modificazione delle attitudini e delle pratiche degli attori internazionali, le norme in
materia di relazioni economiche
3
. Dall’altro, attraverso l’imposizione agli Stati dei
comportamenti e delle forme di cooperazione idonee ad attenuare e limitare la loro
libertà quali centri regolatori autonomi delle rispettive economie nazionali
4
, ha
contribuito e contribuisce all’evoluzione del processo di globalizzazione fornendo
una parte del quadro normativo indispensabile al dispiegarsi della circolazione
internazionale di merci, capitali e saperi.
1.1. Il processo di globalizzazione e gli investimenti diretti all’estero.
Delle numerose definizioni proposte dagli altrettanto numerosi studiosi che a
questo soggetto si sono dedicati si accoglie qui quella avanzata da McGrew
5
. Il
termine “globalizzazione” viene allora riferito all’insieme dei collegamenti e delle
interconnessioni tra gli Stati e le società che caratterizza l’attuale sistema mondiale e
descrive il processo mediante il quale gli eventi, le decisioni e le attività in una parte
del mondo producono significative conseguenze per i singoli e le comunità che si
trovano in altre distanti parti del globo. Il concetto ha due connotazioni: l’una
estensiva l’altra intensiva. Nella prima individua un insieme di processi che operano
a livello mondiale o che riguardano gran parte del globo, nella seconda implica
un’intensificazione del livello di integrazione ed interdipendenza all’interno della
comunità mondiale.
Un chiaro indice della crescente integrazione internazionale delle attività
economiche è rinvenibile nei dati economici relativi agli investimenti diretti
all’estero (investissements directs à l’étranger- IDE; foreign direct investment –
FDI) che costituiscono il principale strumento di tale integrazione
6
. Nel corso
3
P. PICONE, Diritto internazionale dell’economia e Costituzione economica dell’Ordinamento
Internazionale, in Diritto internazionale dell’economia (ed. P.PICONE e G.SACERDOTI), Milano,
1990, pg. 45ss.
4
P. PICONE, Diritto internazionale dell’economia cit., pg. 85.
5
A. McGREW e R. LEWIS, Globalization and the Nation States, New York, 1992, pg. 23.
6
J.H. DUNNING, The Role of FDI in a Globalizing Economy, in Investment Issues, in Asian and The
Pacific Ring, (ed. C.J. GREEN e T.L. BREWER), New York, 1995, pg. 43ss, distingue gli
investimenti diretti all’estero in quattro tipi a seconda della finalità perseguita dall’impresa
investitrice: per la ricerca di nuovi mercati, per la ricerca di materie prime, per la ricerca di maggior
efficienza, per la ricerca di risorse e capacità percepite come strategiche. L’ultima finalità può essere
perseguita anche mediante accordi di cooperazione con altre imprese (cooperative arrangements). La
distinzione tra i tipi di investimenti, rilevante per una corretta comprensione delle strategie aziendali,
non influisce tuttavia sul regime internazionale delle operazioni.
dell’ultimo ventennio il volume complessivo di questo tipo di operazioni è cresciuto
7
ad un tasso costantemente superiore a quello dell’economia mondiale,
quadruplicandosi tra il 1980 ed il 1992 per poi ancora raddoppiare tra il 1992 ed il
1998. Il flusso annuo è passato da 117 miliardi di dollari nel 1993 a 350 miliardi nel
1996, a 450 miliardi nel 1997, a 650 miliardi nel 1998.
A questa rapida crescita si è accompagnato il modificarsi delle aree geografiche
di destinazione e dei settori economici interessati, mentre rimangono sostanzialmente
gli stessi gli investitori
8
. Se la gran parte degli investimenti diretti all’estero si muove
ancora all’interno delle economie sviluppate
9
, la quota di tali flussi di cui sono
destinatari i paesi in via di sviluppo è in costante crescita dall’inizio degli anni
novanta. Sempre più gli investimenti in questi paesi sono realizzati nel settore
privato
10
. La distribuzione di questi flussi tra l’ampio novero di paesi ricompresi
nella nozione di “paesi in via di sviluppo” (PVS) è tuttavia diseguale. Gli
investimenti si concentrano per i quattro quinti in Asia ed in America latina ed
all’interno di queste aree in un numero ristretto di paesi, quelli che hanno saputo
creare un clima di fiducia per gli investitori privati e che offrono maggiori possibilità
di sviluppo economico. Quanto agli investitori, sebbene l’investimento diretto
all’estero inizi ad essere utilizzato anche da imprese di medie e piccole dimensioni
11
,
le grandi imprese multinazionali permangono le principali interessate: le 400 più
grandi controllano oltre la metà di tutti gli IDE.
7
Ci si limita, ovviamente, ad una semplice esposizione di dati indicativi delle tendenze in atto, per un
quadro completo dei dati economici relativi agli investimenti diretti all’estero, e più in generale alla
circolazione internazionale dei capitali, si rinvia alle pubblicazioni di annuali di organismi
internazionali specializzati quali il World Investment Report della CNUCD-UNCTAD, il Global
Development Finance della Banca Mondiale, lo International Direct Investment Statistics Yearbook
dell’OCSE.
8
Si veda in proposito G. SACERDOTI, Bilateral Treaties and Multilateral Instruments, in Recueil,
1996, II, pg. 267ss; J.H. DUNNING, The Role of FDI cit., pg. 47ss.
9
All’interno di questa area, identificabile con quella dei paesi membri dell’OCSE, i flussi si sono però
modificati nella direzione di una crescente reciprocità. Gli Stati Uniti, ad esempio, rimangono il primo
paese investitore, ma diventano anche il primo paese per investimenti stranieri accolti. M.
SORNARAJAH, The International Law on Foreign Investment, Cambridge, 1994, pg. 15ss.
10
La crescita del settore privato nelle economie dei PVS avviene nell’ambito di un ripensamento del
modello di sviluppo che assegna proprio al settore privato il ruolo trainante, si veda a questo proposito
e per i cambiamenti che ne derivano nella funzione del diritto all’interno del processo di sviluppo J.W.
