INTRODUZIONE
Con il seguente elaborato mi pongo l’obiettivo di analizzare i mutati scenari di
un’economia globalizzata vittima di quella recessione che, a partire dai primi mesi del
2008, ha colpito dapprima gli Stati Uniti e in seguito si è rapidamente estesa anche
all’Europa ed all’Asia, seppur con diversa entità.
Le conseguenze di tale crisi si sentono ancora oggi e ciò non smette di suscitare
dibattiti ed interrogativi ai quali non è facile trovare risposta, né riguardo alle cause
scatenanti, né a rimedi convincenti per il suo superamento.
Cercherò di focalizzarmi su due aspetti in particolare di tale fenomeno, che presenta
molteplici sfaccettature.
Il primo, più puramente di marketing, è centrato sul cambiamento delle tecniche
pubblicitarie di cui le imprese hanno cominciato a servirsi per mantenere una buona
visibilità del proprio marchio, anche in tempi di recessione, sfruttando nuovi e più
abbordabili mezzi.
Tale evoluzione è stata permessa dall’utilizzo di nuove tecnologie, che hanno offerto
modalità alternative per promuovere un brand, mantenendone alta la competitività, e
consentendone la permanenza sul mercato.
Come è stato dimostrato da svariate ricerche, il marketing si conferma essere un
investimento importante e necessario, anziché una mera voce di costo, utile per
conservare un forte richiamo sui consumatori.
Il secondo punto di vista che tratterò offre invece una lettura del nuovo panorama
internazionale in termini più manageriali, e ricerca le cause che hanno spinto sia
grandi gruppi industriali, sia piccole-medie imprese a rifocalizzarsi e ad intraprendere
scelte strategiche per razionalizzare il proprio business e sopravvivere ad un calo del
proprio giro d’affari che, a distanza di quasi tre anni, non è ancora stato superato.
Con tempi e modalità diversi, quasi tutte le aziende sono state interessate da
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operazioni importanti, alcune riguardanti la proprietà (concentrazione, fusione o
dismissione di marchi), altre la produzione (delocalizzazione) o ancora le riduzione
del rischio (diversificazione), il riposizionamento ed altre soluzioni.
La recessione ha provocato la scomparsa di alcuni player e l’emergere di nuovi,
mentre su alcuni non ha esercitato alcun impatto, ad esempio l’industria del falso; ha
modificato l’assetto delle multinazionali e la loro presenza a livello globale; ha
causato l’abbandono di mercati ormai saturi e maturi per penetrare in mercati
emergenti, nicchie ancora sconosciute ma ad alto potenziale reddituale, in cui è
fondamentale stabilirsi tra i primi per godere del vantaggio cosiddetto di “first-
mover”.
Ha inoltre modificato le preferenze ed il comportamento dei consumatori, rendendoli
più prudenti ed oculati negli acquisti.
Non bisogna oltretutto omettere una riflessione sullo strettissimo rapporto che
intercorre tra marketing e finanza: con la crisi il risparmio ha assunto un ruolo
centrale, e le banche hanno rafforzato la propria posizione limitando la concessione di
prestiti, ancorati a garanzie molto stringenti.
Parallelamente, si è diffuso l’istituto del microcredito, che ha permesso di erogare
finanziamenti ai soggetti in condizione di povertà ed emarginazione, per poter avviare
progetti imprenditoriali.
Quello che oggi è fondamentale per le imprese diventa studiare i differenti mercati,
per poter avere una completa conoscenza delle caratteristiche uniche ed irripetibili di
ciascuno, e dominarli implementando decisioni strategiche ad hoc, anziché
formulando le stesse strategie da adattare in maniera sterile a settori e mercati
completamente difformi.
La sopravvivenza si conquista giorno dopo giorno assumendo rischi ed agendo in
ottica proattiva in modo da anticipare quelli che saranno i futuri trend di consumo ed i
target ai quali indirizzare la propria offerta.
Citerò esempi concreti di aziende che hanno modificato il proprio approccio al
mercato e che si sono dimostrate abili nel reagire in maniera tempestiva al
cambiamento, nonché il contributo di economisti i quali, dopo aver analizzato la
congiuntura presente, hanno proposto consigli per cercare di superare le difficoltà.
Non sono mancati i summit internazionali e i numerosi interventi di politica
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economica di tipo a livello micro e macro con cui i poteri pubblici hanno cercato di
agire sull’andamento dell’economia per raggiungere obiettivi di crescita di breve e
lungo termine.
