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INTRODUZIONE
“Considerate la vostra semenza
fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtude e canoscenza”
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno canto XXVI, 116-120)
La conoscenza è la risorsa primaria in tutte le attività umane. Già Socrate nel III secolo
a. C. sosteneva che ―esiste un solo bene, la conoscenza, e un solo male, l‘ignoranza‖.
La considerazione della conoscenza come bene economico, tuttavia, ha impiegato molto
tempo per affermarsi e il suo studio sistematico è emerso come disciplina vera e propria,
l‘economia della conoscenza, con difficoltà.
I processi con cui la conoscenza si trasferisce fra gli agenti sono stati a lungo studiati e
ne sono emersi diversi modelli, primo tra tutti quello della conoscenza tecnologica
localizzata che riguarda sistemi di produzione locali e localizzati nello spazio e dal
punto di vista cognitivo.
Il presente lavoro prende le mosse proprio da questo modello, soffermandosi su un tipo
di sistema locale, quello del distretto industriale, che per le sue caratteristiche
rappresenta un caso di studio interessante dove la conoscenza si trasmette secondo
modalità peculiari.
Il caso di studio scelto è quello del distretto orafo-gioielliero di Valenza Po, in cui io
vivo e che permette di ritrovare quelle caratteristiche tipiche del distretto industriale e
dei sistemi localizzati.
Lo scopo del mio lavoro è proprio questo, presentare un caso pratico di come
avvengano i processi di trasferimento della conoscenza in sistemi caratterizzati da una
localizzazione degli agenti nello spazio e da un insieme di relazioni che solo in questi
ambienti si possono ritrovare.
Nel primo capitolo viene definita una cornice teorica dell‘economia della conoscenza
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affrontando il tema della knowledge governance e vengono analizzate le caratteristiche
della conoscenza, le quali la rendono un bene economico differente dagli altri.
Successivamente, si definiscono i modelli di conoscenza, secondo i quali essa viene
presentata come bene pubblico, come bene quasi privato e come bene collettivo,
arrivando al modello della conoscenza tecnologica localizzata in cui assumono un ruolo
importantissimo le interazioni tra i soggetti e i processi di apprendimento localizzati.
Il primo capitolo si conclude con una panoramica sulla conoscenza esterna e sul ruolo
che può avere per la creazione di nuove innovazioni.
Nel secondo capitolo entriamo nel tema dei distretti industriali, dalla loro nascita, al
caso italiano, fino ad arrivare al distretto marshalliano: fu infatti Alfred Marshall a dare
per primo una definizione di distretto industriale e ad aprire la strada al loro studio. Per
questo, partendo dai concetti da lui elaborati, andremo a fondo nell‘analisi del distretto
industriale e delle sue peculiarità per avviarci verso il nocciolo di questa tesi, cioè il
ruolo della conoscenza all‘interno dei distretti industriali.
Con il terzo capitolo, infatti, viene analizzato il ruolo della conoscenza nei distretti
industriali, in quanto il distretto viene definito uno spazio cognitivo all‘interno del quale
si accumulano esperienze produttive, organizzative e di vita. Esistono diversi processi di
apprendimento che possono avvenire sia all‘interno dell‘azienda, sia tra aziende dello
stesso distretto, sia con l‘ambiente esterno: sono questi i tre livelli d‘indagine
fondamentali che ho affrontato. Risulta chiaro come la conoscenza sia un elemento
importantissimo nei distretti e si trasmetta attraverso dinamiche particolari.
Il quarto capitolo presenta il case study, cioè il distretto gioielliero di Valenza Po. Il
settore orafo presenta alcune peculiarità nella fase produttiva e non solo: per questo
inizialmente viene presentata una introduzione sul settore orafo in Italia, sulle sue
caratteristiche e sugli attori coinvolti, oltre che sulla crisi che attanaglia questo settore e
sulle possibili vie d‘uscita.
Dal quarto paragrafo entriamo direttamente nel caso di studio analizzando le
caratteristiche del distretto valenzano, che lo differenziano dagli altri due grandi distretti
orafi italiani, Arezzo e Vicenza: il distretto di Valenza è basato sulla manodopera, su
una tradizione secolare e su una miriade di piccole imprese che collaborano e svolgono
fasi della produzione specializzate. Il ruolo più importante è svolto dalle imprese, dagli
istituti di formazione e dai due consorzi che operano sul territorio. Il distretto di Valenza
è stato anche protagonista di alcuni progetti di rinnovamento, come quello chiamato
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―dal distretto alle catene del valore allungate‖, che ha permesso una espansione verso
l‘esterno (soprattutto verso il distretto del design milanese) e ha creato un varco in
quella chiusura a cui era soggetto il distretto da molti anni. Proprio da qui partiremo per
giungere ad una analisi più approfondita dei processi di trasferimento della conoscenza
nel distretto.
