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I
NTRODUZIONE
“Tutta l’industria giapponese crollò a un livello di crescita zero e
lo shock per il mondo della produzione fu grande. I risultati furono
terribili. Contemporaneamente, poiché alla Toyota le perdite furono
molto limitate rispetto alla concorrenza, la gente cominciò a interessarsi
al nostro sistema di produzione.” (Ohno, 1993, p. 154)
E’ il 1974, l’anno della prima crisi petrolifera, e le parole di Taiichi
Ohno, indiscusso padre del cosiddetto “modello Toyota”, stanno ad
indicare la difficile situazione che il mondo aveva dovuto affrontare in
quella fase storica. Una situazione difficile che ai giapponesi e al
Giappone si era presentata già due decenni prima circa, all’indomani
della fine della Seconda Guerra Mondiale. Un Paese che doveva ripartire
da zero, distrutto, dilaniato nel cuore e nell’onore, nel proprio tessuto
sociale e nella propria economia.
Il giusto modo di ripartire per il Giappone e i giapponesi è stato
capire la propria situazione economica, e solo dopo cercare di rispondere
nel modo migliore possibile. La risposta, frutto appunto dell’ingegno
continuo di Taiichi Ohno – ma non solo –, è stata l’introduzione di una
nuova idea di produzione sullo scenario nipponico, il modello Toyota,
che sarà la guida per i decenni a venire.
Nella prima parte di questo lavoro di tesi farò un’introduzione
storica della situazione giapponese degli anni del dopoguerra, ma
soprattutto cercherò di descrivere al meglio tutti i più importanti aspetti
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INTRODUZIONE
del modello produttivo giapponese, in modo da cercare di capire perché
mai il mondo intero, allo scoppio della crisi petrolifera, avrebbe dovuto
guardare con interesse al frutto delle idee di Ohno. Effettivamente, il
modello Toyota ha stravolto completamente il modo di concepire
l’economia, i mercati, i sistemi produttivi, tutto ciò che riguarda la vita
aziendale e i conseguenti rapporti tra gli operai e le macchine, gli operai
e i manager, o anche tra gli operai e l’azienda stessa. Insomma, questo
nuovo modo di fare e di produrre non sarà più soltanto questione
giapponese, ma a partire dagli anni ’70 riguarderà anche il mondo intero,
il quale si troverà costretto a fare i conti con questo sistema produttivo.
Fare i conti in tutti i sensi: con la crisi economica si faceva largo la
convinzione che il mondo ormai fosse del tutto cambiato, e che lo stesso
mondo richiedeva nuove vie e nuove idee per essere compreso e capito
nelle sue nuove realtà, nel suo nuovo e complesso volto, da un punto di
vista economico e sociale. Inoltre, è stato proprio nei primi anni ’90 che,
grazie all’opera divulgativa di ricercatori e studiosi quali James P.
Womack e Daniel T. Jones, che si è potuto assistere alla definitiva
“esportazione culturale” delle idee che reggono il sistema produttivo
giapponese. In realtà, ciò che hanno fatto i suddetti ricercatori è stata una
sintesi dei principi del modello Toyota, etichettando i loro studi e le loro
conclusioni sotto il titolo “Lean Thinking”, pensare snello.
Se, dunque, è negli anni ’70 che il mondo inizia a conoscere ciò che
in Giappone era realtà già nei primi anni ’50, ne occorreranno almeno
altri dieci circa per assistere ad una divulgazione più massiccia, e
soprattutto ad un’adozione dello stesso sistema giapponese più
frequente, capillare e convinta, con tutti gli accorgimenti del caso.
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Infatti, gli aspetti importanti da sottolineare sono questi: innanzitutto
perché il sistema giapponese ha funzionato e, secondo molti, continua a
funzionare? E poi, conseguentemente, come è possibile adottarlo in
un’altra realtà diversa da quella giapponese, nel modo migliore
possibile?
Insomma, apprendere i principi che stanno dietro il sistema Toyota
prima, e al suo derivato “lean thinking” o “lean production” poi, non
basta. L’apprendimento è soltanto il primo passo. La messa in
discussione definitiva che il periodo della produzione di massa è finito
già da tempo, quel modello ispirato dalle allora visioni rivoluzionarie di
Henry Ford, costituisce senza dubbio il primo passo.