Posso affermare con un certo ottimismo che la ripresa, seppur lenta, é cominciata e sta
finalmente riportando l’economia ad un ritmo più sostenuto; da qui la motivazione del
titolo per il mio lavoro.
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PARTE I
GLI ELEMENTI DI MARKETING
“Chi smette di fare pubblicità per risparmiare soldi è come se fermasse l’orologio
per risparmiare il tempo” recita una delle celebri frasi di Henry Ford.
Ognuno di noi avrà sicuramente sentito dire anche che “la pubblicità è l’anima del
commercio”, e tale affermazione non smette di essere valida: un’azienda può avere il
prodotto migliore del mondo, ma se non sa come pubblicizzarlo, come farlo
conoscere alle persone, suoi potenziali clienti, allora la sua attività difficilmente
conoscerà il successo.
Sta qui il discriminante tra le imprese che hanno affrontato gli ultimi due difficili anni
in maniera eccellente, investendo in marketing, e quelle che invece hanno risparmiato
e taciuto (under-advertised) proprio nel momento in cui era necessario comunicare
con il consumatore per farlo sentire importante, poiché non soltanto il prodotto deve
essere percepito come un elemento di valore per il cliente, ma il rapporto produttore-
consumatore deve essere bidirezionale, ed una volta instaurato, deve essere mantenuto
e ravvivato nel tempo.
Come annunciato nell’introduzione, mi accingo ora a dimostrare perché è sempre
fondamentale reiterare il messaggio di ciò che si vuole comunicare agli altri: uno
slogan, un jingle, un’immagine rappresentano il biglietto da visita di un’impresa; se
questi rimangono impressi nella nostra memoria, allora anche la nostra opinione ne
verrà influenzata, positivamente o negativamente, ma di sicuro quel marchio sarà
riuscito a lasciare il segno.
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CAPITOLO I
IL MARKETING: UN INVESTIMENTO
In primo luogo, vorrei soffermarmi su alcune convinzioni errate delle imprese.
Queste, appena intravedono un calo del proprio giro d’affari, cercano di sopprimere
talune voci di costo in maniera drastica e senza interrogarsi sulle possibili
conseguenze di tale scelta. Al contrario, tali voci dovrebbero essere gradualmente
ridotte, ma non del tutto eliminate, poiché il loro impatto sulla redditività dell’azienda
nel suo complesso, potrebbe risentirne.
Durante una fase di flessione economica, la strategia più prudente da attuare è quella
di intravedere un’opportunità dove chiunque altro vede la crisi.
Ma bisogna chiedersi che cosa ci può essere di positivo nella crisi e perchè alcune
aziende investono in comunicazione nonostante il periodo sfavorevole.
L’investimento pubblicitario rimane uno degli indici di “salute” di un’azienda.
Se un’azienda anche in periodi di crisi continua a pubblicizzare i suoi prodotti, viene
percepita come solida e quindi in grado di mantenere uno standard di qualità verso i
suoi clienti/consumatori. Da questo punto di vista si possono individuare delle
analogie tra la crisi attuale e quella degli Anni ‘30, la Great Depression, a cui le
aziende che sono sopravvissute non sono quelle che hanno tagliato i costi di
comunicazione, bensì quelle che hanno continuato a pubblicizzare i propri prodotti e a
convincere i consumatori a sceglierli, rispetto ai concorrenti che avevano smesso di
“parlare”.
Il silenzio spaventa
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Nei periodi di recessione si respira molta tensione: gli impiegati temono di essere
licenziati da un momento all’altro, i fornitori di non essere pagati, i consumatori di
notare un abbassamento nella qualità dei prodotti, gli azionisti di assistere al crollo
delle quotazioni etc., e stare in silenzio non può che peggiorare la situazione.
Comunicare in maniera diretta a ciascun target può, da una parte rassicurare nel caso
in cui l’allarmismo non sia motivato, e dall’altra conferire un’immagine positiva di
trasparenza all’azienda e di interesse nei confronti del sentimento dei propri pubblici
di riferimento.
Nel silenzio la tua voce si sente di più
Se i tuoi competitor hanno deciso di tagliare gli investimenti in comunicazione, non è
detto che tu debba fare lo stesso. Se normalmente è difficile riuscire a farsi notare e
farsi sentire da parte dei propri clienti, il “silenzio” che si genera in tempi di crisi può
diventare uno svantaggio competitivo in futuro.
La crisi può diventare un leva di comunicazione pubblicitaria…
Alcune grandi aziende, infatti, hanno incentrato le proprie campagne di
comunicazione sul tema della crisi.
