
mediante la televisione. Terra di incontro-scontro tra le genti, di intrattenimento e
scandalo, la tv si pone sempre più come volontario e involontario “specchio della
società”, in grado di far parlare incessantemente di sé e di ciò che propone.
L‟offerta televisiva poi, con l‟avvento del digitale terrestre, si è moltiplicata e tende
al coinvolgimento multisensoriale dello spettatore, individuo attivo e consapevole
che accetta i nuovi contenuti e si arricchisce con essi.
Come agisce il marketing nell‟azienda televisiva? Quali sono gli imperativi del
nuovo scenario? Quali strategie d‟intervento sono state adottate dalle piccole
realtà televisive per sopravvivere e competere nel nuovo mercato digitale? Quali
sono gli ostacoli al raggiungimento degli obiettivi prefissati? Domande alle quali si
è cercato di rispondere con una trattazione che unisce storia, tecnologia e attualità
nella consapevolezza che quello che si va ad affrontare è un “mondo” complesso
e pieno di segreti ma assolutamente affascinante.
L‟evoluzione che sta attraversando la televisione ci permette di osservare questo
fenomeno nel suo svolgimento e di mettere in luce alcune tendenze attuali, che
costituiranno la base per la formulazione di osservazioni e saranno un punto di
partenza per tracciare le prospettive di sviluppo del marketing televisivo nel nuovo
contesto digitale.
Nel primo capitolo si è ritenuto opportuno partire dal concetto di valore,
sottolineando come nella società postmoderna la creazione dello stesso dipenda
sempre più da 3 variabili fondamentali: l‟organizzazione, la comunicazione e
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l‟immagine. L‟immagine in particolare, acquista una nuova strategicità ma perché
essa sia realmente vincente deve necessariamente e inevitabilmente basarsi su
un‟identità vincente. La coerenza tra i due aspetti è un fattore fondamentale per
l‟elaborazione di una buona e duratura immagine aziendale.
Nel secondo capitolo, invece, si è posta l‟attenzione sul progressivo passaggio
dalla modalità di trasmissione analogica a quella digitale. Si è analizzato il
processo e la crescita della tv digitale, portatrice di contenuti diversificati, emblema
della funzionalità dei processi di ricerca e segmentazione che consentono di
modulare l‟offerta in base ai bisogni dei propri utenti.
Il terzo capitolo è interamente riservato all‟analisi dell‟impresa televisiva e alle sue
attività di marketing. Dopo una prima visione d‟insieme riguardo il marketing
televisivo, si è passati alla distinzione tra marketing analitico, strategico e
operativo necessari all‟azienda televisiva per l‟elaborazione di un‟efficace
pianificazione e per la costruzione dei contenuti. Ha fatto seguito lo studio del
palinsesto, oggetto di scambio bi-direzionale tra la rete e i suoi spettatori,
operando la giusta distinzione tra le tipologie di prospetto delle trasmissioni
(palinsesto generalista, specializzato o tematico, personalizzato), si è inoltre
valorizzato il ruolo strategico del palinsesto editoriale e la sua convergenza con il
palinsesto pubblicitario. Infine sono state passate in rassegna le decisioni
strategiche fondamentali e le principali sfide del marketing nel nuovo mercato
digitale.
Il quarto capitolo è dedicato al brand, altro elemento del marketing televisivo che
oggi acquista particolare strategicità. Si sottolinea la necessità di fare del canale
un vero e proprio brand che possa illuminare le scelte di un pubblico sempre più in
difficoltà nel destreggiarsi tra telecomandi e piattaforme. Si è distinto tra la scelta
5
delle componenti cognitive e la scelta del profilo d‟immagine del brand e si è
prestata attenzione alla gestione del brand in ambito televisivo.
