I, 2.
Poetica di regia
Gli spettacoli di Emma Dante nascono in itinere. La genesi dello spettacolo avanza allo
stesso ritmo del lavoro degli attori. Nella creazione c‟è un‟idea da sviscerare, ma manca una
struttura. Quest‟ultima si innalza lentamente attraverso il lavoro che la regista impone ai
componenti della sua compagnia.
“Io so già di cosa voglio parlare. (…) E‟ sempre molto chiara la necessità: all‟inizio non è
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chiaro il modo, ma la necessità c‟è, da subito.”
Questo modo, da ricercare, nasce, non solo dalla mente dell‟autrice, ma anche dagli attori
che, nell‟evocare un personaggio, devono trovare ciò che Emma Dante chiama i
Fantasmini, ovvero, il momento in cui gli attori elaborano atteggiamenti, gesti parole che
caratterizzeranno i personaggi finali, dopo essere entrati in una sorta di trance, ottenuta
attraverso una forte concentrazione:
“ (…) devono acquisire una concentrazione talmente profonda, da mettersi in contatto con
questo famoso “altrove”, che poi è la scena. Nient‟altro che la scena.
(…) Un mondo parallelo rispetto al nostro. Dove sono “esseri”, creature che si
impossessano dell‟attore. (…) ”
Il fantasmino, come spesso afferma la regista, non è diverso dall‟attore, non arriva da un
altro mondo, è sempre stato lì, nell‟attore stesso. Questo tipo di metodo può ricordare quello
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Stanislavskjiano della riviviscenza. Un percorso di esperienza che deriva dal sé, dalla
mente dell‟attore.
4
Ibidem, pag. 65.
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Due sono, per Stanislavskij, i grandi processi che sono alla base dell’interpretazione: quello della personificazione e
quello della riviviscenza.
Il processo di personificazione parte dal rilassamento muscolare per proseguire con lo sviluppo dell’espressività fisica,
dell’impostazione della voce, della logica e coerenza delle azioni fisiche e della caratterizzazione esteriore.
Il processo di reviviscenza parte dalle funzioni dell’immaginazione e prosegue con la divisione del testo in sezioni, con lo
sviluppo dell’attenzione, l’eliminazione dei cliché, e l’identificazione del tempo-ritmo. La reviviscenza è fondamentale
perché tutto ciò che non è rivissuto resta inerte, meccanico ed inespressivo. Ma non basta che la reviviscenza sia autentica
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Da questo lavoro nascono i personaggi di Emma Dante, che come dice lei, sono Maschere
Senz‟Anima, senza il dono della parola, il pensiero, senza delle ragioni di vita, senza uno
stimolo per vivere, più vicini alla tragedia greca che non a quei personaggi novecenteschi
che sono pura psicologia. Pirandello, per esempio, creava dei personaggi che avevano, sì,
motivo di esistere solo sulle tavole del palcoscenico, ma, allo stesso tempo, una struttura
psicologica salda e marcata. Per questo, come afferma Andrea Porcheddu:
“Non c‟è immedesimazione possibile: i personaggi nascono dalle improvvisazioni sul ritmo
degli attori, sono più assimilabili alle maschere della Commedia che non a derive
psicologizzanti di identità contemporanee. Ma quelle Maschere – di una Commedia quanto
mai eterna – sono forse più vicine alle maschere greche: prototipi (o archetipi) di
un‟umanità minima, secondaria. Non ci sono eroi, né gesta epiche nel teatro di Emma.
Vediamo Maschere messe in situazione, sottomesse allo sviluppo (fatale) delle loro magre
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esistenze, costrette a combattere con (e contro) la tragedia della vita.”
Tutti i lavori di Emma Dante nascono dai suoi laboratori, quindi, dal confronto diretto con
l‟attore. Come lei stessa afferma, la sua attività di maestra, di insegnante è un‟azione furba,
in quanto, da quella azione di magistero, capirà se un attore potrà o no lavorare con lei.
L‟insegnamento è un mezzo per arrivare a generare uno dei suoi spettacoli.
