Un sistema basato su Web per la gestione a distanza di pazienti diabetici
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forniva l’assistenza domiciliare ai pazienti diabetici di Tipo 1; nella fase di prova il
progetto ha riscontrato un parere positivo da parte di tutti gli utilizzatori, ha fornito dei
dati incoraggianti che indicano una diminuzione nell’assunzione dell’insulina da parte
dei pazienti sottoposti alla terapia.
Questi risultati e alcuni problemi legati alla struttura di T-IDDM hanno portato alla
studio e alla realizzazione del progetto M
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DM (Multi access services for Diabetes
Management), in cui il servizio fornito agli utenti è notevolmente migliorato e permette
la trasmissione delle informazioni con diversi mezzi tecnologici oggi a disposizione.
Questa tesi riguarda la realizzazione di un’unità del progetto e precisamente dell’unità
paziente; il primo capitolo costituisce un’introduzione descrittiva delle caratteristiche
peculiari della patologia diabetica ed è inoltre incentrato sulle problematiche associate a
questa malattia. Inoltre, in questa sezione si dà una descrizione delle informazioni che i
diabetici devono giornalmente trascrivere nel proprio diario per mantenere sotto
controllo la terapia, si fa un accenno alla storia delle tecnologie introdotte per il
monitoraggio della cura, si illustra come sia stata strutturata il vecchio progetto, quali
siano stati i suoi aspetti positivi e negativi, quali risultati si sono raggiunti nella fase di
studio del sistema realizzato e infine come sia stata realizzata l’unità paziente del
precedente progetto.
Nel secondo capitolo si delineano gli obiettivi dal progetto M
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DM, le innovazioni che
dovrebbe apportare, le caratteristiche di cui sarà dotato come sistema multi-accesso ed
infine le soluzioni proposte per un collegamento al servizio.
Il terzo capitolo tratta invece delle problematiche riguardanti i moduli del sistema
rivolti ai pazienti, si evidenzia come l’interfaccia grafica dell’unità del precedente
progetto sia stata apprezzata dagli utenti e quindi come sia stata migliorata e riproposta
per quella nuova. In ultimo si analizza come è strutturato il meccanismo tra il software
realizzato e gli strumenti attualmente a disposizione e come il sistema risulta trasparente
all’utente nell’utilizzo di questi strumenti.
Nel quarto capitolo si evidenzia il processo di realizzazione dell’intera struttura
software dell’unità, tutte le descrizione delle varie funzioni sono descritte verbalmente e
correlate dei propri algoritmi.
Successivamente alla presentazione strutturale della complessità del progetto, ho
ritenuto opportuno illustrare il funzionamento reale dell’unità. Questo compito è dunque
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demandato al quinto capitolo, ove si fornisce un manuale utente di facile comprensione,
atto a coadiuvare il paziente e a fornirgli una panoramica globale del sistema.
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Il problema clinico
1.1 Il diabete
Il diabete mellito è una disfunzione del metabolismo del glucosio, caratterizzata da
iperglicemia e poliuria. Essa è in generale legata alla carenza o alla insufficiente
produzione d’insulina, il principale ormone glico-regolatore. L’importanza di una
corretta capacità di utilizzazione degli zuccheri da parte dell’organismo è evidente: da
questo dipendono il lavoro muscolare, il mantenimento della temperatura corporea, la
funzionalità di organi (cuore, fegato, cervello...). La malattia, che ha una forte
componente di familiarità, si manifesta in due forme principali: il diabete di tipo 1, o
insulino-dipendente, caratteristico soprattutto dei giovani e per questo definito anche
‘diabete giovanile’, ma possibile anche negli adulti e negli anziani, risulta essere una
particolare patologia di origine autoimmune che causa la distruzione delle cellule beta
del pancreas, preposte alla sintesi dell’insulina, per questo ne è caratterizzato da una
totale assenza. Il diabete di tipo 2, o dell’età matura, è generalmente non insulino-
dipendente, si manifesta di solito dopo i 60 anni e nelle persone in sovrappeso. Per
prevenire la mancanza di insulina nell’organismo, si provvede a somministrarla per via
esogena, sotto forma di farmaco che provvede alla regolazione del glucosio nel sangue.