Il minuzioso studio della case history è inserito nel quinto capitolo: l‟impianto
teorico è declinato nel contesto operativo di Napoli Canale 21. Partendo dalla
storia dell‟impresa televisiva in questione, si prosegue con l‟analisi del suo modello
strategico di presidio del mercato nonché dell‟identità, del target e del
posizionamento del canale storico, per concludere con le strategie che sono state
elaborate da Napoli Canale 21 per affrontare la competizione nel nuovo contesto
digitale accompagnate da riflessioni sulla loro validità e “strategicità” nonchè da
alcuni spunti su come questa impresa locale possa muoversi per emergere in un
contesto televisivo sempre più affollato e imprevedibile.
Ciò che il progetto vuole richiamare è che oggi le cose stanno cambiando
rapidamente e la centralità del marketing si sta imponendo con forza in tutte le
aziende televisive, sia locali che nazionali: nuove sfide e particolari attività
possono far conquistare un pubblico che gode, attualmente, di innumerevoli
possibilità di scelta.
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CAPITOLO I
La creazione di valore nell’era dell’intangibile
“Esse est percipi.”
(L’essere consiste nell’essere percepito.)
- George Berkeley -
Creare valore è diventato l‟obiettivo primario e comune di qualsiasi tipologia di
azienda. Dietro questa espressione si celano, però, svariate tematiche spesso
trascurate dalla letteratura. Molti autori si sono soffermati sull‟aspetto quantitativo
del valore effettuando analisi comparative delle varie metodologie, più o meno
diffuse, che ne permettono una ragionevole quantificazione. Si ritiene, tuttavia,
opportuno risalire a questioni a monte del problema quantitativo, ricercando le
fonti e i nessi causali cui attribuire la creazione stessa del valore.
È necessario determinare gli elementi su cui si fonda il valore in azienda: solo così
sarà poi possibile capire come farlo crescere e, eventualmente, quantificarlo.
Comunicazione, organizzazione e immagine, questi sono i tre elementi che dallo
studio sono risultati i cardini dei sistemi aziendali. Manipolando queste variabili, si
crea o si distrugge valore, si ottiene il successo o si fallisce. Ciò è particolarmente
vero nell‟attuale società postmoderna, che può essere definita a pieno titolo,
società dell‟intangibile.
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1.1 La creazione e diffusione del valore: l’approccio tradizionale
Il valore è un qualcosa che non esiste in natura ma che il genere umano ha creato
per poter essere in grado di effettuare degli scambi. Esso è ciò che si percepisce e
di oggettivo ha ben poco.
Fisher osservava come un primo passo verso la misurazione di questa “misteriosa
grandezza” chiamata valore consistesse nel misurare un genere qualsiasi di
ricchezza nelle sue unità fisiche; la sua idea di fondo era che si debba giungere a
un giudizio per determinare il valore di qualcosa.
In un primo momento, quindi, molti autori si sono soffermati sull‟elaborazione dei
metodi, più o meno complessi, che permettessero di rendere quanto più possibile
oggettivo tale giudizio, nella ferma convinzione di staticità del valore. Tale termine,
si badi bene, non vuole significare che essi identificassero il valore con qualcosa
di immutevole nel tempo, ma che a loro interessava una stima puntuale, ad hoc. In
tale ottica era necessario verificare preventivamente quali fossero lo scopo della
valutazione (liquidazione, trasformazione, trasferimento etc.) e la posizione del
valutatore (venditore, compratore, perito etc.), perché per ciascun caso il giudizio
sarebbe stato differente.
La minor credibilità delle misure puramente contabili dei risultati d‟impresa ha
portato alla diffusione della Teoria della Creazione del Valore per gli azionisti. Il
tradizionale obiettivo di massimizzazione dell‟utile d‟esercizio è stato sostituito da
quello della massimizzazione del valore: una corretta valutazione della strategia di
8
business non ha potuto più prescindere dal valore che la stessa era in grado di
2
generale per gli azionisti.
La Teoria della Creazione del Valore è, assieme al principio della Qualità Totale,
uno dei grandi principi-cardine sviluppati negli anni ‟80; la Qualità Totale, pur nata
negli Stati Uniti, ha trovato la sua massima applicazione in Giappone; la Creazione
del Valore, invece, ha un‟origine anglo-sassone e proprio negli Stati Uniti ha
conosciuto grande affermazione. Entrambe le teorie risultano fortemente
innovative non solo nell‟impostazione teorica ma anche al fine operativo della
conduzione delle imprese.
