Seguirà l’analisi della prestazione di lavoro all’interno del contratto di formazione
lavoro, soffermandoci sulle problematiche collegate: patto di prova, numero di
assunzioni, durata, titolo di studio, orario, ferie, riposo, retribuzione, accessori e
conversione.
Apposito capitolo sarà dedicato all’imposizione fiscale sul reddito da lavoro
dipendente, alla previdenza ed all’estinzione del contratto di formazione lavoro, in
cui saranno trattati istituti quali malattia professionale, maternità, computo
dell’anzianità di servizio, risoluzione ante tempus, cassa integrazione guadagni e
disoccupazione.
L’analisi si conclude con una rassegna delle modifiche recenti e delle proiezioni
future dell’istituto oggetto della nostra ricerca, tra i quali assume particolare
rilievo la ricerca di una stabilizzazione “dinamica” dell’utilizzo del contratto di
formazione lavoro.
CAPITOLO PRIMO
LE ORIGINI E LE FONTI DEL C.F.L.
SOMMARIO
1. L’INTRODUZIONE E DISCIPLINA DELL’APPRENDISTATO COME ANTECEDENTE LOGICO TEMPORALE
DEL C.F.L..- 2. L’ORIGINE DELLA NORMATIVA SUL C.F.L., IN ALTRE PAROLE LA L. 1° GIUGNO 1977, N.
285.- 3. LE NOVITA’ IN TEMA DI FORMAZIONE PROFESSIONALE NELLA L. 25 MARZO 1983, N. 79 ED IL
SUCCESSO DEL C.F.L..- 4. LA L. 19 DICEMBRE 1984, N. 863 IN TEMA DI SOSTEGNO ED INCREMENTO DEI
LIVELLI OCCUPAZIONALI REALIZZATI ATTRAVERSO L’UTILIZZO DEL C.F.L..- 5. L’EVOLUZIONE DELLA
NORMATIVA NELLA L. 19 LUGLIO 1994, N. 451. LA FORMAZIONE PROFESSIONALE COME STRUMENTO DI
PROMOZIONE DELL’OCCUPAZIONE.- 6. LA FORMAZIONE PROFESSIONALE NELLA POLITICA ATTIVA DEL
LAVORO IN RELAZIONE AGLI APPORTI INNOVATIVI DELLA L. 24 GIUGNO 1997, N. 196.- 7. L. 17 MAGGIO
1999, N. 144, MISURE IN MATERIA DI INVESTIMENTI, DELEGA AL GOVERNO PER IL RIORDINO DEGLI
INCENTIVI ALL’OCCUPAZIONE E DELLA NORMATIVA CHE DISCIPLINA L’I.N.A.I.L., NONCHE’
DISPOSIZIONI PER IL RIORDINO DEGLI ELEMENTI PREVIDENZIALI.- 8. IL MERCATO DEL LAVORO.- 9. IL
PROGETTO DI FORMAZIONE.- 10. IL CONTENUTO DEL PROGETTO DI FORMAZIONE.- 11 LA SPECIALITA’
DEL C.F.L..- 12. LA FORMAZIONE PROFESSIONALE.
PAR.1.1 L’INTRODUZIONE E DISCIPLINA DELL’APPRENDISTATO
COME ANTECEDENTE LOGICO TEMPORALE DEL C.F.L..
La formazione professionale dei giovani si è geneticamente basata su di uno dei
più antichi rapporti di lavoro “speciali” conosciuti ed utilizzati, fin dall’età delle
corporazioni d’arti e mestieri, ovvero il rapporto di tirocinio o apprendistato
1
.
Tale rapporto è definito dall’art. 2 della l. 19 gennaio 1955, n. 25
2
, come: “Uno
speciale rapporto di lavoro, in forza del quale il datore di lavoro ha il dovere di
impartire o fare impartire, nella sua impresa, all’apprendista assunto alle sue
dipendenze, l’insegnamento necessario a conseguire la capacità tecnica per
diventare lavoratore qualificato, utilizzandone l’attività nell’impresa medesima”.
