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Introduzione
La seguente tesi, dal titolo “il cambiamento e lo sviluppo organizzativo nella Pubblica
Amministrazione”, è nata dal tentativo di trovare una soluzione ad alcuni problemi che
riguardano attualmente l’ambito pubblico e che da tanto tempo non si riesce a risolvere
completamente. Per questo motivo si è partiti da una definizione del cambiamento e
delle implicazioni che esso comporta per le persone coinvolte. Sono stati analizzati i
meccanismi psicologici che intervengono, a livello individuale, ma anche di gruppo e
organizzativo, nel momento in cui inizia un cambiamento, e le possibili conseguenze. Si
è passati poi a spiegare come un cambiamento può essere guidato verso lo sviluppo, e
che ruolo ha la psicologia del lavoro in questo passaggio. Ancora, prendendo il caso
specifico dell’organizzazione, sono stati analizzati i principali aspetti organizzativi su
cui bisogna intervenire per innescare uno sviluppo, tenendo conto, nello specifico, della
cultura organizzativa, della leadership e della comunicazione. Tutto ciò nel primo
capitolo.
Nel secondo capitolo invece si è parlato del benessere organizzativo come obiettivo
primario dello sviluppo. Sono stati trattati poi i principali indicatori del livello di salute
organizzativa, ossia il clima, lo stress e il burnout. Sono stati descritti anche gli
strumenti più indicati per analizzare ciascun indicatore in ambito organizzativo.
Nell’ultimo capitolo, è stato preso il caso specifico della Pubblica Amministrazione in
Italia. Si è partiti da un breve excursus storico dell’organizzazione Pubblica, per poi
passare a descrivere gli aspetti che la caratterizzano attualmente.
Infine nella conclusione sono state avanzate alcune proposte di intervento, coerenti con
quanto detto nella tesi.
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Capitolo 1
Il cambiamento e lo sviluppo organizzativo
1.1. Il cambiamento organizzativo: Dinamiche psicologiche
“L’organizzazione è il modo con cui la pluralità interumana strutturata e finalizzata
cambia se stessa o subisce il cambiamento che le viene imposto” (Spaltro, 2002, p. 33).
Con il termine cambiare si intende il mettere in atto delle azioni che portano al
passaggio da una situazione data, da uno status quo, a un’altra. Si può poi fare la
distinzione tra cambiamento progettato e intenzionale, che chiameremo intervento, e
cambiamento casuale.
La capacità di mettere in atto processi di cambiamento, la capacità di mutare e
rinnovarsi continuamente, in altri termini, di essere flessibili, è attualmente ciò che
contraddistingue un’organizzazione di qualità da tutte le altre. Viviamo infatti nella
società post-industriale, caratterizzata da un aumento della tecnologia e soprattutto da
un continuo succedersi di nuovi strumenti, i quali comportano la necessità di un
continuo rinnovamento. La nostra attuale società è caratterizzata da organizzazioni
sempre più sistemiche, in cui vi è una sempre maggiore integrazione dei compiti, ma al
contempo aumenta anche la possibilità di esercizio di discrezionalità da parte dei
soggetti. La situazione lavorativa è sempre più dominata da mutamenti e da zone di
incertezza, conseguentemente, i lavoratori devono rispondere ad essa acquisendo nuove
competenze, diventando creativi, aumentando le loro capacità di presa di decisione.
Questo comporta l’esigenza di un continuo cambiamento professionale e un continuo
sviluppo organizzativo (Trentini, Bellotto, 1988). Mentre prima si pensava che il
cambiamento fosse uno dei tanti problemi che un’organizzazione doveva affrontare,
oggi esso non è più considerato un problema, bensì è l’aspetto cruciale del divenire
organizzativo (Spaltro, 2002).