Il requisito più importante che deve possedere un attore, per la Dante, è la preparazione e
non la BRAVURA che “ha a che fare con la consapevolezza ostentata del proprio talento e
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con una rigidità nei confronti di ogni possibile ricerca su cosa c‟è dopo il talento”. La
TECNICA, invece, è qualcosa di più poiché “(…) è la capacità di portare dentro al tuo
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percorso artistico il sistema paranoico che hai nella vita (…)”. Il talento quindi è qualcosa
di puro, serve all‟attore per “sporcarsi”.
Emma Dante attua, perciò, una ricerca di attori dalla tecnica solida ma allo stesso tempo
puri, pronti a sperimentare attraverso il suo metodo. Puri e bastardi, con le sole basi, quelle
che sono proprie, per esempio, degli attori dell‟Accademia d‟arte drammatica.
essa deve essere in perfetta consonanza con la personificazione. Infatti, a volte, una reviviscenza profonda è deformata da
una personificazione grossolana dovuta ad un apparato fisico non allenato ed incapace di trasmettere quello che l’attore
sente, per cambiare il modo di vivere.
6
Ibidem, pag. 102.
7
Ibidem, pag. 42.
8
Ibidem, pag. 43.
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L‟attore che ha solo bravura, invece, è cosciente della sua tecnica e non si mette in
discussione, non affronta qualcosa che possa smuoverlo o toccarlo profondamente:
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“Un attore non può cambiare uno spettacolo ma uno spettacolo può cambiare un attore.”
La scrittura dei testi è un momento successivo al lavoro di improvvisazione. Prima viene lo
studio sui personaggi, o papabili personaggi, che si fanno carne attraverso gli attori.
“Studio non solo l‟anatomia del corpo, ma il modo in cui guardano, in cui gesticolano, in
cui si muovono. (…) dopo le improvvisazioni fatte insieme, torno a casa e scrivo. (…) scrivo
dopo le prove, e l‟indomani porto quello che ho scritto. Cioè formalizzo, da sola, quello che
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abbiamo fatto insieme”
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Ibidem, pag. 44.
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Ibidem, pag. 57
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I, 3.
La parola
Le tematiche che affronta la Dante sono quelle della tragedia, che in parte si possono
ricondurre alla tragedia antica, non certo al teatro moderno, sia esso pure quello del Gesto o
dell‟Urlo, come lo chiama Pasolini, ovvero il cosiddetto teatro d‟avanguardia. La famiglia,
l‟incesto, l‟amore materno. La regista sceglie temi sociali, ancestrali ma non politici. Come
lei stessa afferma:
“ Non faccio un teatro politico, perché non parlo di Berlusconi, di cronaca nera, ma ho
messo in atto delle denunce sociali. Il mio teatro ha a che fare con le inciviltà del mondo.
Quindi, forse, il mio teatro è più sociologico che politico. Poi, svelando tutte le magagne
del sottoproletariato di cui parlo nei miei lavori, lo spettatore si può fare un‟idea sulla
politica che c‟è in questo paese. (…) Io non indago quei motivi (per cui esistono le
magagne) ma cerco di sollevare un velo (…) : sollevare quel velo vuol dire anche non
perdere la memoria, non archiviare le denunce, mostrare la polvere che c‟è sotto…”
Altrettanto illuminante la motivazione che Emma Dante accorda al suo mestiere di scrittrice
e regista teatrale:
“Perché faccio teatro? Per saperne di più, per cercare di capire cosa può diventare questa
vita, cosa posso diventare io. Per rispondere a queste domande, allora, sento che, per
esempio, non posso usare il presente, il video, non posso usare le diapositive, non posso
usare la voce registrata, ma devo tornare indietro, devo tornare alla mia preistoria. (…)
l‟oggetto Coca-Cola è moderno, ma non fa essere il teatro altrettanto moderno, non lo
rende moderno! Paradossalmente, uno spettacolo diventa più moderno quando uso il
crocifisso o la clava! Quando sono preistorica!”
