Introduzione
Il percorso intrapreso con l'interfacoltà di Mediazione Linguistica & Culturale ha
avuto la capacità di rendermi decisamente più consapevole del fascino della differenza.
Purtroppo, nella società di oggi, non tutti riescono a cogliere quest'accezione, forse
perché è sicuramente più semplice e meno faticoso sottolineare le differenze reali o
presenti come fossero minacce verso il nostro modo di essere o di fare, piuttosto che
apprezzarle e trarne insegnamento. Mettere in discussione la nostra cultura, che
riteniamo essere la più giusta e corretta, equivarrebbe a mettere in discussione noi stessi.
In quel caso ci troveremmo a discutere di qualcosa che abbiamo sempre dato per
scontato. E' ovvio quindi che, nel confrontarci con altre culture che possono presentare
più o meno differenze rispetto alla nostra, ci si trova di fronte ad un bivio: o le evitiamo
o ci lasciamo travolgere da esse, assaporandone tutte le sfumature e arricchendo il
nostro essere. Optando per la seconda strada, ho sempre cercato di riscoprire me stessa
attraverso gli altri, confrontandomi e cercando di essere il meno prevenuta possibile. Al
contrario, credo fermamente che umiltà e curiosità siano componenti fondamentali per
questo tipo di percorso. Sicuramente i vari corsi seguiti durante questi anni non hanno
fatto altro che convincermi ancor di più di quanto sia importante sapersi confrontare con
realtà aliene alla nostra, la quale ci appare sempre così rassicurante e convincente.
Partendo da questo presupposto, credo che concentrare la mia tesi sul caso Freedom
Writers possa essere un'ottima applicazione e conclusione di ciò che ho appreso in
questi anni. Conoscere, comprendere, assimilare così come mediare, rispettare,
dialogare sono tutti termini chiave da utilizzare in questo elaborato, così come nella vita
di tutti i giorni. Bisogna entrare a piccoli passi anche nei mondi altrui, poiché solo
confrontandoci con il diverso, e osservandolo attentamente, riusciamo a metabolizzare
la differenza e a renderla addirittura nostra. Riusciamo quindi a muoverci in un territorio
che può avere diversi, o magari anche solo pochi, punti in comune con il nostro, ma è
solo attraverso l'azione comparativa che abbiamo la possibilità di scoprire qualcosa di
nuovo e, perché no, riscoprire anche noi stessi in una chiave diversa e, fino a quel
momento, a noi sconosciuta. La ricerca è il punto di partenza di tutto questo percorso:
capire come cambiamo noi in merito ad essa è essere consapevoli, pronti, attenti a tutto
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ciò che ci circonda e che sta fuori dal nostro nido.
Parlando un giorno con un compagno di università mi sono imbattuta nel
discorso Freedom Writers e mi sono talmente appassionata da non volerne più uscire.
Ho iniziato a documentarmi e a scoprire cosa avessero di tanto speciale questi giovani
studenti, e come la loro insegnante fosse riuscita, nell'intento di spronarli, a renderli
appunto consapevoli. Si tratta di ragazzi che il sistema scolastico statunitense aveva
deciso di etichettare come “delinquenti” a causa dei loro voti che rasentavano la
sufficienza o semplicemente perché facevano parte di gruppi etnici che non godevano di
un'ottima reputazione all'interno della società WASP
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. La loro fortuna è stata quella di
avere un'ottima professoressa, pronta a regalare loro quella voglia di credere, di sperare
che un giorno anche loro ce l'avrebbero fatta. Quella speranza in fondo aveva sempre
fatto parte di loro, vi era solo un gran bisogno di rispolverarla. Ciò significava motivare
questi giovani a credere in loro stessi e nella forza dell'incontro: tra culture, menti e
punti di vista. Erin Gruwell , l'insegnante in questione, è riuscita in quello che per molti
rappresentava il miracolo, ha reso concreta un'inclinazione artistica, è riuscita a
trasformarla in realtà. Un percorso sicuramente non facile, in modo particolare all'inizio,
quando Gruwell non veniva certamente presa sul serio. Il punto di forza di questa donna
è stata proprio la tenacia, la voglia di combattere a tutti i costi, la coscienza di andare
incontro a qualcosa di estremamente difficile, ma non impossibile. Ovviamente in tutto
questo una componente fondamentale è fornita dallo spazio geografico che, in questo
mio elaborato, ho deciso di suddividere ulteriormente sottolineando quindi la presenza
di uno spazio dentro lo spazio, in un'ottica transcalare. Il primo spazio sarà quello delle
metropoli americane: mi soffermerò su Los Angeles e, restringendo sempre più il
campo, su Long Beach, una cittadina che ospita la Wilson High School , dove si trova la
Room 203 , la classe di coloro che tuttora si autodefiniscono Freedom Writers . Il
secondo spazio è appunto quello della scuola: il mio compito sarà quello di soffermarmi
sulle relazioni interetniche all'interno dell'ambiente scolastico. La rivalità tra gang, il
senso di alienazione, l'ostilità razziale saranno tutti argomenti di vitale importanza per
avere un quadro generale della situazione. Gruwell sarà particolarmente propensa a far
confrontare le diverse personalità all'interno della classe, grazie a compiti ed esercizi
1 L'acronimo WASP sta a significare White Anglo-Saxon Protestant . Indica qualsiasi cittadino
statunitense non appartenente a nessuna delle tradizionali minoranze.