Nonostante ciò, vi sono molte aziende che, ancora oggi, trovano numerose difficoltà
durante i processi di cambiamento; questo accade perché i mutamenti organizzativi
scaturiscono sempre da situazioni conflittuali, durante le quali si innescano dinamiche
psicologiche complesse, che portano a vissuti d’ansia e alla messa in atto di meccanismi
di difesa. Succede spesso che il cambiamento venga vissuto come minaccioso dagli
attori organizzativi. Un cambiamento comporta sempre una modificazione della
struttura gerarchica, una ridistribuzione dei ruoli e delle competenze; spesso, in seguito
ad esso, alcuni attori organizzativi vedono ridimensionato il proprio ruolo, o viceversa
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percepiscono le nuove richieste dell’organizzazione come eccessive rispetto alle proprie
capacità, o semplicemente si trovano a dover interagire con nuovi subordinati, capi e
colleghi con la necessità di un lungo periodo di adattamento (Kets de Vries, 1992).
Inoltre il cambiamento organizzativo è un cambiamento di gruppo. Esso non può essere
fatto coincidere semplicemente con il cambiamento dei singoli membri di
un’organizzazione perché è una cosa diversa, è un cambiare insieme, sia in termini di
azioni che in termini di consapevolezze, e deve investire tutti i livelli organizzativi; deve
sicuramente partire da un cambiamento dei singoli individui, ma da qui deve essere
esteso alla dimensione di gruppo, incidere sul tipo di relazioni a livello collettivo, sino
ad arrivare al livello comunitario. Ad ogni passaggio, questo processo, porrà alle
persone problematiche diverse, e differenti saranno anche i meccanismi di difesa e le
dinamiche di gestione della conflittualità (Spaltro, 2002).
Per capire le dinamiche psicologiche alla base del processo di cambiamento, bisogna
necessariamente introdurre il concetto di conflitto, definito da Avrunin e Coombs come
“il tentativo di compiere una scelta ottimale entro una varietà di opzioni” (Spaltro, 2002,
p. 164). Secondo Spaltro, ogni situazione lavorativa è conflittuale per sua natura
(Nonnis, 2007, p. 2) ma, se risolta, genera un cambiamento. Allora il cambiamento è
dato dalla gestione e risoluzione di un conflitto, che può presentarsi a più livelli
organizzativi, nello specifico, a livello di coppia, piccolo gruppo, collettivo e
comunitario. Le difficoltà nella risoluzione dei conflitti discendono dal fatto che essi
sono sempre caratterizzati da una dimensione duale, nel senso che comportano sempre
una scelta tra due o più opzioni. Questa condizione di dualità, genera un sentimento di
colpevolezza, che se non si riesce a gestire, porta a mettere in atto dei meccanismi di
difesa. Nello specifico vi sono due meccanismi che permettono di uscire dal senso di
colpa: l’espiazione e la rimozione. Nel caso dell’espiazione si agisce cercando di
aumentare la dualità e di mediarla verso una situazione ternaria, nel caso della
rimozione si tenta invece di riportare la situazione duale a una situazione unitaria,
magari rimuovendo un’opzione.
Il cambiamento organizzativo è, nello specifico, sempre un problema a doppia
conflittualità: vi è una conflittualità a livello temporale tra presente e futuro, e una
conflittualità a livello spaziale tra sé e gli altri. Può essere utile fare riferimento alla
croce del cambiamento organizzativo, che è una rappresentazione grafica quaternaria in
cui sono indicate le possibilità logiche di un cambiamento organizzativo. Nella croce
del cambiamento viene messo in interazione da un lato lo spazio interumano ossia “il
modo con cui chi si accinge a cambiare in un sistema sociale si sente in rapporto con gli
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altri” (Spaltro, 2002, p. 93); dall’altro il tempo interumano ossia “il modo in cui chi si
accinge a cambiare si sente in rapporto con il proprio e con il tempo degli altri”
(Spaltro, 2002, p. 94). In effetti le due variabili di tempo e spazio sono imprescindibili
in un discorso sul cambiamento. Per ciò che riguarda la variabile temporale, vi è sempre
uno scarto tra concezione del tempo soggettiva e concezione del tempo obiettiva;
l’individuo che si accinge a progettare un cambiamento si trova sicuramente in una
situazione di ansia perché vive un presente e sa cosa succede, ma va verso un futuro che
ancora non gli è del tutto noto. Egli desidera che le cose si evolvano in un certo modo,
ma a questo desiderio si affianca anche un rischio, quello di non riuscire a realizzarlo, e
il dover diluire questo desiderio nel tempo amplifica ancora di più questa paura.