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Quello di Emma Dante è, quindi, un Teatro Incivile e allo stesso tempo Ancestrale. Un
teatro che si pone in contrapposizione a quello ufficiale, perché non va negli stabili e non
tratta temi da salotto borghese. Un teatro che sceglie come scenario la città primordiale per
eccellenza, una città in cui vivono ancora riti e costumi del passato, Palermo. Rende al
meglio quegli ossimori , quei contrasti stridenti che sopravvivono nella Palermo di oggi.
Racconta un mondo in cui non esiste lo stato, l‟istituzione, senza però dare adito a
polemiche, senza denunciare, perché le sue mise in scène non fanno parte di quel teatro-
cronaca che spopola negli ultimi decenni, anche grazie al numeroso gruppo di Attori-
narratori italiani, quali Baliani, Celestini o Paolini.
Questa spiccata sicilianità diviene una categoria universale. Infatti, gli spettacoli, in tournèe
europee, vengono presentati senza traduzione simultanea. Le opere della Dante fanno del
loro localismo un elemento di condivisione, di colloquio e di apertura.
Una delle peculiarità del teatro di Emma Dante è il dialetto. Tutti gli spettacoli sono scritti
in siciliano, o meglio in palermitano. Un dialetto, come afferma la Dante, “elastico e vivo”.
Tanto che alcune parole sono intraducibili. Non esistono sinonimi per alcuni termini. È un
dialetto che nasce dalle strade di Palermo, ma che spesso inventa, lo fa proprio. Per esempio
nella frase che apre Mpalermu:
“CHI FA ARAPEMO STA FINESTRA?”. La traduzione letterale sarebbe “Che fa, la
apriamo questa finestra?” quel “che fa” non vuol dire nulla in italiano, invece, in dialetto
racchiude un sentimento molto preciso “SE NON APRIAMO QUESTA FINESTRA E‟ LA
FINE, PERCHE‟ MORIAMO SOFFOCATI!”. Alcune delle parole della Dante sono
rivedute e corrette.
Nella prefazione al volume Carnezzeria, in cui sono editi i testi di mPalermu, Carnezzzeria
e Vita mia, Andrea Camilleri spiega come il dialetto, da Pirandello in poi sia stato bisfrattato
perché ritenuto un ostacolo alla letterarietà dell‟opera.
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“Sul finire dell‟Ottocento Pirandello, nel corso di un articolo sul teatro in dialetto
(siciliano, naturalmente), dopo averne dichiarato a priori la riduttività dal punto di vista
del valore letterario, affermava inoltre che un autore che scriveva nel proprio dialetto era
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destinato per forza di cose a un numero ristretto di spettatori (…)”
Ma questo era un falso ostacolo, poiché la massificazione linguistica arriva solo con la
televisione, la quale ha portato una lingua conformata e anonima, facendo morire le varie
sfumature linguistiche italiane. Allora, è necessario che alcuni autori, volendosi confrontare
con il reale, debbano rivolgersi al dialetto come unica possibilità espressiva e di autenticità.
Persino le didascalie risentono di questa dialettalità:
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«Gianmarco prende una pallata di profitterol e se la mastica tutto priàto .»
«All‟improvviso la nonna si piega dal dolore e sganascia la bocca senza emettere suono.
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Gli altri scantàti , corrono verso di lei.»
La lingua della Dante mantiene una reale autenticità, anzi come dice Camilleri “volutamente
mantiene il suo senso di marcia orizzontale, semmai con cadute, altrettanto volontarie,
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verso il basso.”
“Questa parlata però non solo nasce coi personaggi stessi, ma senza di essa i personaggi
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non esisterebbero, essa è la necessità assoluta, identificante del loro vivere scenico.”
Forse, si può classificare il teatro di Emma Dante come Teatro della Parola che si pone a
metà tra gli Attori-narratori e quel teatro novecentesco di Pasolini, De Filippo o Testori.
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Andrea Camilleri in: Emma Dante, Carnezzeria, Roma, Fazi Editore, 2007, pag. 8
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Priàto: soddisfatto, contento.
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Idem, pag. 59
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Scantàti: spaventati
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Idem, pag. 68.
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Idem, pag. 7
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Idem, pag. 10
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