È quindi una malattia che obbliga sia il medico curante sia il paziente ad un continuo
scambio di informazioni, per mantenere un monitoraggio completo dell’evolversi della
situazione, nell’immagine seguente è riportato in modo schematico quanto detto finora.
Il ruolo cruciale che svolge il Trattamento Insulinico Intensivo (IIT) nel ritardare o
prevenire lo sviluppo delle complicazioni a lungo termine della Dipendenza Insulinica
del Diabete Mellito (IDDM) è stato chiaramente dimostrato dal Trial di Controllo del
Diabete e delle Complicazioni (DCCT). D’altra parte, lo stesso studio ha mostrato gli
svantaggi dell’IIT: l’aumento del rischio di ipoglicemie, dovute al gran numero di
iniezioni d’insulina, e l’aumento del costo della gestione del diabete, dovuto alla
necessità di una frequente sorveglianza da personale medico specializzato. Come
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bilanciare i vantaggi dati dall’IIT con i suoi svantaggi è un argomento di discussione,
che coinvolge considerazioni etiche e sociali.
Un’opportuna soluzione costo-efficace al problema dei pazienti IDDM può essere
rappresentata dall’uso di moderne tecnologie per la trasmissione dei dati ed il supporto
alle decisioni. Oggigiorno sono disponibili vari strumenti e sistemi di aiuto per
l’ottimizzazione di piani terapeutici; inoltre la crescita esponenziale nella disponibilità e
nell’uso di servizi di telecomunicazioni, spinge verso l’integrazione di strumenti di rete
che possono aiutare nell’assistenza a lunga distanza del paziente, come anche la
possibilità di monitoraggio, sempre a lunga distanza, da parte del medico.
Da qui nasce la necessità di progettare un sistema di telemedicina che tenga in
considerazione le necessità dei suoi utilizzatori, pazienti e medici, che, basandosi sulle
esperienze passate, sia in grado di offrire una nuova soluzione integrata al problema
della gestione dell’IDDM[3].
Fig. 1.1 : Modellizzazione della regolazione glucosio insulina
1.1.1 Come si agisce ai sintomi da diabete di tipo I
Ai primi sintomi da diabete (dimagrimento, continua stanchezza, eccessiva diuresi
accompagnata da un elevato fabbisogno d’acqua, presenza di glucosio ed acetone nelle
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urine), il paziente viene ospedalizzato ed i medici ricercano il miglior protocollo
terapeutico, che consenta la normalizzazione della glicemia. Nel protocollo sono
contenute informazioni riguardo alla dieta da seguire, il numero di iniezioni di insulina
da praticarsi durante la giornata, in termini di quantità e tipo di farmaco
ipoglicemizzante per ogni somministrazione. Il protocollo viene preparato dal medico
curante sulla base di alcune misurazioni giornaliere di glicemia, di glicosuria e di
acetonuria. Il protocollo non è tuttavia sufficiente per compensare sempre il
metabolismo del glucosio. Ci sono infatti molte variabili che concorrono nel controllo
metabolico che, lontano da un ambiente controllato, come può essere ad esempio un
ospedale, risultano difficili da quantificare. Il controllo degli eccessi alimentari e
dell’attività fisica risulta critico per un sistema efficiente di stabilizzazione della
glicemia. I valori glicemici di un paziente diabetico dopo un pasto dipendono dalla
quantità di carboidrati semplici e complessi presenti negli alimenti ingeriti ed alla dose
di insulina assunta. Per una valutazione della variazione glicemica dovuta al pasto, si
utilizza un indice glicemico, che è un valore percentuale indicante l’aumento del tasso
glicemico dovuto ad un certo alimento rispetto ad una stessa quantità di carboidrati di
pane, assunti come riferimento. Si è dimostrato che diete con basso indice glicemico
contribuiscono a ridurre il fabbisogno giornaliero d’insulina. Gli eccessi alimentari,
come dice la parola stessa, sono uno strappo alla dieta, e possono essere dovuti a diversi
fattori: l’impossibilità di mangiare a casa, un particolare appetito o semplicemente il
risultato di una cena tra amici. Il problema sta nel quantificare l’eccesso. Il paziente
difficilmente avrà controllato l’indice glicemico di tale pasto, e le sue annotazioni sul
diario giornaliero faranno riferimento solo ad un pasto eccessivo. Un altro aspetto di
difficile quantificazione è l’attività fisica. È chiaro che una corretta attività fisica giovi
al paziente, perché concorre ad un aumento della metabolizzazione del glucosio. Il
momento ideale per praticare dello sport è un’ora dopo i pasti, dove la glicemia tende ad
essere più elevata. Durante un’attività fisica però si possono verificare anche degli
episodi ipoglicemici, dovuti ad uno sforzo eccessivo. Sono da evitare quindi quegli
sport dove, per la loro pericolosità o per l’impegno che richiedono, il paziente non possa
controllarsi il valore di glicemia, ed intervenire se necessario con zuccheri od insulina
per compensare lo squilibrio dovuto allo sforzo fisico[5].
