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Introduzione
Musica e cinema sono due arti che da sempre sono state strettamente
connesse fra loro. Infatti già a partire dal 1896 vi sono testimonianze
sulla presenza della musica nel cinematografo, anche se in origine essa
era usata per finalità pratiche (coprire il rumore del proiettore) o
psicologiche (annullare l‟inquietudine prodotta dall‟immagine
cinematografica muta). In questi primissimi anni di vita del cinema si
badava generalmente poco a quale tipo di accompagnamento musicale
dare al flusso visivo: bastava che ci fosse musica, non importava di quale
tipo o di che stile. Ovviamente vi erano delle eccezioni, anche importanti,
ma spesso il compito di “accompagnare” un film era affidato ad un
pianista e al repertorio di brani da questo conosciuto. Ben presto però si
comprese la reale importanza che la musica poteva svolgere in un‟arte
cinematografica che negli anni ‟30 il teorico Béla Balázs definì
tridimensionale.
L‟uomo non percepisce mai la realtà con un solo
organo di senso. Le cose che soltanto vediamo, che
soltanto udiamo, ecc., non hanno per noi carattere di
realtà tridimensionale. La musica nel film (…) crea in
un certo senso la terza dimensione.1
Ma il passo fondamentale, verso la concretizzazione di una vera e propria
interazione audiovisiva, venne effettuato dal grande teorico e regista
russo Sergej M. Ejzenštejn che ne Il futuro del sonoro. Dichiarazione, un
1
SIMEON ENNIO, Manuale di Storia della Musica nel Cinema, Rugginenti editore,
Milano, 2006.
4
manifesto firmato anche da Pudovkin e Aleksandrov, dichiarò la
necessità di impiegare in modo contrappuntistico il suono rispetto
all‟immagine al fine di creare una non coincidenza tra immagine visiva e
immagine sonora. Lo stesso regista diversi anni dopo porterà a termine
questa sua concezione contrappuntistica con la teorizzazione del famoso
montaggio verticale2, di cui uno dei concetti fondamentali era l‟esigenza
– per l‟accompagnamento musicale di un brano filmico – di non
raddoppiare sterilmente la “voce” del visivo in un andamento melodico
di stampo imitativo o di sostegno, ma di sottolineare con un apporto
autonomo un nuovo messaggio. Con la “Corazzata Potemkin” (1926), ad
esempio, Ejzenštejn si adopera per definire un punto di svolta, che porti
“ad una nuova sfera, quella del film sonoro, i cui veri modelli presentano
una fusione di immagini musicali e visive, che ne fanno opere fondate su
di una unità audiovisiva”3, in cui la musica esprima la sua capacità “di
aggiungere mediante un contesto emozionale, tutto ciò che non è
esprimibile con altri mezzi”4.
Molti registi hanno cercato di concretizzare questo contrappunto
audiovisivo ejzenštejniano nelle loro opere, alcuni mediante l‟uso di
musiche originali ed altri sfruttando musiche di repertorio. Tra questi
ultimi possiamo citare i nostri Pier Paolo Pasolini, dove ad esempio in
Accattone (1961) la musica di Bach sottolinea la violenza e la brutalità
della lotta di due uomini nella polvere, sullo sfondo delle baracche
2
EJZENŠTEJN S., Forma e tecnica del film e lezioni di regia, Torino, 1964.
3
EJZENŠTEJN S., ibid.
4
EJZENŠTEJN S., La natura non indifferente, Venezia 1992.
5
romane, producendo così una demistificazione del ruolo elitario della
musica classica, e Luchino Visconti, dove la musica di repertorio è
spesso utilizzata con funzione storica. A questi possiamo aggiungere il
francese Jean-Luc Godard, nelle cui opere è rintracciabile un uso
particolare della musica classica in quanto essa è presente in maniera
spezzettata e ne usa i vari frammenti come tessere di un mosaico
audiovisivo, e il newyorkese Woody Allen, che fa di un colto utilizzo
della musica di repertorio uno degli elementi cardine per la realizzazione
di quella comicità che lo ha reso celebre in tutto il mondo. Ma il regista
in cui l‟arte cinematografica si evolve da “arte del visibile in arte del
visibile e dell‟udibile”5 è Stanley Kubrick.
