Università degli Studi di Palermo
2008
INTRODUZIONE
L’Italia sta fronteggiando problemi analoghi a quelli di tutti gli altri paesi
occidentali e cioè sia l’aumento della spesa sanitaria che l’insoddisfazione, non
sempre giustificata, da parte dei cittadini verso il servizio pubblico. L’aumento
della spesa sanitaria non è di per sé un male ma si potrebbe dire che è segno di
una maggiore attenzione alla salute, oltre che indice di sviluppo economico. Il
vero problema è il finanziamento della spesa, questione particolarmente delicata
in un paese, come l’Italia, con una finanza pubblica in grave difficoltà. Una
questione collegata alla crescita della spesa sanitaria è legata all’invecchiamento
della popolazione. Infatti, si può rilevare che la combinazione degli effetti del
baby-boom nel primo dopoguerra, la successiva caduta dei tassi di fertilità che si
registrò dalla fine degli anni 60 e l’aumento dell’aspettativa di vita stanno
conducendo al progressivo invecchiamento della popolazione in tutti i paesi
OCSE.
Questo fenomeno causa notevoli effetti sulla spesa pubblica e sul deficit e
inoltre, sia in via diretta che in conseguenza del peggioramento dei conti pubblici,
produce la contrazione delle potenzialità produttive del paese e, nel lungo termine,
del tenore di vita dei cittadini. Numerose sono, infatti, le voci dei bilanci pubblici
di tutti i paesi industriali che hanno un legame diretto e indiretto con l’aumento
dell’età media della popolazione. Si può dire che la parte più rilevante della spesa
per il welfare state sia determinata dalle esigenze di sanità e di vita sociale della
popolazione non più in età di lavoro. Il fenomeno dell’invecchiamento implica in
primo luogo che il tasso di aumento del numero dei percettori di trasferimenti
pensionistici sia superiore a quello medio delle forze di lavoro e degli occupati,
cioè dei soggetti ai quali è richiesto di produrre le risorse che dovranno finanziare
il flusso di pensioni.
Inoltre, il costo per la collettività di un moderno servizio sanitario
universale è ovviamente dipendente dal grado di salute della popolazione e
questo, a sua volta, è influenzato dall’invecchiamento, posto che il ricorso alle
prestazioni delle strutture sanitarie tende ad aumentare con l’età. In tale
3
Università degli Studi di Palermo
2008
prospettiva, i flussi di risorse che le società dovrebbero destinare all’offerta di
prestazioni dello stato sociale sono destinati ad aumentare, sia in assoluto che in
rapporto al PIL. Si può credere che l’accresciuto trasferimento a favore delle
generazioni anziane sarebbe più sopportabile per coloro che oggi lavorano se
maggiori fossero l’aumento del reddito, la produttività per occupato, il
miglioramento tecnologico, l’efficienza organizzativa.
Ma è proprio la riduzione netta della popolazione in età di lavoro che
provoca di per sé, e a parità di altre condizioni, il calo delle prospettive di crescita
del reddito. Le implicazioni del fenomeno costituiscono alcuni dei temi più
rilevanti della politica economica dei paesi industriali, caratterizzata negli ultimi
30 anni da spinte ricorrenti alla riduzione dello stato sociale, alimentate anche dal
consenso dell’analisi economica circa gli effetti negativi che l’accumulo dei
disavanzi pubblici può produrre nel lungo termine sullo sviluppo dell’economia.
In un contesto di accresciuta integrazione finanziaria e monetaria
internazionale e in un contesto europeo, l’esigenza della stabilità dei mercati
finanziari impone ora di mantenere sotto controllo i bilanci pubblici, indirizzando
le politiche economiche a perseguire non solo l’equilibrio tendenziale fra entrate e
spese, ma anche obiettivi di “qualità” per ciò che riguarda la struttura delle voci di
bilancio.
Il problema dell’assistenza tende quindi ad assumere grande rilievo
proprio in considerazione del fatto che in tale contesto le risorse pubbliche a
disposizione dello stato sociale tendono a ridursi soprattutto in un paese come
l’Italia dove i margini di spesa sono e saranno piuttosto ristretti e comunque
soggetti a dei vincoli imposti dal fatto di far parte dell’Unione Europea.
Il presente lavoro sviluppa alcune considerazioni sul rapporto tra spesa
sanitaria e invecchiamento della popolazione, in particolar modo nel contesto
italiano, e su come, alla luce delle più recenti stime e previsioni condotte anche
dalla Ragioneria Generale dello Stato sulle tendenze di lungo periodo di crescita
della spesa socio-sanitaria, il trend di crescita di tali spese sembra poter
influenzare il livello del deficit pubblico e alterare il già precario equilibrio tra
Deficit/PIL in Italia. Nel lavoro si passano in primo luogo sinteticamente in
rassegna le cause e le determinanti del deficit pubblico, analizzando anche la
4
Università degli Studi di Palermo
2008
questione della sostenibilità di deficit costantemente elevati ed elencando
sinteticamente i diversi parametri imposti dal Trattato di Maastricht.