In passato, l’apprendistato era visto come l’insegnamento che il soggetto chiedeva
al principale e che questi si obbligava a fornire in cambio di un corrispettivo
pagato dal tirocinante.
Con il r.d.l. 21 settembre 1938, n. 1906, sulla disciplina dell’apprendistato, si usa
per la prima volta tale termine per indicare il rapporto che comporta l’obbligo per
il datore di lavoro di “fargli acquisire una professionalità e di retribuire le
prestazioni dell’apprendista”.
1
MELE, Il contratto di formazione e lavoro, piano straordinario per l’occupazione giovanile, Giuffrè, Milano,
1995, 5-10.
PAGANO, Il contratto di formazione e lavoro, in PAGANO, Il contratto di formazione e lavoro fra
legislazione e contrattazione. Normativa nazionale e normativa regionale siciliana: Atti del Convegno di
Catania, 24-25 novembre 1989, Giuffrè, Milano, 1991, 21-32. FANELLI, Il controllo giudiziale sul contratto
di formazione e lavoro, in PAGANO, Il contratto di formazione e lavoro fra legislazione…, 127- 133.
2
L. 19 dicembre 1955, n. 25, pubblicata in GAZZETTA UFFICIALE 14 febbraio 1955, n. 36.
Si veda anche il commento di ARRIGO’, L’intervento pubblico contro la disoccupazione giovanile in Italia,
in AA. VV., L’occupazione giovanile, Giuffrè, Milano, 1983.
La disciplina del contratto d’apprendistato è contenuta negli artt. 2130-2134 c.c.,
nella l. 19 gennaio 1955, n. 25 (disciplina dell’apprendistato) e relativo
regolamento d’esecuzione, nella l. 2 aprile 1968, n. 424, nella l. 28 febbraio 1987,
n. 56, nella c.d. l. Treu del 24 giugno 1997, n. 196
3
, nel d.m. 8 aprile 1998,
nonché, da ultimo, nel d.m. 20 maggio 1999
4
.
L’apprendistato rientra nei rapporti speciali di lavoro giacché si ritiene che la
giovane età dell’apprendista sia una causa di sotto protezione sociale
5
.
Fino a qualche anno fa tale rapporto di lavoro sembrava essere in declino, infatti,
era utilizzato solo in pochi rapporti di lavoro, ad esempio l’artigianato, poiché era
venuta meno sia la funzione sociale dell’apprendistato nell’industria tradizionale,
visto il contenuto professionale povero dell’apprendista, sia anche nell’industria
tecnologica, siccome il contenuto professionale qui richiesto era elevato ed era,
quindi, tale da non giustificare la presenza dell’apprendista.
Alla luce della normativa poc’anzi menzionata, e con l’intento di favorirne una
ripresa attraverso incentivi e sgravi contributivi
6
per datori di lavoro che lo
utilizzeranno, schematicamente possiamo evidenziare che il legislatore prevede
3
Nella l. 24 giugno 1997, n. 196, l’APPRENDISTATO è disciplinato all’art. 16, ma tale articolo è stato di
recente modificato dal d.l. 1° luglio 1999, n. 214, pubblicato in GAZZETTA UFFICIALE 2 luglio 1999, n.
153. La modifica praticamente attiene alle agevolazioni contributive inerenti all’obbligo formativo che ricade
sul datore di lavoro. Tali agevolazioni scatteranno solo per i contratti di apprendistato stipulati dopo il 19
luglio 1999.
4
D.M. 20 maggio 1999, pubblicato in GAZZETTA UFFICIALE 15 giugno 1999, n. 138.
5
GHERA, Diritto del lavoro, Cacucci, Bari., 1996, 327-332.