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1.1.2 Epidemiologia del diabete
Il diabete, in particolare quello di tipo 2, è una malattia in continuo aumento. Nel 1985,
al mondo, si contavano circa 30 milioni di diabetici. Dieci anni più tardi questo numero
si è più che quadruplicato, attestandosi sui 135 milioni. E le previsioni sono tutt’altro
che ottimistiche: si calcola infatti che nel 2025 i pazienti saranno 300 milioni. Nel 1995
il continente con il più alto numero di diabetici era l’Europa, con 33 milioni di pazienti,
seguito dalle Americhe con 31 milioni e dal Sud Est Asiatico con 28 milioni. Gli
esperti, però, concordano nel ritenere che proprio il sud Est Asiatico svilupperà il
maggior numero di casi di diabete: nel 2025 saranno circa 80 milioni i pazienti, per la
maggior parte indiani. L’Europa passerà invece al quarto posto con 48 milioni di malati.
Globalmente l’incremento previsto sul pianeta è del 110%, di cui il 40% nelle nazioni
industrializzate e il restante 70% in quelle in via di sviluppo.
Tra le cause di questo vero e proprio boom di pazienti, sostengono gli esperti, vanno
segnalate: l’invecchiamento della popolazione, i cambiamenti nello stile di vita legati
all’urbanizzazione e all’industrializzazione. In Italia, i pazienti diabetici noti sono
attualmente 1.700.000 circa, ma le proiezioni indicano che nel 2025 questa cifra salirà a
3.300.000. L’insieme dei dati attualmente disponibili consente di definire l’incidenza
dei nuovi casi di diabete di tipo 1 nella nostra nazione, anche se quasi esclusivamente
limitata all’età preadolescenziale (meno di 15 anni), con valori variabili da 7 a 11 nuovi
casi per 100.000 persone in tutte le regioni, con l’unica eccezione della Sardegna dove
si raggiunge la punta estrema di 34 nuovi casi. Questi valori sono sostanzialmente simili
a quelli americani ed europei, con la punta massima rappresentata dalla Finlandia con
42 nuovi casi.
A tutt’oggi siamo invece ancora lontani dall’avere una conoscenza completa della
diffusione del diabete tipo 2 (oltre il 90% nel mondo, circa il 95% in Italia). Fra le varie
popolazioni esistono importanti differenze nella prevalenza di questa forma di diabete e
in particolare alcuni gruppi etnici appaiono particolarmente suscettibili. Per quanto
riguarda l’Italia si osserva una prevalenza media nella popolazione generale intorno al
3%, che sale al 5.6% qualora si consideri anche il diabete non diagnosticato e la fascia
d’età compresa fra i 45 e i 55 anni. La situazione europea è molto simile a quella degli
Stati Uniti.
