Introduzione
Il presente lavoro si propone, con il costante riferimento a documenti
programmatici, di esaminare le variabili macroeconomiche e confrontare, gli
obiettivi previsti, le stime indicate ed il consuntivo raggiunto, in modo da
ottenere uno scenario completo sull’andamento dei conti pubblici in Italia, dal
2002 ai giorni nostri.
Per meglio comprendere il fenomeno dell’evoluzione delle grandezze
macroeconomiche, si darà una panoramica generale riguardo alla produzione
aggregata, allo studio del vincolo di bilancio, e quindi alla relazione che lega il
debito, il disavanzo, la spesa pubblica e le imposte, esaminandone le
conseguenze.
Inoltre, verranno analizzati quali fattori determinano, l’evoluzione nel tempo
della dinamica del rapporto debito/PIL e cosa determina l’accumulazione del
debito pubblico, accennando ad una “ teoria politica” del debito, che si basa
sull’idea di poter stabilire un legame tra grado di stabilità politica, conflitto
distributivo ed evoluzione del debito e dei disavanzi.
Una volta tracciate le linee generali del fenomeno, nel secondo capitolo si
prenderanno in esame i vicoli europei alle politiche di bilancio nazionali, in
particolare i criteri di convergenza stabiliti dal Trattato di Maastricht, che
avrebbero dovuto essere rispettati da quei paesi che aspiravano ad accedere
all’Unione Economica Monetaria, e la politica fiscale e rigorosa che i paesi
europei si impegnavano a seguire, sottoscrivendo il Patto di Stabilità e di
Crescita.
Dal terzo capitolo all’ottavo, l’indagine prosegue con lo studio dei documenti
programmatici e delle Note Mensili dell’ISAE, in modo da ricavare tutti i valori
delle variabili aggregate, al fine di valutare le conferme e gli scostamenti, non
solo tra le previsioni dei diversi organi, ma anche tra gli obiettivi e i risultati
ottenuti, con la conseguente descrizione del quadro macroeconomico di ciascun
anno singolarmente preso.
A conclusione di questo lavoro, nel nono capitolo, verranno posti a confronto
gli esiti di ciascun anno, in modo da delineare la dinamica dei conti pubblici in
Italia degli ultimi sei anni.
CAPITOLO 1
La relazione fra grandezze macroeconomiche
1. Obiettivi della macroeconomia
1.1. La contabilità macroeconomica
Gli economisti che studiavano l’attività economica nel diciannovesimo secolo non
potevano contare su alcuna misura affidabile della produzione aggregata. Per
capire cosa stesse succedendo all’economia nel suo insieme, dovevano unire una
grande quantità di informazioni.
Fu solo alla fine della seconda guerra mondiale che molti paesi iniziarono a tenere
un sistema di contabilità nazionale
1
che avesse precisione e coerenza interna di
alcune misurazioni di variabili economiche.
La teoria macroeconomica moderna si fa risalire al 1936, con la pubblicazione
della Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta di J. M.
Keynes (vedi O. Blanchard, 2006, p. 643) mentre, il periodo che va dai primi anni
Quaranta ai primi anni Settanta può essere considerato l’età dell’oro della
macroeconomia, dove tra i maggiori sviluppi si possono ricordare le teorie del
consumo, dell’investimento, la teoria della crescita. Il dibattito principale degli
anni Settanta ha visto contrapporsi keynesiani e monetaristi, dove i primi
credevano che il progresso della teoria macroeconomica consentisse un controllo
sempre migliore dell’economia, mentre i secondi erano più scettici sulle capacità
del governo di stabilizzare l’economia. Ed è proprio negli anni Settanta che la
macroeconomia attraversò una crisi che ebbe due diverse origini. Fu dovuta, in
primo luogo, al fenomeno della stagflazione, cioè la coesistenza di un’elevata
disoccupazione e di un’elevata inflazione, che sorprese gran parte degli
economisti. La seconda fonte di crisi fu un progresso sul versante teorico, un
piccolo gruppo di economisti, condotto da Robert Lucas, scagliò un potente
attacco al cuore della macroeconomia. L’argomentazione principale di Lucas e
della sua scuola, era che l’economia keynesiana aveva ignorato gli effetti delle
aspettative sul comportamento economico, mentre la via da seguire era assumere
1
Costruire un sistema di contabilità nazionale fu un’enorme conquista intellettuale. I contributi
fondamentali in questo campo sono di economisti insigniti del Nobel: Simon Kuznets,
dell’Università di Harvard che vinse il premio nel 1971 e Richard Stone dell’Università di Oxford
che lo vinse nel 1984.
