3
1. Il rapporto banca – industria, il “principio di separatezza”
Il problema del rapporto banca – industria, volto a tutelare i valori di sana e prudente
gestione, indipendenza ed efficiente allocazione delle risorse, è stato sottoposto a continua
analisi sin dagli anni Trenta del secolo scorso, periodo contraddistinto da una generalizzata
presa di coscienza circa le degenerazioni cui avevano condotto le fitte trame di relazioni
partecipative fra banche e imprese; il forte ruolo che tali partecipazioni ebbero nella crisi
economica di quegli anni costrinse a interventi di contenimento, improntando il sistema a una
rigida separatezza sia per gli assetti proprietari delle banche (partecipazioni a monte), sia per le
partecipazioni delle banche (partecipazioni a valle)2.
Le banche pensano in termini finanziari, di rendimento degli investimenti, di speculazione,
mentre un'impresa opera in termini economici, produttivi, concorrenziali e competitivi. Per tale
motivo queste due entità sono state tenute separate per far sì che si bilanciassero a vicenda,
evitando possibili sovrapposizioni di competenze3.
1.1. Evoluzione storica: dal 1936 agli stimoli della disciplina comunitaria
La legge bancaria del 1936 non prendeva direttamente in considerazione la figura
dell’azionista, sebbene la crisi risalisse a pochi anni prima e fosse sostanzialmente dovuta ai
dannosi intrecci tra banche e settore industriale4.
La mancanza, nella anzidetta legge, di norme volte a disciplinare le acquisizioni di
partecipazioni nel capitale delle banche, contrariamente alla rigida regolamentazione delle
acquisizioni di partecipazioni da parte delle banche, va individuata nelle caratteristiche del
sistema bancario di quegli anni, di matrice prevalentemente pubblica5, ‹‹ sia sotto il profilo della
proprietà che della forma giuridica dei soggetti esercenti attività bancaria. La gran parte delle
banche aveva la forma di ente pubblico fondazione o di società operativa, per le quali – per
2
Sulla distinzione fra separatezza “a monte” e “a valle”, v. Il principio di separatezza banca-industria e la
concorrenza fra ordinamenti giuridici, in Diritto della banca e del mercato finanziario, M.E. SALERNO, 2006, p.
627 e ss.
3
Osserva al riguardo il BARAVELLI: ‹‹ Tale orientamento si è intrecciato con il riconoscimento della necessità di
seguire anche il principio della separatezza tra banca e industria per cui gli ordinamenti creditizi hanno provveduto
a vietare posizioni di controllo delle banche nelle imprese e delle imprese nelle banche. Queste posizioni sono
ritenute pericolose perché possono indurre le banche ad assumere rischi eccessivi con effetti sulla stabilità oltre a
comportare effetti distorsivi sul piano della concorrenza ››, Cit. Strategie, concorrenza e regolamentazione
nell’industria bancaria, M. BARAVELLI, G. Giappichelli, 2010, p. 65.
4
Cfr. Gli assetti proprietari delle banche e la separatezza banca industria, D. CAPONE, in Diritto delle banche e
degli intermediari finanziari, E. GALANTI, Cedam, 2008, p. 467 e ss.
5
Non solo per la forte presenza dello Stato, ma anche per la volontà di salvaguardare l’interesse pubblico.
4
diverse ma sostanzialmente equivalenti ragioni – un controllo di vigilanza sull’acquisizione di
quote di capitale non trovava giustificazione6››.
In Italia, in seguito alla crisi della banca mista, la legge bancaria provvide a separare l’attività
creditizia a breve, riservata alle aziende di credito, da quella a medio e lungo termine, riservata
agli istituti di credito speciale; alla Banca d’Italia fu assegnato il compito di disciplinare la
struttura del passivo e dell’attivo delle aziende di credito, prestando particolare attenzione alle
partecipazioni detenute nelle imprese. È in tale contesto che si fa strada il cosiddetto principio
della separatezza banca – industria, che impose misure restrittive nell’autorizzare le aziende di
credito a detenere partecipazioni nelle imprese non finanziarie.
Tale politica è stata riconosciuta come essenziale per evitare i conflitti d’interesse e per
assicurare stabilità ed efficienza allocativa al sistema finanziario nel suo complesso,
comportando per lungo tempo un ridimensionamento del ruolo delle banche, con il contestuale
aumento del ruolo svolto dal mercato dei capitali e delle borse7.
A seguito delle forti trasformazioni del sistema bancario e sotto lo stimolo della disciplina
comunitaria, è solo verso la fine degli anni Ottanta che si assiste a una prima regolamentazione
sull’acquisizione di partecipazioni al capitale delle banche8.
Con l’abbandono della cosiddetta Vigilanza Strutturale9 e con la liberalizzazione dell’accesso al
mercato bancario si arriva alla ‹‹ progressiva affermazione della forma societaria quale
modalità privilegiata d’esercizio dell’impresa bancaria. Pressoché contestualmente, l’avvio
della privatizzazione delle banche pubbliche consente l’afflusso di capitale privato alle banche
6
Cit. Gli assetti proprietari delle banche e la separatezza banca industria, D. CAPONE, in Diritto delle banche e
degli intermediari finanziari, E. GALANTI, Cedam, 2008, p. 467.