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mirati alla comprensione dell'altro. Oltre a farli confrontare con il dolore presente in
ognuno di loro, li metterà di fronte alla storia quotidiana che, il più delle volte, non
equivale a quella scritta sui testi scolastici. Ecco che i ragazzi scopriranno il vero
significato della parola “olocausto”, conosceranno le sofferenze degli Ebrei, capiranno a
fondo cosa vuol dire discriminare. Gruwell , dopo averli educati attraverso testimonianze
reali, farà condividere loro esperienze memorabili e l'incontro con Miep Gies , la donna
che per anni ha tenuto nascosti Anna Frank e la sua famiglia, costituirà sicuramente uno
di quegli avvenimenti che segneranno maggiormente le vite dei Freedom Writers . Essi
incontreranno anche Zlata Filipovi ć , colei che oggi viene considerata l' Anna Frank di
Sarajevo: dal 1991 al 1993 scrisse infatti un diario su tutto ciò che accadde a Sarajevo in
quegli anni, nel contesto delle Guerre Jugoslave. Anche la visita al Museum of
Tolerance di Los Angeles avrà l'effetto desiderato da Gruwell sugli studenti: aiutarli a
comprendere e a metabolizzare il loro dolore, la loro rabbia derivata dall'ostilità
quotidianamente provata sulla loro pelle: tutto questo attraverso il confronto diretto con
il senso di impotenza provato da milioni di Ebrei. A legittimare e a rendere ancora più
costruttiva questa loro crescita sarà la scrittura: ciascun studente avrà un suo diario
personale dove annoterà giorno dopo giorno i suoi pensieri, i suoi punti di vista
contornati da rabbia, malinconia, gioia. I diari saranno del tutto anonimi e
contribuiranno alla realizzazione di The Freedom Writers Diary: How a Teacher and
150 Teens Used Writing to Change Themselves and the World Around Them , una
raccolta di pensieri messi giù per iscritto da questi “scrittori della libertà” e dalla stessa
Gruwell . Il nome Freedom Writers deriva da un gioco di parole in riferimento ai
Freedom Riders , gli attivisti per i diritti civili che nel 1961 percorsero il Sud degli Stati
Uniti per lottare contro la segregazione razziale degli afro-americani. Nel caso dei
Freedom Writers , lo strumento di lotta e di liberazione sono le loro stesse parole, i loro
stessi pensieri che viaggiano ormai per il mondo attraverso il loro libro e grazie anche
alla trasposizione cinematografica, forse più nota ai più, del libro stesso. Il film infatti è
stato trasmesso da MTV e prodotto da Hilary Swank , attrice affermata che nel film
interpreta le vesti di Erin Gruwell .
Alle motivazioni sopra esposte, aggiungo la mia passione per gli Stati Uniti
nonché per la cultura statunitense, il mio amore per la black music e per le grandi
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metropoli americane. La figura del mediatore, in questo caso rappresentata
egregiamente da Erin Gruwell , come punto di incontro tra diverse storie di vita
quotidiana mi sprona a seguire il suo esempio, seppur nel mio piccolo. Inoltre, ambire a
tradurre questo libro in lingua italiana rappresenterebbe il mio massimo desiderio per
quanto concerne il caso Freedom Writers ; per il momento discuterne in questo elaborato
è già fonte di grande soddisfazione. Questo mi sprona ad approfondire le mie
conoscenze sull'interculturalismo e sulle sue componenti, come quella dello spazio
geografico di cui poco parlano i testi di sociologia.
Oltre ad avere razionalizzato i vari concetti e insegnamenti, le testimonianze di
questi giovani sono diventate portavoci di sogni, ambizioni, speranze per altri giovani
che, seguendo il loro esempio, dovrebbero capire come chiunque possa avere una
seconda possibilità: è sufficiente alimentarla e crescere assieme ad essa.
