5
Nella parte finale, quindi, per entrare un pò più nello specifico, e
dimostrare come una gran parte delle cose dette sin qui possano
oggettivamente essere messe in pratica in un intervento diretto, ho
analizzato l'attività di due organizzazioni umanitarie che operano in
campo medico: AMREF e Medici Senza Frontiere.
AMREF è un’associazione che si occupa dell'Africa e dei suoi
problemi in campo socio-sanitario.
Ritengo che l'esame dell'attività di AMREF, possa porre in evidenza
l'efficacia di un nuovo tipo di intervento, che si allontana dalla
prospettiva di mero assistenzialismo, che risulta in quanto tale,
priva di un’analisi attenta della cultura che si sta per "assistere", per
avvicinarsi al popolo verso il quale intervenire e promuovere il suo
miglioramento dall'interno, integrando le tecniche di aiuto esogene
con i mezzi, le persone e la cultura endogena.
Oggetto di accurata analisi sono stati i "Flying Doctors " e i loro
interventi, considerato anche che AMREF è nata dalle idee e dal
lavoro di uno di loro. Alcuni medici, appartenenti all'equipe di
AMREF, hanno reso evidente le ampie le carenze di questi popoli
nel campo medico, sia sul piano informativo sia su quello tecnico
applicativo.
Un'altra associazione opera sulla stessa linea di condotta di
AMREF: Medici Senza Frontiere. Quest’associazione, mette a
disposizione i suoi mezzi per sopperire alla mancanza di
6
operatori di pronto soccorso nei casi di emergenza nei paesi in
via di sviluppo e ovunque si verifichi una sciagura.
Ho avuto modo di rilevare dal contatto con gli operatori
AMREF, come il loro modo di interagire nei contesti africani
tenga conto delle usanze e del modus vivendi di ogni società,
pur apportando nuove conoscenze e nuove tecniche operative.
7
CAPITOLO I
L'ANTROPOLOGIA MEDICA
1.1 Antropologia Medica
L'antropologia medica, che alcuni preferiscono chiamare
ETNOMEDICINA, è uno dei settori dell'antropologia generale e
dell'ANTROPOLOGIA APPLICATA ed ha quasi raggiunto lo
status di disciplina autonoma. Taluni respingono l'espressione
"antropologia medica" perché implicherebbe un'adesione della
sottodisciplina al "modello medico" di malattia e di salute proposto
dalla medicina occidentale professionale; quindi, giacché una delle
funzioni più importanti di questa branca dell'antropologia è proprio
quella di mettere in discussione l'insegnamento medico
convenzionale, quegli studiosi ritengono inappropriata
l'espressione.
L'antropologia medica, detta anche antropologia della salute, si è
sviluppata molto rapidamente nel corso degli ultimi venti anni
soprattutto negli Stati Uniti. Questo accresciuto interesse non è
dovuto soltanto al continuo approfondimento della riflessione
antropologica sulla malattia, ma anche dell'interesse sempre
8
maggiore dei medici e degli operatori della pianificazione sanitaria
agli approcci delle scienze sociali. Questa tendenza si collega alla
crescente legittimazione della MEDICINA ALTERNATIVA e
all'interesse per le sue terapie e strategie sanitarie, fondate sulla cura
della collettività. D'altra parte, l'etnomedicina si focalizza sui
sistemi medici non occidentali e sullo studio delle credenze e
pratiche diverse da quelle incarnate dalla medicina "scientifica",
allopatica e convenzionale.
Lo stesso termine malattia si adatta, infatti, ad una triplice
terminologia anglosassone: "illness", "disease" e "sickness".
"Illness" è l'espressione dell'esperienza soggettiva del malato, cui si
contrappone il termine "disease", vale a dire, l'apprendimento
biomedico della malattia, fondato su una conoscenza oggettiva dei
sintomi fisici del malato.
Il termine "sickness" designa il quadro antropologico che permette
di analizzare e di porre in rapporto gli uni con gli altri. Può essere
definito come il processo di socializzazione dell’"illness" e del
"desease"
1.
L'antropologia della malattia, si è focalizzata sulle dimensioni
cognitiva e simbolica del disturbo. Good, per esempio, sviluppa il
concetto di "rete semantica della malattia" che definisce come: " la
rete di parole, situazioni, sintomi e stati d'animo che vengono
1
F. Laplantine, Antropologie de la maladie, Paris, Payot, II edizione, 1992.
9
associati a un malessere e lo rendono significativo per chi soffre"
1
Questo approccio non prende in considerazione soltanto
l'esperienza della malattia ma anche i sistemi sociali, le strutture di
potere e il significato sociale oltre che l'esito della sofferenza.
