INTRODUZIONE
L‟obiettivo di questa tesi è quello di fornire un modello interpretativo
del sentimento della morte nell‟opera di William Shakespeare, e della sua
evoluzione all‟interno del ciclo di morte e rinascita che la tragedia e la
commedia shakespeariane rispecchiano.
La ragione che ha motivato questa mia scelta si trova nell‟amara
constatazione dell‟irrompere della tragica realtà della morte nella vita di
ognuno, e nella speciale maniera con cui il drammaturgo elisabettiano ha
trattato questo tema e ne ha a suo modo trovato una soluzione positiva.
La mia analisi – il cui titolo riprende una celebre frase che frate Lorenzo
dice all‟inizio della terza scena del secondo atto di Romeo and Juliet, proprio
per sottolineare il messaggio di speranza che alla fine Shakespeare sembra
trasmettere al di là del punto di partenza e dello svolgimento drammatico
del tema – verterà, quindi, dapprima sui drammi storici e le tragedie, in cui
la morte viene affrontata nel suo irrompere e dispiegarsi, quindi sulle
commedie, nelle quali l‟impatto della morte risulta ancora più perturbante
che nelle tragedie, in quanto si inserisce nel presupposto andamento gioioso
della trama, e infine sui drammi romanzeschi, in cui la tragedia che pare stia
per compiersi all‟improvviso si inverte e si avvia alla soluzione felice della
rinascita. Partiremo dalla seconda tetralogia storica, in quanto questa in
particolare «portrays the limits of the communal solution to death, but
1
leaves unresolved the problem of individual mortality», problema questo
1
Cfr. Patricia L. Carlin, Shakespeare‟s Mortal Men: Overcoming Death in History, Comedy and Tragedy,
Peter Lang, New York, 1993, p. 107.
3
che affronteremo in relazione alle tragedie, alle commedie e ai drammi
romanzeschi.
Vista la notevole rilevanza del tema della morte nel periodo storico di
cui l‟opera di Shakespeare è figlia, e l‟influenza significativa che tale tema
esercitò sul drammaturgo, sarà opportuno far partire l‟indagine
dall‟evoluzione che il sentimento della morte ebbe anche a seguito dei vari
eventi che cambiarono l‟assetto europeo nel Quattro e nel Cinquecento.
Prenderemo, così, in considerazione le più importanti conquiste che in
questo periodo, come scrive Robert N. Watson:
[...] had side-effects that must have magnified the terrors of mortality. [...]
The navigational technology developed for those explorations led to an
astronomy that revealed the scope, the heliocentric shape, and the
unlimited mutability of the universe. As a result, the soul was becoming
disastrously devalued against its material context. All these discoveries
put extraordinary pressure on traditional consolations and denials. All
these developments heightened the fear that human beings might
actually be meaningless little entities lost in the dizzyngly vast, varied, and
2
powerful universe.
L‟analisi delle opere prescelte sarà quindi condotta secondo due direttive
parallele, che non seguiranno un ordine cronologico. La prima segue quegli
aspetti che si sono dimostrati rilevanti nell‟evolversi del sentimento della
morte e vengono manifestati costantemente nell‟opera di Shakespeare. La
seconda direttiva si dispiega in relazione all‟andamento del ciclo di morte e
rinascita, dal dramma storico e dalla tragedia, alla commedia, e infine al
dramma romanzesco, ponendo l‟accento sulle varie tipologie con cui la
morte si manifesta nei vari generi dell‟opera shakespeariana, e quindi, nel
capitolo conclusivo, sul momento della rinascita.
2
Cfr. Robert N. Watson, The Rest is Silence: Death as Annihilation in the English Renaissance,
University of California Press, Berkeley, 1994, p. 7.
4
Gli elementi determinanti che figurano nella storia del sentimento della
morte, a partire dal Medioevo fino a tutto il Seicento, sono il Purgatorio,
l‟hora mortis, e soprattutto la figura del memento mori. A seguito della messa in
discussione di tutte le certezze sulla vita dopo la morte, infatti, per sventare
il possibile rischio della dannazione, si ricorse all‟idea che la condizione dei
morti, in sosta permanente in una terza regione ultraterrena - il Purgatorio,
appunto – in cui gli venivano inflitte pene strazianti, potesse essere
modificata attraverso la preghiera. I parenti dei defunti venivano così
incoraggiati a esercitare le indulgenze, pratica che i protestanti
consideravano un imbroglio studiato per spillare soldi ai creduloni. La
dottrina del Purgatorio divenne così una delle maggiori cause scatenanti delle
controversie religiose dell‟epoca. Shakespeare, come vedremo nell‟analisi di
Hamlet, non si espone mai esplicitamente, come gli altri drammaturghi
elisabettiani, a favore dell‟una o dell‟altra fazione, cattolica o protestante,
poiché ogni riferimento in materia politica e di religione poteva essere, in
quel periodo, soggetto a censura.