SALACUSE, From Developing Countries to Emerging Markets: A Changing Role for Law in the
Third World, in The International Lawyer, 1994, pg. 875ss.
11
Questo sviluppo è stato indubbiamente favorito dall’assistenza fornita a questo fine dai paesi
sviluppati alle proprie piccole e medie imprese. La Comunità Europea, ad esempio, ha posto in essere
numerosi programmi finanziari di questo tipo nell’ambito delle sue relazioni con i PVS e con i paesi
ex-comunisti. Si vedano ad esempio i Regolamenti 443/92 (America latina) e 1762/93 (paesi
mediterranei).
Le cause di questa accelerazione nel processo di crescente integrazione ed
interdipendenza delle attività economiche sono in gran parte di ordine tecnologico e
politico. I notevoli progressi tecnologici nei campi dell’informatica e della
comunicazione hanno accresciuto la mobilità dei beni immateriali e condotto alla
dematerializzazione del capitale, intesa come liberazione di questo dalle condizioni
locali della produzione materiale
12
. A queste nuove possibilità offerte dalla tecnica si
è affiancata l’adozione, nel corso degli anni ottanta e novanta, di politiche
economiche aperte al mercato da parte dei governi nazionali e delle autorità
regionali; adozione che ha contribuito a rimuovere gli ostacoli giuridici all’attività
economica internazionale e ad ampliare le possibilità di allocazione dei capitali e dei
saperi. In questo senso, un ulteriore, notevole, stimolo si è originato con il
decomporsi delle esperienze del “socialismo reale”, in primo luogo nel continente
europeo. Tutti fattori che hanno influito sui principali attori delle relazioni
economiche internazionali: le imprese multinazionali e gli Stati.
1.2. Gli attori internazionali: le imprese multinazionali e gli Stati.
Le imprese multinazionali (Transnational corporations –TNCs)
13
, hanno
modificato le proprie strategie sotto la pressione di una crescente concorrenza
12
in questo senso si veda A. LEBEL, La mondialisation: une hipothèse économique galvaudée aux
effets dramatiques, in Mondialisation des échanges et fonctions de l’Etat, (ed. F. CREPEAU),
Montreal, 1996, pg. 22.
13
“Transnational corporation […] means an enterprise, comprising entities in two or more countries
[…] wich operates under a system of decision-making permitting coherent policies and a common
strategy […], in wich the entities are so linked, by ownership or otherwise, that one or more of them
may be able to exercise a significant influence over the activities of others, and in particular, to share
knowledge, resources and responsibilities with the others“, P. FISCHER, voce Transnational
Corporation, in Encyclopedia of Public International Law, VIII, 1985, Amsterdam, pg. 515 che
riporta la definizione del progetto di codice di condotta sulle imprese multinazionali elaborato in sede
ONU. Il fenomeno è quello del proliferare in una pluralità di ordinamenti giuridici si società, filiali e
consociate collegate fra di loro da una unitaria politica industriale e commerciale e facenti capo ad un
unico centro direzionale. La multinazionalità è un attributo di fatto che si riferisce al gruppo nella sua
unità mentre le singole società saranno dotate di diversa nazionalità in corrispondenza dello Stato
territoriale dove operano o con cui sussistono i collegamenti idonei ai fini dell’attribuzione della
nazionalità medesima. Forme per certi versi analoghe di organizzazione economica sono rintracciabili
ben indietro nel tempo, ma le imprese multinazionali, per l’interesse nella produzione e per l’assenza
di legami diretti con il potere politico d’origine, costituiscono un fenomeno economico originale. P.
FISCHER, op. cit., pg. 516s; P. FRANCIONI, Imprese multinazionali, protezione diplomatica e
responsabilità internazionale, Milano, 1979, pg. 6ss. Comparse tra le due guerre mondiali, le
transnational corporations si sono rapidamente sviluppate nel secondo dopoguerra. Simili entità
economiche, caratterizzate dall’unitarietà del controllo e dall’internazionalità delle strategie, sono
capaci di perseguire i propri interessi economici al di sopra delle frontiere ed al di là dell’interesse
nazionale dello Stato d’origine. Nel corso dei decenni hanno assunto, per la propria potenza
economica e per la capacità di influenza politica, un ruolo di primo piano nelle relazioni economiche
internazionale
14
Queste, nel passato orientate alla ricerca di mercati e di materie
prime per sfruttare al meglio i propri vantaggi competitivi, sono ora dirette anche, se
non prevalentemente, all’acquisizione di risorse e capacità percepite come necessarie
per sostenere e migliorare vantaggi competitivi sempre più ridotti. Tali obiettivi
vengono perseguiti dalle TNCs combinando le proprie competenze con quelle di altre
imprese e procedendo ad una crescente integrazione internazionale. E’ lo stesso
orizzonte territoriale dell’attività economica privata che si modifica. Da un lato gli
operatori economici privati sono sempre meno legati all’economia nazionale di
origine e sempre più dipendenti dalle condizioni delle altre economie in cui operano,
dall’altro i mercati sui quali le imprese si trovano ad operare sono percepiti come
mondiali, al di sopra ed al di là delle frontiere nazionali o, se si vuole, nella
prospettiva di un’unica economia planetaria. L’impresa, da multinazionale, tende
allora a farsi globale.
internazionali. I. SEIDL-HOHENVELDERN, International Economic Law, Dordrecht, 1990, pg. 2; P.