… e un’opportunità per sperimentare l’utilizzo di nuovi media.
La necessaria riduzione dei budget di comunicazione in alcune aziende può essere
vissuta come un’opportunità per sperimentare mezzi più efficienti e affini al proprio
target, e anche nelle aziende più restie ci si interroga su quale ruolo attribuire a
internet nella propria strategia di comunicazione, ma soprattutto di marketing.
Un esempio arriva dalla Russia, dove Procter & Gamble ha deciso di aumentare del
20% i propri investimenti pubblicitari online nel 2009.
The official reason is simple and straightforward: Procter & Gamble believes they
will be able to achieve similar or comparable results targeting online viewers but the
expenses will be lower, which is very important during the current global financial
crisis.
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Mentre molte imprese nei periodi di recessione tendono a ridurre il più possibile le
spese, un’azienda opportunista pensa in termini di espansione. Quando le società
dimezzano i budget di marketing ed advertising, stanno in realtà cedendo potenziali
quote di mercato ai propri competitors; ed è proprio allora che si può cogliere la
migliore opportunità per attrarre nuovi consumatori e accrescere il proprio profilo nel
settore. Nel momento in cui le altre aziende tagliano i costi, bisogna trovare il modo
di entrare in possesso delle nicchie di mercato abbandonate per cercare di aumentare
la propria quota.
È importante, invece, mantenere l’attenzione sugli obiettivi di business, anche quando
il comportamento degli altri attori del mercato indurrebbe a risparmiare.
La prima cosa da prendere in considerazione per crescere in maniera continuativa,
sono proprio gli sforzi in campo di promozione. Se il piano di marketing è completo,
dovrebbe già contemplare uno scenario adeguato per le operazioni da attuare nel
momento in cui l'economia si indebolisce. Il piano dovrebbe includere un maggiore e
più razionale impiego di risorse nel marketing, attraverso operazioni che siano
innovative e mostrino un chiaro ritorno sugli investimenti fatti.
Anzitutto, se la moneta è in difficoltà per il proprio business, come risultato di una
minore attività economica, l'espansione del proprio programma potrebbe essere messa
in atto grazie alla riduzione dei costi su altre aree. Rimpiazzare le tradizionali azioni
di retail marketing basate sulla stampa con un responsabile, coerente ed economico
digital media, potrebbe essere una risposta.
Con una moneta in crisi, potrebbero esserci anche un certo numero di vantaggi. Le
richieste per finanziare progetti di produzione non remunerativi o, più importante,
quelli che non dimostrano di prospettare un chiaro ritorno sugli investimenti
effettuati, possono essere lasciati in attesa per quel momento. Le risorse risparmiate
possono poi essere riutilizzate per campagne di marketing ed advertising innovative
per distinguersi dai competitors.
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1.1 LE INSIDIE DI UNA PUBBLICITÀ RIDOTTA AL LIMITE
Durante la crisi, i budget subiscono dei tagli considerevoli. Di seguito, cerco di
spiegare perché le aziende fanno questo presentando le informazioni contenute nel
sondaggio svolto dalla The Economist Intelligent Unit per conto del gruppo editoriale
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The Economist; tale ricerca ha dimostrato l’insensatezza nonché l’inefficacia del
ridurre le spese pubblicitarie.
“When you say we need to save X million, the easiest, immediate place to get it is
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marketing. It is unspent and uncommitted”.
Poiché gli investimenti in marketing rappresentano una decisione di breve periodo,
c’è chi sostiene che questi possano essere aumentati in un secondo momento, senza
provocare alcun danno nell’immediato.
Ma questa non si rivela essere una soluzione sostenibile, ed anche i clienti potrebbero
non pensarla a questo modo.
Perché?
MOTIVO I: il marketing è una parte della soluzione, non del problema.
• MARKETING IS KEY
Il 79% del management intervistato, scelto come campione per il sondaggio, crede
che il marketing non sia più superfluo, bensì un fattore-chiave del business plan.
Esso viene considerato come una soluzione in grado di aiutare la sopravvivenza alla
recessione, piuttosto che un elemento di budget da tagliare.
All’interno di tale gruppo, il 61% privilegia la via della strategia quale prima mossa:
una volta decisa la strategia pubblicitaria per trarre vantaggio dalle opportunità
durante un periodo di recessione, si cerca poi di stimare un budget per attuarla.