Assieme alla credenza nel Purgatorio, si ingrandì a dismisura nella
sensibilità collettiva del Cinque-Seicento quella nell‟hora mortis, ovvero nello
stato d‟animo in cui il morente si trova prima di esalare l‟ultimo respiro e
che determina la sua salvezza o dannazione. Tale credenza cambia il modo
in cui la morte viene vissuta: dalla morte addomesticata, dirà Philippe Ariès,
vissuta come una cerimonia pubblica e organizzata, si passerà alla
3
preoccupazione per un destino individuale, alla morte di sé.
La figura del memento mori, nel nostro studio la più interessante fra le tre,
compare, invece, sia in quel genere letterario, l‟Ars moriendi, nato ai primi del
3
Cfr. Philippe Ariès, Storia della Morte in Occidente dal Medioevo ai giorni nostri, Rizzoli Editore,
Milano, 1980.
5
Quattrocento, che insegna a liberarsi del terrore della morte pensandoci
lungo tutto il corso della vita, sia, e soprattutto, nel suo più celebre sviluppo
iconografico, ovvero la Danza macabra, in cui una serie di scheletri
ghermisce, in una sorta di corteo, personaggi che rappresentano tutte le fasi
della vita e tutte le classi sociali.
Il secondo capitolo della presente tesi tratterà il memento mori nel teatro di
Shakespeare, dapprima nelle vesti dello scheletro della Danza macabra, che
incontreremo in Richard II e nelle due parti di Henry IV; poi in quelle dello
spettro, uno dei simboli macabri che si diffuse verso la fine del
Cinquecento: analizzeremo quindi la tragedia di Hamlet, in cui il fantasma
del re defunto che ritorna da un luogo, come vedremo, associato da alcuni
critici presumibilmente al Purgatorio, ha un ruolo davvero fondamentale.
Nel terzo capitolo il memento mori si presenta nel camuffamento di
Claudio, nel finale di Measure for Measure, quando riappare dopo essere stato
ritenuto morto; quindi è, per una volta, “travestito” da Messaggero della
Morte in Love‟s Labour‟s Lost; infine traspare in Twelfth Night e As You like It
negli abiti del fool, figura di rilievo nel teatro shakespeariano, e “corruttore”
di parole, cui solo sono concesse le verità più indicibili.
Nell‟ultimo capitolo, infine, la morte si presenta come una morte
apparente, e la nostra analisi verterà soprattutto sui brani in cui, nello stadio
conclusivo del ciclo di morte e rinascita, essa si convertirà in una
meravigliosa “resurrezione” preceduta dal riconoscimento della persona
scomparsa. Esamineremo per questo motivo i due romances in cui tale
resurrezione si realizza con una forza drammatica particolare e incisiva:
Pericles, Prince of Tyre e The Winter‟s Tale.
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CAPITOLO I
L’EVOLUZIONE DEL QUADRO STORICO-CULTURALE
EUROPEO DAL QUATTROCENTO IN POI
I. 1 Una nuova visione del mondo e la Riforma Protestante
Le opere di Shakespeare sono ambientate in un'epoca in cui in Europa
avviene una profonda trasformazione a tutti i livelli, da quello politico a
quello religioso, da quello sociale a quello economico, da quello scientifico a
quello filosofico.
Fino al XIV secolo l‟intero cosmo era concepito come un‟ampia
gerarchia con a capo Dio, e si diceva che l‟armonia universale dipendesse
dall‟impegno di ogni uomo a svolgere il proprio dovere nel posto che in
4
questa scala gerarchica Dio gli aveva riservato. Tutte le arti e le scienze,
inoltre, erano pervase da elementi religiosi. Nell‟architettura, ad esempio, si
era affermato lo stile gotico, il cui slancio verticale simboleggiava un
avvicinamento a Dio, e le università non erano altro che scuole teologiche.