La Teoria della Creazione del Valore sostiene che la finalità da assegnare
all'impresa è quella di far crescere il suo valore economico. Il fine dell‟impresa
sarebbe quindi quello di massimizzare il suo valore espresso in termini di
capitalizzazione di borsa o di valore di mercato. Questa teoria vede l‟azienda
come un investimento redditizio e sostiene che anche il mercato deve recepirla
come tale; investimento il cui rendimento sarà lo strumento di giudizio dell'azienda
da parte del mercato.
È una visione orientata al futuro perché ciò che conta non è più tanto il
differenziale dei ricavi e dei costi ma la potenzialità di produrre risultati sempre
migliori.
In certi ambiti economici, come ad esempio gli Stati Uniti, chi gestisce l'impresa,
quasi sempre Pubblic Company, con soggetto economico di tipo manageriale, ha
il mercato come giudice del proprio operato per cui rivolge la sua attenzione alla
creazione di valore dell'azienda e anche, soprattutto, alla diffusione dello stesso.
2
www.gabrielesabato.it, 15/04/2010
9
L'investitore azionario aspira non solo, evidentemente, al dividendo ma è
interessato anche alla crescita del corso delle azioni.
La creazione del valore e la sua diffusione diventano il fine aziendale in una
rilettura del concetto di massimizzazione del profitto che meglio si coniuga con le
3
motivazioni comportamentali del soggetto economico manageriale.
Lo studioso Luigi Guatri afferma che creare valore significa accrescere la
4
dimensione del capitale economico dell'impresa intesa come investimento.
La creazione del valore è sicuramente un obiettivo razionale perché spinge verso
la ricerca di una crescita della capacità reddituale e del controllo dei rischi. La
razionalità è determinata dal fatto che tale obiettivo assegna una direzione precisa
all‟impresa: svilupparsi secondo linee creatrici di valore, quindi scelte mirate a
garantirle il successo in un‟ottica di lungo periodo. Ancora, l‟obiettivo assegna
priorità alla tutela dei diritti degli azionisti.
È anche un obiettivo condivisibile da tutti coloro che hanno interesse alla vita
dell'impresa. Proprio perché assicura la sopravvivenza e il successo di lungo
periodo all‟impresa, è gradito a tutti coloro che con questa intrattengono relazioni
di interesse.
Oltre che razionale e largamente condiviso, l‟obiettivo di creazione del valore
risulta stimolante per imprenditori e manager. Difatti permette la liberazione di
comportamenti manageriali spesso latenti e induce alla ricerca accurata e
continua di tutte le opportunità affinché sia perseguito lo sviluppo del valore del
capitale.
Ma è soprattutto un obiettivo misurabile. Le tecniche valutative hanno compiuto
progressi rilevanti, nella dottrina e nella pratica, e sono caratterizzate oramai da un
3
Sciarelli S., “Fondamenti di economia e gestione delle imprese”, Cedam, 2004, pp. 61- 63
4
Guatri L., “La teoria di creazione del valore. Una via europea”, Milano, Egea, 1991, p. 63
10
buon livello di razionalità. Il vero problema che, a proposito della misurabilità, deve
essere affrontato, non è principalmente quello della stima periodica del valore del
capitale economico, quanto il riconoscimento di un legame tra le iniziative alle
quali si assegnano compiti di creazione di valore e le ripercussioni che da tali
iniziative derivano al valore del capitale economico. Inoltre, il reddito e la
situazione patrimoniale esprimono in maniera incompleta le performance e il
valore dell'impresa, non evidenziando la reale consistenza e le variazioni delle
risorse impiegate nell'azienda, soprattutto per ciò che attiene alle risorse
5
immateriali.
Sembra ormai accettato da diversi studiosi, tra i quali Sciarelli e Guatri per citarne
alcuni, il legame esistente tra la Teoria del Valore e la Teoria della Qualità Totale.