JUILLARD, D. CARREAU, T. FLORY, Droit international économique, Paris, 1980, pg. 43ss. Nello
stesso tempo si sono trovate coinvolte nell’aspro dibattito internazionale originato dalla
rivendicazione da parte dei PVS della sovranità permanente sulle risorse naturali e culminato con
l’adozione, nel 1974, della Risoluzione AGNU 3281(XXIX) nota come “Carta dei diritti e dei doveri
economici degli Stati” (in Yearbook of the United Nations, 1974, pg. 903). In particolare veniva messa
in discussione la presunta influenza benefica della presenza di imprese multinazionali, quasi
esclusivamente originarie dei paesi sviluppati, nel territorio dei PVS ai fini dello sviluppo economico
e sociale di questi paesi. Si avanzavano richieste di una regolamentazione universale della loro
condotta ed allo stesso tempo venivano contestate le norme internazionali tradizionali in materia di
protezione dello straniero e della sua proprietà operanti a loro tutela. I lavori in sede ONU per un
codice universale di condotta delle multinazionali, condotti da un gruppo di lavoro
intergovernamentale all’interno della Commissione sulle imprese multinazionali (UNCTC) a partire
dal 1976, sono rimasti sospesi allo stadio del progetto. Più fortuna hanno avuto codici settoriali, come
il Codice internazionale sulla commercializzazione dei derivati del latte negoziato sotto gli auspici
dell’OMS e dell’UNICEF, o elaborati all’interno di organizzazioni regionali come i Principi direttivi
per le imprese multinazionali dell’OCSE (OECD Guidelines for Multinatinal Enterprises, pubblicate
in 15, International Law Materials, 967). Carattere comune a questi strumenti è la non obbligatorietà
delle regole che pongono, il che non esclude un loro valore giuridico. MERCIAI, Les entreprises
multinationales et les codes de conduite, Bruxelles, 1993; I. SEIDL-HOHENVELDERN, Hierarchy
of the norms applicable to international investments, in International law and its sources. Liber
Amicorum Maarten Bos, (ed. W. P. HEERE), New York, 1989, pg. 150ss. Anche se nel corso del
tempo il contesto politico è mutato profondamente, la realtà delle TNCs sollecita ancora il diritto
internazionale sotto molteplici aspetti, da quello della loro soggettività internazionale a quello della
loro partecipazione ai processi di formazione delle norme. Questi temi saranno, in considerazione del
fatto che le TNCs costituiscono di gran lunga i primi investitori internazionali, di volta in volta presi in
considerazione nella misura necessaria ad illuminare il tema della protezione internazionale di questi
soggetti e delle loro risorse.
14
La pressione per una continua innovazione dei prodotti, operata sulle imprese dai consumatori e
dalle concorrenti, ha comportato la riduzione del ciclo di vita dei prodotti e la crescita dei costi per la
ricerca. A queste nuove condizioni le imprese hanno risposto con la riorganizzazione interna, nel
segno della specializzazione produttiva e di una maggiore flessibilità dell’organizzazione produttiva, e
con la ricerca di mercati più vasti. Si vedano in proposito: J.H. DUNNING, The Role of FDI cit., pg.
49; C. DEBLOCK, Du plein emploi à la competitivité, in Mondialisation des échanges et fonctions de
l’Etat, (ed. F. CREPEAU), Montreal, 1996, pg. 100ss.
A fronte di operatori economici privati sempre più globali, dell’intensificarsi
delle relazioni transfrontaliere, dell’accrescersi dei legami tra le economie nazionali,
si allenta la presa dello Stato sul reale, ed in primo luogo sui processi economici
15
. Di
fatto, gli strumenti tradizionali dell’autorità politica sono sempre più inadeguati alle
dimensioni dei fenomeni su cui vorrebbero incidere
16
, mentre aree importanti delle
relazioni economiche transnazionali sono regolate direttamente dagli operatori
privati
17
. L’idea dello Stato sovrano, padrone incontestato di un territorio
determinato, detentore del monopolio del diritto in questo territorio e libero di
scegliere e di sviluppare il proprio sistema politico, sociale, economico e culturale,
sembra rispondere poco alla realtà del mondo contemporaneo
18
.
15
La tendenza era già ben visibile agli albori del fenomeno, si veda in proposito P. PICONE, Diritto
internazionale dell’economia cit., pg. 36.
16
Questa inadeguatezza è rilevabile tanto nei confronti di fenomeni naturalmente di interesse
universale, si pensi alla tutela dell’ambiente, quanto rispetto a fenomeni economici e sociali cui la
globalizzazione ha conferito nuove dimensioni, si guardi all’attività dei mercati finanziari, ai flussi
delle migrazioni internazionali o alla comunicazione, quanto riguardo fenomeni prevalentemente
culturali (o se si vuole ideologici), come la tutela dei diritti umani. In tutti questi campi cresce il
bisogno della cooperazione internazionale e tendono ad affermarsi nuovi principi più attenti
all’interdipendenza. Si citerà, a titolo esemplificativo, il discorso pronunciato a New York il 23
Settembre 1998, durante la LIII Sessione dell’Assemblea Generale dell’ONU, da L. DINI, Ministro
degli Affari Esteri della Repubblica Italiana “La crisi [finanziaria] nasce dal mancato equilibrio tra il
potere del mercato e quello istituzionale. Aumenta il divario tra la velocità della tecnologia, delle
comunicazioni, del mercato da un lato e la lentezza della politica e delle istituzioni dall’altro […] se
si globalizza il mercato occorre in qualche modo globalizzare il governo del mondo. Un governo
sorretto dalla consapevolezza che non c’è benessere dei singoli Stati separato da quello della
comunità internazionale. [Occorre] rafforzare le istituzioni internazionali, la loro capacità di
coordinare l’azione degli Stati. […] Il secolo si chiude nel segno di un nuovo balzo in avanti delle
istituzioni, sulle quali costruire i tre pilastri della stabilità: benessere, sicurezza, rispetto delle libertà
fondamentali.“
17
Nell’analisi di F. GALGANO, Lex mercatoria, Bologna, 1993, pg. 209ss, centrata sull’evoluzione
del diritto commerciale, la società “globale” “si annuncia come una società senza frontiere nella
quale i mercati sono mondiali ed i soggetti del mercato tendono a sfuggire al controllo dei singoli
Stati […]”. In essa “ il diritto tende a superare i particolarismi politici, aspira a porsi come diritto
universale. Questa aspirazione si realizza con la formazione non politica del diritto.”, si assiste così
alla rinascita della lex mercatoria intesa come “ diritto creato dal ceto imprenditoriale, senza la
mediazione del potere legislativo degli Stati e formato da regole destinate a disciplinare in modo
uniforme, al di là delle unità politiche degli Stati, i rapporti commerciali che si instaurano entro
l’unità economica dei mercati.“ All’autonomia crescente del “privato” si affianca poi una riduzione
dell’ambito del “pubblico”: “Il contratto prende il posto della legge in molti settori della vita sociale e
si spinge fino a sostituirsi ai pubblici poteri nella protezione di interessi generali, propri dell’intera
collettività. La tutela dell’interesse generale diventa una componente del profitto.”