La teologia stessa era considerata la vetta più alta del sapere, e ad essa erano
collegate la filosofia e la letteratura. L‟astronomia e la matematica
esploravano l‟universo considerandolo come il prodotto della creazione
divina, e lo stesso faceva la medicina per il corpo umano. Il diritto
riconosceva valide solo la potenza e l‟autorità che venivano da Dio, quella
del Papa nel campo spirituale, quella dell‟imperatore nel campo politico.
4
Cfr. E. Dudley, The Tree of Commonwealth, citato in H. G. Koenigsberger, L‟Europa del
Cinquecento, Laterza, Bari, 1990, p. 3.
7
Il concetto di società che legava gli uomini fra loro attraverso dei diritti e
doveri reciproci implicava non solo una gerarchia ma anche una
responsabilità sociale: il potere politico doveva occuparsi della difesa dei
diritti ereditari, e la proprietà privata era affidata al singolo per il beneficio
della comunità, non per profitto personale. Dal Quattrocento e per tutto il
corso del Cinquecento, però, alle garanzie feudali dei diritti propri di ogni
suddito secondo il posto che questi occupava all‟interno della gerarchia
5
sociale, spiega H. G. Koenigsberger, andò a sostituirsi pian piano il diritto
sovrano del goverante sui propri sudditi, e le monarchie concentrarono
l‟intero potere politico nelle loro mani.
Inoltre, le restrizioni che il cristianesimo aveva posto alla riscossione di
interessi si andarono sempre più allentando. Il denaro era considerato come
tutte le merci prodotte dall‟uomo col proprio lavoro, e la proprietà divenne
un mezzo di sfruttamento. Le ribellioni dei nobili si fecero così sempre più
numerose e si andarono ad aggiungere a quelle tradizionali dei contadini - la
classe sociale più numerosa dell‟Europa del Cinquecento - che già si
battevano contro le restrizioni che il feudalesimo aveva loro imposto.
L‟ordine feudale e aristocratico crollò dietro l‟ondata di rinnovamento e il
protestantesimo distrusse inoltre la scala gerarchica che legava Dio alla
società umana, ponendo quest‟ultimo in rapporto diretto con Dio.
Quest‟ondata di autonomia, comunque, fece maturare anche un
sentimento di indipendenza personale, che si concretizzò negli straordinari
progressi realizzati in tutti i rami del sapere umano. Nelle parole di Leopold
Von Ranke, «la generale autonomia subentrata nell‟ambito politico favorì
del pari una certa aspirazione ad assumere un atteggiamento spiritualmente
5
Cfr. L‟Europa del Cinquecento, cit., p. 5.
8
6
autonomo». Crebbe l‟esigenza di nuovi modelli di vita e di civiltà per poter
allargare i confini della mentalità medievale che guardava con pessimismo
alla possibilità che l‟uomo, creatura fragile e sottomessa alle grandi forze
ultraterrene, potesse realizzarsi nella vita terrena.
L‟attenzione si spostò dunque sulla realtà concreta dell‟esistenza umana
e sulle problematiche relative ad essa, e si presero come modello la civiltà
greca e quella romana che, dalle arti alla politica, dalla letteratura alla
scienza, avevano raggiunto risultati eccellenti. Furono favorite così le
“humanae litterae”, cioè quegli studi delle letterature classiche che si
ritenevano indispensabili per la formazione dell‟uomo. Molte opere della
letteratura latina furono recuperate nelle polverose biblioteche monastiche
e rimesse in circolazione, e alcuni testi classici greci, quasi completamente
ignorati nel Medioevo, furono introdotti dagli studiosi bizantini venuti in
Italia dopo la caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi, nel 1453.
Numerose opere di filosofia greca, in particolare quelle di Platone e dei
neoplatonici, vennero così studiate nei testi originali e tradotte in latino per
la prima volta. L‟invenzione della stampa, inoltre, permise la riproduzione
dei libri, fino ad allora copiati a mano dagli “amanuensi” o copisti, in un
gran numero di copie, e favorì la possibilità di raggiungere un pubblico
colto molto più ampio di quanto fosse mai stato prima possibile.