Successivamente viene dedicato un ampio spazio all’analisi di come
l’invecchiamento della popolazione possa influire sulla crescita della spesa
sanitaria, e di come si potrebbe ottimizzare il finanziamento della spesa
illustrando anche le modalità con cui il servizio sanitario nazionale finanzia tale
spesa, in un’ottica “nazionale”.
Infine si cercherà di capire come le regioni influiscono alla formazione di
deficit sanitari, degli strumenti delle regioni per ridurre i deficit pubblici e infine
si richiameranno alcuni casi di deficit regionali che hanno un notevole peso nella
formazione del deficit complessivo.
5
Università degli Studi di Palermo
2008
CAPITOLO PRIMO
ORIGINI E COMPOSIZIONE DEL DEBITO
PUBBLICO: IL CASO ITALIANO.
1.1 Come si forma e come si paga il debito pubblico.
Un paese, proprio come gli individui e le imprese, ha diversi modi di
finanziare la sua attività quotidiana e i suoi investimenti: ricorrendo
all’autofinanziamento attraverso risorse proprie, o facendo ricorso al mercato. Nel
primo caso lo Stato utilizza la sua natura di entità sovrana, e quindi politica e
pertanto, può per esempio cambiare destinazione alle risorse che possiede, di
qualunque tipo siano. Si pensi a quelle del demanio, al patrimonio immobiliare e
mobiliare, e a tantissime altre. Lo Stato può cercare acquirenti per queste, con la
finalità di reperire risorse monetarie in maniera celere. Evidentemente la natura
politica delle decisioni sulle risorse possedute dallo Stato fa sì che spesso il
processo di dismissione delle proprie attività sia laborioso. Inoltre, dismettere
risorse proprie spesso significa costi maggiori in futuro a fronte di entrate
nell’immediato.
Per questo motivo la maggior parte degli Stati utilizza la propria forza
coercitiva attraverso la tassazione anche se questa scelta risulta essere impopolare.
Uno Stato, quindi, attraverso le tasse e le imposte, raccoglie le risorse per
alimentare il proprio funzionamento e coprire le proprie spese.
Nel secondo caso, lo Stato utilizza la sua natura di entità economica a se
stante, e si comporta come un attore economico. Pertanto decide di emettere titoli
e obbligazioni, e quindi di dichiarare di essere in debito verso i possessori di tali
titoli, per raccogliere risorse aggiuntive rispetto a quelle derivanti dalla sua natura
sovrana. In Italia, il debito pubblico viene contratto a livello nazionale dal
governo centrale e a livello locale dagli organi amministrativi regionali,
provinciali e comunali. In altri termini si considera, per tutti i Paesi europei
aderenti al Patto di Stabilità e Crescita, il disavanzo del conto consolidato delle
pubbliche amministrazioni. Questo saldo si ottiene consolidando i conti delle
6
Università degli Studi di Palermo
2008
amministrazioni centrali (il Bilancio dello Stato e la Tesoreria, la Cassa Depositi e
Prestiti e gli altri enti delle amministrazioni centrali) con quelli delle
Amministrazioni locali e degli enti di Previdenza (Musu, 2006). Il debito pubblico
nazionale viene creato principalmente mediante l’emissione di prestiti fruttiferi
(con pagamento di interessi) rappresentati da titoli, in particolare obbligazioni.
Nel giudicare la situazione del debito, più che il suo ammontare assoluto,
occorre considerare la capacità di una nazione di provvedere al rimborso e al
servizio del debito (cioè al pagamento degli interessi). Infatti, i fondi occorrenti
per il servizio e il rimborso devono venire prelevati da ciò che una nazione
produce annualmente (cioè dal suo prodotto interno lordo o PIL) ed è quindi
essenziale che si mantenga una certa proporzione fra il debito pubblico e il PIL.
Non esistono, tuttavia, criteri fissi per stabilire tale proporzione e lo stesso
parametro del 60% del PIL fissato dal Trattato di Maastricht è un valore del tutto
convenzionale e pattuito dagli Stati membri. In effetti oggi il debito pubblico
raggiunge in tutti i paesi percentuali elevate del PIL, fino a oltre il 100%, e tale
situazione si può sostenere in quanto i titoli del debito pubblico hanno scadenze
molto lunghe che possono venire rimborsati alla scadenza emettendo nuovi titoli,
cioè contraendo nuovi debiti che sostituiscono quelli estinti. É ovvio che un simile
meccanismo consente anche, di trasferire di fatto l’onere del debito alle
generazioni future e, inoltre, l’aspetto negativo del ricorso al mercato dei capitali e
quando ci si ricorre per finanziare la “spesa corrente” e non la spesa in conto
capitale, o in altri termini per finanziare la spesa ad uso improduttivo (Modigliani
e Padoa Schioppa Kostoris, 1998).