1
che le persone formassero le loro aspettative nel modo più razionale possibile,
basandosi su tutte le informazioni a loro disposizione.
Gran parte degli anni Settanta e Ottanta furono spesi ad inserire le aspettative
razionali nella teoria macroeconomica (vedi O. Blanchard, 2006, p. 650).
La macroeconomica attuale procede allo studio del sistema economico nel suo
complesso e le relazioni che intercorrono fra variabili aggregate, quali il livello di
produzione dell’intera economia e il suo tasso di crescita, il tasso di
disoccupazione ed il tasso d’inflazione.
1.2. Crescita economica e fluttuazioni
Il benessere degli individui che compongono una collettività dipende da diversi
fattori, ma fondamentali tra questi, sono la quantità e qualità dei beni e servizi, sia
privati che pubblici, disponibili per il consumo. Inoltre, a determinare quantità e
caratteristiche dei beni di consumo prodotti contribuiscono i beni strumentali, sia
pubblici (come le infrastrutture) che privati (come impianti e macchinari delle
imprese)
2
.
Una misura sintetica dell’attività produttiva o della produzione aggregata di un
paese è il PIL, acronimo di prodotto interno lordo, e rappresentato nella
simbologia macro-economica in uso, con Y. Questa variabile rappresenta una
misura del principale fattore di benessere economico per una collettività.
Si può pensare alla produzione aggregata - PIL - in tre modi diversi ( confronta O.
Blanchard, 2006, pp. 32-34), ma equivalenti:
1 Dal lato della produzione, il PIL è uguale al valore dei beni e dei
servizi finali prodotti nell’economia in un dato periodo di tempo;
2 Sempre dal lato della produzione, il PIL è la somma del valore
aggiunto nell’economia in un dato periodo di tempo;
3 Da lato del reddito, il PIL è la somma dei redditi percepiti
nell’economia in un dato periodo di tempo.
Nei confronti internazionali ed intertemporali viene utilizzato il prodotto interno
lordo rapportato alla popolazione del Paese (N), PIL pro-capite (Y/N). Ci sono
due ragioni per concentrare l’attenzione sulla produzione pro capite invece che
2
Vedi B. Bises, 2005, pp. 187-189.
2
sulla produzione aggregata (vedi O. Blanchard, 2006, pp. 211-215), l’andamento
della produzione pro capite di un Paese dà un’idea più chiara del miglioramento
del tenore di vita, inoltre se si confrontano paesi con popolazioni di dimensioni
diverse, occorre normalizzare i dati sulla produzione aggregata per tenere conto di
queste differenze.
La crescita del PIL o del PIL pro-capite, che costituisce un indicatore, per quanto
grezzo e non esaustivo
3
, dell’aumento del benessere di una collettività,
rappresenta uno dei grandi obiettivi dell’azione delle autorità di governo. Con lo
studio della crescita si mette a fuoco l’andamento dell’economia nel corso dei
decenni, analizzando le forze che stanno alla base di tale andamento. Al centro
dell’attenzione sono l’accumulazione del capitale fisico (macchinari, impianti e
infrastrutture), lo sviluppo delle conoscenze tecnologiche, la crescita della
popolazione, l’accumulazione del capitale umano.
L’economia di un Paese presenta variazioni, anche consistenti,da un periodo
all’altro. Il volume dei beni e dei servizi richiesti da famiglie e da imprese del
Paese, domanda interna, e degli altri Paesi, domanda estera, non è costante nel
tempo, e tale variabilità si ripercuote sulla quantità di beni e servizi prodotti,
quindi sulla domanda dei fattori produttivi, capitale e lavoro. Possiamo dire che
l’economia è costantemente colpita da shock all’offerta aggregata, alla domanda
aggregata, o a entrambe. Questi shock possono essere variazioni del consumo
derivanti da cambiamenti della fiducia dei consumatori, variazioni
dell’investimento, oppure possono provenire da cambiamenti di politica
economica, una nuova legge fiscale
4
. Si determina, perciò, nell’arco degli anni, un
ciclo economico, in cui a fasi di crescita della domanda di beni e servizi, della
produzione e della occupazione delle risorse, quindi di espansione economica,
seguono fasi di calo della domanda, della produzione e dell’occupazione, quindi
recessione economica.