La riscoperta della filosofia di Platone e di Aristotele, il quale insisteva
sull‟osservazione accurata dei fenomeni, portò alla valorizzazione degli
strumenti conoscitivi dell‟uomo applicati allo studio della natura, quindi allo
7
sviluppo delle scienze sperimentali, la medicina, la botanica, la matematica,
6
Cfr. Le epoche della storia moderna, Napoli, Bibliopolis, 1984, p. 201.
7
Cfr. Gabriela Dragnea Horvath, precisa, a tale proposito, che: «John Dee contribuisce a
diffondere le matematiche teoriche e applicate, William Gilbert (1546-1603) fa il primo studio
sistematico delle proprietà dei magneti, William Harvey (1578-1657) dà la prima descrizione
esatta della circolazione del sangue applicando per primo il calcolo matematico ad una tesi
9
8
la fisica, l‟astronomia e in particolare la scienza della navigazione (con
l‟impiego della bussola e delle carte geografiche ad esempio), e allo sviluppo
delle arti meccaniche, cioè della tecnica e della tecnologia, grazie alle quali
nacquero nuovi procedimenti e nuove macchine da lavoro. La natura,
seppure piena di mistero, non appariva più chiusa all‟analisi degli scienziati,
non era più un segreto noto solo a Dio, come per i filosofi del Medioevo.
La concezione scientifica del mondo cominciò quindi a cambiare, e
soprattutto grazie alla spinta dell'astronomo polacco Niccolò Copernico, il
quale, rivoluzionando le certezze scientifiche e teologiche del suo tempo,
affermò, nel suo De revolutionibus orbium coelestium (1543), il modello
eliocentrico dell'universo. In contrasto con la teoria tolemaica
universalmente accreditata, egli sosteneva che la Terra non fosse il centro
fisico dell'universo, ma solo uno dei tanti pianeti in orbita intorno al Sole.
La pubblicazione di questa teoria, contestata e respinta dai contemporanei,
segnò in realtà l'inizio di un periodo particolarmente felice per lo sviluppo
del sapere scientifico, noto come “rivoluzione copernicana”.
Così, al tempo di Shakespeare, il mondo mutava orizzonti ogni giorno,
sia con le prime scoperte scientifiche, che con le scoperte geografiche:
l‟uomo divenne il protagonista di avvenimenti determinati dalla sua volontà
e il mondo appariva come lo scenario delle sue azioni, non più solo come
biologica» (cfr. Shakespeare: ermetismo, mistica, magia, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2003, p.
110).
8
Anche l‟astrologia ebbe un notevole sviluppo in questo periodo. Come annota, infatti,
Koenigsberger: «La paura dell‟ignoto, i flagelli della peste, della carestia e delle malattie, la brevità
della vita umana, spingevano gli uomini, per difendersi da un mondo pieno di catastrofi e
pericoli, a cercare garanzie che trovarono nella pratica religiosa, ma anche nella credenza che
Dio attraverso la natura creasse simboli, prodigi e portenti, e l‟astrologia svolse un ruolo
particolarmente importante nel tentativo di decifrare la volontà grandiosa della provvidenza»
(cfr. L‟Europa del Cinquecento, cit., p. 8).
10
9
espressione della volontà divina. Furono scoperti nuovi mondi che si
aprivano a oriente e a occidente dell‟Europa grazie alle imprese di alcuni
navigatori, come Cristoforo Colombo, il quale approdò alle Antille
credendo di trovarvi oro e argento per poter combattere i maomettani e
riconquistare la Terra Santa. «Un errore colossale non ha mai prodotto una
10
scoperta più grandiosa», scrive Von Ranke, giacché da quel momento gli
spagnoli circumnavigarono l‟intero continente a gara coi Portoghesi, i quali
scoprirono che il Nordamerica e il Sudamerica erano congiunti. Quando
poi Filippo II ottenne anche il Portogallo (la cui casa regnante si era estinta)
e le colonie portoghesi, tutti i sovrani spagnoli poterono dire che nel loro
11
territorio il sole non tramontava mai.
Ma l'avvenimento più importante nell‟Europa della prima metà del
Cinquecento fu la Riforma protestante, che provocò la frantumazione
definitiva del concetto di “Sacro Romano Impero” e l‟avvio del processo di
formazione delle varie nazionalità: gran parte dei popoli di lingua anglo-
sassone si separarono dalla Chiesa romana. Solo a separazione avvenuta, la
Chiesa romana intraprese, con il Concilio di Trento (1545-63) la sua
riforma interna (la Controriforma), basata sul rafforzamento dell'autorità
pontificia, sull'Inquisizione, sull'Indice dei libri proibiti, sulla creazione di
nuovi ordini religiosi, su una notevole solidità dogmatica e disciplinare.