18
Su questo tema, con un approccio critico che caratterizza a riguardo, per tradizione culturale, la
dottrina francofona si vedano: M. S. M. MAHMOUD, Mondialisation et souveraineté de l’Etat, in
Journal du droit international, 1996, pg. 611ss; H. R. FABRI, Genèse et disparition de l’Etat à
l’époque contemporaine, in Annuaire français de droit international, 1992, p.153s; S. SUR, Sur
quelques tribulations de l’Etat dans la société internationale, in Revue Générale de droit
international public, 1993, pg. 883ss; idem, L’Etat entre éclatement et mondialisation, in Revue belge
de droit international, 1997, pg. 5ss; il volume collettivo curato da F. CREPEAU, Mondialisation des
échanges et fonctions de l’Etat, Montreal, 1996; N. BURGI e P. S. GOLUB, Le faux mythe de l’Etat
post-national, in Le monde diplomatique, Aprile 2000, pg.12.
Lo Stato rimane il gestore dello spazio fisico, e come tale elemento di
stabilizzazione della popolazione su un territorio, e la sola istanza capace di assumere
su di sé la sicurezza interna ed esterna del gruppo, contribuendo in questo modo alla
pace ed alla sicurezza dell’insieme della società internazionale nell’assenza di un
affidabile sistema di sicurezza collettiva al livello internazionale. Cosi come resta,
pur modificandosi, il luogo di costruzione del consenso politico e dei legami di
solidarietà, elementi necessari alla gestione di problemi sociali ed identitari di cui il
mercato non si fa carico.
Ma, se non ne rimette in causa l’essenza come unità politica e territoriale, il
processo di globalizzazione tende a disegnare un particolare modello di Stato le cui
funzioni collettive sono sottomesse ai vincoli del mercato
19
. E’ il ruolo dell’autorità
politica nel governo dell’economia che appare modificato nell’ambito di una nuova
visione dei rapporti tra la sfera dell’economico e quella del politico. Una visione che
è ampiamente ispirata da concezioni neoliberiste della società e del mercato e nella
quale l’economia tende a farsi autonoma dalla politica. Da uno Stato che in nome
dell’interesse generale interviene attivamente nei processi economici, anche
attraverso la gestione
diretta, si passa ad uno Stato garante, mero regolatore di un mercato visto come
istituzione pubblica all’interno della quale si sviluppano liberamente le forze
private
20
.
La nozione stessa di mercato si amplia fino ad includere aree, come la sanità o
l’istruzione, precedentemente considerate estranee. Si trovano così ridotti i margini
di manovra dell’azione pubblica nel perseguimento degli obiettivi di politica
nazionale mentre lo stesso interesse generale tende a risolversi nella salvaguardia
della competitività dell’economia nazionale ai fini di una sua riuscita inserzione nel
sistema economico mondiale
21
. Da un lato l’azione pubblica tende ad assumere le
vesti dell’attività iure privatorum e l’interesse generale viene perseguito ricorrendo
alla negoziazione con i privati. Dall’altro questa stessa azione si trova non solo a
19
M. S. M. MAHMOUD, op. cit., pg. 661.
20
La modificazione è chiaramente esemplificata dal passaggio dalla pianificazione all’antitrust. Si
vedano T. PADOA - SCHIOPPA, Il governo dell’economia, Bologna, 1997, in specie pg. 21ss, S.
CASSESE, La nuova costituzione economica, Bari, 1995.
21
C. DEBLOCK, Du plein emploi cit., pg. 109.
dover fondare la propria legittimità all’interno, nei confronti della popolazione, ma
anche ad essere soggetta, all’esterno, alla fiducia dei mercati internazionali
22
.
I cambiamenti in corso, pur riguardando tutti gli Stati, si presentano con
un’intensità differenziata a seconda della solidità degli apparati statuali e della
ricchezza delle società nazionali. Per ragioni storiche, sociali ed economiche, i paesi
in via di sviluppo (PVS) risultano essere i più sensibili a questi processi.
Il bisogno di conoscenze e capitali, percepiti come indispensabili allo sviluppo
delle economie e delle società di questi paesi, li rende maggiormente vulnerabili alle
pressioni generate dall’interdipendenza. In modo particolare quando questa necessità
si accompagna ad una pesante situazione debitoria dello Stato verso l’estero.
Si consideri che nel corso dell’ultimo decennio le fonti dei capitali e delle
conoscenze si sono profondamente modificate. Dall’inizio degli anni novanta il
volume degli aiuti pubblici ai PVS, sotto forma di doni e di crediti, è addirittura
diminuito in valore nominale. Mentre si è sestuplicato l’apporto degli investimenti
privati che, a partire dal 1993, hanno superato gli aiuti pubblici. Questa crescente
presenza di investitori stranieri nei PVS è frequentemente incentivata dalle autorità
locali attraverso modificazioni delle legislazioni speciali in materia di investimenti
stranieri ( i c.d. Codici degli investimenti
23
).
Conseguenza di una situazione di concorrenza tra gli Stati nella ricerca di capitali
privati stranieri
24
, questa nuova attitudine si fonda anche sulla trasformazione subita
dal modello di sviluppo.