Non posso nascondere di essere rimasta colpita, affascinata, commossa dalla forza di
questi ragazzi che, nel momento in cui nessuno avrebbe scommesso un dollaro sulla
loro riuscita, sono arrivati al tanto atteso e sperato diploma: un traguardo scolastico, ma
anche di vita. Sono loro ora ad andare in giro per il mondo, a lasciare ulteriori
testimonianze che danno conferma, per chi avesse ancora dubbi, della loro tenacia, della
loro caparbietà, ma soprattutto della loro riuscita. Essi hanno eliminato barriere e
pregiudizi che a loro stessi sembravano insormontabili e hanno imparato cosa vuol dire
collaborare, condividere, comprendere.
Ne hanno fatto tesoro, e io con loro.
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1. Interculturalismo: luoghi di incontro e separazione
La coesistenza di persone di origini e tradizioni diverse all'interno della stessa
società fa sì, inevitabilmente, che esse vengano a contatto tra di loro: dalla coesistenza si
passa dunque ad una convivenza, nello stesso modo in cui da una società multiculturale
si passa ad una società interculturale. Questa convivenza può assumere diverse
accezioni poiché non sempre può risultare immediata o comunque pacifica. La storia,
ma anche i tempi presenti, ci insegnano che, in determinate occasioni, la convivenza tra
popoli di diversa origine e provenienza può apparire forzata, fino a portare, nei casi
estremi, ad un vero e proprio conflitto, sia esso fisico o esclusivamente mentale.
Convivenza non equivale a snaturare ogni singolo popolo o individuo togliendo ad esso
le caratteristiche emblematiche della sua cultura. Convivenza equivale a far sì che ogni
singola persona possa esprimersi al meglio, senza paure né timori, trovando nel diverso
qualcosa di cui far tesoro, riscoprendo e guardando se stessa da una prospettiva cui non
aveva mai avuto accesso prima d'ora.
Ovviamente, da un punto di vista prettamente intellettuale, parlando di
multiculturalismo, non ci si può non soffermare sulla diatriba storica tra Charles Taylor 2
e Michael Walzer 3
. La proposta elaborata da Taylor è quella incentrata sull'idea del
riconoscimento del valore di ogni cultura; quella elaborata da Walzer è più polarizzata
attorno ad un ripensamento dell'idea di pluralismo che, nonostante si riferisca
dichiaratamente alla composita realtà statunitense, ha comunque come scopo la
costruzione di una teoria di più ampio respiro. Taylor sembra dunque indagare su ciò
che rende la nostra vita significativa e appagante, trovando nella piena comprensione
della nostra identità la risposta più adatta. Walzer , da parte sua, ipotizza l'esistenza di
una pluralità di sfere in cui l'individuo si muove, ponendo attenzione al fatto che nessun
bene divenga dominante, affinché venga salvaguardata l'autonomia di ogni singola
“sfera di giustizia” (BELLATI, 2005).
Arrivare a parlare dei luoghi di incontro e separazione che, in tutto ciò, fanno da
sfondo, ma che acquistano allo stesso tempo un'estrema importanza all'interno di questo
2 Charles Margrave Taylor, filosofo canadese, interessato alla filosofia politica e a quella delle scienze
sociali, con particolare interesse per il cosmopolitismo e il comunitarismo.
3 Filosofo statunitense, si occupa di filosofia politica, sociale e morale.
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processo culturale, può risultare riduttivo o addirittura ostacolante se non vengono
puntualizzate e chiarite le differenze tra i due principali termini chiave di questo primo
capitolo.
Con il termine “multiculturalismo” si intende l'attuale stato delle società
occidentali, sempre più caratterizzate da una compresenza di gruppi differenti, i quali
pensano, in primis , ad una realizzazione personale e del gruppo a cui appartengono,
mantenendo in questo modo le proprie tradizioni anche all'interno di una società a loro
aliena. Esempi emblematici di questa multicultura urbana possono essere i quartieri
cinesi, piuttosto che i ristoranti etnici o la black music.
Ogni volta che i diversi gruppi arrivano ad interagire tra di loro, sia all'interno di
spazi geo-politici che di relazione, si può invece parlare di “interculturalismo”.
Quest'ultimo è, in sé, un dato di fatto, una conseguenza inevitabile del
multiculturalismo, il quale è visto più come semplice definizione o uno stadio iniziale.