9
Cfr. E. Garin, Medioevo e Rinascimento, Laterza, Bari, 1984, p. 109: «[…] La volontà, l‟opera,
l‟atto, produce e dissolve le forme, crea e si crea, si muove liberamente proteso nel futuro in un
infinito di possibilità, in un‟apertura senza confini. Perché all‟uomo che opera corrisponde,
appunto, l‟universo come possibilità inesausta, ove non c‟è forza che sapientemente non si
pieghi, destino che non si vinca, stella che non intenda il nostro linguaggio, energia che non ci
serva. Nell‟infinita unità vivente si infrangono davvero tutti i limiti».
10
Cfr. Le epoche della storia moderna, cit., p. 203.
11
Al senso di meraviglia dell‟uomo rinascimentale, Stephen Greenblatt ha dedicato un
interessante studio, in cui constata che: «Il meraviglioso è dunque un aspetto centrale di tutto il
complesso sistema di rappresentazione, verbale e visivo, filosofico ed estetico, intellettuale ed
emotivo, attraverso il quale l‟uomo del tardo Medioevo e del Rinascimento apprendeva, e quindi
possedeva o scartava, lo sconosciuto, l‟altro, il terribile, il desiderabile e l‟odioso» (cfr. Meraviglia e
Possesso: lo stupore di fronte al Nuovo Mondo, Bologna, Il mulino, 1994, p. 50).
11
Le cause storico-sociali della Riforma furono: la critica alla decadenza
morale della Chiesa che offriva cariche politico-religiose ai parenti di papi-
vescovi-cardinali, e il rifiuto del lusso e della corruzione del clero, e dell‟uso
feudale del potere politico da parte del papato (la sede pontificia era
disputata da grandi famiglie italiane, i Medici, i Farnese, i Della Rovere); il
risveglio delle nazionalità (Francia, Germania, Inghilterra, Olanda, ecc.)
contro il Sacro romano impero rappresentato da Carlo V con Spagna-
Austria-Ungheria-Paesi Bassi, e contro l'universalismo medievale cattolico
del papato; le esigenze emancipative di vari strati sociali, tra i quali i piccoli
nobili in decadenza contro la grande feudalità.
Da tempo quindi si invocavano in ogni parte d‟Europa alcune riforme
radicali. La rottura clamorosa avvenne in occasione della concessione di una
indulgenza speciale che nel 1517 papa Leone X, volendo ricostruire la
basilica di S. Pietro a Roma, e non disponendo dei mezzi necessari, aveva
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bandito in tutto il mondo. Tale indulgenza plenaria prevedeva un riscatto
della totalità delle pene per tutti coloro che, invece di recarsi in
pellegrinaggio a Roma, avessero versato un obolo per la costruzione della
basilica di S. Pietro. Interpretando questa iniziativa come un ennesimo
abuso della Chiesa romana, Martin Lutero protestò pubblicando le sue
celebri 95 tesi e dando così inizio alla Riforma protestante.
I punti cardine della sua dottrina, contenuti nelle 95 tesi, sono i seguenti.
Innanzitutto, la giustificazione per fede, per la quale la salvezza si ottiene
direttamente dalla grazia divina e non attraverso le opere imposte dalla
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L'indulgenza, diffusa in tutta l‟Europa occidentale e già usata nel corso delle crociate, era una
sorta di condono delle pene che il credente avrebbe dovuto scontare nel Purgatorio, che il papa
concedeva a quei fedeli, sinceramente pentiti, disposti a compiere particolari penitenze
(pellegrinaggi, elemosine, opere meritorie...). Lo "sconto" offerto da questi certificati
d'indulgenza era proporzionato all'importo del denaro.