Il mondo, in effetti, è cambiato molto, e non ha più bisogno di Ford,
e cercare di capire di cosa adesso ha bisogno porta molti ad osservare
con attenzione ad Est, a un modello che per decenni non solo ha salvato
il Giappone, ma è riuscito a traghettarlo fino alla fine del Novecento e a
farlo salire nelle primissime posizioni dei Paesi economicamente più
forti. Un vero e proprio miracolo, che spiega come mai, col passare del
tempo, cresce a dismisura l’entusiasmo per i “derivati” di quello che fu il
primordiale sistema Toyota.
In effetti, con questo lavoro di tesi si vuole cercare di capire se oggi
sia ancora corretto parlare di sistema Toyota. Se, cioè, effettivamente si
assiste ad una corretta e completa importazione dell’intero sistema
giapponese. Da ciò derivano importanti interrogativi: è possibile
importare il sistema Toyota? O anche, quanto è esportabile il sistema
Toyota? E se sì, quali conseguenze ed effetti comporterebbe alla realtà di
quelle aziende importatrici di siffatto modello produttivo?
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Comunque, prima di rispondere, potrà essere utile sapere che, nei
primi anni ’90, il lavoro di Womack e Jones non aveva l’obiettivo di
capire come importare il modello giapponese, ma piuttosto quello di
divulgare un nuovo modo di pensare la produzione, anche se, comunque,
il punto di riferimento e di ispirazione delle loro ricerche restava sempre
il sistema Toyota.
“Come sottolineano gli autori James P. Womack e Daniel T. Jones,
“La macchina che ha cambiato il mondo” – libro che scrissero con
Daniel Roos con cui, per la prima volta, presentavano al mondo il
sistema produttivo giapponese – non intendeva affrontare
specificamente il tema dell’applicazione del toyotismo, ma d’altro canto
era naturale che, una volta accettata la straordinarietà dei suoi risultati,
tutta l’attenzione si concentrasse sulle possibilità di replicazione di
questi risultati, non solo nel settore automobilistico, ma sul complesso
delle imprese.” (Volpato, 1997, p. 19)
Da ciò la conclusione che, oltre ai facili entusiasmi per il sistema
produttivo giapponese e per i suoi riconosciuti risultati, forse è anche
opportuno evitare di fare confusioni pericolose: essere convinti, cioè,
senza alcun dubbio, dell’assoluta esportabilità del modello giapponese.
In questo lavoro, dunque, si cercherà prima di tutto di esporre ciò che
regge il sistema produttivo Toyota, procedendo ad un’accurata
esposizione dei suoi importanti principi, come i due pilastri che
costituiscono le fondamenta del modello: il “just in time” e
l’“autoattivazione”.
Soprattutto, nell’esposizione del toyotismo, sarà necessario
concentrarsi di più su tutto ciò che va oltre gli aspetti puramente tecnici,
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poiché con tale modello non solo si è stravolto il modo di produrre ma si
è andati a modificare tutto ciò che riguarda le relazioni all’interno di
un’azienda, i rapporti nel lavoro e tra i lavoratori; il modo, in definitiva,
di pensare l’operaio e i dirigenti all’interno dei luoghi di produzione e
nella società. E’ la logica che è stata definita dell’“azienda comunità”,
una forte e indiscussa identificazione del lavoratore con la sua azienda,
le sfide e le preoccupazioni della stessa, il suo destino e la sua vita. Un
continuo assorbimento dell’identità dello stesso lavoratore con quella
dell’azienda, incessante prova di fede, lealtà e lavoro che il primo presta
al servizio e per conto della seconda, fino a che le due identità, le due
anime, diventano cosa sola: in altri termini, ciò che il lavoratore fa per
l’azienda ritiene di farlo per se stesso, per la sua vita, il suo destino. La
fabbrica diviene la seconda famiglia del dipendente e, in alcuni casi, si
finisce per non capire dov’è il confine tra le due vite, tra le due famiglie
che il lavoratore si trova a condividere con pari intensità.
E’ tutto questo, probabilmente, l’aspetto più affascinante e allo
stesso tempo “oscuro” del modello Toyota: lo stretto laccio che lega il
lavoratore all’azienda, l’assoluta dedizione che lo stesso presta nel
lavoro, nella continua ricerca di ciò che Ohno e i giapponesi chiamano
“kaizen”, il cosiddetto miglioramento continuo. “Kaizen” è uno dei
termini sicuramente più conosciuti in ambito industriale. La possibilità di
un miglioramento continuo, incessante ed eventualmente anche infinito,
certo non può lasciare indifferenti gli imprenditori e il management.