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Questi dati consentono tre importanti osservazioni:
1. negli adulti su scala mondiale si sta verificando un’epidemia di diabete;
2. l’andamento sembra essere fortemente correlato allo stile di vita e ai cambiamenti
socio-economici;
3. i Paesi in via di sviluppo e le minoranze più disagiate dei Paesi industrializzati sono
quelli a maggior rischio di sviluppare la malattia.
Ne consegue che tutte le nazioni devono essere stimolate a predisporre programmi e
piani nazionali per la prevenzione e il controllo del diabete.[6]
1.1.3 I costi del diabete
A causa della sua caratteristica di malattia cronica e della severità delle complicanze, il
diabete è particolarmente costoso per il sistema sanitario. La corretta identificazione dei
costi di una malattia è complessa e include:
1. la stima dei costi diretti, relativi alla cura e alla prevenzione della malattia e delle
sue complicanze;
2. la valutazione dei costi indiretti, che comprendono la perdita di produttività,
l’invalidità e la mortalità prematura;
3. il calcolo dei costi individuali, che comprendono le spese extra per la gestione della
malattia e la difficoltà di impiego e di assicurazione;
4. l’identificazione delle modalità più efficienti per l’impiego delle risorse sanitarie.
Le risorse complessivamente assorbite dalla Sanità in Italia ammontano a 128.000
miliardi. Di questi, 92.000 sono a carico del bilancio pubblico e 37.000 a carico delle
famiglie e si riferiscono, nella quasi totalità, al pagamento dei ticket. La spesa sanitaria
intesa come risorsa complessivamente assorbita rappresenta il 7,8% del PIL. Questi
valori sono dell’8,9% per la Germania, 9,1% per la Francia e 14,5% per gli Usa. In
Italia la stima dei costi diretti della malattia ammonta a circa 3.700 miliardi, che
rappresentano il 4,1% della spesa sanitaria, valore questo condiviso con molti Paesi
europei. I costi indiretti raggiungono invece i 4.400 miliardi, portando così il costo
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totale del diabete a oltre 8.000 miliardi. Il 40% circa dei costi diretti è speso per
l’ospedalizzazione e rappresenta la voce di spesa più elevata, fenomeno questo che si
osserva in tutti i Paesi del mondo anche se presenta ampie oscillazioni. Più importante
ancora è che la maggior parte dei costi diretti del diabete è attribuibile alla necessità di
trattare le complicanze della malattia. Da noi, come del resto in molti altri Paesi, il 70%
dei costi dei ricoveri ospedalieri può essere attribuito alla presenza delle complicanze.
Da un esame analitico dei costi emerge che le malattie cardiovascolari sono responsabili
dell’80% dei costi attribuibili alle complicanze. A queste seguono le spese per le
complicanze renali. Tenendo conto che circa 3.000 pazienti diabetici sono in dialisi
(10,6% della popolazione dei dializzati) e che il costo annuale per paziente è poco
superiore a 59 milioni di lire, il costo annuale totale per la dialisi ammonta a 177
miliardi di lire. La retinopatia diabetica e la cecità conseguente sono un’altra delle voci
maggiori di spesa per le complicanze e impegnano l’1,6% (155 miliardi di lire) dei costi
diretti per le complicanze negli Stati Uniti. In Italia è stato stimato che la sola laser
terapia costi 49 miliardi l’anno: il 3,2% dei costi delle complicanze. Infine, le
amputazioni: queste sono causa di una spesa pari a 655 miliardi di lire negli Stati Uniti e
di 100 miliardi in Italia.
Esistono inoltre altri costi dovuti al diabete che gravano sull’individuo e sulla società:
questi includono i costi psicologici o intangibili come stress, dolore, ansietà,
determinanti nella riduzione della qualità della vita. Ovviamente, a questi costi è molto
difficile assegnare un valore economico. Ricordarli ci fa però capire come la spesa non
riguardi solo il sistema sanitario ma interessi direttamente la persona che deve vivere
con il diabete.[7]
1.1.4 La prevenzione del diabete
L’aumento della diffusione del diabete (specialmente del tipo 2) e delle sue
complicanze, la ridotta qualità di vita per i malati e le loro famiglie rende indispensabile
la messa a punto di programmi rivolti alla prevenzione, che sarà primaria nelle persone
a rischio, secondaria nel momento della diagnosi, per ritardare la progressione della
malattia o ricondurla a una fase preclinica, terziaria per ridurre le complicanze.