Nell‘ultimo capitolo si tirano le somme di quanto detto e vengono applicati al distretto
valenzano i modelli analizzati nei precedenti capitoli, quello della conoscenza
tecnologica localizzata e quello del distretto marshalliano: quella che ne deriva è la
conferma che il distretto di Valenza sia un tipico caso di distretto marshalliano, in cui
l‘atmosfera industriale permea l‘ambiente interno, le imprese, la comunità locale in un
processo in cui la città e il sistema produttivo diventano un tutt‘uno. Inoltre il distretto è
anche un laboratorio cognitivo dove avvengono processi di trasferimento della
conoscenza tipici dei sistemi locali, con una prevalenza di conoscenza tacita, ma anche
forme di apprendimento collettivo grazie all‘azione delle istituzioni e dei consorzi.
Proprio grazie ad essi e al processo di graduale apertura verso l‘esterno, il distretto può
venire a contatto con nuove forme di conoscenza esterna che, attraverso processi di
ricombinazione, possono generare innovazioni e permettere l‘uscita da una situazione di
crisi che da anni soffoca il distretto.
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CAPITOLO I
L’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA: UNA
IMPOSTAZIONE TEORICA
Introduzione
Questo capitolo si propone di gettare le basi teoriche per uno studio della conoscenza
identificandone la sua comparsa nel pensiero dell‘uomo, per poi entrare a far parte del
dibattito economico. Moltissimi autori hanno elaborato modelli e teorie sulla
conoscenza e il confronto è stato fervido. In questa prima parte del lavoro vedremo in
dettaglio i modelli principali della conoscenza, dopo averne analizzato le caratteristiche
generali e peculiari.
Il capitolo è strutturato come segue: nel primo paragrafo affronteremo la nascita
dell‘economia della conoscenza come disciplina nata dallo sviluppo dell‘economia
dell‘innovazione, anch‘essa di recente formazione grazie ai contributi di Abramovitz e
Solow; nel secondo paragrafo verranno evidenziate alcune questioni relative alla
knowledge governance per iniziare a comprendere quanto la conoscenza, a livello
economico, differisca dagli altri beni e quali questioni emergano dal suo studio; nel
terzo paragrafo verranno analizzate le caratteristiche della conoscenza e in che modo
esse siano state attribuite ad essa nel tempo; ci addentreremo poi nei modelli della
conoscenza, partendo da quello arrowiano della conoscenza come bene pubblico, fino
ad arrivare al modello della conoscenza tecnologica localizzata. Infine negli ultimi due
paragrafi analizzerò il ruolo della conoscenza esterna e il processo di nascita
dell‘innovazione.
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1.1. Dall’economia dell’innovazione all’economia della conoscenza
L‘economia della conoscenza si sviluppa all‘interno dell‘economia dell‘innovazione,
una disciplina alquanto recente che nacque grazie ai contributi di Moses Abramovitz1
(1956) e Robert Solow2 (1957) in due articoli in cui gli autori si interrogano su quale
siano i fattori che generano un aumento dell‘output non direttamente riconducibile a un
aumento dei fattori di produzione.
In particolare, Solow afferma che nel periodo tra il 1900 e il 1949, più del 40% della
crescita di lungo periodo del prodotto nazionale degli Stati Uniti non era spiegabile con
un aumento dell‘input tradizionali, capitale e lavoro, ma era dovuto ad altri fattori quali
le infrastrutture disponibili, ma anche e soprattutto le competenze accumulate. Questo
fu il primo passo verso una considerazione in termini economici della conoscenza, vista
da questo momento come input per la produzione.
Lo stesso Solow diede una spinta ulteriore in questa direzione, ridefinendo la funzione
di produzione da Y = (K
α
L
β
), a Y = A(t) f (K
α
L
β
), in cui A rappresenta la variabile
dell‘innovazione che varia nel tempo rilevando il progresso tecnologico. Questo
significa che la produzione Y può aumentare anche se K e L restano invariante, qualora
si verifichi un aumento di A.
Fu proprio questo fattore a diventare negli anni, come vedremo, elemento di numerosi
studi e ipotesi.
Inizialmente il fattore tecnologico venne considerato come una ―manna‖ proveniente
dall‘alto, in quanto si pensava che fosse compito degli scienziati formulare nuove idee
che venissero successivamente apprese e applicate dalle imprese: il cambiamento
tecnologico era considerato un elemento esogeno, proveniente dall‘esterno, o meglio
dall‘alto, imprevedibile e in grado di alterare l‘equilibrio economico.