Ciascuna società possiede il proprio insieme di regole per la
traduzione dei segni in sintomi, per la definizione di malattia e dei
modelli di terapia. Le forze sociali non incidono soltanto sulla
diagnosi, ma anche sul modo di accedere ai tipi diversi di
trattamento medico e di terapeuti da parte dei differenti settori della
popolazione.
1
B.M. Good et M. J. Del Vecchio, The meaning of the symptoms: a cultural ermeneutic
model for clinical practice, in L. Eisemberg e A. Kleinman, ed. The revelange of social
science for medicine, Dordrecht, Reidel Publ.CO, in M. Pandolfi, Dall'antropologia medica
all'antropologia della malattia, in Antropologia Medica n.1, 1986.
10
1.2 Il punto di vista Antropologico
Lo studio dei testi concernenti l'antropologia medica mi ha portato a
constatare che in tutti gli "operatori" del settore, si avverte
l'impossibilità di parlare di salute e malattia solo in termini medici
senza tener conto degli aspetti sociali e culturali. Infatti, molti di
loro ritengono che: isolare l'aspetto medico dal contesto sociale
rivela una sterilità teorico-applicativa e di conseguenza un limitato
sistema metodologico per affrontare il problema della salute. La
difficoltà principale è quella di analizzare forme elementari della
malattia e della guarigione. Le evoluzioni storiche, i vari modi di
pensare rispetto ai comportamenti sociali, portano a ritenere che
esistono molteplici diversità che vanno analizzate. Già nel primo
ottocento questo problema, si pose quando a Napoli intorno al
1810, fu attuata dal governo di Murat, la campagna per la
vaccinazione antivaiolosa
2
.
Non era impresa facile, impostare una campagna di vaccino anti-
vaioloso con il tipo di cultura che dominava allora in gran parte
delle campagne del regno di Napoli. Quindi il governo murattiano
iniziò una prima campagna di rilevazione, basata su argomenti che
dovevano servire come indirizzo per le ricerche provincia per
provincia, comune per comune in tutto il mezzogiorno d'Italia. Tra i
differenti argomenti d’analisi, vi fu, appunto, quello dell’esistenza
2
M. R. Storchi, Documenti per lo studio delle condizioni sanitarie, in A. Di Rosa(a cura di),
Salute e malattia nella cultura delle classi subalterne del mezzogiorno, Guida Napoli, 1990.
11
del pregiudizio nei confronti del vaccino anti-vaioloso. Questo può
essere considerato, secondo Seppilli
3
, il primo caso di ricerca
sistematica in Antropologia Medica in Italia. Dai risultati emersi,
secondo questa rilevazione appare, che, ad esempio, alcuni
pensavano che farsi vaccinare significasse farsi venire la faccia da
vacca, perché il vaccino era ottenuto da materiale estratto da questi
bovini. Infatti a quei tempi in tutta Europa erano diffuse caricature
bovine di persone che si erano fatte vaccinare. Essendo quello
murattiano un governo rivoluzionario e potendo agire in termini
giacobini, una volta che si scoprì che gran parte della popolazione
del Regno di Napoli non voleva farsi vaccinare per paura che si
trattasse di un raggiro operato dalla classe dominante, il governo
impose che fossero vaccinati pubblicamente i ricchi in tutti i paesi
del mezzogiorno e solo in seguito operò sul resto della popolazione.
Giunti a questo punto mi sembra necessario cercare di dare una
definizione più ampia del concetto di salute, così com’è inteso da
coloro che si occupano di Antropologia Medica.
La medicina occidentale è divenuta scientifica proprio quando ha
scoperto l'origine batterica di gran parte delle malattie infettive, e ha
approntato da una parte strumenti preventivi e dall'altra strumenti
terapeutici.
