6
Introduzione
Il
presente
lavoro
mette
a
confronto
due
realtà
profondamente
diverse,
ma
che
hanno
dei
punti
in
comune.
La
banlieue
parigina
e
la
provincia
di
Milano
ospitano
entrambe
un’alta
concentrazione
di
immigrati,
e
nel
caso
francese
a
questi
vanno
accostati
i
discendenti
degli
stranieri
arrivati
con
le
ondate
migratorie
degli
anni
Cinquanta.
Entrambe
le
zone
d’interesse,
inoltre,
presentano
il
fenomeno
del
degrado
urbano
e
la
sovrapposizione
di
diversi
fattori
di
disagio
sociale
ed
economico,
complicati
dai
problemi
di
integrazione
della
consistente
popolazione
immigrata.
La
concentrazione
degli
immigrati
e
delle
comunità
etniche
però
è
molto
più
forte
nelle
periferie
francesi:
nella
provincia
di
Milano
il
fenomeno
non
è
così
netto.
Allo
stesso
modo,
nel
capoluogo
lombardo
gli
immigrati
non
abitano
solo
le
periferie,
ma
anche
alcuni
quartieri
centrali.
Tuttavia
spesso
anche
in
Italia,
per
motivi
socioeconomici,
legati
anche
al
mercato
immobiliare,
oltre
che
per
effetto
delle
reti
sociali
ed
etniche,
si
verifica
una
certa
concentrazione
degli
immigrati
in
aree
circoscritte,
ma
nel
caso
di
Milano
si
tratta
di
vie,
tratti
di
vie
o
condomini.
In
ogni
caso
queste
zone
sono
immerse
in
un
contesto
urbano
ampio
e
quindi
non
sono
isolate.
Un’altra
differenza
sostanziale
tra
Italia
e
Francia
è
la
politica
per
l’integrazione.
Mentre
la
Francia
ha
una
lunga
esperienza
al
riguardo,
l’Italia
non
ha
ancora
una
linea
politica
definita,
anche
perché
rientra
nel
modello
mediterraneo,
e
dunque
è
un
Paese
meta
di
immigrazione
solo
da
tempi
relativamente
recenti
(Ambrosini,
2005).
Infine,
va
fatta
una
profonda
distinzione
tra
Italia
e
Francia
per
quanto
riguarda
l’approccio
delle
istituzioni
alla
questione
dell’immigrazione
e
il
rapporto
fra
Stato
e
stranieri.
Lo
Stato
francese
è
infatti
molto
più
attivo
nella
gestione
dell’immigrazione
rispetto
a
quello
italiano.
Gli
ideali
della
République,
inoltre,
uniti
al
modello
assimilazionista,
hanno
creato
nelle
nuove
generazioni
di
origine
straniera
delle
aspettative
molto
elevate
di
inclusione
sociale,
disattese
dai
fatti.
In
Italia
la
situazione
per
il
momento
è
diversa
e
da
questo
punto
di
vista
i
due
Paesi
non
sono
comparabili.
Questi
temi
sono
trattati
nel
primo
e
nell’ultimo
capitolo.
Il
primo
è
dedicato
al
confronto
delle
condizioni
degli
immigrati
in
Italia
e
in
Francia,
con
particolare
6
7
attenzione
ai
fattori
di
integrazione,
come
condizioni
abitative,
occupazione
e
salute
degli
immigrati.
Il
quarto
e
ultimo
capitolo
invece
mette
a
confronto
le
politiche
per
l’integrazione
italiana
e
francese,
facendo
riferimento
anche
a
quelle
di
altri
Paesi
europei.
In
quanto
particolarmente
rilevanti
per
l’integrazione
degli
immigrati,
vengono
approfondite
le
scelte
politiche
sull’offerta
degli
alloggi
e
sulla
concessione
della
cittadinanza.
Infine,
il
capitolo
contiene
un’analisi
delle
cause
e
conseguenze
della
marginalizzazione
sociale,
sempre
confrontando
la
situazione
delle
banlieues
a
quella
milanese.
I
capitoli
centrali
affrontano
invece
un
approfondimento
su
specifiche
zone
urbane
degradate.
Il
secondo
capitolo
descrive
la
storia
di
Clichy‐sous‐Bois,
il
primo
comune
in
cui
sono
scoppiate
le
rivolte
del
2005.
