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ambientalista a livello internazionale di Greenpeace e del suo
contributo storico per la salvaguardia dei mari, riconosciuto
anche dalle Nazioni Unite .
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CAPITOLO I
LE RECENTI NORME INTERNAZIONALI
CONVENZIONALI E CONSUETUDINARIE A TUTELA
DELL’AMBIENTE MARINO.
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1. Breve excursus storico delle Convenzioni
internazionali a tutela dell’ambiente marino.
Quello che successe nel 1967, in altre parole il naufragio
della petroliera TORREY CANYON, rappresenta per la
normativa internazionale a tutela dell’ambiente marino, una
decisiva e netta inversione di tendenza
1
.
Infatti, tale evento inquinante verificatosi con drammatiche
conseguenze per le coste della Cornovaglia, risvegliò l’attenzione
dell’opinione pubblica mondiale e della stessa Comunità
internazionale. Le precedenti convenzioni in materia risalivano
alla “Convenzione per la prevenzione delle acque del mare
dall’inquinamento da idrocarburi “adottata a Londra il 12
maggio 1954, le “Convenzioni di Ginevra sul diritto del mare”
del 1958 e la “Convenzione sulla responsabilità civile degli
1
FOIS: La tutela dell’ambiente marino, in Digesto discipline pubblicistiche,
Torino, 1987; IVALDI: Inquinamento marino e regole internazionali di
responsabilità, Padova, 1996; CAMARDA: Convezione “SALVAGE 1989” e
ambiente marino, Milano, 1992
5
esercenti di navi nucleari” firmata a Bruxelles il 25 maggio
1962.
Evidentemente tali strumenti normativi dovevano risultare
inadeguati, sia per le loro caratteristiche tecniche-giuridiche, sia
per le diverse caratteristiche di evoluzione tecnologica riguardati
la produzione e il trasporto che si erano sviluppate nel corso
degli anni. Il trasporto per mare di idrocarburi e altre sostanze
inquinanti viveva un exploit per il continuo aumentare della
richiesta di tali prodotti sui mercati mondiali grazie alla ripresa
economica propria di quegli anni.
L’incidente della Torrey Canyon non fu il primo né l’ultimo
tant’è che dal 1969 si assistette ad un parallelo aumento della
stipulazione di innumerevoli convenzioni a livello mondiale e
regionale.
Si possono citare la “Convenzione sull’intervento in alto
mare in caso di inquinamento adottata a Bruxelles nel 29
novembre 1969; il “Trattato sul divieto di collocare armi nucleari
6
sul fondo e sottosuolo dei mari” adottato a New York nel 7
dicembre 1970; la “Convenzione sulla responsabilità civile nel
campo del trasporto marittimo di materiale nucleare “adottata a
Bruxelles nel 17 dicembre 1971; la “Convenzione per l’istituzione
di un Fondo Internazionale per il risarcimento dei danni
conseguenti ad inquinamento di idrocarburi” di Bruxelles del 18
dicembre 1971; la “Convenzione per la prevenzione da
inquinamento marino da scarico di rifiuti” firmata a Londra il 13
novembre 1972; il “Protocollo relativo all’intervento in alto mare
per l’inquinamento da sostanze diverse da idrocarburi “Londra 2
novembre 1973; la “Convenzione internazionale per la
prevenzione dell’inquinamento causato da navi”,Londra 2
novembre 1973.
La “Convenzione SALVAGE 1989” di Londra e la
Convenzione sulla responsabilità e risarcimento per danni
causati dal trasporto per mare di sostanze nocive e
potenzialmente pericolose, detta: “HNS” sempre adottata a
7
Londra nel 3 maggio 1966 sono le ultime due in ordine di tempo
a carattere mondiale, senza ricordare le innumerevoli altre a
carattere regionale come gli “Accordi di Barcellona per la
salvaguardia del Mare Mediterraneo” firmati nel 1976 solo per
citare alcuni esempi a noi più vicini
2
.
Da quel fatidico 1967 sono passati più di 30 anni, i disastri
ecologici, marini e non, si sono ripetuti con puntale e tragica
cadenza; si possono fare solo delle stime parziali delle sostanze
nocive riversate negli oceani o mari chiusi
2
bis
. L’ultima vicenda è
(in ordine di accadimento) proprio di quest’agosto 1999, il giorno
7
3
, che ha visto protagonista proprio una petroliera italiana
responsabile dell’inquinamento della baia di Sidney (Australia),
riportando alla ribalta, se mai ce ne fosse bisogno quanto urgente
e delicato possa essere il problema dell’inquinamento marino con
tutte le sue conseguenze socio-economiche per non parlare di
2
Vedi nota 1 .