SCOGNAMIGLIO, Formazione e lavoro, in PAGANO, Il contratto di formazione e lavoro fra legislazione…,
243-249.
che: 1) l’aspirante apprendista deve iscriversi in appositi elenchi presso l’ufficio
di collocamento, a cui poi si rifaranno le imprese; 2) il numero di apprendisti
occupabili in un’azienda non deve superare il numero dei lavoratori dipendenti
effettivi, e se il numero di lavoratori dipendenti sia qualificati che specializzati è
inferiore alle tre unità, non si possono assumere apprendisti in misura superiore a
tre unità; 3) il rapporto di lavoro è possibile solo dopo autorizzazione della
Direzione Provinciale del lavoro e dei Servizi Ispettivi; 4) gli apprendisti da
assumere sono solo quelli reperiti attraverso l’Ufficio di collocamento mediante
assunzione nominativa e solo dopo un accertamento sanitario della idoneità fisica
al particolare lavoro da svolgere; 5) l’età dell’apprendista va dai 16 ai 24 anni, 26
anni al sud. Nel settore dell’artigianato i c.c.n.l. possono elevare i limiti di età fino
al 29° anno di vita; 6) la durata massima non può superare i 4 anni, mentre la
minima è di 18 mesi; 7) l’apprendista non può svolgere lavori troppo gravosi, ne’
può essere adibito a mansioni non consone alla specialità professionale per cui è
assunto; 8) è vietata la retribuzione a cottimo (art. 36 Cost.); 9) le ferie non
possono essere meno di 30 giorni per i minori di anni 16 e di 20 giorni per gli
altri.
Proprio la legge Treu amplia la fascia di età e le caratteristiche dei giovani che
possono essere assunti come apprendisti potenziando il momento formativo da
svolgere all’esterno dell’azienda
7
.
6
In materia di incentivi per l’utilizzo del contratto di apprendistato si può fare rinvio a quanto di recente
disciplinato nella L. 17 maggio 1999, n. 144, in G.U. 22 maggio 1999, n. 118, s.o..
7
GAROFALO, Giovani e lavoro, in DPL, 1997, 2102-2119.
Da ultimo il d.m. 20 maggio 1999
8
ha individuato, ottemperando ai principi della
l. 17 maggio 1999, n. 144
9
, sia i contenuti dell’attività formativa degli apprendisti,
sia delle linee guida per le Regioni al fine di garantire una programmazione
coerente delle attività formative.
Proprio alle Regioni, il legislatore ha delegato il dovere di proporre le iniziative
formative alle aziende, che per beneficiare delle agevolazioni contributive sono
obbligate ad inviarvi gli apprendisti
10
.
Visto tutto ciò il rapporto di lavoro dell’apprendista rientra nella disciplina del
lavoro subordinato come la specie nel genere
11
.
Va da sé che l’apprendistato è ictu oculi l’antecedente logico temporale per cui si
è giunti all’introduzione nel nostro ordinamento giuridico del contratto di
formazione e lavoro
12
(da ora in poi: c.f.l.).
ROCCELLA, C.f.l. e apprendistato nella l. 196/1997, in DPL, 1997, 2575
ROCCELLA, I rapporti di lavoro atipici in Italia dall’Accordo tripartito del 23 luglio 1993 alla legge
196/1997, in RGL, 1998, 3 e ss..
8
SANTARELLI, Apprendistato: l’equilibrio tra formazione interna ed esterna, in GL, 1999, XXV, 14-15.
9
Va ricordato che proprio tale legge con l’art. 69, oltre a tracciare il percorso formativo che consente
all’apprendista di assolvere al c.d. “obbligo formativo”, ha articolato in due parti il “nuovo contratto di
apprendistato”: una parte quella esterna alla azienda, ed una interna affidata ad un tutor.