Alle
rivolte
è
anche
dedicata
una
cronologia
e
un’analisi
delle
cause,
del
contesto,
del
dibattito
politico
e
culturale
che
le
ha
accompagnate.
Il
terzo
capitolo
invece
ricostruisce
la
situazione
di
Via
Padova,
che
il
13
Febbraio
di
quest’anno
è
stata
teatro
di
una
rivolta.
Non
c’è
alcuna
pretesa
di
mettere
in
relazione
i
due
episodi:
l’intenzione
è
piuttosto
quella
di
confrontare
nei
due
Paesi
l’atteggiamento
delle
istituzioni,
la
loro
reazione
alla
crisi
sociale,
l’atmosfera
culturale
riguardo
all’immigrazione
e
le
cause
del
degrado
urbano.
Le
rivolte
del
2005
nelle
periferie
francesi
hanno
segnato
profondamente
l’immaginario
collettivo
italiano,
infatti
termini
come
“guerriglia
urbana”,
“rivolte”
e
“banlieue”
sono
entrati
nel
linguaggio
giornalistico.
Le
cronache
sul
caso
di
Via
Padova
ne
sono
un
esempio.
Inoltre,
sia
durante
le
rivolte
francesi,
sia
nello
scorso
Febbraio,
i
giornali
e
i
media
hanno
messo
a
confronto
la
situazione
di
Milano
con
quella
delle
banlieues.
La
Francia
viene
spesso
considerata
un
modello
per
la
gestione
dell’immigrazione,
e
l’Italia,
che
oggi
si
trova,
quasi
con
sorpresa,
ad
essere
un
Paese
multiculturale
e
meta
di
immigrazione
internazionale,
ha
un’esperienza
limitata
nelle
politiche
per
l’integrazione.
Le
tensioni
sociali
legate
ai
problemi
di
integrazione,
concentrate
nelle
aree
urbane
degradate
di
periferia,
sono
un
fenomeno
che
inizia
a
presentarsi
anche
in
Italia.
7
8
Questo
lavoro
intende
fornire
degli
strumenti
per
mettere
a
confronto
la
banlieue
parigina
e
la
situazione
milanese.
In
vista
del
consolidamento
della
stabilizzazione
degli
immigrati
nella
provincia
di
Milano,
e
dunque
dell’affermarsi
di
nuove
generazioni
di
origine
straniera
anche
in
Italia,
il
modello
francese
potrebbe
infatti
essere
considerato
uno
dei
possibili
sviluppi
della
situazione
italiana.
Il
lavoro
di
confronto
politico
e
sociale
di
questa
tesi
offre
degli
spunti
di
riflessione
per
valutare
questa
possibilità.
Le
fonti
utilizzate
nella
descrizione
del
caso
francese
sono
diverse
da
quelle
del
caso
italiano,
e
in
una
certa
misura
queste
differenze
influiscono
sul
risultato.
È
importante
notare
che
in
Francia
gli
studi
sulla
popolazione
immigrata
e
di
origine
straniera
sono
molto
ridotti.
In
Lombardia
invece,
anche
grazie
alla
Fondazione
Iniziative
e
Studi
sulla
Multietnicità
(Ismu),
i
dati
disponibili
sono
abbondanti
e
riguardano
ogni
aspetto
della
vita
degli
immigrati.
Per
questo
le
analisi
possono
sembrare
sbilanciate.
Inoltre,
mentre
per
le
rivolte
francesi
del
2005
esiste
già
un
buon
numero
di
fonti
bibliografiche
ed
analisi,
per
il
capitolo
su
Via
Padova
sono
stati
usati
solo
articoli
di
giornali
e
riviste,
data
l’attualità
del
caso
di
cronaca.
8
9
1
–
Francia
e
Italia
a
confronto
Questo
capitolo
presenta
la
condizione
degli
immigrati
in
Francia
e
in
Italia,
facendo
riferimento
alle
banlieues,
in
particolare
a
quelle
vicine
a
Parigi,
e
all’area
metropolitana
di
Milano.
Confrontare
direttamente
Parigi
e
Milano
è
estremamente
complesso
a
causa
delle
profonde
differenze
tra
queste
due
città.