Nella filmografia di questo regista, la musica al pari delle immagini si
trova a “lavorare” nel film come una componente attiva ed organica, che
possa sostenere e rafforzare la forza delle visioni e creare con lo
spettatore un rapporto di comunicazione sia logico-razionale che
extrasensoriale. Difatti, i messaggi estetici e informativi dei suoi film
mirano a comunicare su un livello emotivo subcosciente, verso aree del
sensibile e della realtà peculiarmente inaccessibili alla parola, nelle quali
immagini e suoni godono di una posizione privilegiata. E proprio per
ottenere ciò, sfugge ai codici narrativi tradizionali concentrando la
propria attenzione su una dialettica che intersechi immagini e suoni,
5
BASSETTI SERGIO, La musica secondo Kubrick, Lindau, Torino, 2002, p. 29.
6
lasciando solo in secondo piano le parole. A tal proposito lo stesso regista
afferma:
Credo che il pubblico che assista a un film o a un
lavoro teatrale si trovi in una condizione assai simile al
sogno, e che l‟esperienza del dramma si trasformi in
una sorta di sogno controllato; ma il punto essenziale è
che il film comunica a livello subconscio, e il pubblico
risponde alla struttura elementare della storia su un
livello subcosciente, come se rispondesse a un sogno.6
In Kubrick dunque musica e immagini nascono l‟una dall‟altra, vivono in
simbiosi: dalle immagini scaturisce la musica e nella musica prende
forma l‟immagine, attraverso un‟evoluzione continua che ci proietta in
un vortice di emozioni che rende un “semplice” film una vera e propria
opera d‟arte.
La tesi prende in considerazione l‟intera filmografia kubrickiana, ma a
differenza della vastissima bibliografia che ne guarda l‟opera sotto i più
vari punti di vista, in questa ci si focalizzerà l‟attenzione esclusivamente
sull‟aspetto musicale analizzato attraverso la lente di un musicista.
Mi congedo da questa introduzione riportando le seguenti parole di Luigi
Pirandello:
Bisogna che il cinema si liberi della letteratura, per
trovare le sue espressioni vere e allora compirà la sua
vera rivoluzione. Lasci la narrazione al romanzo e
lasci il dramma al teatro. La letteratura non è il suo
6
WEINRAUB B. (a cura di), Kubrick tells what makes Clockwork orange click, The New
York Times, 4 gennaio 1972.
7
proprio elemento, il suo proprio elemento è la musica
[...]. S‟immerga tutto nella musica, ma non nella
musica che accompagna il canto; il canto è parola [...].
Io dico la musica che si esprime con i suoni e di cui
essa, la cinematografia, potrà essere il linguaggio
visivo.7
7
PIRANDELLO LUIGI, Se il film parlante abolirà il teatro, in Calendoli G., Cinema e
teatro, Roma, Bianco e Nero, 1957.
8
Stanley Kubrick:
analisi di un contrappunto audiovisivo
La cosa migliore, in un film, è quando le
immagini e la musica creano l‟effetto.
La lingua, quando è utilizzata, deve certo
essere più intelligente e immaginosa che si può,
ma mi interesserebbe molto fare un film senza parole.
Si potrebbe immaginare un film dove le immagini e
la musica fossero utilizzate in modo poetico o musicale,
dove si avesse una serie di enunciati visuali impliciti
piuttosto delle esplicite dichiarazioni verbali.
Nessuno ha mai fatto un film importante
dove questi aspetti unici dell‟arte cinematografica
siano il solo mezzo di comunicazione.
Pure, le scene più forti, quelle di cui ci si ricorda,
non sono mai scene in cui delle persone si parlano,
ma quasi sempre scene di musica ed immagini.