Advertising on the edge: The essential guide to advertising in a downturn, Economist Intelligence
Unit Survey conducted on behalf of The Economist Group
Neil Sussman, marketing director, De Beers Diamond Jewellers
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Il 27%, al contrario, è ancora un sostenitore del budget quale primo fattore da ridurre,
ed al quale adeguare la strategia per fare il possibile.
Il restante 12%, invece, non sa rispondere.
MOTIVO II: pagherai più avanti ciò che sacrifichi oggi.
• SHORT TERM BENEFIT, LONG-TERM RISK
Un beneficio di breve periodo può trasformarsi in un rischio nel lungo termine.
“Se smetto di fare pubblicità per due mesi, le vendite non calano ma saranno colpite
tre o quattro mesi più tardi. La gente tende a commettere questo errore durante la
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recessione, che è prorio il momento sbagliato per fare dei tagli”.
“Se spegnete i motori di un aereo che vola ad una quota di 36000 piedi da terra,
questo non cade dal cielo. Infatti, finché il pilota ed i passeggeri sono preoccupati, la
vita continua normalmente con l’aereo che perde quota solo molto gradualmente.
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Succede lo stesso coi marchi..”
MOTIVO III: diminuire le spese può provocare seri danni al marchio.
• BRAND PROTECTION
Vikram Mehra, Chief Marketing Officer, Tata Sky
Moray McLennan, IPA President, Chairman M&C Saatchi Europe, How to get ahead in a recession
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“Investiremo in maniera consistente nella costruzione del brand a causa della
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recessione”
La forza e la percezione di un brand sono fondamentali: il valore per i consumatori
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non è basato soltanto sul prezzo, e questo vale per il 65% di essi.
In termini percentuali, il 59% dei beni viene acquistato per ragioni di forza del brand,
il 25% per un compromesso tra prezzo e brand, il 10% per esclusiva convenienza
economica ed il 6% per altre ragioni.
Dunque l’84% del campione di soggetti attribuisce molta importanza al marchio quale
fattore propulsore all’acquisto, mentre il 10% è molto sensibile alle oscillazioni di
prezzo ed il residuo 6% è spinto all’acquisto da fattori casuali.
Il 10% degli acquisti PRICE-DRIVEN riguarda beni definiti commodities, quali:
- i servizi di pubblica utilità (la telefonia);
- l’abbigliamento;
- la benzina;
- l’acqua minerale.
L’84% degli acquisti BRAND-DRIVEN è invece tipico di:
- polizze di assicurazione;
- macchine di lusso;
- banche;
- profumi.
“I consumatori durante la recessione acquistano marchi cui associano l’idea di
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QUALITÀ e LONGEVITÀ”.
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Basti pensare alla capitalizzazione di mercato di Coca-Cola:
- comprendendo il valore del brand, essa è stimata a 120 miliardi di dollari
Neil Sussman, Marketing Director, De Beers Diamond Jewellers
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Millward Brown, BRANDZ UK 2007, 33 categories, 500+ brands, 6000+ consumers
Neil Sussman, Marketing Director, De Beers Diamond Jewellers
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Marty Neumeier, The Brand Gap: How to Bridge the Distance Between Business Strategy and
Design, Peachpit press, 2006
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- escluso lo stesso, ammonta a 50 miliardi di dollari.
Dunque, senza il valore associato al marchio, una bottiglia di Coca-Cola sarebbe
mezza vuota.
MOTIVO IV: continuare ad investire rappresenta un’occasione d’oro.
• GAIN MARKET SHARE
“Quei marchi che aumentano le comunicazioni pubblicitarie durante la recessione
mentre i concorrenti attuano tagli, possono migliorare la propria quota di mercato e
recuperare i propri investimenti a un costo inferiore a quello sostenuto durante i
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periodi economici favorevoli”.
Non esiste momento migliore per rubare quota di mercato della recessione.
Serva come esempio l’esperienza di W.K.Kellog, il quale, durante la Grande
Depressione, continuò a fare marketing per i propri cereali da colazione mentre tutti i
suoi rivali stavano riducendo le spese; così facendo, la Kellog’s sorpassò la
concorrente Post Cereals nelle vendite, un cambiamento che si è rivelato irreversibile.
Per comprendere a fondo il comportamento di un potenziale consumatore bisogna
cercare di entrare nella sua testa ed interpretare quali voci lo spingono a consumare.
Si consideri lo studio che analizza il comportamento di un tipico consumatore di auto
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di prima classe.
Questi prende in considerazione una rosa di marchi tra i quali Audi, BMW, Jaguar,
Mercedes-Benz, Land Rover e Lexus, ognuno dei quali devolve un determinato
livello di spesa per la pubblicità.