La
storia
dell’immigrazione
italiana
è
infatti
più
recente
di
quella
francese,
e
ad
allargare
il
divario
tra
i
due
modelli
contribuiscono
anche
il
passato
coloniale
dell’Hexagone
e
la
posizione
strategica
della
Penisola,
oltre
alla
difficoltà
di
controllarne
le
coste.
Per
ragioni
storiche,
politiche
e
geografiche
dunque
le
due
nazioni
hanno
un
diverso
rapporto
con
l’immigrazione.
Ad
aumentare
la
distanza
tra
Francia
e
Italia
contribuiscono
anche
le
politiche
d’intervento
e
i
modelli
di
integrazione
adottati,
insieme
alle
diverse
procedure
per
la
naturalizzazione,
legate
alla
cultura
politica
dei
singoli
Paesi
(in
Francia
la
concessione
della
cittadinanza
è
molto
diffusa
e
favorita
dallo
Stato,
mentre
in
Italia
il
richiedente
affronta
un
complesso
iter
burocratico).
Queste
differenze
allontanano
anche
Parigi
e
Milano,
malgrado
sotto
certi
aspetti
siano
città
simili,
soprattutto
per
la
loro
capacità
di
attirare
l’immigrazione
(anche
interna)
e
mantenere
un
ruolo
economico
centrale.
L’analisi
del
presente
capitolo
verterà
dunque
su
determinati
fattori
d’integrazione
e
di
esclusione
riferiti
alla
città
di
Milano
(in
rapporto
alla
Lombardia)
e
alle
banlieues
parigine
(in
rapporto
a
quelle
di
tutta
la
Francia),
in
modo
da
mettere
a
confronto
zone
omogenee
per
concentrazione
di
immigrati
e,
nel
caso
della
Francia,
dei
loro
discendenti.
L’elemento
più
interessante
che
emerge
dal
confronto
tra
Italia
e
Francia
è
appunto
la
possibilità
di
considerare
nello
stesso
momento
e
in
contesti
urbani
relativamente
simili
(la
periferia
milanese
e
la
banlieue
parigina)
gradi
di
integrazione
diversi,
soprattutto
per
la
presenza,
in
Francia,
di
nuove
generazioni
di
origine
straniera,
che
in
Italia
non
sono
ancora
altrettanto
radicate.
Per
un’analisi
delle
diverse
politiche
intraprese
dalle
due
nazioni
e
dei
modelli
di
integrazione
adottati,
si
rimanda
al
capitolo
sulle
policies .
9
10
1.1
Differenze
storiche
La
Francia
ha
una
tradizione
storica
di
accoglienza
dell’immigrazione
e
una
peculiare
tendenza
a
evitare
l’emigrazione
permanente,
a
causa
dello
sviluppo
dell’attività
agricola
e
dell’accesso
alla
proprietà
della
terra
facilitato
dalla
Rivoluzione
(Blanc‐Chaléard,
2001).
Fino
alla
Seconda
guerra
mondiale
l’origine
degli
immigrati
è
prevalentemente
europea.
In
seguito
il
colonialismo
ha
determinato
la
provenienza
dei
flussi
migratori,
facilitando
l’integrazione
di
immigrati
di
lingua
e,
almeno
in
parte,
di
cultura
francese.
L’Italia
ha
invece
un
passato
legato
all’emigrazione
in
altri
Paesi
d’Europa
(Francia
compresa)
e
in
America.
L’esperienza
coloniale
italiana
non
è
paragonabile
a
quella
francese
e
non
ha
prodotto
legami
culturali
ed
economici
altrettanto
forti
e
stabili.
Solo
nel
1973
i
flussi
migratori
segnano
un’inversione
di
tendenza
e
l’Italia
si
trova
ad
accogliere
più
immigrati
di
quanti
siano
gli
italiani
in
partenza.
Nella
prima
metà
degli
anni
Settanta
infatti
la
crisi
economica
e
la
disoccupazione
crescente
hanno
causato
una
svolta
nelle
politiche
dei
Paesi
centro
e
nordeuropei.
La
chiusura
delle
frontiere
ha
spinto
gli
immigrati
a
cercare
nuove
mete
sul
Mediterraneo.
Le
nuove
politiche
migratorie
europee,
che
spesso
impedivano
il
reingresso
nel
Paese
di
accoglienza
dopo
un
soggiorno
in
patria,
modificano
anche
il
progetto
migratorio,
fino
ad
allora
per
lo
più
a
breve
termine.