22
“Il governo dell’economia è “sul mercato” in ogni momento delle ventiquattro ore, sottoposto al
giudizio che migliaia di soggetti economici formulano sulla sua capacità d’azione, sulla sua coerenza,
determinazione, concordia, sulle sue prospettive di durata.“ T. PADOA - SCHIOPPA, op. cit., pg.
25. E’ interessante riscontrare il rilievo che questa fiducia assume anche nell’argomentazione del
tribunale arbitrale istituito presso l’ICSID per dirimere una controversia tra un investitore straniero ed
il Venezuela: nel caso Fedax N. V. v. Repubblica del Venezuela. Nella sentenza del 9 Marzo 1998
(parzialmente pubblicata, nella traduzione ufficiosa in francese operata da E. GAILLARD, in Journal
du droit international, 1999, pg. 294) al paragrafo 36 “[…] le Tribunal note avec satisfaction que […]
la transaction que la République du Venezuela a acceptée est tout à fait conforme à sa bonne
réputation au sein de la communauté financière internationale […] ”.
23
Sui Codici sugli investimenti come strumenti legislativi tipici dell’approccio dei PVS agli
investitori privati stranieri si vedano R. M. BUXBAUM e S. A. RIESENFELD, voce Investment
Codes, in Encyclopedia of International Public Law, II, Amsterdam, 1995, pg. 1439ss., per uno studio
comparativo della disciplina nazionale degli investimenti stranieri si vedano H. J. HAHN, L.
GRAMLICH, voce Foreign Investment, in International Encyclopedia of Comparative Law, XVII,
22, Dordrecht, 1989, pg. 64ss.
24
Situazione di concorrenza che coinvolge, d’altronde, anche i paesi sviluppati, si veda C.
DEBLOCK, op. cit., pg. 100ss, e che si inserisce in un contesto di trasformazione della distribuzione
internazionale del lavoro. Da un modello coloniale che attribuiva ai paesi del Sud la produzione delle
materie prime ed a quelli del Nord la produzione di manufatti si è passati, per alcune regioni del Sud,
ad un modello che vede un flusso in duplice direzione di manufatti e servizi. C. STEVENS, Il
commercio e la cooperazione commerciale UE-ACP, in L’Europa ed il Sud del mondo, S.Marino,
1999, pg. 109ss; P. PICONE, Diritto internazionale dell’economia cit, pg. 52s. Ne risulta un mondo,
Il modello di sviluppo dominante nel corso degli anni sessanta e settanta
attribuiva il ruolo principale allo Stato ed alla sua burocrazia, incaricati di pianificare
e dirigere il processo di sviluppo nazionale e di realizzarlo attraverso le imprese
pubbliche, mentre guardava con sospetto alla proprietà ed all’iniziativa economica
private, in modo particolare se straniere.
Negli anni ottanta il fallimento sul campo di questo modello, causa di un
crescente debito pubblico, di inefficienza e di corruzione dell’amministrazione, ed il
successo economico di alcuni Stati asiatici, la cui politica di sviluppo si
caratterizzava per una maggiore apertura all’impresa privata ed al capitale straniero,
hanno condotto ad un ripensamento del modello di sviluppo. A questo ripensamento
hanno attivamente contribuito le organizzazioni economiche internazionali (Banca
Mondiale e Fondo Monetario Internazionale) condizionando la propria assistenza
finanziaria e tecnica ai PVS alla ristrutturazione delle loro economie sulla base di una
ridimensionamento del ruolo del settore pubblico e di una maggiore apertura alle
relazioni economiche internazionali.
Il nuovo modello di sviluppo che si è affermato nel corso degli ultimi anni
attribuisce al mercato, e non più allo Stato, il ruolo di allocatore di risorse, promuove
la privatizzazione delle imprese pubbliche e la riduzione della disciplina
amministrativa in campo economico insieme all’adozione di istituti giuridici adeguati
ad un economia di mercato
25
.
Soprattutto rovescia l’approccio dei PVS verso gli investimenti stranieri nel
proprio territorio. Precedentemente percepiti, sull’onda della decolonizzazione, come
elemento di potenziale dipendenza economica e politica, sono ora visti come potente
fattore di sviluppo e di inserzione dell’economia nazionale in quella mondiale.
Gli IDE, in effetti, contribuiscono all’economia locale con un complesso di
risorse finanziarie, competenze gestionali, conoscenze tecniche e canali di
distribuzione; presentano poi il notevole vantaggio di non creare debito, il profitto
dell’investitore essendo legato a quello dell’investimento. A questi vantaggi diretti si
aggiungono potenziali vantaggi indiretti ancora più desiderabili. La presenza di un
IDE può attirare prestiti per specifici progetti incrementando così la disponibilità
complessiva di risorse esterne per scopi produttivi. Inoltre sul lungo periodo la
almeno economicamente, multipolare ed il tendenziale frantumarsi di una nozione unitaria di “PVS”.
M. SORNARAJAH, op. cit., pg. 14s; G. SACERDOTI, Bilateral Treaties cit., pg. 284.
25
J.W. SALACUSE, From Developing Countries to Emerging Markets cit., pg. 875ss; T.H.
WAELDE, op. cit., pg. 771ss.
presenza di un’impresa efficiente ed internazionalmente competitiva stimola
l’adozione di tecniche migliori, anche gestionali, in altri settori dell’economia e tra
gli imprenditori locali
26
.
La crescita degli IDE negli ultimi decenni, il ruolo che ricoprono nel processo di
globalizzazione e la loro centralità nelle attuali politiche di sviluppo rendono il
regime internazionale di queste operazioni un campo privilegiato per vagliare come
l’ordinamento giuridico internazionale interagisca con il processo di globalizzazione
e con le trasformazioni che questo comporta nella struttura delle relazioni
economiche e nelle attitudini degli attori internazionali.