In molti paesi si sono già sviluppati programmi per la prevenzione della malattia, ma
molto resta ancora da fare per raggiungere l’intera popolazione. Per il diabete di tipo 1
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sono stati compiuti notevoli passi in avanti per l’identificazione dei marker genetici e
immunologici, ma l’alto costo delle ricerche e il basso tasso di associazione della
malattia a questi marker rendono al momento attuale improponibili gli studi sulla
popolazione per individuare le persone a rischio.
È però possibile individuare i gruppi a maggiore rischio in modo meno costoso, in base
cioè al grado di familiarità. A tutt’oggi il diabete di tipo 1 non può essere prevenuto
anche nelle persone geneticamente ed immunologicamente a rischio.
Per quanto riguarda il tipo 2 esistono problemi legati all’estrema eterogeneità della
malattia, che insorge e progredisce in base all’interazione di diversi fattori: genetici
(forte familiarità) e ambientali, legati allo stile di vita. I soli interventi che hanno
mostrato una certa efficacia preventiva sono stati praticati su persone a rischio per
familiarità, età, adiposità addominale, presenza di sindrome plurimetabolica. Risultati
notevoli si sono ottenuti riducendo il peso, attraverso la dieta, e incrementando l’attività
fisica, applicando cioè gli stessi criteri per la prevenzione delle malattie cardiovascolari:
sembra perciò ragionevole unire gli sforzi per la prevenzione del diabete di tipo 2 con i
programmi in atto per combattere l’arteriosclerosi.
La prevenzione secondaria consiste nella diagnosi precoce della malattia (attraverso uno
screening) e negli interventi necessari a ridurne progressione e complicanze. Un aspetto
importante per il diabete di tipo 2 è quello della riduzione dei fattori di rischio
cardiovascolari, ben noti ormai alla popolazione, come ipertensione, dislipidemie, fumo
di sigaretta. Investire risorse nella prevenzione significa contenere i costi successivi
necessari per la cura delle complicanze, molto gravi e invalidanti per una malattia come
il diabete. In particolare, la precoce individuazione della retinopatia e il trattamento
laser si è dimostrata misura efficace nel prevenire la cecità. L’insufficienza renale può
essere prevenuta eseguendo lo screening per la microalbuminuria e trattando
adeguatamente l’ipertensione; l’individuazione precoce delle lesioni nel piede diabetico,
con intensive cura mediche e chirurgiche, riduce significativamente il numero delle
amputazioni e le sofferenze per il paziente.[8]
1.1.5 Le complicanze del diabete
Il problema centrale dell’assistenza ai pazienti diabetici è rappresentato dalla
prevenzione e cura delle sue complicanze croniche.
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• La neuropatia diabetica è presente, dopo 20-30 anni di malattia, nel 60-70% dei casi
sia nel tipo 1 sia nel tipo 2. La forma più comune, quella periferica, è la principale
causa di ulcere ai piedi e quindi una concausa molto rilevante per le amputazioni. La
forma autonomica comporta alterazioni della funzione a livello di molti organi,
cuore compreso. È causa di impotenza nei maschi diabetici tra i 20 e i 70 anni, e,
quando è presente in modo massivo, rappresenta un indice sfavorevole per la
sopravvivenza del malato.
• L’incidenza annuale delle ulcere è stimata intorno al 2-3% , la prevalenza del 4-
10%. L’incidenza stimata delle amputazioni è dello 0,6% per anno e la prevalenza
valutata è dell’1,3%. Questi pazienti andranno incontro a successiva amputazione
nel 19% dei casi in tre anni e del 50% in cinque anni.