7
‹‹ Si osserva, al riguardo, come in realtà la separatezza indebolisca la capacità delle banche di ridurre le
asimmetrie informative, non potendo assumere il ruolo di insider che si renderebbe possibile con le posizioni di
controllo, e impedisca alle stesse imprese di rendere più efficiente la governance delle banche qualora decidessero di
contenderne il controllo: il principio della separatezza comporta, infatti, anche il divieto dell’assunzione di posizioni
di controllo delle imprese nelle banche ››, Cit. Separatezza tra banca e impresa, in Strategie, concorrenza e
regolamentazione nell’industria bancaria, M. BARAVELLI, G. Giappichelli, 2010, p. 68.
8
‹‹ Le autorità creditizie italiane, intuendo i problemi che avrebbero incontrato le banche del nostro Paese di fronte
al delinearsi del processo di liberalizzazione dei servizi finanziari e alla vivace concorrenza che sarebbe seguita,
attuarono nel corso degli anni Ottanta una politica di deregolamentazione tesa a smantellare i vincoli più rigidi e a
consentire libera iniziativa, efficienza e capacità competitiva ››, Cit. Le direttive europee e i limiti della legge del
1936, in La legge bancaria del 1936 e l’evoluzione delle banche nel '900, S. ZENONE, 2004, tratto da
www.pacioli.net/it/.
9
Con il primo accordo di Basilea si è passati da sistemi di vigilanza strutturale, che focalizzavano l'attenzione sui
controlli relativi all'equilibrio del sistema bancario nel suo complesso e dei singoli intermediari, e in cui ogni
decisione di una qualche importanza strategica era subordinata a un'apposita autorizzazione dell'autorità di vigilanza,
a sistemi di vigilanza prudenziale, coi quali i controlli sono attuati per limitare il grado di rischio degli intermediari al
fine di assicurarne una maggiore liquidità e solvibilità, ma lasciando al tempo stesso ad essi una maggiore libertà di
scelta del posizionamento ritenuto più idoneo; è stato così sancito il principio secondo cui dotarsi di un sufficiente
ammontare di capitale può consentire alle banche di assorbire efficacemente le perdite inattese, oltre che costituire un
importante incentivo per limitare i rischi di gestione. Cfr. Gestione strategica del capitale in banca: teoria e prassi, P.
LEONE, Cedam, 2005, p. 185 e ss.
5
e la conseguente necessità di disciplinare le caratteristiche dell’azionista privato ai fini di sana
e prudente gestione10 ››.
Con la direttiva 77/780/CEE – “relativa al coordinamento delle disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative riguardanti l'accesso all'attività degli enti creditizi e il suo
esercizio”11 – si comincia a prendere in considerazione la figura degli azionisti rilevanti, che
effettivamente determinano l’orientamento dell’attività bancaria; al fine di facilitare l'accesso
all'attività degli enti creditizi e il suo esercizio, tale direttiva dispone che sia necessario
eliminare le differenze più sensibili tra le legislazioni degli Stati membri per quanto riguarda il
regime al quale detti enti sono sottoposti; stabilisce, inoltre, che gli enti creditizi, per poter
operare, devono essere in possesso di requisiti di reputazione e di solidità finanziaria (elementi
cardine per una sana e prudente gestione).
Proseguendo sulla strada della prima direttiva, la seconda direttiva comunitaria di
coordinamento in materia bancaria – direttiva 89/646/CEE12, “relativa al coordinamento delle
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l'accesso all'attività degli
enti creditizi e il suo esercizio e recante modifica della direttiva 77/780/CEE” – introduce ‹‹
un’espressa disciplina dell’acquisizione di partecipazioni qualificate in banche, richiedendo
agli stati membri un controllo preventivo degli azionisti al fine di assicurare la sana e prudente
gestione della banca medesima13 ››.
Tali direttive, oggi non più in vigore, hanno costituito una specie di legge bancaria comunitaria
sopranazionale; hanno preso l’accezione di direttive comunitarie di coordinamento bancario
giacché punti di riferimento per altre direttive che hanno proceduto nella definizione delle
normative per l’autorizzazione alla costituzione, l’operatività e la vigilanza degli enti creditizi
nei Paesi membri e per incoraggiare la libera attività di servizi bancari transfrontalieri.
Con l’entrata in vigore nel 1993 del Testo Unico Bancario (TUB) muta radicalmente la natura
dell’attività bancaria, in quanto questa viene definita, all’art. 10, come attività d’impresa14;
inoltre, all’art. 19, comma 6, in materia di Partecipazioni al capitale delle banche, si dispone: ‹‹
10
Cit. Gli assetti proprietari delle banche e la separatezza banca industria, D. CAPONE, in Diritto delle banche e
degli intermediari finanziari, E. GALANTI, Cedam, 2008, p. 468.