Molto spesso si tende a dare al termine “interculturalismo” un'accezione esclusivamente
positiva e fin troppo idilliaca. E' infatti errato concentrarsi solo su un desiderio di
ottenere « una società fatta più di ponti che uniscono che di porte che si chiudono »,
come afferma Fabio D'Andrea 4
(MALIZIA, 2005), anche perché siamo noi, come
individui o gruppi culturali, gli stessi che riescono ad ostruire e ad ostacolare il nostro
stesso desiderio di pacifica coesione. E' proprio all'interno della strutturazione
dell'identità culturale che possono esserci spesso dei tratti che rendono altamente
problematica la coesistenza stessa, come quello di costruire un'ipotetica scala di valore
nella quale la propria identità culturale occupa il primo posto e tutte le altre,
subordinatamente, le posizioni inferiori (Cfr.: ID, 2005). Ogni qual volta ci si trova di
fronte a soggetti portatori di forme culturali, valori religiosi, apprezzamenti morali, stili
sociali ed estetici poco consueti, ecco che quel sentimento di diffidenza così profondo e
radicato in ciascuno di noi riaffiora (BERNARDI, 2004). Questo accade anche quando
viaggiamo: assieme al nostro bagaglio, spesso ci portiamo dietro le nostre ignoranze, i
nostri pregiudizi corollati da un'evidente incapacità di uscire da noi stessi (BASTIDE,
1990). Innegabilmente, seppur si cerchi sempre di precisare il più possibile, questi due
termini risultano comunque ambigui, enigmatici e sfuggenti.
L'incontro previsto dall'interculturalismo ci troverà spesso impreparati,
4 Professore di sociologia all'Università degli Studi di Perugia.
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soprattutto se non supereremo la tentazione di sfruttare le differenze per stabilire
relazioni di dominio (MARTIRANI, 2001). E' dunque necessario abbattere barriere ed
eliminare pregiudizi culturali attraverso cui si osserva il diverso commiserandolo.
Iniziando da qui, faremo nostri altri due termini chiave, quelli di “elasticità mentale” e
di “tolleranza”.
« Il rapporto positivo tra i diversi elementi di cultura materiale e non materiale
all'interno di una comunità si manifesta in una dinamica storica e in un rispetto per
l'ambiente che fa da scenario all'azione comunitaria. Essendo l'ambiente e la storia, così
come la comunità e la persona, i fattori che determinano la cultura nel senso
antropologico del termine, il degrado di un fattore si riflette su tutti gli altri, e questi
nella disgregazione culturale » (Cfr.: BERNARDI, 2004, p.38).
Lo spazio della differenza è uno spazio generalmente urbano, uno sfondo che
ospita apparizioni, azioni, rivendicazioni da parte di attori che in esso vivono e dal quale
traggono la possibilità di esprimersi. Le immagini a cui ci riferiamo quando vogliamo
descrivere le realtà multiculturali sono prevalentemente spazializzate, territoriali,
geografiche. Lo spazio fa la differenza: purtroppo, geografi a parte, pochi scienziati
sociali se ne sono occupati finora. Circoscrivere, infatti, il fenomeno
dell'interculturalismo al solo ambito sociologico appare limitato, riduttivo.
Indubbiamente la sociologia ha sempre condotto ottimi studi in relazione ai più svariati
fenomeni culturali, ma sembra che ci sia sempre una certa tendenza a non prendere in
considerazione anche gli aspetti più strettamente antropologico-geografici. Forse questo
dato oggettivo potrebbe essere ricondotto al fatto che, al giorno d'oggi, lo spazio viene
considerato come fisso, statico piuttosto che dinamico, in continuo movimento.
Sicuramente un fenomeno come quello della globalizzazione e una concezione delle
metropoli viste come aree problematiche, anche a livello mediatico, hanno fatto sì che
lo spazio venisse in qualche modo riconsiderato. Seguendo questa linea, l'urbano viene
riproposto come spazio di espressione ed emersione delle criticità globali del nostro
tempo.
Nel momento in cui viene costruito un nuovo spazio urbano, coloro che lo
abiteranno avranno una tacita competenza nel metterlo in discussione: l'attore non è un
sotto-prodotto, ma parte integrante del suo spazio. Soprattutto nei quartieri soggetti a
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riqualificazione, possiamo notare come gli stessi abitanti, e dunque la loro diversità
culturale, vengano in qualche modo usati come una risorsa, o estremizzando, come un
vero e proprio prodotto da vendere per quella determinata area. La tensione tra spazio,
attori e le più svariate interazioni che ne derivano è sempre ad alti livelli, poiché se è
vero che talvolta lo spazio agevola i propri attori ad esprimersi al meglio delle loro
possibilità, è anche vero che talvolta non si esime dal soffocarli (COLOMBANO,
SEMI, 2007).