E dunque, oltre a tutti gli aspetti puramente tecnici e teorici che
stanno dietro il modello giapponese, bisogna chiedersi se le aziende
occidentali, anche oggi e dopo l’avvento di un’ennesima crisi
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economica, saranno capaci di inculcare nei propri dipendenti questa
“cultura produttiva”.
Inoltre, proprio in ragione di questo aspetto puramente sociale
all’interno della fabbrica, molte sono le critiche e molte le voci di
scetticismo sulle concrete possibilità di adeguamento del sistema Toyota
(o meglio, la sua parte riguardante il rapporto operai-azienda) fuori del
Giappone proprio perché è in questo che si realizza l’assoluta originalità
della situazione socio-economica del Paese nipponico. Una realtà
assolutamente differente da quella occidentale, nella quale esiste
necessariamente un rapporto di lavoro in fabbrica del tutto diverso da
quello nipponico. Del resto, prendiamo l’esempio italiano, si tratta di
realtà in cui il ruolo dei sindacati gioca spesso un’importanza cruciale.
Proprio per capire le concrete possibilità di realizzazione del
modello Toyota oltre i confini nipponici vedremo cosa è successo, ad
esempio, a Melfi dove, appunto negli anni ’90, la FIAT ha cercato di
piantare il seme del modello giapponese, raccogliendo qualcosa di
diverso, che non si sarebbe assolutamente aspettato.
Ciò di cui mi occuperò, in fondo, è legato alla varietà del mondo,
alle differenti culture sociali ed economiche, e dunque al fatto che
realizzare qualcosa comporta conseguenze, cambiamenti. Inoltre, il
mondo è in continuo cambiamento, come del resto lo stesso Giappone di
oggi non è più quello di sessant’anni fa, quando Ohno era riuscito a far
maturare le sue idee e a far emergere l’industria nipponica dal baratro in
cui si era trovata alla fine del conflitto mondiale. Insomma, oggi siamo
di nuovo di fronte ad un’ennesima sfida per l’umanità: riemergere da
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un’altra crisi, e capire se lo si può fare con le idee di Ohno certo può
essere di grande aiuto.
Capire anche tutte le voci, a favore o meno, circa la cosiddetta
“azienda comunità”: c’è chi ne fa un elogio, inneggiando al “kaizen” e al
suo spirito cooperativo in azienda e c’è chi vede, invece, un sinistro e
sottile legame con le idee tayloriste della produzione di massa. Capire le
potenzialità circa l’esportabilità e l’adottabilità del modello nipponico
può essere agevole soltanto dopo aver appreso appieno, innanzitutto, i
principi che costituiscono il modello lanciato da Taiichi Ohno.
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I
T: ’
FILOSOFIA
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CAPITOLOILL
INDUSTRIALENUOVA
UNADIAVVENTOOYOTAPRODUTTIVOSISTEMA
I – T: ’
1.1. I : COME IL TOYOTA
La storia degli ultimi sessant’anni è ricca di avvenimenti che hanno
cambiato profondamente il mondo, e la principale ragione di questi
continui stravolgimenti è da ricercare, prima di tutto, nelle catastrofiche
conseguenze prodotte dalla Seconda Guerra Mondiale. Un evento che
non ha risparmiato nessuna nazione, nessuna popolazione, e men che
meno ha potuto risparmiare il Giappone, iscrittosi tra le fila dei Paesi
sconfitti, potenza imperiale che prima dell’intervento bellico americano,
padroneggiava indisturbata sull’intero scenario dell’Oceano Pacifico e
della lontana Asia.
Il risultato di quegli anni di conflitti è stata l’umiliazione di una
cocente sconfitta: intere flotte abbattute, isole e arcipelaghi invasi da
sbarchi di marines, e infine la resa è parsa come l’ultima possibilità di
sopravvivenza di un popolo e della sua secolare identità.
All’indomani della fine del conflitto, il Paese nipponico, dunque,
sarebbe dovuto ripartire da zero, da qualsiasi punto di vista. Ed è proprio
per questo motivo che, se diamo un’occhiata ai progressi e ai numeri del
nostro caso specifico, la Toyota Motor Company, la sorpresa e lo stupore
non può che essere grande, tenendo presente la situazione assolutamente
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CILLE
MODELLONASCEPERCHÉSTORICANTRODUZIONE
INDUSTRIALEFILOSOFIANUOVAUNADI
AVVENTOOYOTAPRODUTTIVOSISTEMAAPITOLO