12
13
Chiesa. Opere, azioni, e meriti personali non sono sufficienti per salvarsi,
e il peccato originale rende, peraltro, l'uomo incapace di bene. Solo Dio può
salvare e di questa salvezza l'uomo non può essere certo finché non muore,
in attesa di saperlo può solo avere fede. Altro punto centrale è il libero esame
delle Scritture, contro l'interpretazione ufficiale, dogmatica, canonica, della
Chiesa, un libero esame secondo il quale per avvicinarsi alla grazia di Dio è
sufficiente leggere la Bibbia (da Lutero tradotta in tedesco). Infine, il
sacerdozio universale dei credenti, contro le divisioni gerarchiche fra clero e laici.
Ognuno di questi punti ebbe una conseguenza pratica: il primo punto
portò a un forte individualismo, al rifiuto dei sacramenti e del concetto di
“opere buone”, e alla separazione del civile dal religioso (cioè dello Stato
dalla Chiesa); il secondo punto a un forte intellettualismo, alla nascita di
molte comunità e sètte nell‟ambito delle confessioni protestanti, al rifiuto
quasi totale della tradizione ecclesiastica cattolica, e alla subordinazione dei
sacramenti, dei riti e del culto all‟interpretazione della Bibbia; il terzo punto
al rifiuto della struttura tradizionale della Chiesa e del monachesimo, e allo
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sviluppo delle piccole comunità religiose.
Le idee di Lutero si diffusero con impensata rapidità e in Germania
provocarono la ribellione delle classi oppresse contro quelle privilegiate. La
rivolta dei contadini (1524-25), capeggiata da Tommaso Münzer, fu
enorme, ma venne repressa dai grandi principi feudatari con l‟appoggio
dello stesso Lutero. Stessa sconfitta subirono i piccoli nobili ribellatisi ai
grandi feudatari. L'impero di Carlo V, d'accordo col papato, si oppose alla
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Come Giles Firmin notò nel suo The Real Christian (1670), chi usa qualsiasi mezzo per salvarsi
è ammonito in quanto “this is but a way of self-love, and a way to Hell; self must be hated”. Cfr.
Robert N. Watson, The Rest is Silence..., cit., p. 6.
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Cfr. Jos E. Vercruysse, La storia della Chiesa nel secolo XVI: Riforma cattolica e protestante, Editrice
Pontificia Università Gregoriana, Roma, 1987, e Gabriele De Rosa, Storia Moderna, Minerva
italica, 1982, pp. 49-71.
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Riforma, ma senza successo: le ostilità coi principi tedeschi si conclusero
con la Pace di Augusta (1555) che affermò il principio di “tolleranza
religiosa”, seppur entro i limiti del “cuius regio eius religio” (cioè la religione dei
sudditi di una nazione deve essere quella del loro re). I beni ecclesiastici
confiscati dai principi o dai re non furono più restituiti alla Chiesa romana.
La Riforma indebolì senza dubbio l'impero e l'universalismo medievale, ma
non favorì in Germania la monarchia nazionale (come invece avvenne in
Inghilterra e Olanda). Furono piuttosto i príncipi feudali a trarne i maggiori
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vantaggi.
Dopo Lutero il più grande riformatore fu Giovanni Calvino, il teologo
che da Ginevra diede vita a un movimento religioso caratterizzato da una
severa morale di vita. Partendo dalle premesse dottrinali di Lutero, le
sviluppò in modo autonomo, per cui la Chiesa Riformata che da lui prese il
nome, ebbe caratteri propri che la distinsero da quella luterana. Tipica del
calvinismo è la dottrina della “predestinazione”, già enunciata da Lutero,
ma da Calvino intesa in modo più rigoroso. Secondo tale dottrina, il
peccato originale condanna l‟uomo irrimediabilmente all‟eterna dannazione;
ma Dio ha scelto “prima dei tempi” i propri eletti, i pochi destinati a
salvarsi, e non per i loro meriti. Il credente non deve però indursi alla
disperazione, né abbandonarsi fatalisticamente alla sorte che Dio gli ha
riservato; al contrario, deve assolvere con ogni sollecitudine alla “missione”
terrena che gli è stata assegnata. Il calvinismo esalta perciò ogni forma di
attività, di laboriosità. Il nuovo ordinamento autonomo elaborato da
Calvino, modello di tutte le comunità calviniste future, sono le Ordinanze
ecclesiastiche. In esse, secondo il modello delle chiese dei primi tempi del
cristianesimo, sono previsti quattro uffici: quello di pastore, il più elevato
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Cfr. Leopold Von Ranke, Op. cit., pp. 193-221.
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