Più significativo, dal punto di vista economico, è osservare la relazione fra
il disavanzo (o deficit) di bilancio e il PIL. Per assolvere alle sue funzioni e per
gestire i “bureau”, lo stato ha bisogno di affrontare delle spese, e parte di queste
risorse finanziarie possono essere ottenute tramite il “debito pubblico”. Per
articolare le spese e le entrate dello stato, possiamo descrivere il bilancio della
Stato al tempo” t” tramite la definizione del disavanzo:
DIS = rB+G-T (1.1)
tt-1tt
nella quale Dis è il disavanzo al tempo t, Bè il debito pubblico alla fine
t-1
dell’anno t-1, cioè all’inizio dell’anno t, r è il tasso di interesse reale sul debito
7
Università degli Studi di Palermo
2008
pubblico (Balducci, Candela e Scorcu, 2005).
Ne segue che rBrappresenta gli interessi reali corrisposti sui titoli
t-1
pubblici in circolazione. Gè la spesa pubblica in beni e servizi nell’anno t. T
t t
sono le imposte, e quindi il gettito fiscale, al netto dei trasferimenti ricevuti. Il
disavanzo è quindi uguale alla spesa in beni e servizi, più gli interessi, meno le
imposte al netto dei trasferimenti nell’anno t. L'equazione (1.1) ha due
caratteristiche.
1. Innanzitutto misuriamo la spesa per interessi in termini reali - cioè
considerando il prodotto del tasso di interesse reale per il debito esistente -
non la spesa effettiva per interessi
2. Per restare coerenti alla nostra definizione di G come spesa pubblica in
beni e servizi, continuiamo ad assumere che G non includa, oltre agli
interessi, nemmeno i trasferimenti. I trasferimenti vengono sottratti da T,
per cui T rappresenta le imposte al netto dei trasferimenti.
Lo Stato può far fronte a un disavanzo di bilancio ricorrendo al
finanziamento della Banca Centrale - cioè vendendo titoli pubblici alla Banca
Centrale - anche se questa pratica non è più possibile oppure collocando nuovi
titoli pubblici presso investitori privati. Volendo analizzare la dinamica del debito
pubblico nel tempo, supponiamo quindi, per semplicità, che l'unico strumento di
finanziamento del disavanzo sia l'emissione dì nuovi titoli di Stato.
Nell'ipotesi che il finanziamento monetario sia inesistente, il vincolo di
bilancio del governo afferma semplicemente che la variazione del debito pubblico
nel corso dell'anno t deve essere uguale al disavanzo nell'anno t:
B- B = DIS (1.2)
tt-1t
Quindi, se il governo incorre in un disavanzo, il debito pubblico aumenta. Se
invece il governo registra un avanzo, il debito pubblico diminuisce.
Usando la nostra definizione di disavanzo, possiamo scrivere il vincolo di
bilancio del governo come:
B-B = rB+ G- T(1.3)
tt-1t-1t t
II vincolo di bilancio del governo esprime quindi la variazione del debito
in funzione del livello iniziale del debito (dal quale dipende la spesa per interessi),
della spesa pubblica al netto degli interessi e delle imposte. Per ragioni che
8
Università degli Studi di Palermo
2008
saranno chiare in seguito, è spesso utile scomporre il disavanzo nella somma di
due termini: a) gli interessi sul debito, rB, e b) l'eccesso di spesa al netto degli
t-1
interessi, rispetto alle imposte, G- T. Questo secondo termine è chiamato
t t
disavanzo primario (o avanzo primario nel caso in cui le imposte eccedano la
spesa pubblica). Usando questa scomposizione, si può riscrivere l’equazione (1.3)
come:
B- B= interessi sul debito + disavanzo primario (1.4)
tt-1
Ovvero: B= (1+r)B+ G- T (1.5)
t t-1t t
Finora si è parlato del modo con cui si forma il debito pubblico. Ma in
’
uneconomia in cui la produzionecresce nel tempo, ha più senso considerare il
rapporto tra debito pubblico e PIL. Solo in questo modo possiamo dire se il debito
pubblico è troppo elevato, dove “troppo” deve essere definito in relazione
all'abilità del governo di ripagare il debito.
Per vedere come cambiano le nostre conclusioni precedenti, passiamo
dall'equazione (1.5) a un'equazione che esprime l'andamento del rapporto
debito/PIL (Blanchard, 2005). Per farlo dobbiamo fare qualche ulteriore
passaggio. Dividiamo entrambi i lati dell’equazione (1.5) per la produzione reale,
Y ottenendo:
t
B/Y= (1+r) B/Y+ (G-T)/Y (1.6)
ttt-1tttt
Moltiplicando numeratore e denominatore per Y, e attraverso ulteriori
t-1
semplificazioni otteniamo:
B/Y- B/Y= (r-g) B/Y+(G-T)/Y(1.7)
ttt-1t-1t-1t-1ttt
Questa equazione ci dice che la variazione del rapporto debito/PIL, è
uguale alla somma di due termini.
II primo è la differenza tra il tasso di interesse reale e il tasso di crescita
del PIL, moltiplicato per il rapporto debito/PIL esistente alla fine del periodo
precedente (e quindi all'inizio del periodo corrente). Questo termine indica la
spesa per interessi in termini reali, corretta per la crescita della produzione. A
seconda che il tasso di interesse reale sia maggiore o minore del tasso di crescita
del PIL reale, questo termine è un fattore di aumento o di riduzione del debito.
Pertanto r e g hanno effetti opposti sulla dinamica del rapporto debito/PIL.
9