3
Confronta B. BIses, 2005, p. 188. Il PIL, infatti, può sottovalutare il valore dei beni e dei servizi
prodotti in quanto non registra le attività economiche che sfuggono alle rivelazioni statistiche
(economia sommersa, attività illegali).
Il PIL, inoltre, non rappresentando una misura esaustiva del benessere di una collettività, va
integrato utilizzando indicatori relativi ad altri elementi che influiscono sul benessere degli
individui, quali condizioni dell’ambiante, grado di sfruttamento delle risorse naturali non
rinnovabili, ecc.
4
Le fluttuazioni economiche sono il risultato di una serie continua di shock all’offerta o alla
domanda aggregata, e degli effetti dinamici di ognuno di questi shock sulla produzione, a volte gli
shock sono talmente gravi, o accadono in circostanze così sfortunate da provocare una
recessione.
3
Queste fluttuazioni delle variabili macroeconomiche hanno rilevanti conseguenze
sul benessere degli individui. Nelle fasi di espansione cresce il prodotto, quindi i
beni a disposizione, cresce l’occupazione, quindi i redditi individuali, e ciò porta
ad un generale aumento nel benessere della popolazione. Ma la pressione della
domanda può generare spinte inflazionistiche, cioè tendenze alla crescita del
livello generale dei prezzi. Nelle fasi di recessione, invece, riduce la produzione,
aumenta la disoccupazione e calo del reddito per molti individui, a cui non sempre
corrisponde una diminuzione dei prezzi dei beni, di conseguenza si ha una
riduzione del potere d’acquisto (confronta B. Bises, 2005, p. 189).
Un altro importante obiettivo dello Stato è la riduzione delle dimensioni delle
fluttuazioni economiche, in modo da diminuire gli effetti negativi sulla
collettività. È condiviso che un mix di politica fiscale di stabilizzazione e
monetaria può aiutare un Paese ad uscire da una recessione, facendo raggiungere
al prodotto nazionale ed all’occupazione livelli di pieno impiego, riducendo al
minimo la quantità di risorse inutilizzate e le pressioni inflazionistiche.
Le politiche statali intendono raggiungere anche un’altra finalità, cioè quella di
attenuare gli effetti negativi, delle fluttuazioni cicliche, sui soggetti più
esposti,proprio attraverso politiche fiscali redistributive.
Tuttavia si discute se sia più conveniente seguire questo tipo di politica economica
attiva, oppure seguire una politica passiva, che prevede un approccio distaccato
rispetto alle fluttuazioni.
A sostegno delle prime abbiamo la necessità di stabilizzazione dell’economia, a
sostegno delle seconde i previsti ritardi degli effetti delle politiche economiche e
gli errori di previsione (vedi O. Blanchard, 2006).
2. Condizione di equilibrio
Perché un sistema economico aperto, cioè aperto agli scambi commerciali con il
resto del mondo, sia in equilibrio, è necessario che l’offerta aggregata sia uguale
alla domanda aggregata, seguendo l’analisi fornita da B. Bises (2005), pp. 190-
191 si possono trarre le seguenti conclusioni.
Per offerta aggregata si intende il volume dei beni e dei servizi prodotti, nel Paese
(Y) oppure all’estero (quindi importati, che possiamo indicare con il termine M), a
4
disposizione degli utilizzatori, famiglie, imprese e settore pubblico, nazionali ed
esteri.
Per domanda aggregata si intende il volume dei beni e dei servizi domandati,
appunto, dai vari utilizzatori, quindi pari alla somma:
1 Della domanda di beni di consumo delle famiglie, C;
2 Della domanda di beni di investimento da parte delle imprese, I;
3 Della domanda di beni sia di consumo che di investimento da parte del
settore pubblico, G;
4 Della domanda di beni di consumo e di investimento proveniente
dall’estero, che va a costituire le esportazioni, che possiamo rappresentare
con il simbolo E.
Possiamo ora rappresentare la condizione di equilibrio con l’equazione:
Offerta aggregata = domanda aggregata
(2) M + Y = C + I + G + E
Riscrivendo equazione (2) in termini di PIL, si ottiene:
(3) Y = C + I + G + (E – M)
In questa scomposizione del PIL, la differenza tra esportazioni ed importazioni
(E – M), è chiamata esportazioni nette, o saldo commerciale (confronta O.
Blanchard, 2006, pp. 380-387). Se le esportazioni eccedono le importazioni, il
Paese registra un avanzo commerciale, se invece le esportazioni sono inferiori alle
importazioni, il Paese presenta un disavanzo commerciale.