Bisogna inoltre considerare che un cambiamento dello status quo è vissuto a livello
psichico come una morte del presente, del vecchio, per lasciare spazio al futuro, al
nuovo (Spaltro, 2002); Kets De Vries (1992) ad esempio paragona l’elaborazione del
vissuto di cambiamento all’elaborazione del lutto, e sostiene che i processi psichici
vissuti dagli individui nelle due situazioni sono analoghi.
Per quanto riguarda la dimensione spaziale il contrasto è tra se e gli altri. A livello
organizzativo è necessario fare i conti con la pluralità, se non ci si apre agli altri, se si
rimane in una situazione di solitudine, non si sta mettendo in atto un cambiamento. A
questo proposito è interessante la tesi di Rutelli (2001), secondo il quale si è passati da
una concezione dell’organizzazione meccanicistica a una concezione sistemica; questa
nuova concezione implica la necessità di una condivisione dei saperi ai diversi livelli
organizzativi, e la necessità che i diversi attori stabiliscano relazioni efficaci e coerenti
con la cultura organizzativa che insieme hanno costruito. Tale tesi è condivisa dallo
stesso Spaltro (2002), il quale parla della capacità, indispensabile per un buon
funzionamento organizzativo, di instaurare relazioni eccellenti a tutti i livelli di
funzionamento organizzativo, siano essi coppia, gruppo, collettivo o comunità. Allora
perché si verifichi un cambiamento è necessario che avvengano due processi: un
processo di storicizzazione attraverso una tripartizione del tempo in passato, presente e
futuro, e un processo di socializzazione attraverso una tripartizione dello spazio.
Le necessità di apertura spaziale e di apertura temporale, intrinseche a un processo di
cambiamento, non sono però così semplici da soddisfare e, come già detto, favoriscono
negli individui l’emergere di resistenze. Kets de Vries (1992) tratta in modo ampio le
resistenze e i meccanismi di difesa nei confronti del cambiamento. In primo luogo
l’autore introduce una distinzione tra il termine “resistenza” il quale indica una condotta
osservabile finalizzata ad ostacolare un cambiamento, e il termine “meccanismo di
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difesa” il quale si riferisce invece ai processi che sottostanno e generano le resistenze.
Le difese non sono necessariamente patologiche, esse sono dei meccanismi che
permettono all’individuo di mantenere un certo equilibrio psichico, considerato
necessario per la sopravvivenza; per questo motivo emergono ogni qualvolta l’individuo
deve affrontare delle situazioni che causano tensioni. Le difese diventano patologiche e
conseguentemente dannose per l’individuo, nel momento in cui si ha un loro abuso, o
quando comportano la messa in atto di comportamenti inefficaci e controproducenti. In
questi casi le difese sfociano in resistenze.
Le tipologie di resistenza più diffuse in ambito organizzativo sono i meccanismi di
difesa, le resistenze da vantaggio secondario, le resistenze da Super-io.