• La cardiopatia ischemica è presente nel 7,5/20% della popolazione diabetica di età
superiore ai 45 anni ed il loro rischio di cardiopatia ischemica è 2-4 volte più alto
rispetto ai non diabetici. L’infarto del miocardio è la principale causa di disabilità e
mortalità nel diabete tipo 2 (50-75% dei decessi). Anche la vasculopatia cerebrale è
frequente nei diabetici: il rischio di stroke è 2-4 volte maggiore; il 15% dei diabetici
muore per cerebrovasculopatia.
• L’incidenza cumulativa della nefropatia conclamata, che raggiunge il suo massimo
nel tipo 1 dopo 30 anni di malattia, non differisce sostanzialmente fra i due tipi di
diabete.
• La retinopatia diabetica è la più frequente complicanza cronica del diabete e il
rischio aumenta in funzione della durata della malattia: dopo circa 15 anni è
presente nella totalità del tipo 1 e nell’80% nel tipo 2, la forma non proliferativa. La
retinopatia diabetica è la principale causa di cecità (7-13% di tutte le cause) e di
gravi alterazioni visive nella popolazione adulta al di sotto dei 60 anni dei Paesi
sviluppati. Molti studi concordano nel suggerire che dopo 15 anni di diabete, il 2%
dei malati diventa cieco mentre il 10% sviluppa severe menomazioni visive come
glaucoma e cataratta. La proporzione di cecità dovuta al diabete varia dal 26% per i
diabetici tipo 2 al 94% per i diabetici tipo 1. In Italia l’impatto della retinopatia
come causa di cecità può essere valutato dai dati dello studio di Torino condotto su
oltre 3.500 persone diventate cieche fra il 1967 e il 1991. Nel range compreso tra 20
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e 70 anni, la retinopatia diabetica è la prima causa di cecità e interessa il 13% dei
soggetti. L’incidenza di nuovi casi di cecità dovuti a retinopatia diabetica è risultata
dell’1,55 per 100.000 persone/per anno.
• Il diabete è la più comune causa di insufficienza renale terminale (IRT) e rende
conto di circa 1/3 dei nuovi casi di dialisi. L’IRT è la principale causa di morte
prima dei 50 anni nei pazienti tipo 1, che hanno un rischio 23 volte maggiore di
sviluppare la malattia. Il rischio di insufficienza renale terminale è aumentato di 17
volte anche nel diabete di tipo 2. L’incidenza di nuovi casi di IRT nei diabetici sta
crescendo in tutti i Paesi, e nonostante l’alto tasso di mortalità dei pazienti diabetici
in dialisi (50% in due anni), il numero complessivo è salito negli Usa da 5.700 nel
1980 a 43.100 nel 1989 e, attualmente, a circa 70.000.
I dati di mortalità dei pazienti diabetici per tutte le cause, ricavati da vari studi
epidemiologici, mostrano come il rischio sia notevolmente aumentato rispetto alla
popolazione non diabetica: varia da 1,46 per l’Italia e 2,35 per la Finlandia e si attesta
intorno a 2 per gli studi eseguiti negli Usa.[8]
1.2 Il diario
I pazienti affetti dal Diabete Mellito di tipo 1 vengono visitati periodicamente dal
medico diabetologico al fine di valutare il loro controllo metabolico sulla base dei dati
provenienti dall’auto-monitoraggio domiciliare. L’auto-monitoraggio comprende la
misurazione di glicemia (concentrazione di glucosio plasmatico) su sangue capillare
mediante reflettometro, la determinazione di glicosuria e di acetonuria mediante strisce
reattive, l’adattamento della dose di insulina in base ai dati riscontrati. I valori di
glicemia, glicosuria e la quantità di insulina somministrata vengono annotati dal
paziente su un apposito diario, unitamente a osservazioni relative all’alimentazione,
all’attività fisica, a malattie intercorrenti. Tutte queste informazioni vengono analizzate
dal medico che poi provvede ad assegnare al paziente il giusto protocollo terapeutico da
seguire. Il controllo metabolico viene valutato mediante indicatori di medio periodo,
come l’emoglobina glicosilata (HbA1c), che esprime il livello medio di glicemia nei
sessanta giorni precedenti. La regolazione della glicemia nel Diabete Mellito di tipo 1
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viene principalmente effettuata tramite tre variabili manipolabili: le iniezioni di insulina,
i pasti e l’esercizio fisico. Dato che gli studi vengono fatti su una base periodica di
misurazione è necessario che il paziente completi il proprio diario in modo accurato,
così da poter fornire una valida base di studio della sua situazione.[9]