11
Gazzetta ufficiale n. L 322 del 17/12/1977, Direttiva abrogata dall'art. 67 della Direttiva 2000/12/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 20 marzo 2000.
12
‹‹ La Direttiva n. 89/646/CEE, nota come “II Direttiva sull'attività degli enti creditizi”, i cui contenuti dovevano
essere recepiti entro la fine del 1992, evidenziò chiaramente i notevoli ritardi della legislazione italiana.
I punti chiave delle direttive europee posero in evidenza che l'armonizzazione della legislazione italiana alle norme
comunitarie non rappresentava un processo lineare, da attuarsi solo attraverso successive integrazione e modifiche
della legge bancaria del 1936, ma implicava radicali mutamenti ››, Cit. Le direttive europee e i limiti della legge del
1936, in La legge bancaria del 1936 e l’evoluzione delle banche nel '900, S. ZENONE, 2004, tratto da
http://www.pacioli.net/it/.
13
Cit. Gli assetti proprietari delle banche e la separatezza banca industria, D. CAPONE, in Diritto delle banche e
degli intermediari finanziari, E. GALANTI, Cedam, 2008, p. 468.
14
Cfr. Il governo delle banche nel passaggio da istituzione a impresa: l’ottica economico aziendale, T. BIANCHI, in
Fondazione Rosselli, Il governo delle banche in Italia. Quarto Rapporto sul sistema finanziario italiano, Edibank.
6
I soggetti che, anche attraverso società controllate, svolgono in misura rilevante attività
d'impresa in settori non bancari né finanziari non possono essere autorizzati ad acquisire
partecipazioni quando la quota dei diritti di voto complessivamente detenuta sia superiore al 15
per cento o quando ne consegua, comunque, il controllo della banca. A tali fini, la Banca
d'Italia individua i diritti di voto e gli altri diritti rilevanti15 ››.
Viene così espressa l’avversione dell’ordinamento al rischio che soggetti operanti in settori
diversi da quelli bancari e finanziari possano strumentalizzare le gestioni bancarie al
perseguimento dei propri obiettivi economici, alterando i canoni di una sana e prudente gestione
e di un’ottimale e neutra allocazione delle risorse16.
Il sopracitato vincolo, previsto direttamente dal Testo Unico bancario, è divenuto incompatibile
con l’emanazione nel 2007 della direttiva comunitaria sulle partecipazioni rilevanti nelle banche
e nelle assicurazioni17, non trovando corrispondenza nei criteri prudenziali dettati dalla stessa18.
Sul versante delle partecipazioni a valle, il vincolo della separatezza comincia ad essere
ridimensionato verso la fine degli anni Novanta, a seguito della deregolamentazione
istituzionale e del rafforzamento della vigilanza prudenziale, permettendo in questo modo alle
banche di detenere partecipazioni rilevanti nel capitale delle imprese, con l’imposizione tuttavia
di vincoli per evitare il rischio di concentrazioni eccessive19.
Il Governatore Draghi ha osservato a riguardo: ‹‹ L’acquisizione di significative partecipazioni
nel capitale delle imprese […] comporta per le banche l’assunzione di rischi di tipo nuovo
rispetto al passato; può dar luogo a conflitti di interesse. Al fine di tutelare la stabilità degli
intermediari, l’ordinamento ha a lungo ristretto queste partecipazioni. L’evoluzione delle
tecniche di gestione del rischio e delle migliori pratiche di vigilanza rende ormai inefficace una
rigida delimitazione. La Banca ha già da tempo sottoposto al Comitato interministeriale per il
credito e il risparmio un provvedimento che consente di ridurre i vincoli amministrativi,
innalzando i limiti delle partecipazioni che le banche possono detenere; questo è reso possibile
da un sistema di vigilanza ora basato sulla valutazione accurata di tutti i rischi, sulla loro
copertura con adeguate dotazioni patrimoniali, sul controllo dei conflitti di interesse tramite
15
Testo unico bancario, d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385.
16
Cfr. La separatezza banca-industria, M. PELLEGRINI, in L’ordinamento finanziario italiano, AA.VV.,
Capriglione, tomo II, p. 425.
17
Dir. 2007/44/CEE, del 5 settembre 2007.
18
Osserva al riguardo il BARAVELLI: ‹‹ la direttiva comunitaria del 2007 sulle partecipazioni delle banche è stata
l’occasione per stabilire criteri più oggettivi evitando che il riferimento generico alla “sana e prudente gestione”,
come principio previsto per le autorizzazioni da parte delle autorità di vigilanza, potesse essere utilizzato, come
spesso è accaduto, in modo discrezionale e protezionistico influenzando in modo non legittimo soprattutto i processi
di aggregazione transfrontaliera ››, Cit. Separatezza tra banca e impresa, in Strategie, concorrenza e
regolamentazione nell’industria bancaria, M. BARAVELLI, G. Giappichelli, 2010, p. 69.
19
Cfr. Separatezza tra banca e impresa, in Strategie, concorrenza e regolamentazione nell’industria bancaria, M.
BARAVELLI, G. Giappichelli, 2010, p. 68.