I meccanismi di difesa nascono nel momento in cui l’individuo percepisce un conflitto
tra i desideri individuali e la realtà esterna. Il sintomo primario, tipico di questi processi
è la convinzione che non vi sia nessun problema, quando invece è presente una
situazione critica. Argyris (1994) parla a questo proposito di incompetenza razionale,
ossia meccanismo attraverso il quale gli individui, razionalmente, dopo aver commesso
degli errori, mettono in atto comportamenti ambigui e di dissimulazione per non dover
riconoscere il loro precedente fallimento. Fra gli esempi più diffusi di meccanismi di
difesa in ambito organizzativo abbiamo (Kets de Vries, 1992):
Rimozione: consiste nel relegare nell’inconscio pensieri, emozioni, desideri
legati a un vissuto doloroso; la loro manifestazione concreta più frequente sono i vuoti
di memoria o le dimenticanze;
Regressione: consiste nel ritornare a modalità di adattamento e comportamento
tipici di una precedente fase di sviluppo. È un tentativo di affrontare situazioni che
comportano una grave minaccia alla propria autostima, adottando comportamenti che in
periodi molto precedenti si sono rivelati efficaci;
Proiezione: con la proiezione si attribuiscono ad altre persone o gruppi
comportamenti propri che però non vengono accettati; in questo modo si tenta di
mantenere l’Io libero da conflitti;
Identificazione: è un meccanismo che porta all’identificarsi con un’altra persona,
ad adottare i suoi modelli di comportamento. Può essere un meccanismo positivo, nel
senso che può agevolare l’apprendimento di modelli di comportamento più efficaci. Una
tipologia particolare è l’identificazione con l’aggressore, ossia con una persona i cui
comportamenti sono giudicati dannosi per se stessi; in questo caso si adottano, con altre
persone, comportamenti giudicati dannosi se rivolti a se stessi;
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Formazione reattiva: è presente nel momento in cui un atteggiamento è relegato
nell’inconscio, mentre l’atteggiamento opposto viene manifestato con sollecitudine. Ad
esempio una persona aggressiva può relegare nell’inconscio l’aggressività e manifestare
comportamenti esageratamente amorevoli nei confronti degli altri. La formazione
reattiva comporta l’instaurarsi di modelli comportamentali particolarmente stabili, e per
questo può influenzare profondamente il carattere e la personalità di un individuo;
Diniego: è uno dei meccanismi più frequenti in situazioni di cambiamento
organizzativo; in questi casi l’individuo o il gruppo negano l’esistenza di un fatto o di
una realtà esterna perché considerata spiacevole o indesiderata. In altri termini si ha il
rifiuto del cambiamento della situazione.
La resistenza da vantaggio secondario è tesa, in primo luogo, al soddisfacimento di forti
desideri di dipendenza, o alla compensazione di sentimenti di debolezza e/o insicurezza.
L’obiettivo alla base di questa tipologia di difesa è ottenere attenzione e cura dagli altri;
allora, ad esempio, si chiederà aiuto per affrontare un cambiamento, ma al contempo ci
si opporrà ad esso per non dover rinunciare all’aiuto ottenuto; oppure si metteranno in
atto comportamenti disfunzionali al raggiungimento degli obiettivi in modo da attirare
l’attenzione dei dirigenti o dei colleghi. Il vantaggio secondario è appunto ricevere cura
e attenzioni.
Un’ultima tipologia di resistenza è la resistenza da super-io. Il super-io in termini
dinamici è l’imperativo morale, allora la resistenza da super-io è caratterizzata da sensi
di colpa e dal desiderio di essere puniti per colpe reali o immaginarie. Una
manifestazione comportamentale di questo tipo di difesa consiste nel commettere degli
errori, al fine di essere puniti e poi successivamente perdonati.
Per capire come queste difese funzionano non si può prescindere dal concetto di
atteggiamento. Gli atteggiamenti sono “modi costanti di reagire all’ambiente esterno”
(Spaltro, 2002, p. 114). Lewin a questo proposito individua due tipi di atteggiamento.
L’atteggiamento “changing” che è uno stato in cui il cambiamento è vissuto
dall’individuo dall’interno, egli partecipa, ha un ruolo attivo nel processo e un forte
investimento psicologico; ad esso si contrappone l’atteggiamento “change” per il quale
il cambiamento è vissuto dal soggetto come qualcosa che avviene al proprio esterno e a
cui non si partecipa. Mentre l’atteggiamento “changing” comporta una maggiore
apertura al cambiamento e una maggiore voglia di gestirlo, l’atteggiamento “change” è
sicuramente caratterizzato da ansietà da diffusione, ossia dalla paura di perdere la