Prima della seconda metà dell'ottocento era una medicina empirica
che affrontava certe situazioni ed otteneva alcune vittorie in campo
3
T. Seppilli, Antropologia Medica "fondamenti per una strategia" in A.M.(rivista della
società italiana di Antropologia Medica), 1996-97, pag.7-30
12
chirurgico, ma non era molto più avanti della medicina Indiana,
Tibetana, Cinese, Islamica di tutta una serie di medicine che
avevano una tradizione scritta, ma che non erano arrivate ad
elaborare una teoria della malattia proprio perché non avevano
scoperto ancora l'origine batterica di gran parte delle patologie. In
virtù di questa scoperta, da parte della medicina occidentale, nasce
in quell'epoca la diffusa sensazione, di riuscir a debellare
rapidamente qualsiasi tipo di malattia, come era avvenuto in
precedenza con le prime malattie infettive.
Credo sia opportuno riportare, qui di seguito, i risultati di alcuni
rilevamenti medico-statistici che hanno permesso alla "medicina
moderna" di sostenere che: negli ultimi cento anni il progresso del
sapere biomedico e delle pratiche per la cura della salute è stato
senza confronti. La data di inizio è senza dubbio il 1897, con la
prima produzione industriale dell'aspirina, in Germania.
E' poi del 1935, sempre in Germania, la messa a punto del primo
sulfamidico. Nel 1945 si afferma la commercializzazione della
penicillina. Sono, inoltre, enormemente avanzate la diagnostica e la
prevenzione di non poche malattie ereditarie e per disabilità
congenite, ma anche nuove tecniche di esami biochimici e
citologici del liquido amniotico del feto e promettenti sono le
scoperte sulla mappa genomica e sulle conseguenti terapie
genetiche.
13
E' avanzata con grandi successi la lotta contro le malattie
cardiocircolatorie, in parte ciò è avvenuto anche nella lotta contro
le neo plasie.
Si sono perfezionate le tecniche di rianimazione, dei trapianti, delle
istallazioni di endoprotesi. Le ricerche di ingegneria Bio-
molecolare hanno aperto alla farmacologia nuove strade anche nei
confronti delle malattie dell'invecchiamento, anzitutto della
memoria, traguardi non sperati prima.
Tuttavia, numerosi studi antropologici evidenziano che lo sviluppo
nel corso degli anni di una serie di patologie degenerative, ha posto
in discussione il modello di risposta con il quale s’intende debellare
le malattie, suscitando delusione nella biomedicina, che si
accompagna alla critica o alla messa in discussione di quella che è
possibile chiamare l'opzione occidentale della civiltà, la razionalità,
il pensiero scientifico, e per altro verso la produzione industriale.
Come ha rivelato Lanternari, siamo di fronte ad una dinamica di
valori estremamente complessa e ambigua in cui una serie di
critiche allo stile e al modello di vita della civiltà occidentale, non
riuscendo ad esprimersi ideologicamente in una prospettiva di
rinnovamento radicale della società, finiscono per piegarsi ad una
ricerca, che non è nuova in occidente, di posizioni alternative,e di
valorizzazione di civiltà altre o del passato
4
.
4
V. Lanternari, Medicina, Magia, Religione, Valori, 1994 (pag.27-220)
14
E' indubbio che si tratta di valori ambigui, che per un verso
annunciano grandi trasformazioni, e per l'altro non si saldano con
un progetto complessivo di trasformazione della società. Un
esempio di tutto ciò ci viene dalla moda ecologica; molta gente
darebbe la vita per eliminare le bombolette spray, senza accorgersi
che queste sono la manifestazione di un sistema più ampio e
complesso, senza mettere in discussione il quale non è possibile
eliminare le bombolette spray o quant'altro
5
. Oltre alla mancanza
di efficacia, e all'impetuoso imporsi delle medicine alternative, un
ulteriore elemento determina l'aggravarsi della crisi di
legittimazione della Biomedicina. A partire dagli anni '50, una
sempre più spinta frantumazione specialistica della formazione e
della pratica medica, un’impropria dilatazione della diagnostica
strumentale e di laboratorio a detrimento della visita clinica, una
crescente burocratizzazione degli apparati e dei servizi medici,
hanno dato diffusamente luogo alla progressiva spersonalizzazione
dei rapporti medico-paziente e alla sostanziale oggettivazione di
quest'ultimo come mero portatore di infermità, in una situazione in
cui, di contro, proprio per la mutata patologia, il baricentro di una
difesa realistica della salute deve spostarsi verso il momento della
prevenzione e dunque verso la necessità di un consapevole
coinvolgimento partecipativo della intera popolazione.
5
T. Seppilli, Relazione al seminario di Antropologia Medica, Napoli (1998).