10
Tale potere è derivato ex D.L. 27 luglio 1999, n. 214, che ha modificato l’art. 16, 2° comma, della l. 24
giugno 1997, n. 196. Per una sintesi cronologica delle normative de quibus: BONATI, Apprendisti: alle
Regioni il compito di proporre le iniziative formative, in GL, 1999, XXXII-XXXIII, 36-38.
11
LOY, Il contratto di formazione e lavoro, in Il diritto del lavoro dopo la “emergenza”, in AA.VV., Giuffrè,
Milano, 1988, 85-87.
12
OLIVELLI, Il lavoro dei giovani, Giuffrè, Milano, 1981, 234-240.
BALANDI, Occupazione giovanile, in NNDI-Appendice, Torino, 1985, 370.
Molto arduo è individuare dei criteri di differenziazione tra il c.f.l. ed il contratto
di apprendistato, ma la Corte Costituzionale con la sentenza 15 maggio 1990, n.
245
13
, evidenzia che la funzione del primo è di “facilitare l’inserimento dei
giovani nelle occupazioni alle dipendenze di imprese di produzioni in serie, nelle
quali il progresso tecnologico e la connessa evoluzione dell’organizzazione del
lavoro hanno prodotto una frantumazione degli antichi mestieri”, mentre il
secondo “è un mezzo adeguato per l’apprendimento di un mestiere altamente
qualificato esercitabile anche in qualità di lavoro autonomo”.
Sinteticamente il c.f.l. ha una funzione occupazionale, mentre l’apprendistato ha
funzione formativa (anche se oggi nel settore industriale tale figura non ha alcun
rilievo poiché non è più necessario far acquisire, mediante tirocinio, un mestiere).
13
CORTE COSTITUZIONALE 15 maggio 1990, n. 245, in GC, 1990, I, 1509-1515.
PAR.1.2 L’ORIGINE DELLA NORMATIVA SUL C.F.L., IN ALTRE
PAROLE LA L. 1° GIUGNO 1977, N. 285.
L’apprendistato ha svolto una funzione di preparazione professionale ed al
contempo d’inserimento nel mondo del lavoro per i giovani, anche se la
costituzione del rapporto di lavoro può avvenire in modi differenti ed anche se la
formazione professionale può essere impartita dal sistema scolastico.
Tuttavia, l’apprendistato trova il suo elemento di caratterizzazione proprio nel
prevedere la formazione professionale contestualmente al rapporto di lavoro, ed
altresì nel fornire, al termine, una qualifica professionale valida per l’iscrizione
all’ufficio di collocamento.
Il c.f.l. è apparso nel panorama giuridico italiano con l’art. 7 della l. 1 giugno
1977, n. 285
14
(Provvedimenti per l’occupazione giovanile), con una finalità non
dissimile da quella propria dell’apprendistato, anche se quest’ultimo “non ha
rappresentato un reale momento di qualificazione della forza lavoro giovanile
quanto piuttosto uno strumento per potere utilizzare forza lavoro a più basso
costo”
15
.
14
Per una analisi più dettagliata della l. 1° giugno 1977, n. 285, cfr.: GAROFALO-MAZZAMUTO, La legge
sull’occupazione giovanile, in RGL, 1977, I, 845.
BALANDI-TREU-LOY, Commento alla legge 1°giugno 1977, n. 285, Le nuove leggi civili e comm., 1978,
515.
OLIVELLI, Il lavoro dei giovani…, 220 e ss..
15
LAGALA, I contratti di formazione lavoro: una occasione perduta, in Crisi occupazione e legge di
GAROFALO, Cacucci, Bari, 1985, 94.
Con tale c.f.l. si è cercato di risolvere il problema della disoccupazione, in quanto
il legislatore ha pensato che i datori di lavoro non assumessero più, non trovando
nei soggetti la professionalità che a loro invece serviva.