2. La definizione dell’IDE.
Uno studio del regime internazionale degli investimenti diretti all’estero si trova
ad affrontare come primo problema quello della definizione dell’IDE. E’ dalla
nozione economica di investimento diretto all’estero, distinguendola da altre
operazioni internazionali, che bisogna prendere le mosse per ricercarne una
definizione giuridica. Si deve anche tenere presente che la nozione economica è
suscettibile, con l’evoluzione dei processi economici, di assumere forme giuridiche
diverse pur conservando gli stessi caratteri distintivi.
2.1. La nozione economica.
Il termine “investimento” può indicare, allo stesso tempo, sia l’attività, posta in
essere da un soggetto privato (investitore), del destinare una risorsa ad un’attività
economica produttiva sia la risorsa in questo modo impiegata. Nell’investimento
come attività il carattere privato dell’investitore, persona fisica o giuridica, si unisce
non solo all’origine, privata, della risorsa impiegata, ma soprattutto al fine lucrativo
dell’intera operazione cui viene destinata. L’investitore si attende un profitto, in
termini economici, dall’impiego al quale ha destinato la propria risorsa. Tale
guadagno è eventuale, la remunerazione dell’investimento, dipendendo dal risultato
26
I. F. I. SHIHATA, Factors Influencing the Flow of Foreign Investment and the Relevance of a
Multilateral Investment Guarantee Scheme, in The International Lawyer, 1987, pg. 675.
economico dell’impresa nella quale è stato investito, vi sarà solo ove questo risultato
sia positivo, dovendo altrimenti l’investitore sopportare la relativa perdita.
L’operazione di investimento che qui interessa è, naturalmente, quella che
presenta un elemento di internazionalità. Questo elemento, che da un punto di vista
economico non è di particolare rilievo nel complesso dell’operazione, assume infatti,
dal punto di vista del diritto internazionale un’importanza primaria. E’ in quanto
comporta un trasferimento internazionale di risorse e viene realizzata da un
investitore che è cittadino dello Stato “A” (Stato d’origine dell’investimento) in
un’attività economica destinata a svolgersi nel territorio dello Stato “B” (Stato ospite
dell’investimento) che l’operazione di investimento sollecita il diritto internazionale
al fine di comporre gli interessi dei due Stati.
La qualificazione di “diretto” si riferisce alla gestione dell’impiego produttivo al
quale si è apportata la risorsa. L’investimento è “diretto” quando l’apporto assicura
all’investitore, mediante l’acquisizione di un effettivo potere decisionale nell’attività
economica, la partecipazione alla sua gestione. In proposito l’investimento può
assumere forme diverse. L’investitore potrà costituire ex novo un’entità economica
per l’esercizio dell’attività, quest’entità potendo assumere una propria personalità
giuridica o presentarsi come una filiale dell’investitore, ovvero potrà acquisire la
proprietà o il controllo di un’entità economica già esistente ed attiva. Il controllo
potrà poi risultare tanto dalla partecipazione azionaria quanto da relazioni
contrattuali. In ogni caso si rende necessaria la presenza dell’investitore, o di suo
personale, nello Stato ospite.
La necessaria presenza in loco insieme all’aleatorietà che caratterizza il profitto
dell’investitore differenziano l’investimento da altre operazioni private che
comportano un trasferimento internazionale di risorse economiche. Nella vendita o
nel prestito internazionali non è necessaria una presenza fisica ed il rischio corso è
quasi esclusivamente quello dell’inadempimento del debitore mentre l’investitore è
legato, nell’esercizio dell’impresa, a variabili ben più numerose. La distinzione,
d’altro canto, non esclude che una vendita internazionale possa inserirsi in
un’operazione più ampia che presenti i caratteri dell’investimento o che un prestito
internazionale venga concesso a tali condizioni ed in un tale contesto da configurarlo
come un’operazione di investimento.
La natura privata dell’investitore ed il fine di lucro dell’operazione distinguono
quest’ultima, ed il suo regime giuridico, dall’operazione di destinazione di risorse
pubbliche nell’ambito di prestiti ufficiali in conformità a trattati internazionali e dagli
investimenti connessi ad operazioni delle istituzioni finanziarie multilaterali, come la
Banca Mondiale e le banche regionali di sviluppo, che sono disciplinati da specifici
accordi conclusi tra gli Stati beneficiari e le organizzazioni internazionali interessate.
Il coinvolgimento dell’investitore nella gestione dell’attività economica
conferisce all’operazione un carattere di durata e di stabilità che distingue
l’investimento diretto dall’investimento di portafoglio
27
. Quest’ultimo consiste
nell’acquisto di azioni, obbligazioni od altri strumenti finanziari non finalizzato al
conseguimento del controllo dell’attività cui gli strumenti si riferiscono. Si è così
individuato da un punto di vista economico l’investimento diretto all’estero come
l’operazione a medio-lungo termine che comporta il trasferimento di risorse da parte
di un privato nazionale di uno Stato A nel territorio di uno Stato B al fine di
esercitarvi, direttamente o indirettamente, un’attività economica dal cui risultato
dipende la sua remunerazione
28
. Si tratta ora di ricercare se ed in che modo il diritto
internazionale operi la trasposizione della nozione economica di IDE in una
definizione giuridica.
2.2. Una definizione giuridica?
Se come fenomeno economico l’investimento all’estero compare nel corso del
diciannovesimo secolo, nel diritto internazionale il termine fa la sua stabile comparsa
solamente dopo la seconda guerra mondiale
29
. Precedentemente all’operazione
d’investimento all’estero si applicavano unicamente, e nella misura in cui erano
applicabili, le norme internazionali sulla condizione degli stranieri e delle loro
27
E’ inoltre di rilievo il fatto che, mentre l’investimento di portafoglio è necessariamente
un’operazione finanziaria, l’investimento diretto può configurarsi anche come apporto di beni di
natura diversa.
28
Cf. P. JUILLARD, D. CARREAU, T. FLORY, op. cit., pg. 454s; M. SORNARAJAH, op. cit., pg.
4.