2
bis
Si calcola che negli ultimi 30 anni siano state riversati in mare più di 15
milioni di tonnellate fra petrolio e sostanze nocive (solo la guerra del Golfo
con più di 7 milioni).
3
“La Repubblica” 7/08/1999- “Sidney disastro ecologico” cronaca
internazionale pag. 15.
8
quelle ecologiche.
Probabilmente gli strumenti normativi da soli non bastano
per ovviare a quelle che comunque sono delle fatalità.
L’OIL Pollution ACT
4
, normativa statunitense del 1990
prevede alcuni accorgimenti tecnici per la costruzione delle
nuove navi a condizione che abbiano il doppio scafo che
permetterebbe di evitare immediate fuoriuscite del carico in
seguito a collisione.
E’ questa una esperienza isolata ma dimostra quanto sia
necessario che nella produzione normativa si debbano prevedere
anche dei puntuali accorgimenti tecnici.
4
bis
4
SCHIANO DI PEPE: La vicenda “Sea Empress”, tra prevenzione e,
risarcimento dei danni all’ambiente marino, in Rivista Giuridica
dell’ambiente, 1999 pag. 358 specie pag. 392.
4
bis
Vedi paragrafo 4 cap. II
9
2. Le norme in materia di protezione dell’ambiente mari o
contenute nella convenzione “Quadro” di Montego Bay
del 1982.
Nella moltitudine di accordi e convenzioni in precedenza
citati, un posto di rilievo assume senz’altro la Convenzione di
Montego Bay del 1982 definita anche come una Convenzione
quadro sul diritto del mare, in vigore dal 1994.
In essa, sono infatti contenuti una serie di 46 articoli, dal
192 al 235
5
, dedicati specificamente a formare una vera e propria
“cornice” di principi e regole che gli accordi precedenti avevano
enunciato, con lo scopo di prevenire ridurre e controllare
l’inquinamento dell’ambiente marino.
La circostanza che tale Convenzione sia nata sotto la
supervisione delle Nazioni Unite e quindi contando sulla
partecipazione di quasi tutti gli Stati membri della Comunità
5
Fois: op. prec.cit. in specie pag. 213; CAMARDA, Convenzione Salvage
1989 e ambiente marino 1992, pag. 270; Conforti: Diritto Internazionale e
protezione dell’ambiente marino, Milano, 1983
10
internazionale, rappresenta una sorta di punto d’arrivo di una
serie di Convenzioni precedenti. Essa, infatti, possiede un punto
di forza non trascurabile: l’assenso e adesione ai suoi principi
della maggioranza dei partecipanti che le conferisce, un carattere
vincolante non indifferente.
Dopo un’analisi più accurata condotta in dottrina
6
, non si può
certo affermare che non vi siano delle carenze normative
all’interno di essa; senza dubbio ci si sarebbe aspettati di trovare
un corpo di norme più omogeneo ed attento alla tutela degli
equilibri ecologici dell’habitat marino in generale, perché pur
essendovi norme dirette in questa direzione (articoli 61-68-e 117-
120) è pur vero che si può rilevare come sia ben più rilevante
l’aspetto economico su quello ecologico, nella razionalizzazione,
ad esempio, dello sfruttamento delle risorse minerarie.
Appare modesta, inoltre, la responsabilità oggettiva per
danni derivanti da inquinamento in generale, a carico degli Stati
6
STARACE: Diritto internazionale e protezione dell’ambiente marino,
Milano, 1983
11
così come formulata; certamente più completa appare la
disciplina dettata dalla Convenzione sulla responsabilità civile a
Bruxelles nel 1969 detta “CLC”.
Infatti, pur in presenza di chiare norme che dettano
raccomandazioni di emanare nuove norme per limitare,
prevenire e controllare le varie forme d’inquinamento a carico
degli Stati (art. 194) queste sono indirizzate agli stessi affinché
provvedano con leggi interne auspicandone l’adozione in tempi
brevi.
La stessa collaborazione auspicata con le organizzazioni
internazionali esistenti (articoli 207-212 e 213-222) non possiede
carattere vincolante.
Vi sono numerose previsioni per la tutela contro molteplici
forme d’inquinamento marino da terra (articoli 207, 212 215)
atmosferico (articoli 212-222), da immersione di sostanze nocive
(articoli 210-216) da esplorazione sottomarina (articoli 208-216)
etc., ma queste sono in ogni modo assai inferiore di numero a
12
quelle dedicate all’inquinamento da navigazione (articoli 211-
217-220-228) ciò significa che la Convezione di Montego Bay non
ha curato campi di tutela verso quelle forme d’inquinamento che
le precedenti convenzioni avevano in parte trascurato,
occupandosi invece in misura maggiore dell’inquinamento da
navigazione, che era già abbastanza sviluppato. L’obiettivo di
cooperazione fra gli Stati all’art. 197 è assai generico ed assai
poco vincolante, così come quello dell’art. 192, di “preservare e
proteggere l’ambiente marino”.