Supponiamo che durante la crisi ogni società tagli il proprio budget del 10%, ad
eccezione di BMW.
John Quelch, Professore presso la Harvard Business School e membro della WPP, la seconda più
grande multinazionale del marketing e della comunicazione
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Nielsen Media Research, 2008
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I numeri di BMW in termini di share of voice sono simili a quelli di Audi ed
eclissano Mercedes-Benz e Lexus.
Immaginiamo invece che, anziché mantenere lo stesso budget, BMW incrementi del
10% il proprio share of voice attraverso una maggiore spesa per la pubblicità.
Ora BMW avrà una quota maggiore rispetto ad Audi, ma ammettendo anche che
ottengano la stessa performance, l’anno seguente BMW farà piazza pulita di tutti i
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suoi concorrenti diventando il brand di macchine di lusso cosiddetto “top of mind”.
Lo share of voice è strettamente legato allo share of market, perciò questo messaggio
positivo farebbe guadagnare a BMW una maggior quota di mercato, influenzando
positivamente le opinioni del potenziale consumatore interessato all’acquisto di una
nuova vettura.
• IL MARKETING È UN BUON AVVOCATO NEL
MANTENERE UN POSIZIONAMENTO COERENTE
Un advertising coerente ha consentito a BMW di costruire negli anni un brand
straordinariamente forte.
Si dice che una persona il cui carattere è incostante da un giorno all’altro (un giorno
felice, il seguente triste; un giorno fiducioso e quello dopo insicuro) abbia una
personalità disturbata. Al contrario, chi adotta un comportamento coerente giorno
dopo giorno dimostra di avere una personalità forte.
Ne consegue che campagne pubblicitarie coerenti sono più suscettibili di costruire
brand di forte richiamo, anche se le ricerche non sempre sostengono la loro efficacia.
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il peso pubblicitario" di una marca, espresso sotto forma di una percentuale all'interno di un definito
mercato o segmento di mercato in un dato periodo. Questo peso è comunemente definito in termini di
spese, pagine, siti, poster etc Lo share of voice è dato dal rapporto fra gli investimenti in
comunicazione di una determinata marca e gli investimenti complessivi del settore merceologico di
appartenenza.
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La notorietà (brand awareness) definisce la capacità di una domanda di identificare un particolare
brand. L’apice della notorietà si ha con il top of mind, cioè la domanda associa la marca alla classe di
prodotto
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1.2 I MASS MEDIA RESPONSABILI
L’advertising online richiama sempre più l’attenzione delle aziende rispetto ai media
tradizionali.
Lo studio che mi accingo ad introdurre stima che in futuro l’utilizzo di internet
aumenterà molto più di qualunque altro mezzo di comunicazione, in particolare di una
percentuale pari al 73% rispetto alla stampa (il cui tasso di crescita sarà allora pari a
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circa il 39%) ed alla televisione (19%).
Tuttavia, le campagne pubblicitarie attuate sul web continueranno a basarsi su quelle
tecniche promozionali che aiutano a costruire un marchio, e che solitamente
coinvolgono altri mass media, quelli tradizionali.
Il problema della comunicazione online consiste nel chiedersi se questa aumenta la
reputazione di un brand.
Per citare un esempio, bisogna domandarsi quale potrebbe essere la reputazione
percepita di Prada, in quanto casa produttrice di moda.
I banner non servono a costruire marchi; ma la pubblicità cartacea sì.
I nuovi media sono meno efficaci nel costruire un marchio. Per percepire ed essere
coinvolti in un brand, noi abbiamo bisogno di toccarlo, guardarlo, sentirlo.
Vogue o Tatler sono esempi di spazi in cui si vengono inserite le pubblicità.
Inoltre, la stampa cerca anche di migliorare la propria responsabilità ed affidabilità.
Una ricerca online effettuata utilizzando l’Economist’s online reader panel è risultata
utile per misurare l’efficacia di una campagna attuata proprio sulla testata The
Economist.
Tale pannello viene controllato da un’agenzia pubblicitaria indipendente chiamata
Fox Insight.
Le aziende clienti dell’ agenzia hanno la possibilità di rivolgere fino a 12 domande ai
lettori e possono ricevere supporto e consigli dai ricercatori dell’ufficio londinese nel
formulare gli obiettivi della ricerca.
Advertising on the edge: The essential guide to advertising in a downturn, Economist Intelligence
Unit Survey conducted on behalf of The Economist Group
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