29
La Carta de L’Avana, istitutiva dell’Organizzazione Internazionale del Commercio (OIC), firmata il
24 marzo 1948 e mai ratificata, si occupava per la prima volta degli investimenti internazionali nel suo
articolo 12 prevedendo che gli Stati membri avrebbero dovuto accordare delle possibilità ragionevoli
di investimento, assicurare delle condizioni sufficienti di sicurezza e un trattamento non
discriminatorio. Dalle ceneri dell’OIC avrà origine invece il GATT. Apparizioni furtive del termine
sono registrate anche prima. Per esempio nell’affaire de l’Usine de Chorzow (Demande en indemnité,
fond), arrêt du 13 septembre 1928, in CPJI, serie A n° 17, p. 53,“D’autre part, si le développement
normal présupposé par la question II représentait un élargissement de l’entreprise et un
investissement de capitaux nouveaux, leur montant devrait etre déduit de la valeur recherchée“.
proprietà
30
. Le norme di diritto consuetudinario relative alla protezione dei beni di
proprietà di stranieri, elaborate a partire dalla protezione della persona umana ed in
un contesto economico diverso, danno rilievo all’appartenenza del bene a prescindere
dall’operazione economica nella quale si inserisce. Di conseguenza non possono
essere d’aiuto in questa ricerca.
Né è possibile riferirsi ai diritti nazionali per individuare una definizione
generalmente accettata dell’IDE seguendo il procedimento induttivo suggerito dalla
Corte Internazionale di Giustizia nell’affaire Barcelona Traction Ltd
31
; in questo
caso non perché manchino le definizioni, ma perché queste differiscono così tanto
l’una dall’altra, talora anche all’interno dello stesso ordinamento in ragione
dell’aspetto preso in considerazione, che il loro confronto finisce col dar luogo ad
una “extravagante cacophonie”
32
. Si tratta allora di verificare se una definizione di
IDE sia rinvenibile negli strumenti convenzionali che sono loro applicabili.
Nei numerosissimi accordi bilaterali conclusi nel corso degli ultimi venti anni in
materia di promozione e protezione degli investimenti (Bilateral Investment Treaties
- BITs) figura quasi sempre una definizione dell’investimento ai fini
dell’applicazione del regime convenzionale. Queste disposizioni sono tra loro molto
simili e, con l’eccezione dei trattati più risalenti nel tempo, combinano una
definizione generica del termine “investimento” con un’elencazione, in genere non
esaustiva, di specifiche categorie di diritti ed interessi che vi sono ricomprese
33
. La
definizione generica negli accordi conclusi dai paesi europei fa riferimento a “every
kind of asset”, “all assets”, “les biens, droits et intérêts de toute nature”, “qualsiasi
tipo di proprietà”, talvolta precisando che devono essere “investiti”, mentre nel
modello statunitense “’Investment’ means every kind of investment, in the territory of
one Party owned or controlled directly or indirectly by nationals or companies of the
30
Nel XIX° secolo la presenza di vasti imperi coloniali e la relativa omogeneità culturale degli Stati
rendevano le norme sulla responsabilità dello Stato in caso di danno ad un cittadino straniero
sufficienti ad assicurare ”the possibility of maintining an unified economic and social order for the
conduct of international trade and intercourse among independent political units.” F. DUNN, The
Protection of Nationals, 1932, pg. 1 citato da P. C. JESSUP, A Modern Law of Nations, New York,
1956, pg. 97.
31
Affaire de la Barcelona Traction Light and Power Company, Limited, arret du 5 février 1970, in
CIJ Recueil, 1970, p. 50, “[consideré qu’] il n’existe pas en droit international d’institutions
correspondantes auxquelles la Cour pourrait faire appel […] non seulement la Cour doit prendre en
consideration le droit interne mais encore elle doit s’y référer. C’est à des règles généralement
acceptées par les systèmes de droit interne […] et non au droit interne d’un Etat donné que le droit
international se référer.“
32
P. JUILLARD, Chronique de droit international économique, Investissements Privés, in Annuaire
français de droit international, 1984, pg. 773.
33
R. DOLZER, M. STEVENS, Bilateral Investment Treaties, The Hague, 1995, pg. 26ss; G.
SACERDOTI, Bilateral Treaties cit., pg. 305ss.
other Party, such as equity, debt, and service and investment contracts “.
L’elencazione esemplificativa delle categorie di situazioni giuridiche include poi,
con formulazioni variabili da paese a paese, i tradizionali diritti di proprietà, le
partecipazioni in società, i crediti di denaro ed altri diritti a prestazioni, la proprietà
intellettuale, le concessioni e simili situazioni di diritto pubblico, i profitti derivanti
dall’investimento e reinvestiti in loco
34
.
Come si vede il termine “investimento” risulta definito non nella sua accezione
di attività, ma nella sua accezione di risorsa. D’altronde i modelli
35
dei paesi europei
trovano la propria fonte d’ispirazione nel progetto di convenzione sul trattamento
della proprietà degli stranieri
36
elaborato in sede OCSE nel corso degli anni sessanta
ed i BITs conclusi dagli USA costituiscono un’evoluzione dei precedenti trattati di
Amicizia, Commercio e Navigazione (Friendship, Commerce and Navigation
Treaties- FCN) disciplinanti la condizione dei cittadini statunitensi all’estero
37
.
La combinazione della definizione generica dell’investimento con
l’enumerazione non esaustiva delle categorie di interessi e diritti che ne fanno parte
sembra indicare che questi strumenti si propongono di proteggere l’insieme degli
interessi patrimoniali stranieri, presentino o meno le caratteristiche di un autentico
investimento nel senso economico sopra illustrato.