Dagli
anni
Settanta
in
poi
si
diffonde
un
nuovo
modello
a
lungo
termine
o
definitivo,
e
si
creano
di
conseguenza
nuovi
cicli
di
flussi:
quelli
composti
da
donne
e
minori.
L’immigrazione
si
configura
sempre
meno
come
un’esperienza
individuale
e
cresce
l’importanza
della
dimensione
familiare.
La
Lombardia,
già
meta
di
rilievo
dell’immigrazione
interna,
è
la
regione
italiana
più
ricca
e
industrializzata
e
quindi
particolarmente
attraente
per
gli
immigrati.
In
Francia
la
crisi
petrolifera
del
’73
segna
l’inizio
di
un
periodo
travagliato
per
l’economia
del
Paese
(come
pure
in
Italia
e
nel
resto
d’Europa)
e
soprattutto
per
i
settori
industriali
che
fino
ad
allora
avevano
assorbito
l’immigrazione,
come
la
siderurgia,
la
produzione
di
automobili
e
l’edilizia.
La
disoccupazione
e
10
11
l’insicurezza
economica
aprono
la
strada
alla
recrudescenza
di
sentimenti
xenofobi
e
alla
ricerca
disordinata
di
politiche
per
controllare
i
flussi
migratori,
mentre
gli
immigrati
avviano
processi
di
stabilizzazione.
Rimandando
l’analisi
delle
politiche
sull’immigrazione
ai
capitoli
successivi,
si
può
evidenziare
come
negli
anni
Settanta
in
Francia
si
presentassero
dei
problemi
che
l’Italia
avrebbe
vissuto
oltre
vent’anni
dopo.
La
principale
differenza
che
oggi
si
rileva
nei
modelli
di
integrazione
della
regione
parigina
e
di
Milano
deriva
dalle
politiche
urbanistiche
che
tra
gli
anni
Settanta
e
Ottanta
hanno
creato
le
banlieues
come
sono
conosciute
oggi,
cioè
come
cittadelle
con
una
forte
connotazione
etnica
e
omogenee
dal
punto
di
vista
socio‐economico.
I
primi
quartieri
residenziali
di
periferia
sono
sorti
nella
seconda
metà
degli
anni
Cinquanta,
per
sostituire
le
bidonville
degli
immigrati
maghrebini
e
offrire
condizioni
abitative
dignitose
alle
famiglie
disagiate.
Nei
decenni
successivi
però
queste
cités
si
sono
estese
a
dismisura,
sviluppandosi
come
un
alveare
di
spazi
chiusi
che
riuniscono
scuole
e
servizi:
molti
giovani
non
hanno
occasione
di
conoscere
altre
realtà.
Negli
anni
Ottanta
si
sono
ridotti
notevolmente
gli
investimenti
statali
in
queste
zone,
che
sono
state
abbandonate
al
degrado.
Il
mercato
della
droga
e
la
piccola
criminalità
sono
particolarmente
diffusi.
Il
tessuto
sociale
è
molto
fragile
a
causa
della
frammentazione
delle
comunità
e
delle
difficoltà
legate
alla
convivenza
di
culture
lontane
fra
loro
(bisogna
anche
tenere
conto
del
fatto
che
la
religione
non
sempre
è
un
fattore
di
coesione.
I
musulmani
del
Maghreb
e
dell’Africa
subsahariana
ad
esempio
hanno
visioni
profondamente
diverse
dell’Islam).
In
Francia
l’integrazione
si
basa
sulla
scuola
pubblica
laica
e
sull’inclusione
ai
valori
repubblicani,
con
forti
interventi
da
parte
dello
Stato.
Le
banlieues
nascono
come
progetti
di
edilizia
sociale
nella
periferia
delle
città,
ma
la
loro
progressiva
espansione
le
ha
allontanate
sempre
più
dai
centri
urbani.
Nel
corso
del
tempo
inoltre,
malgrado
i
tentativi
delle
autorità
locali
di
evitare
la
concentrazione
di
immigrati,
questi
quartieri
sono
stati
abbandonati
dai
cittadini
di
origine
francese
e
dai
ceti
medi;
vi
si
sono
stabilite
altissime
concentrazioni
di
immigrati.