Secondo Guatri le due teorie sembrano all'apparenza contrapposte e inconciliabili
in quanto la Teoria della Qualità Totale è tipica derivazione ed espressione
dell'area di produzione mentre la Teoria del Valore è espressione dell'area della
finanza.
La prima risulta legata a concetti quanto mai concreti quali: prodotto, servizio,
ricerca, cliente, coinvolgimento e qualificazione del personale, partnership coi
fornitori; la seconda è legata a concetti più astratti e complessi quali: valore del
capitale economico, diffusione del valore creato nel mercato, politiche di bilancio,
attenzione all'azionista.
Invece questa apparente incompatibilità e il riferimento a concetti diversi rendono
queste due Teorie tra loro complementari e, come afferma Sciarelli, vi è un forte
legame tra le due.
5
Ibidem
11
La qualità totale è fondamentale per la creazione del valore e della soddisfazione
del cliente e, come il marketing, è un impegno di tutti. Questa idea è stata ben
espressa da Daniel Beckham:
«Gli operatori di marketing che non apprendono il linguaggio del
miglioramento della qualità, della produzione e delle attività diverranno
obsoleti. I tempi del marketing funzionale sono finiti. Non possiamo più
permetterci di pensare a noi stessi come a ricercatori di mercato, pubblicitari,
operatori di marketing diretto o strateghi. Dobbiamo pensare a noi stessi come
a persone che devono soddisfare i clienti: rappresentanti dei clienti che
possiedono una visione dell‟intero processo aziendale.»
All‟interno di un‟azienda orientata alla qualità il marketing management ha una
duplice responsabilità. Innanzitutto deve partecipare alla formulazione delle
strategie e delle politiche tese all‟ottenimento del successo tramite il continuo
miglioramento della qualità totale. In secondo luogo, deve fornire qualità sia nel
marketing sia nella produzione. Pertanto deve realizzare elevati standard di qualità
in ogni attività di marketing: ricerca, formazione alla vendita, pubblicità, servizio e
6
assistenza alla clientela e altro ancora.
La Qualità Totale è intesa a sottoporre a stretto controllo e monitoraggio tutti i
processi attuati dall'impresa con le finalità della conformità, della soddisfazione del
cliente e del miglioramento continuo, ciò porta a un sicuro miglioramento
dell'immagine percepita dell'azienda dall'ambiente e dal mercato.
6
Kotler P., “Marketing Management”, Prentice-Hall International, New Jersey, 1994, p.181
12
E in mercati quali quelli odierni, caratterizzati da una forte saturazione e quindi da
una domanda turbolenta, la soddisfazione del cliente e il produrre in conformità
sembrano essere delle scelte strategiche inevitabili.
Un sicuro punto in comune tra le due teorie è l'attenzione posta alla misurazione
dei risultati che l‟azienda deve effettuare; la Qualità Totale è più rivolta a misurare
performance legate all'aspetto produttivo, la Creazione di Valore a misurare
perfomance legate all'aspetto finanziario.
Occorre inoltre considerare come pur enunciando obiettivi diversi, per lo più di
breve periodo, le due teorie perseguono la sopravvivenza a lungo termine
dell'impresa, quindi la conservazione e lo sviluppo della sua capacità reddituale.
L‟elemento che si delinea con maggior chiarezza da questa breve analisi della
Teoria della Creazione del Valore è lo scarso interesse verso le reali fonti del
valore in un‟azienda, a favore dei meri aspetti quantitativi. Se non si identificano i
processi alla base del valore, pur riuscendone ad avere una quantificazione, si
potrebbero mettere in pratica politiche errate che andranno a distruggerlo piuttosto
che a crearlo. A fine processo poi, effettuando una valutazione, sarebbe facile
rendersene conto ma, a quel punto, potrebbe essere solo una semplice
constatazione.