Al valore dei beni e dei servizi prodotti nel Paese (Y) corrisponde il valore delle
risorse impiegate nella produzione, e questo è pari alla somma delle
remunerazioni corrisposte ai fornitori di tali risorse, i titolari dei fattori produttivi,
quindi alla somma:
1 Dei redditi di lavoro, RL, al lordo degli oneri previdenziali, assicurativi,
fiscali a carico di lavoratori e datori di lavoro;
2 Dei profitti lordi, П
L
, al lordo degli ammortamenti dei beni strumentali;
5
3 Degli interessi, Int;
4 Delle rendite, Rend.
Per questo motivo, il PIL corrisponde al reddito nazionale lordo (RNL):
(4) Y = RNL = RL + П
L
+ Int + Rend
Dei redditi complessivamente conseguiti dai titolari dei fattori produttivi, la parte
che rimane dopo il pagamento delle imposte (T) - al netto di quanto rientra nelle
disponibilità dei privati grazie ai trasferimenti pubblici da essi ricevuti (TR) –
viene destinata all’acquisto di beni e servizi per il consumo (C) oppure al
risparmio (S).
Il reddito nazionale, viene ripartito fra acquisto di beni di consumo (C), risparmio
(S) e prelievo fiscale netto (T – TR):
(5) Y = C + S + (T – TR)
Dalla combinazione delle equazioni (3) e (5) ne deriva:
(6) C + I + G + (E – M) = C + S + (T – TR)
La quale può essere riscritta come:
(7) I + (G + TR – T) = S + (M – E)
La differenza fra spese pubbliche complessive – produttive (G) e di trasferimento
(TR) – e il prelievo tributario (T) individua il disavanzo pubblico (DISAV) – che
lo Stato deve finanziare indebitandosi – mentre la differenza tra importazioni ed
esportazioni rappresenta l’indebitamento con l’estero.
L’equazione (7) rappresenta la condizione di equilibrio fra domanda di fondi
finanziari, da parte delle imprese private per il finanziamento degli investimenti e
da parte del settore pubblico per la copertura dell’eventuale disavanzo, ed offerta
di fondi, data dalla somma fra risparmio interno – delle famiglie – e risparmio
proveniente dall’estero
( S
M
= M – E).
6
L’equazione (7) può quindi essere riscritta come:
(8) I = S + S
M
– DISAV
La quale dimostra come la quantità di fondi a disposizione per il finanziamento
degli investimenti privati dipenda dal volume di risparmio complessivamente
disponibile e da quanta parte di questo risparmio venga assorbita dal settore
pubblico attraverso l’emissione di titoli del debito pubblico diretta a coprire il
disavanzo del bilancio pubblico.
3. Relazione fra debito, disavanzo, spesa pubblica e imposte
L’evoluzione del debito pubblico in funzione degli interessi, della spesa pubblica
al netto degli interessi e delle imposte, viene descritto dal vincolo di bilancio del
governo, il quale richiede che la variazione del debito sia uguale al disavanzo
primario più gli interessi sul debito.
3.1. Il vincolo di bilancio del governo
Il disavanzo totale del bilancio, o indebitamento netto, è dato dalla differenza fra
totale delle spese e totale delle entrate, con esclusione delle partite finanziarie,
quali concessioni e riscossioni di crediti, in quanto non influiscono sui saldi
economici
5
.
Esso pertanto indica l’entità delle spese non coperte da entrate che quindi lo Stato
è costretto a finanziare indebitandosi.
Il disavanzo primario è la differenza fra le spese, al netto dei pagamenti per
interessi che lo Stato deve corrispondere ai sottoscrittori dei titoli del debito
pubblico, e le entrate: esso indica, quindi, il disavanzo che si avrebbe se il debito
pubblico fosse azzerato e non ci fossero quindi interessi da pagare sul debito
pubblico.
La dinamica del debito e dei disavanzi viene analizzata da B. Bises, (2005), pp.
216-217, in seguito alla quale possiamo mostrare la relazione tra formazione di un
5
La differenza fra totale delle spese finali e totale delle entrate finali, includendo anche le partite
finanziarie, è il fabbisogno, il saldo netto da finanziare.
7
disavanzo di bilancio e creazione di debito pubblico, guardando agli effetti che si
producono, da un incremento della spesa pubblica non coperto da un maggior
prelievo fiscale, sul disavanzo e sul debito pubblico.