1.3 Il ruolo delle tecnologie dell’informazione
Sin dai primi anni ’80 sono stati proposti dei sistemi per il supporto alla determinazione
della terapia insulinica e per l’analisi dei dati provenienti dall’automonitoraggio
domiciliare dei pazienti affetti da diabete Mellito di tipo 1. Nonostante l’ampia
produzione scientifica a riguardo, nessuno dei sistemi proposti è mai stato utilizzato
nella pratica clinica per lungo tempo ed al di fuori di sperimentazioni controllate. La
vita di tutti questi sistemi è stata caratterizzata da tre momenti: una prima fase di
progetto, una seconda fase di sperimentazione clinica (che solitamente ha fornito dei
risultati apprezzabili per il controllo della glicemia) ed infine una terza fase di
“disillusione”, in cui i ricercatori si rendevano conto della mancata utilizzazione clinica
del sistema, che diveniva quindi un programma per l’educazione di medici e pazienti. Il
risultato di questi insuccessi è legato soprattutto alla complessità del controllo del
diabete in pazienti non ospedalizzati. I risultati ottenuti nelle sperimentazioni hanno
comunque portato ad un radicale cambiamento di prospettiva nell’uso delle tecnologie
informatiche per la gestione del Diabete Mellito di tipo 1: dalla definizione di
programmi che potevano fornire un aiuto aggiuntivo ad una terapia consolidata si è
passati alla ricerca di strategie basate sull’uso dell’informatica come strumento per
l’estensione dei benefici della terapia insulinica intensiva al maggior numero di pazienti
possibile. Questa considerazione ha motivato la realizzazione di sistemi complessi per la
gestione dei pazienti, che sfruttano i progressi effettuati nell’ambito delle
telecomunicazioni. La possibilità di fruire di sistemi informativi distribuiti ha permesso
di effettuare una vera e propria rivoluzione nella progettazione dei sistemi di supporto
alle decisioni. Grazie all’uso delle architetture client-server, il medico può accedere, in
modo a lui completamente trasparente, a diversi servizi distribuiti in rete. Ad esempio,
utilizzando uno dei browser per la navigazione in Internet è possibile accedere sia a basi
di dati che ad applicativi, come i motori di ricerca. Sfruttando questo tipo di architetture,
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un sistema di supporto può essere completamente integrato con le altre applicazioni,
quali le cartelle cliniche informatizzate o i pacchetti per l’analisi statistica. Per quanto
riguarda i sistemi di supporto alle decisioni per il controllo del Diabete Mellito di tipo 1,
la prima conseguenza è stata il superamento della definizione di sistemi “visita per
visita” e “giorno per giorno”, dando luogo a progetti che integrassero entrambi i tipi di
supporto. Le prime esperienze di sistemi di telemedicina per la gestione dei pazienti con
Diabete Mellito di tipo 1 risalgono all’utilizzo del sistema Minitel in Francia all’inizio
dell’ultimo decennio. Nell’ambito dei sistemi la cui finalità principale fosse un supporto
distribuito al medico e al paziente, vi sono alcuni casi attualmente in via di
sperimentazione di cui è importante dare conto in modo più dettagliato. Il sistema
HumaLink rappresenta una delle prime esperienze giunte ad un livello di maturità
sufficiente da permettere una vera e propria sperimentazione clinica. Esso prevede un
coinvolgimento attivo da parte del paziente, e consente al tempo stesso al personale
medico di prestare il proprio intervento a distanza. Il sistema è costituito da un personal
computer collocato presso il centro ospedaliero, dotato di due interfacce utente, dedicate
una al paziente ed una al personale medico. L’interfaccia per il paziente è realizzata
mediante un sistema vocale di risposta automatica alle chiamate telefoniche, che guida
il paziente nell’inserimento dei dati mediante l’uso della tastiera del telefono e che, sulla
base di questi, fornisce dei suggerimenti riguardanti la terapia insulinica. I dati
comunicati dal paziente tramite telefono, riguardano le glicemie, i farmaci, e gli eventi
relativi alla vita quotidiana del paziente. L’interfaccia dedicata ai medici consente loro
di accedere a tali dati, di produrre automaticamente riepiloghi giornalieri, settimanali,
mensili dei dati, e di registrare i messaggi vocali contenenti le istruzioni per i pazienti.