Le
crisi
economiche
che
hanno
colpito
pesantemente
i
settori
in
cui
questi
erano
impiegati
hanno
causato
un
tasso
di
11
12
disoccupazione
del
30‐40%
(Spreafico,
2006,
165),
soprattutto
giovanile,
che
oggi
è
doppio
rispetto
a
quello
nazionale,
con
i
conseguenti
drammatici
problemi
sociali
ed
economici.
In
Italia
invece
manca
la
centralizzazione
statale,
le
politiche
urbanistiche
sono
ridotte
e
non
c’è
una
vasta
disponibilità
di
alloggi
popolari,
perciò
gli
immigrati
si
appoggiano
a
reti
informali
o
all’assistenza
di
associazioni
laiche
e
religiose
o
delle
istituzioni
comunali.
Inoltre
la
caratteristica
struttura
economica
e
sociale
dei
distretti
industriali
distribuisce
in
modo
più
uniforme
le
risorse
economiche
sul
territorio,
e
dunque
evita
che
gli
immigrati
si
concentrino
solo
nei
maggiori
centri
urbani.
Infine,
rispetto
a
quella
francese,
la
società
italiana
attribuisce
minore
rilievo
all’eccellenza
scolastica,
riducendo
il
problema
della
stigmatizzazione
degli
alunni
in
difficoltà,
che
invece
aggrava
le
discriminazioni
subite
dai
giovani
delle
banlieues.
1.2
La
presenza
straniera
In
Francia
dal
1995
si
considera
nelle
statistiche
ufficiali
la
categoria
degli
immigrati,
giudicata
da
alcuni
politicamente
scorretta
perché
stigmatizzante
(Blanc‐Chaléard,
2001).
Mentre
gli
stranieri
si
distinguono
solo
per
la
nazionalità,
gli
immigrati
sono
persone
nate
all’estero,
ma
possono
avere
nazionalità
francese
(un’altra
conseguenza
del
passato
coloniale).
Tra
il
1990
e
il
1999
gli
stranieri
sono
diminuiti
del
9,2%
(arrivando
a
3.263.000),
mentre
gli
immigrati
sono
aumentati
del
3,4%
(raggiungendo
i
4.310.000)
(vedi
tab.
1).
Tab.
1
–
Stranieri
e
immigrati
in
Francia
tra
il
1990
e
il
1999
Origine
Stranieri
1999
Evoluzione
stranieri
1999 1990
Portogallo
553.660
‐ 14,8%
Italia
201.600
‐ 20%
Europa
(altro)
579.000
‐ 4%
Turchia
208.000
+5,2%
Asia
(altro)
199.400
‐ 12%
Marocco
504.100
‐ 12%
Algeria
477.500
‐ 22,2%
12
13
Origine
Stranieri
1999
Evoluzione
stranieri
1999 1990
Africa
(altro)
438.000
‐ 1,8%
Totale
3.263.000
‐ 9,2%
Immigrati
1999
Evoluzione
immigrati
1999 1990
Portogallo
570.250
‐ 6%
Italia
380.800
‐ 27,2%
Europa
(altro)
‐
‐
Turchia
176.000
+10,7%
Asia
(altro)
‐
‐
Marocco
521.000
+16,5%
Algeria
575.740
+6,2%
Africa
(altro)
‐
‐
Totale
4.310.000
+3,4%
Fonte:
BlancChaléard,
2001
Nel
2006
invece,
secondo
l’ultimo
censimento,
gli
stranieri
sono
3.648.000
(5,8%
della
popolazione),
gli
immigrati
sono
5.137.000
(8,1%)
(vedi
tab.
2).
Sono
progressivamente
aumentati
gli
arrivi
dall’Estremo
Oriente
e
dall’Africa
subsahariana.
La
nazionalità
maggiormente
rappresentata
è
quella
algerina
(691.361
immigrati
al
1°
Gennaio
2006;
nel
1999
erano
576.000).
Considerando
i
Paesi
a
forte
pressione
migratoria
si
nota
un
aumento
per
tutte
le
nazionalità
tranne
quella
tunisina
e
senegalese.
Ad
esempio,
tra
il
1999
e
il
2006
i
marocchini
salgono
da
521.000
a
633.736,
i
turchi
da
202.000
a
228.530,
i
vietnamiti
da
99.000
a
73.223,
i
cinesi
da
30.000
a
68.786;
i
tunisini
invece
scendono
da
317.000
a
226.684
e
i
senegalesi
da
72.000
a
70.867.