Tabella 1
Anni
Entrate
totali
Spese al
netto
degli
interessi
Interessi
Disavanzo
primario
Indebitamento
Netto
Debito
Pubblico
1 2.000 2.000 0 0 0 0
2 2.000 2.200 0 200 200 200
3 2.000 2.200 15 200 215 415
4 2.000 2.200 62,2 200 262.2 677,2
5 2.000 2.000 101,5 0 101,5 778,7
6 2.000 2.000 77,8 0 77,8 856,5
7 2.000 1.914 86 -86 0 856,5
Partendo dalla semplificazione che le entrate totali rimangano costanti per tutti e
sette gli anni, per ciascun anno abbiamo un esercizio finanziario, nel quale
vengono riportati separatamente le entrate totali, le spese totali al netto degli
interessi corrisposti ai sottoscrittori dei titoli del debito pubblico, i pagamenti per
interessi, il disavanzo primario e il disavanzo totale, cioè l’indebitamento netto, ed
infine il volume del debito pubblico.
Nell’anno 1 il bilancio è in pareggio, grazie a spese ed entrate dello stesso
ammontare, non vi sono debiti pregressi quindi il debito pubblico è pari a zero,
non vi sono interessi da pagare, e nulli sono anche il disavanzo primario e quello
totale.
Nel secondo anno è previsto un incremento delle spese pari a 200, non coperte da
altrettante entrate, il che determina un indebitamento netto pari a 200 e un inizio
di debito pubblico pari a 200. Questo aumento della spesa non coperta da entrate
si mantiene anche nel terzo e nel quarto anno. Nel terzo anno cominciano a dover
essere pagati anche gli interessi sui titoli del debito pubblico emessi in
precedenza, ad un tasso d’interesse del 15%. Per questo motivo il disavanzo totale
è pari alla somma del disavanzo primario e della spesa per interessi , e di tale
entità è l’incremento nel debito pubblico (+ 215), portando il debito pubblico
complessivo a 415, dal quale deriva, successivamente, una crescita della spesa per
interessi negli anni successivi. Nel quinto anno, invece, il disavanzo primario si
riduce a zero per il rientro della spesa pubblica al livello iniziale, ma rimane,
8
comunque, un disavanzo totale dovuto alla spesa per interessi, infatti la crescita
del debito pubblico determina, comunque, una crescita del disavanzo totale. Per
azzerare il disavanzo totale è necessario ridurre le spese, o aumentare le entrate, in
modo da garantire anche il pagamento degli interessi (anno 7).
In conclusione, seguendo la descrizione sul vincolo di bilancio del governo,
illustrata da O. Blanchard, (2006), possiamo scrivere il disavanzo di bilancio in un
dato anno t come:
(8) DISAV
t
= rB
t – 1
+ G
t
– T
t
6
Dove B
t – 1
è il debito pubblico alla fine dell’anno t – 1, cioè all’inizio dall’anno t;
r è il tasso d’interesse reale, che consideriamo costante. Ne segue che rB
t – 1
rappresenta gli interessi reali corrisposti sui titoli pubblici in circolazione. G
t
è la
spesa pubblica in beni e servizi nell’anno t. T
t
sono le imposte al netto dei
trasferimenti nell’anno t. il disavanzo di bilancio è quindi uguale alla spesa in
beni e servizi, più gli interessi, meno le imposte al netto dei trasferimenti.
Il vincolo di bilancio del governo, afferma semplicemente che la variazione del
debito pubblico nel corso dell’anno t deve essere uguale al disavanzo nell’anno t:
B
t
– B
t – 1
= DISAV
t
Quindi se il governo incorre in un disavanzo, il debito pubblico aumenta. Se
invece il governo registra un avanzo, il debito pubblico diminuisce.
Usando la definizione del disavanzo, si può scrivere il vincolo di bilancio del
governo come:
(9) B
t
– B
t – 1
= rB
t – 1
+ G
t
– T
t
Il vincolo di bilancio del governo esprime quindi la variazione del debito in
funzione del livello iniziale del debito (dal quale dipende la spesa per interessi),
della spesa pubblica al netto degli interessi e delle imposte.
È sempre utile scomporre il disavanzo nella somma dei suoi due termini:
1 Gli interessi sul debito, rB
t – 1;
6
Per un maggiore chiarimento sulle caratteristiche dell’equazione, si veda O. Blanchard,
Macroeconomia, Bologna, 2006, p. 498.
9