Quindi si è pensato a tale tipologia contrattuale nella quale si configurava uno
scambio: lo stato promuoveva l’occupazione con una serie d’incentivi, ad esempio
con sgravi contributivi, mentre il datore di lavoro assumeva il soggetto e
s’impegnava a formarlo; il giovane, dal canto suo, andava a lavorare in condizioni
peggiori degli altri, però in tal modo poteva acquisire una professionalità
16
.
Tutta la normativa iniziale di tale tipologia contrattuale è altamente intrecciata e
ciò ci dimostra come spostando una norma si viene a spostare il bilanciamento dei
precedenti contrapposti interessi in gioco.
La regolamentazione della l. 1° giugno 1977, n. 285, è stata considerata dai datori
di lavoro troppo severa in vista del maggiore costo retributivo-contributivo del
giovane assunto con c.f.l., della tassatività della assunzione che doveva avvenire
16
PRETURA DI DESIO, 18 marzo 1985, in RGL, 1985, 52. Tale sentenza evidenzia la legittimità di una
flessibilizzazione della durata del contratto di lavoro, tant’è che sottopone i c.f.l. alla disciplina della l. 18
aprile 1962 n. 230.
Per tale materia si rinvia ad ARRIGO’ ED ALTRI, I contratti di formazione e lavoro, Giuffrè, Milano, 1982.
Contrari alla posizione precedente: MARESCA, Il contratto a termine per la formazione dei giovani, in
RIDL, 1984, I, 465.
ROCCELLA, Dagli ultimi accordi collettivi novità per il lavoro a termine, in DPL, 1990, 723.
solo tramite richiesta numerica ed in concreto dalla grande paura di non potersi
liberare del nuovo soggetto assunto alla scadenza del termine contrattuale
17
.
Tale versione del c.f.l. è stata disattesa, infatti, ne è prova che contro i circa
700.000 contratti di apprendistato furono sottoscritti appena 6.000 c.f.l.
18
.
Il legislatore a questo punto corse ai ripari modificando la l. 1° giugno 1977, n.
285, mediante la l. 29 novembre 1977, n. 706, e la l. 4 agosto 1978, n. 479: una
liberalizzazione della procedura del collocamento, ma anche ciò fu insufficiente.
Il nuovo contratto era fondato sull’obbligo per le Commissioni regionali per
l’impiego (da ora in poi: C.R.I.), di fornire l’insegnamento professionale basato su
di un monte ore fissato dalla legge in almeno il 30% della durata complessiva del
contratto stesso (art.8); parimenti si prevedeva l’equiparazione del giovane
lavoratore a quella del lavoratore con contratto a tempo indeterminato facendo
esplicito rinvio alla contrattazione collettiva dei vari settori di inquadramento
professionale. Inoltre, la medesima legge approntava l’istituzione di speciali liste
destinate all’iscrizione dei giovani d’età tra i 15 ed i 22 anni, con l’innalzamento
dell’età ai 29 anni, ed aveva un termine triennale di vigenza, che pertanto ne
chiudeva l’esistenza nel 1980, ma così non fu, poiché, nel 1981 l’art.3-ter della l.
17
DE LUCA TAMAJO, Il contratto di formazione: figura paradigmatica del diritto del lavoro negli anni ’80,
in PAGANO, Il contratto di formazione e lavoro fra legislazione e contrattazione. Normativa nazionale e
normativa regionale siciliana: Atti del Convegno di Catania, 24-25 novembre 1989, Giuffrè, Milano, 1991,
35-49.
BALANDI, Il nuovo contratto di formazione e lavoro, in RIDL, 1986, I, 38-46.
18
ICHINO, Il lavoro a tempo parziale, in Il diritto del lavoro nella emergenza, ARRIGÒ-LOY-ICHINO-
ROCCELLA a cura di, Giuffrè, Milano, 1988.
16 aprile 1981, n. 140, introdusse i “rapporti di formazione e lavoro”
limitatamente alle zone terremotate della Basilicata e della Campania
19
.