Tab.
2
–
Evoluzione
del
numero
di
immigrati
in
Francia
per
Paese
d’origine
Origine
1999
2006
Algeria
576.000
691.361
Marocco
521.000
633.736
Portogallo
570.000
569.285
Italia
381.000
329.528
Spagna
176.000
269.308
Turchia
202.000
228.530
13
14
Origine
1999
2006
Tunisia
317.000
226.684
Regno
Unito
125.000
133.522
Germania
75.000
128.429
Belgio
93.000
102.477
Polonia
54.000
90.336
Vietnam
99.000
73.223
Senegal
72.000
70.867
Cina
30.000
68.786
Serbia
‐
65.481
Costa
d’Avorio
‐
54.860
Mali
‐
54.243
Camerun
‐
52.114
Cambogia
‐
51.290
Svizzera
‐
51.067
Altro
‐
1.095.240
Totale
‐
5.040.367
Fonte:
Insee
Anche
grazie
all’arrivo
degli
immigrati
la
popolazione
dell’Île‐de‐France
è
in
crescita.
Nella
regione
parigina
si
concentra
il
40%
degli
stranieri
presenti
in
Francia
(Blanc‐Chaléard,
2001),
e
la
quasi
totalità
degli
immigrati
provenienti
dall’Asia
o
dall’Africa
subsahariana.
Nell’
Unité
Urbaine
6
di
Parigi
Tra
il
1990
e
il
1999
la
popolazione
è
aumentata
dell’1,8%
(da
9.470.827
a
9.643.880
abitanti),
mentre
quella
straniera
è
calata
dell’1%
(dal
13,7%
al
12,7%).
A
Parigi
tra
il
1999
e
il
2007
il
numero
degli
abitanti
è
salito
da
2.125.246
a
2.193.030,
e
nella
6
La
definizione
dell’Insee
si
basa
sulla
continuità
dell’abitato.
Una
Unité
Urbaine
può
raggruppare
due
o
più
comuni,
anche
in
dipartimenti
diversi,
ed
è
costituita
da
un
insieme
compatto
di
costruzioni
(non
possono
distare
più
di
200
metri
l’una
dall’altra)
in
cui
abitino
almeno
2.000
persone.
Inoltre
almeno
la
metà
della
popolazione
di
ogni
comune
deve
risiedere
in
questi
edifici.
14
15
Seine‐Saint‐Denis
da
85.832
a
100.800.
Nella
periferia
la
crescita
media
annuale
è
più
rapida:
sale
a
un
tasso
dello
0,9%,
mentre
a
Parigi
è
lo
0,4%.
In
Seine‐Saint‐Denis
il
tasso
di
crescita
raggiunge
l’1%
(vedi
tab.
3).
Tab.
3
–
Popolazione
dell’ÎledeFrance
Popolazione
al
1°
Gennaio
2007
Tasso
d’evoluzione
annuale
medio
–
1999 2007
Parigi
2.193.030
+0,4%
Petite
Couronne
4.349.640
+0,9%
Hauts‐ de‐ Seine
1.544.411
+1%
Seine‐ Saint‐ Denis
1.502.340
+1%
Val ‐ de‐ Marne
1.302.889
0,8%
Grande
Couronne
5.056.196
+0,7%
Seine‐ et‐ Marne
1.289.524
+1%
Yvelines
1.403.957
+0,5%
Essonne
1.201.994
+0,7%
Val ‐ d’Oise
1.160.721
+0,6%
Île de France
11.598.866
+0,7%
Fonte:
Insee
Tab.
4
–
Evoluzione
della
popolazione
straniera
nell’area
di
riferimento
all’interno
del
Dipartimento
93
1990
1999
Tasso
di
evoluzione
ZUS
(ZRU)
Grand
Ensemble
di
Clichy
e
Montfermeil
Popolazione
totale
32.173
29.955
‐ 6,9%
%
di
stranieri
41,8%
39%
‐ 2,8%
Agglomerazione
comunale
di
Clichy
e
Montfermeil
Popolazione
totale
53.743
52.376
‐ 2,5%
%
di
stranieri
29%
27,2%
‐ 1,8%
Unité
Urbaine
di
Parigi
Popolazione
totale
9.470.287
9.643.880
+1,8%
%
di
stranieri
13,7%
12,7%
‐ 1%
Fonte:
Insee
15