Le informazioni inserite dal paziente vengono memorizzate dal sistema in forma
protetta; vengono inoltre prodotte statistiche sull’utilizzo del sistema e sullo stato
clinico del paziente. Lo scopo di questo sistema è quindi quello di rendere più rapido ed
economico l’accesso alla terapia da parte dei pazienti senza alterare la qualità della
prestazione medica ad essi fornita. Il sistema appena descritto è stato oggetto di uno
studio che ha interessato due centri ospedalieri per un totale di 204 pazienti, ed i cui
risultati sono stati valutati dopo un periodo di un anno. In particolare, le prestazioni del
sistema sono state esaminate sia dal punto di vista clinico, sia dal punto di vista della
facilità d’uso del sistema. L’utilizzo del sistema da parte degli utenti è stato
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significativo, ed i risultati dal punto di vista clinico sono stati superiori alle aspettative,
evidenziando una diminuzione della frequenza di episodi ipoglicemici e miglioramenti
nei valori medi di glicemia ed emoglobina glicosilata.
Il sistema DIABTel rappresenta un passo successivo nell’applicazione della
telemedicina al contesto del Diabete Mellito di tipo 1. Esso rappresenta il tentativo
d’integrare in un unico sistema interdipendente le funzionalità per il medico e le
funzionalità per il paziente offerte separatamente dai sistemi precedenti. A questo
scopo sono stati sviluppati due moduli, chiamati Medical Workstastion e Patient Unit
destinati ad assistere il medico ed il paziente, rispettivamente, nello svolgimento dei
compiti legati al monitoraggio dei dati fisiologici ed alla pianificazione ed applicazione
della terapia. La Medical Workstation e la Patient Unit sono in grado di comunicare tra
loro per mezzo di un collegamento temporaneo, utilizzando una comune linea
telefonica. La Medical Workstation memorizza i dati dei pazienti e fornisce una serie di
strumenti per la definizione della terapia, l’analisi dei dati, la comunicazione con il
paziente. Grazie ad essa, il medico può consultare i dati trasmessi dai pazienti ed
analizzarli, visualizzando poi i risultati in forma grafica; sulla base dei risultati
dell’analisi, può stabilire un trattamento individuale per il paziente in questione,
specificando la terapia insulinica, la dieta e le indicazioni sull’attività fisica che il
paziente dovrà seguire; può quindi inviare al paziente il nuovo trattamento assieme ad
eventuali messaggi e ad un riepilogo dello stato pato-fisiologico del paziente generato
automaticamente o manualmente. La Patient Unit, realizzata su un palmtop computer
per motivi di economicità e praticità d’uso assiste il paziente nella raccolta e
memorizzazione dei dati, nella modifica delle dosi di insulina, nella gestione delle
comunicazioni con il medico. Essa consente al paziente di rivedere i dati memorizzati in
forma grafica e numerica, di consultare la terapia ricevuta tramite la Medical
Workstation e di ricevere eventuali messaggi.
Rispetto al sistema HumaLink, l’introduzione di un sistema di telemedicina integrato
quale DIABTel comporta necessariamente dei cambiamenti nell’organizzazione del
lavoro e nei rapporti tra medico e paziente. Innanzitutto, essa richiede un maggior
livello di coinvolgimento da parte degli utenti del sistema, soprattutto a causa della
necessità di apprendere l’uso del sistema e di adattarsi ai nuovi protocolli terapeutici.
Ma il cambiamento più importante riguarda il paziente, che viene dotato di una