Successivamente gli studiosi si resero conto che il cambiamento tecnologico non era
solo il risultato di un processo top-down, ma poteva anche provenire dal basso,
attraverso un processo bottom-up induttivo; questa idea si diffuse grazie agli studi di
1Abramovitz M. (1956), «Resources and output trends in the United States since 1870», American
Economic Review 46, 5-23.
2
Solow R. (1957) , «Technical change and the aggregate production function», Review of Economics and
Statistics 39, 312-320.
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Polanyi sulla conoscenza tacita cioè la conoscenza scaturita dall‘attuazione fisica di
un‘azione. Analizzeremo in seguito questo concetto.
Con gli studi successivi e la nozione di cambiamento tecnologico localizzato elaborata
da Antonelli3, emerse anche il concetto di conoscenza tecnologica localizzata,
dipendente dalla conoscenza esterna e vincolata alla prossimità tra gli agenti.
Da questi lavori emerse una vera e propria disciplina, l‘economia della conoscenza che
studia i processi di trasferimento, di creazione e le caratteristiche della conoscenza
stessa.
Prima di entrare nel dettaglio dei diversi modelli che si sono succeduti, è utile aprire una
parentesi sui problemi relativi alla gestione della conoscenza a alle sue caratteristiche
fondamentali.
1.2. La knowledge governance
I numerosi studi nell'economia della conoscenza hanno tentato di individuare quali
fossero le caratteristiche peculiari della conoscenza, il suo ruolo, i processi della sua
generazione e la sua gestione.
La produzione e la circolazione della conoscenza non seguono le dinamiche
convenzionali del mercato dei beni e servizi: se in quest'ultimo i prezzi giocano un ruolo
fondamentale per i processi di aggiustamento, per quanto riguarda la conoscenza
esistono alti livelli di incertezza e impossibilità di previsioni certe e diventa difficile fare
previsioni sul processo di ricerca che porta alla creazione di conoscenza, sulla sua
durata, sul suo risultato e sul suo valore economico in quanto il caso ha molta
importanza.
Inoltre gli agenti coinvolti nei processi di creazione e diffusione di conoscenza sono,
come vedremo, molteplici e ognuno di essi è soggetto ad una razionalità limitata e
differisce dagli altri nelle capacità di sviluppare tali processi, oltre a poter attuare
comportamenti opportunistici in alcuni casi.
Come sostiene Antonelli4 le asimmetrie della conoscenza sono intrinseche e le
3Antonelli C. (1995), L’economia dell’innovazione. Cambiamento tecnologico e dinamica industriale,
Laterza, Bari.
4Antonelli C. (2008), Localised Technological Change: Towards the economics of complexity, Routledge.
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informazioni riguardanti la conoscenza sono intrinsecamente limitate (Antonelli, 2008).
La conoscenza può avere un duplice ruolo, di input e di output nella produzione di altri
beni e nella generazione di nuova conoscenza, e questo amplifica il problema: nessuno é
in grado di gestire l'intera gamma di conoscenza necessaria a creare nuova conoscenza e
per questo la conoscenza interna ed esterna diventano complementari nella creazione di
nuova conoscenza, concetto ben espresso nel modello della conoscenza tecnologica
localizzata che analizzeremo nei prossimi paragrafi.
La conoscenza esterna disponibile influenza la quantità di conoscenza che una impresa
può generare: per conoscenza esterna si intende quella conoscenza prodotta da altre
imprese che esse non sono in grado di trattenere completamente o che desiderano
condividere. Si tratta di un processo interattivo e dinamico.
La conoscenza esterna é fondamentale e porta con sé ulteriori riflessioni, come quelle
sul free riding, cioè la non escludibilità dall‘utilizzo di un bene. L'esclusione é
pericolosa a causa del rischio della mancanza di input complementare rilevante, che
caratterizza la creazione di nuova conoscenza.
In tale contesto, in cui l'organizzazione della generazione e dell'uso di conoscenza sono
influenzate da una varietà di problemi economici -come i costi di transazione, i costi di
agenzia e di comunicazione- l'identificazione, la creazione e l'adozione di adeguate
istituzioni per il governo e la generazione di conoscenza diventano sempre più
necessarie per risolvere i problemi legati alla corretta definizione dei meccanismi di
incentivo e della selezione delle aree in cui investire nuove risorse.
Un passo avanti in questa linea di analisi consiste nella comprensione del carattere
localizzato della conoscenza tecnologica e il ruolo chiave dei processi di apprendimento
localizzati in questo contesto.
La nozione di conoscenza tecnologica localizzata rende possibile mettere l'accento sul
ruolo della conoscenza come un prodotto di congiunzione dell'economia e dell'attività di
produzione. Gli agenti apprendono come, quando, dove e cosa soprattutto grazie alle
loro esperienze accumulate nelle routine giornaliere. L'introduzione di nuove tecnologie
é fortemente vincolata dall'ammontare di competenze ed esperienza accumulate grazie
ai processi di apprendimento in procedure tecniche e contestuali specifiche5 (Antonelli
1999).