Lo spazio, il territorio, l'ambiente da un punto di vista storico-culturale,
costituisce inoltre il riferimento indispensabile per la memoria collettiva, perché, con la
sua stabilità, ci dà l'illusione di non cambiare con il tempo e di ritrovare il passato nel
presente (HALBWACHS, 2001). Ad ogni modo, gli Stati Uniti risultano avere una
maggioranza di gruppi che, a causa di sradicamenti forzati e non spontanei, si sono
trovati ben presto ad allontanarsi dalle loro terre d'origine e a stabilirsi in luoghi
identitari all'interno delle metropoli che costituiscono comunque delle realtà
temporanee, come ci dimostrano le stesse China Town o Little Italy . Rimane il fatto che
le civiltà moderne, in particolare quelle appunto delle grandi metropoli, hanno una certa
tendenza ad essere vere e proprie divoratrici dello spazio: hanno insite una “febbre” per
il moto e la conquista spaziale nonché un'angoscia oscura di fronte a tutto ciò che è
distaccato, isolato, lontano; hanno l'impulso di espandersi, circolare, associarsi e
ritrovarsi in ogni luogo, fuorché in se stessi (EVOLA, 1995). Il territorio, lo spazio può
assumere diverse valenze alquanto sottili tra loro. Può essere oggetto di appropriazione,
demarcazione, manipolazione, difesa, percezione, valorizzazione, etc .
Si parla quindi di “localismo”, inteso come la percezione soggettiva di ciò che è
locale, vicino, conosciuto. Tutto è in relazione alla collettività sociale e, oltre al fattore
culturale, elementi di tipo economico, istituzionale, politico e religioso contribuiscono a
fornire un quadro più completo del fenomeno preso in questione.
Con il caso Freedom Writers si avrà come scenario la città di Long Beach,
situata nella parte meridionale della contea di Los Angeles. La caratteristica
fondamentale di questo elaborato sarà quella di delineare “spazio nello spazio”. Se da
un punto di vista scolastico avremo la Wilson High School che ospiterà a sua volta la
Room 203 , da un punto di vista territoriale, geografico e culturale avremo
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un'appartenenza di questi studenti a identità culturali e ad etnie diverse, situate in
quartieri specifici. Tutto questo, nella maggior parte dei casi, sfocerà in astio e rivalità
tra gang .
1.1. La metropoli americana come spazio multietnico A cosa si pensa quando si parla di metropoli? Visualizziamo subito ci ttà di
grandi dimensioni e importanza, con numerosi abitanti, caratterizzate da una dinamica
vita economica e socioculturale. Secondo Weber 5
, “il tipo moderno di città” era quella
dei produttori: aumento della popolazione, capacità d'acquisto e produzione industriale
costituiscono le ragioni sociali ed economiche che dettano i caratteri della modernità.
Con il termine “produzione” intendiamo però non solo quella materiale, ma anche e
soprattutto tutti quei prodotti e servizi avanzati che hanno una natura immateriale e sono
il risultato di un alto contenuto innovativo e di sperimentazione, creatività e buona
qualità dei prodotti, oltre che dell'ambiente urbano in cui vengono ideati e progettati
(MAZZETTE, SGROI, 2007). L'industria è sempre stata un regolatore sociale, anche se
non tutte le città sono poi diventate industriali. E' qui che il pensiero weberiano, di
esclusiva matrice culturale europea, entra in connessione con la città occidentale e, di
conseguenza, con le città nord-americane. Dagli inizi del '900, il processo lavorativo si
scompone e si semplifica grazie alla catena di montaggio, mentre il mercato è destinato
a subire un rapido processo di espansione (Cfr.: ID, 2007). La metropoli sembra svettare
sulle altre, forma una classe a parte, evoca i superlativi. Parlando di metropoli si usa
spesso il termine “grandezza” in due accezioni diverse: con la prima, ci riferiamo alla
dimensione, a qualcosa che è vasto o colossale; con la seconda, ci riferiamo più alla
qualità, a qualcosa che è preminente, principale, primario, elevato o straordinario
(JONES, 2003). Dunque, se si possono classificare le metropoli in base alle loro qualità,
bisogna soffermarsi in modo particolare sulla concentrazione di risultati derivanti dal
progresso tecnologico e culturale. Il loro ruolo sovranazionale e l'esistenza di problemi
che hanno dato luogo a patologie comuni sono altre due caratteristiche emblematiche
delle metropoli moderne. In origine, la parola indicava la sede di un vescovo
5 Maximilian Carl Emil Weber, è stato un economista, sociologo, filosofo e storico tedesco. Ai suoi
contributi più noti si fa spesso riferimento come “tesi di Weber”.
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