Stanley Kubrick 8
Stanley Kubrick: primi contatti con la musica
In un arco di tempo pari quasi a un cinquantennio si sviluppa la vita
artistica di Stanley Kubrick.
Nato il 26 luglio 1928 a New York nel quartiere del Bronx, primogenito
di una famiglia ebraica americana di origine mitteleuropea a cui si
aggiungerà sei anni dopo la sua nascita la sorella Barbara, a soli ventitré
anni esordisce nel mondo del cinema con un cortometraggio
documentaristico dal titolo Il giorno del combattimento.
Fin dall‟infanzia la carriera scolastica di Kubrick venne piuttosto
trascurata o per lo più relegata a mero dovere sociale. Ciò che apprese in
quegli anni aveva poco a che fare con la cultura accademica, ma molto
8
WALZER A. , Stanley Kubrick Directs, New York, Harcourt Brace Jovanovich 1971.
9
con le attività integrative della scuola e con l‟esperienza della strada.
Introdotto all‟età di dodici anni al gioco degli scacchi dal padre,
appassionato jazzista al punto di inseguire il desiderio di diventare
batterista professionista, scoprì l‟amore per la fotografia quando a tredici
anni gli fu regalata la prima macchina fotografica, una Graflex.
Per quanto concerne la formazione musicale di Kubrick è corretto
accennare ad alcuni episodi della sua vita.
I giovani newyorkesi degli anni Quaranta avevano varie opzioni per il
doposcuola, ma le più gettonate erano lo sport e la banda musicale.
L‟attività sportiva non era il settore che esprimeva meglio il talento di
Kubrick e, come scrive il suo compagno di classe Fred Slettner, nel
Bronx a quell‟età bisognava essere „forti‟ in qualche cosa se si voleva
essere notati da qualche ragazza:
Stava cercando di entrare nel gruppo degli atleti, che
erano le massime star della scuola, e anche tra i
musicisti della band, che erano le seconde star della
scuola. Il più gettonato era il suonatore di trombone.
Voleva bazzicare con le ragazze pon-pon, perché tutti
bazzicavano con le ragazze pon-pon….Lui era quello
che oggi si definirebbe una specie di „nerd‟… Era un
rompiballe con la sua macchina fotografica, dava
sempre fastidio alla gente e faceva continuamente
fotografie. E ricordo che molte di queste persone non
10
volevano farsi fotografare… Non era uno socialmente
integrato.9
Dopo alcune lezioni di acquerello il „nerd‟ Kubrick provò a suonare con
l‟orchestra della William Howard Taft School, una sorta di banda
composta da sessanta elementi di cui il futuro regista era un non
eccellente percussionista. Questa esperienza fu importante poiché lo
condusse al primo contatto con la musica classica. Il clarinettista di
quella banda era un certo Robert Saldelman che lo ricorda con queste
parole:
Stanley era un ragazzo molto tranquillo. Veniva alle
prove con una macchina fotografica 35 mm appesa al
collo, il che era piuttosto insolito perché in quegli anni
non era da tutti avere una macchina fotografica.
Suonava le percussioni con sguardo assente e
trasognato come se non fosse li con noi. Molto spesso il
sig. Feldman, il direttore d‟orchestra, lo esortava a
tenere il tempo. Perdeva il tempo e non era esattamente
con noi, era da un‟altra parte. Pensavamo che la sua
unica divorante passione fosse la fotografia e non
tenere il tempo nell‟orchestra. Non era molto bravo
eccetto quando si concentrava, allora andava bene.10
La svolta avvenne quando assieme all‟amico clarinettista appena citato e
ad altri ragazzi formò la Swing Band del Taft. Il loro repertorio
9
LO BRUTTO Vincent, Stanley Kubrick: l’uomo dietro la leggenda, Il Castoro, Milano,
1999, p. 43.
10
WALZER A., Stanley Kubrick directs, op. cit., p. 25.