5
Antonelli, C. (1999a), The microdynamics of technological change, Routledge, London.
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Gli agenti in questo approccio, possono generare nuova conoscenza solo in limitati
campi e settori in cui hanno acquisito un livello sufficiente di competenze. A causa
dell'indivisibilità della conoscenza, nessun agente può produrre nuova conoscenza da
solo: la conoscenza esterna é strettamente necessaria. É chiara la complementarietà tra
l'apprendimento e altri fattori di input sia interni come laboratori di R&S sia esterna.
La conoscenza tecnologica è la condizione primaria affinché reazioni creative abbiano
luogo con successo. Quando le imprese hanno accesso alla conoscenza tecnologica e
possono produrla con facilità, il mismatch tra i piani e le attuali performances può essere
colmato dall'effettiva introduzione di una nuova innovazione tecnologica: i costi di
innovazione saranno minori di quelli di conversione.
Quando invece l'accesso alla nuova conoscenza tecnologica é difficile e di conseguenza
la generazione di nuova conoscenza é costosa o addirittura impossibile, le imprese si
affidano ai più tradizionali processi di conversione e non riescono a produrre reazioni
creative.
La conoscenza tecnologica assume diverse forme, é il risultato di diversi processi,
mostra il suoi effetti in una larga varietà di contesti ed é soggetta a molte condizioni.
L'identificazione delle sue differenti forme e caratteristiche e la loro sistematica
valutazione in un singolo frangente sono gli obiettivi primari dell'economia della
conoscenza come disciplina. Negli ultimi decenni si é sviluppata una serie di
meccanismi di governo della conoscenza: i confini tra il sistema di ricerca pubblico e il
resto del sistema economico sono cambiati molto nel XX secolo. La interpenetrazione
tra ricerca accademica e privata é cresciuta, molto spesso sovvertendo le tradizionali
relazioni. Sempre più Università e centri di ricerca pubblica brevettano i risultati delle
loro ricerche e forniscono un servizio knowledge intensive alle imprese private su base
contrattuale. Sono entrate nel mercato come fornitori di conoscenza. Le grandi imprese
continuano a finanziare attività di R&S, ma svolgono in percentuali minori attività di
ricerca intra muros nei loro laboratori, affidandole a centri di ricerca accademica. I
laboratori di ricerca pubblici, inclusi quelli accademici, diventano sempre più il luogo
della ricerca; all'interno del settore economico si diffondono una varietà di forme ibride
di gestione della conoscenza lontane dalle transazioni di mercato pure e dalla
coordinazione gerarchica: le dicotomie tradizionali tra Stato, enti e mercato sono
sempre più inutili.
La letteratura empirica ha identificato una varietà di forme del governo della
14
conoscenza basate si forme ibride di transazioni coordinate dai contratti a lungo termine
all'integrazione quasi verticale, dalle comunità epistemiche ai distretti tecnologici e dai
patent thicketing ai capital venture.
La conoscenza tecnologica é l'oggetto di una varietà di forme di interazione e
transazione in contesti differenti e mercati diversi già collegati.
La nozione di knowledge governance, definita come un insieme di istituzioni, strategie
corporative, tipi e forme di transazioni che caratterizzano e definiscono l'organizzazione
della produzione, scambio e uso di conoscenza nel settore economico, é il risultato di
questa ricerca.
1.3. Le caratteristiche della conoscenza
Quasi tutti i modelli che cercano di analizzare la conoscenza tecnologica attribuiscono
ad essa alcune caratteristiche: le più utilizzate sono il grado di tacitness, l‘indivisibilità,
la complementarietà, la non rivalità e l‘appropriabilità. Consideriamole in dettaglio.
1.3.1. Grado di tacitness
La conoscenza si può definire altamente tacita quando si trova ad essere fortemente
vincolata alle persone e organizzazioni e non può essere trasmessa facilmente a terzi.
Talvolta è possibile identificare gli elementi base di tale conoscenza ed esprimerli in
codici basilari: la conoscenza può essere codificata quando é stata completamente
tradotta in un consistente codice ed é stata trovata una lingua appropriata per esprimerla.
Tuttavia, anche la conoscenza codificata può avere un certo grado di tacitness: anzi,
possiamo affermare che non esiste una conoscenza totalmente codificata; anche per la
conoscenza codificata servono sforzi di assorbimento e assimilazione qualora venga
trasmessa tra individui e organizzazioni. La nozione di distanza cognitiva tra gli agenti
gioca qui un ruolo chiave: il grado di comunanza tra gli agenti, in termini di codici
condivisi e linguaggio, interagisce con il livello di tacitness della conoscenza.