Una cosa inoltre deve essere chiara: la creazione di valore è certamente un fattore
molto importante per lo sviluppo di medio e lungo periodo di un‟azienda, non va
però presa come un dogma ma come una logica che serve a orientare nella
direzione giusta i fondamentali dell‟impresa. Vi sono fondamentali di cui in ogni
caso non si può fare a meno e questi sono strategie chiare, operazioni ben gestite
giorno per giorno, soddisfazione dei clienti, eccellenza delle risorse umane.
13
La creazione di valore può aiutare come guida, ma non potrà mai sostituire la
capacità dell‟imprenditore e del management. Fare impresa e farla bene è pur
7
sempre una questione di uomini. Di uomini di qualità.
1.1.1 L’approccio comunicazionale al valore
8
Tale approccio abbandona l‟idea cardine dell‟approccio tradizionale che inquadra
l‟azienda come sistema aperto, cioè come essere chiuso in se stesso che però ha
bisogno di interagire con l‟ambiente che lo circonda, un ambiente fatto da elementi
tecnologici, culturali, sociali, politici, legislativi etc. Nella visione comunicazionale
l‟impresa non viene più separata dall‟ambiente che lo circonda, ma è un tutt‟uno
con esso. Diventa un insieme inseparabile di molteplici elementi, diversi tra loro,
legati proprio dall‟organizzazione.
In tal senso l‟impresa viene ridefinita come sistema chiuso, autosufficiente rispetto
al mondo esterno e in grado, se ben organizzata, di autorigenerarsi nel tempo
attraverso un processo autopoietico (fig. 1).
Grande attenzione viene posta sulla differenza tra la struttura del sistema impresa,
semplice insieme delle parti che lo compongono, e l‟organizzazione che
rappresenta proprio la rete di relazioni che lega la struttura. È proprio questo
aspetto a rendere così importante l‟organizzazione. Senza di essa il sistema
7
Donna G., “La creazione di valore nella gestione dell’impresa”, Carocci, 1999, p. 15
8
Vincenzini M., “Un approccio comunicazionale alla teoria dell’impresa di intermediazione finanziaria”, in “Bancaria”, n. 7 –
8, luglio-agosto 2001, p. 56
14
sarebbe una semplice “addizione” delle parti, mentre proprio grazie a essa viene
9
generato qualcosa di più, emerge proprio ciò che si cerca: il valore.
Figura 1. Confronto tra l‟approccio tradizionale e quello comunicazionale circa l‟idea di impresa
Approccio tradizionale – Impresa = sistema
Approccio comunicazionale – Impresa = sistema
aperto
chiuso
Fonte: Elaborazione personale
Seguendo questo approccio diventa indispensabile per l‟impresa “ascoltare” ciò
che l‟ambiente esterno le chiede, adeguarsi a esso per non rischiare di distruggere
10
valore, di trasformarsi in quella che viene definita come impresa “egocentrica”.
Le risposte alle richieste del mercato sono differenti per ciascun soggetto
economico, ognuno di essi mette in atto comportamenti differenti agendo sulla
propria struttura, nella speranza di massimizzare il valore che andrà a creare (il
cosiddetto determinismo strutturale).
L‟idea fondamentale di questo approccio innovativo al valore risiede proprio in
quanto fin qui esposto che si può riassumere nell‟affermazione secondo cui il
valore è una qualità emergente e, quindi, non deve per forza essere economico.
9
Vincenzini M., Porretta P., “Le immagini della creazione del valore di impresa… e aneddoti bancari”, Cedam, 2004, p. 7
10
Con il termine egocentrismo, in questo frangente, non si intende né egoismo né superbia ma l‟essere concentrato così
tanto su di sé, sul proprio ego, sul proprio fare, sui propri prodotti o servizi da dimenticarsi che gli altri non sanno nulla di noi.
Perchè gli altri sappiano è necessario comunicare chi siamo. Invece diamo spesso per scontato che basti produrre
qualcosa, prodotto o servizio, perché sia accolto favorevolmente sul mercato. Niente di più falso. Cilli A., “L’imprenditore
della piccola e media impresa sopravviverà?”, Franco Angeli, 2002, p. 56
15