Il problema della disoccupazione, che attanaglia il nostro paese, ha consentito di
reiterare tale tipologia contrattuale con successive leggi che, al contrario della l. 1°
giugno 1977, n. 285, ne hanno delineato meglio i confini e che ce lo mostrano
quasi come oggi noi lo conosciamo.
19
LAGALA, I contratti di formazione…, 98-99.
PAR.1.3 LE NOVITA’ IN TEMA DI FORMAZIONE PROFESSIONALE
NELLA L. 25 MARZO 1983, N. 79 ED IL SUCCESSO DEL
C.F.L..
L’insufficiente successo della normativa disciplinante il primordiale c.f.l. ha
spinto il nostro legislatore ad intervenire mediante l’art. 8 del d.l. 29 gennaio
1983, n. 17 (conv. nella l. 25 marzo 1983, n. 79), emanato in ottemperanza agli
impegni assunti dal Governo con il protocollo di intesa del 22 gennaio 1983, il
c.d. Accordo Scotti, che prevedeva per la sola durata di un anno ed in via
sperimentale, la possibilità per i datori di lavoro di assumere giovani con contratti
a termine aventi finalità formative.
Tale intervento legislativo si era reso indispensabile poiché finalizzato
“all’urgente sostegno dell’occupazione giovanile in attività lavorative qualificate”,
e per facilitare ciò, il datore di lavoro non doveva presentare il suo progetto ed era
svincolato da controlli senza alcun pericolo di sanzioni.
Quindi, la l. 25 marzo 1983, n. 79, ha abbandonato il modello della l. 1° giugno
1977, n. 285, tanto che il c.f.l. ha assunto la funzione di mera sostituzione
dell’occupazione normale. Infatti, il datore di lavoro assumeva un lavoratore con
c.f.l., invece che con un normale contratto di lavoro, solo in caso d’effettiva
necessità; la formazione non era più un obbligo per le regioni ma come nel
contratto di apprendistato, tale obbligo ricadeva sul datore di lavoro, ma con la
differenza che non vi erano nè controlli, nè sanzioni, nè possibilità di assunzione
nominativa, nè sgravi di tipo economico.
Tale situazione è stata così clamorosa che ha causato un movimento d’opinione
contrario, poiché si pensava che alla fine tutti avrebbero adottato il c.f.l. con grave
aggravio per l’ormai gravoso deficit pubblico.
Nonostante l’abbassamento delle garanzie che prima erano state concesse ai
giovani lavoratori con la l. 1° giugno 1977, n. 285, i risultati di tale l. 25 marzo
1983, n. 79, sono stati molto soddisfacenti (vi è chi sospetta che il tutto fu dovuto
ad un’emersione del lavoro sommerso, infatti, nell’anno di vigenza della legge,
sono stati stipulati oltre 160.000 contratti a “finalità formative” e tale nuovo
modello rappresenta l’antecedente storico più pregnante del c.f.l., vista la sua
enorme flessibilità in relazione al reclutamento della forza lavoro)
20
.
Il provvedimento legislativo ha avuto un’ampia riuscita grazie anche
all’assunzione nominativa ed alla possibilità d’apposizione di un termine, l’attività
formativa veniva ad essere trasferita alla discrezionalità del datore di lavoro che
da quanto visto era svincolato da ogni tipo di controllo, anche se doveva
approntare (per pura questione di forma) un programma formativo.
In conclusione la l. 25 marzo 1983, n. 79, è piena di luci ed ombre, le prime intese
come aumento del numero di contratti sottoscritti, di flessibilizzazione e
semplificazione, le seconde nel senso della privazione per i giovani assunti
“provvisoriamente” di quelle poche garanzie contrattuali loro accordate con le
leggi precedenti.
20
MARESCA, Il contratto a termine per la formazione dei giovani, in RIDL, 1984, I, 465.
SAETTA, Il contratto con finalità formative tra apprendistato e contratto di formazione, in LPO, 1983, 7,
1267.