34
Si veda, ad esempio, l’Accordo Italia-Turchia del 22.03.95 sulla promozione e la protezione
reciproca degli investimenti, testo in italiano in Rivista giuridica della cooperazione internazionale,
1999, pg. 173ss, che nel suo primo articolo definisce l’investimento come “qualsiasi tipo di proprietà
investita […] da parte di una persona fisica o giuridica di una Parte Contraente nel territorio
dell’altra, in conformità con le leggi ed i regolamenti di quest’ultima. […] Senza limitare i concetti di
cui sopra, il termine investimento comprende: (a) proprietà mobili ed immobili e qualsiasi altro
diritto in rem comprese le obbligazioni reali su proprietà altrui, nella misura in cui queste possano
essere utilizzate per gli investimenti; (b) azioni, obbligazioni, titoli, partecipazioni azionarie o
qualsiasi altra forma di partecipazioni in società associate ad un investimento; (c) crediti per somme
di denaro e pagamenti di interessi previsti da accordi creditizi ovvero qualsiasi diritto ad
obbligazioni, prestazioni o servizi aventi valore economico associato ad un investimento nonché
l’utile reinvestito; (d) diritti d’autore, marchi commerciali, brevetti, progetti industriali ed altri diritti
di proprietà industriale e intellettuale, know-how, segreti commerciali, denominazioni depositate ed
avviamento; (e) qualsiasi diritto di natura finanziaria conferito per legge o per contratto e qualsiasi
tipo di licenza, concessione e franchigia emanata ai sensi delle attuali disposizioni che regolano
l’esercizio di attività commerciali, ivi comprese la rilevazione, la coltivazione, l’estrazione e lo
sfruttamento delle risorse naturali associate ad un investimento.“
35
Sulla modellizzazione convenzionale in materia di protezione degli investimenti si veda P.
JUILLARD, L’évolution des sources du droit des investissements, in Recueil, 1994, VI, pg. 118ss. I
modelli degli accordi conclusi da Austria, Danimarca, Germania, Hong Kong, Paesi Bassi, Svizzera,
Gran Bretagna e USA sono allegati a R. DOLZER, M. STEVENS, Bilateral Investment cit., pg. 165-
254.
36
Il testo in inglese del progetto di Convenzione, come approvato con Risoluzione del Consiglio
dell’OCSE il 12 ottobre 1967, figura in Diritto internazionale, 1967, pg. 580ss; una traduzione
italiana del testo è riportata in Diritto internazionale dell’economia, (ed. P. PICONE- G.
SACERDOTI), Milano, 1980, pg. 836ss.
37
P. JUILLARD, Chronique de droit international économique, Investissements Privés, in Annuaire
français de droit international, 1984, pg. 776.
Questa conclusione è tuttavia discutibile, l’interpretazione delle disposizioni
convenzionali definitorie dovendo farsi “in good faith in accordance with the
ordinary meaning to be given to the terms of the treaty in their context and in the
light of its object and purpose”
38
. In quest’ottica la redazione dei preamboli degli
accordi evidenzia d’emblée come le obbligazioni convenzionali siano assunte al fine
ultimo di favorire lo sviluppo economico delle parti contraenti
39
. Pur nella sua
genericità una simile finalità non sembra poter coincidere con la pura e semplice
presenza di interessi stranieri nel territorio dello Stato ospite
40
. Ma soprattutto si deve
sottolineare come le definizioni dell’investimento negli accordi siano funzionali
all’applicazione dei regimi convenzionali. In questa prospettiva si consideri come il
semplice fatto che una situazione giuridica risponda alla definizione prevista da un
accordo non sia in principio sufficiente a renderla protetta dalle relative disposizioni.
Occorre infatti, affinché l’investimento sia protetto, che lo Stato ospite lo abbia
ammesso sul proprio territorio, decisione che questi prende sulla base del proprio
diritto interno. La delimitazione del campo di applicazione del regime convenzionale
si trova cosi rinviata dallo strumento convenzionale alla definizione di investimento
adottata dal diritto interno relativo all’ammissione
41
.
38
Articolo 31.1 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati; testo in 1155 United Nations
Treaties Series 331.
39
Un larghissimo numero di Accordi fa riferimento a: (a) il desiderio delle parti di intensificare e
sviluppare le reciproche relazioni economiche; (b) la necessità di creare condizioni favorevoli agli
investimenti dei nazionali di uno Stato nel territorio dell’altro; (c) la convinzione che la protezione di
questi investimenti stimolerà l’iniziativa privata e promuoverà la prosperità di entrambi gli Stati
coinvolti. A questa base comune si possono poi aggiungere specifici motivi, obiettivi e circostanze. R.
DOLZER, M. STEVENS, op. cit., pg. 20ss.
40
M. SORNARAJAH, op. cit., pg. 237ss. In senso parzialmente diverso G. SACERDOTI, Bilateral
Treaties cit., pg. 310, che rinvia ad un’analisi caso per caso del testo del preambolo e della definizione
ritenuta.
41
M. SALEM, La protection conventionnelle des investissements étrangers, in Journal du droit
international, 1986, pg 602ss; F. DUBUISSON, Les accords internationaux relatifs à la protection
des investissements et le droit d’auteur, in Revue belge de droit international, 1998, pg. 457. Si
confrontino, a riguardo le seguenti clausole tipo:
“Each Contracting Party shall in its territory promote as far as possible investments by nationals or
companies of the other Contracting Partiy and admit such investment in accordance with its
legislation. “ (art. 2 (1), Germania);
“Either Contracting Party shall, within the framework of its laws and regulations, promote economic
cooperation through the protection in its territory of investments of nationals of the other Contracting
Party. Subject to its right to exercise powers conferred by its laws or regulation, each Contracting
Party shall admit such investments “ (art. 2, Paesi Bassi);
“Each Contracting Party shall in its territory promote as far as possible investments by nationals or
companies of the other Contracting Party and admit such investments in accordance with its
legislation, rules and regulations. “ (art. 2 (1), Svizzera);
“Each Contracting Party shall encourage and create favourable conditions for nationals or
companies of the other Contracting Party to invest capital in its territory, and, subject to its right to
exercise powers conferred by its laws, shall admit such capital.” (art.2 (1), Gran Bretagna);