Critiche severe sono giunte sempre in dottrina
7
, che ha fatto
notare come in realtà gli Stati invece di dare più potere alle
organizzazioni internazionali esistenti, e coordinare e rendere
più efficace una reale tutela dell’habitat marino con mezzi tecnici
e non solo giuridici, si sono preoccupati maggiormente di
preservare la propria sovranità, attraverso meccanismi di
votazione che consentono un diritto di veto in seno alle sedute
7
VILLANI: La protezione internazionale del mare contro l’inquinamento nei
suoi aspetti organizzativi, in Starace: Diritto internazionale e protezione
dell’ambiente marino, Milano, 1983, pag. 177, in specie pag. 236
13
delle convenzioni in materia.
Per ultimo vi è da registrare un regresso della Convenzione
di Montego Bay rispetto alla Convenzione di Londra del 1972 (
sulla prevenzione dell’inquinamento marino da scarico di rifiuti o
altre sostanze nocive) per quanto riguarda il potere dello Stato
costiero di perseguire le infrazioni commesse da una nave
rispetto a quello dello Stato della bandiera soprattutto se vi è già
un provvedimento giudiziario di quest’ultima.
Dopo la rilevazione di questi aspetti non certo esaltanti,
verrebbe da chiedersi come mai tale Convenzione rappresenti un
così importante punto di riferimento per la normativa in
materia.
La ragione va identificata secondo quanto rilevato in
dottrina
7
bis
innanzi tutto nel suo spiccato carattere di “unitarietà
“normativa in materia in quanto, pur con le con le suddette
carenze in alcuni settori, essa costituisce pur sempre un
7
bis
Prof.
re
V. STARACE, FOIS, CAMARDA
14
complesso di norme omogeneo ed unitario più di qualsiasi altra
convenzione di diritto internazionale che si occupa della tutela
dell’ambiente marino. A proposito, la dottrina ha usato il termine
“universalizzazione”
8
dell’obbligo di prevenire, limitare e
controllare ogni forma d’inquinamento previsto nella
Convenzione stessa pur non dettando norme specifiche con
carattere territoriale.
Fra tutte queste luci ed ombre, si può però riconoscere alla
Convenzione di avere raggiunto un risultato concreto: maggiori
poteri sono stati demandati allo Stato del porto nel perseguire
infrazioni per inquinamento da navigazione (articolo 281 par.I)
Ugualmente chiamato a far rispettare le norme dettate in
materia d'inquinamento da navigazione alle proprie navi è lo
Stato della bandiera come si evince dall'art.217, mentre lo Stato
costiero può proporre dei procedimenti giudiziari nei confronti di
una nave solo se questa è “volontariamente” nelle sue acque, cioè
se la sua rotta è stata deviata a causa di forze maggiori (vedi
8
STARACE op. prec. cit.
15
eventi meteorologici, pirateria, avarie etc.) e da questa sia dipeso
l'evento inquinante art.220.
Se si paragonano le suddette norme con quelle scaturenti
dalla Convenzione di Londra del 1973 per la prevenzione
dell'inquinamento causato da navi si noterà come siano stati
indicati lo Stato del porto e/o costiero e non quello della bandiera,
per aprire procedimenti giudiziari, a meno che quest'ultimo, in
ottemperanza alle proprie leggi, abbia già aperto un
provvedimento in questione.
Con l'art. 216 par. 2, si è inoltre voluto evitare che l'autore di
un'infrazione, sia giudicato in più di uno Stato e quindi più di
una volta per la medesima infrazione; pur se non si comprende
come gli Stati, non essendo obbligati a farlo, siano tuttavia liberi
di iniziare il procedimento giudiziario in ordine ad un'infrazione
relativamente alla quale è in corso un analogo procedimento in
un altro Stato.
Inoltre se vi sono accordi fra gli stessi Stati non sono escluse
16
misure di limitazione alla libertà personale
9
.
Importanti sono ancora le disposizioni contenute nell'art.
145, che assegna ampi poteri allo Stato costiero per la protezione
dell'ambiente marino nella sua Zona economica esclusiva; così
come attribuisce allo stesso Stato, per quanto riguarda l'alto
mare (articoli. 116-120), e pur nel limite della sua sovranità,
ampi poteri per proteggere le sue risorse biologiche (art. 73).
In conclusione, pur con le dovute critiche che possono essere
sollevate per le carenze su esposte, ancor oggi la Convenzione di
Montego Bay costituisce il primo riferimento per il “Diritto del
Mare” .
9
CARARDA op. prec. cit. in specie pag. 42