L'idea di questa tesi nasce da un'esperienza triennale vissuta a contatto con le criticità
dell'attuale Curriculum Studii di Infermieristica. Nasce dalla mente di una studentessa
che crede fermamente nella positività del cambiamento soprattutto quando tale
cambiamento può partire “dal basso”.
La trattazione che seguirà non vuole essere un semplice ed a-finalistico virtuosismo,
ricamato attorno a vuote supposizioni o a timide ipotesi, ma vuole, senza presunzione,
essere letta come una testimonianza riportata in chiave critica e calata nel reale mondo
universitario vissuto dal punto di vista dello studente e alla luce della letteratura
scientificamente convalidata.
Tutto questo ruota intorno al concetto fondamentale per cui il mandato principale del
Corso di Laurea in Infermieristica deve essere quello di instillare e far crescere negli
studenti la consapevolezza di ogni agito infermieristico all'interno di ogni ambito della
Disciplina e della Professione nonché quello di implementare le loro capacità di
pensiero critico al fine di poter formare un professionista in grado di concettualizzare
l'assistenza infermieristica.
Al termine dei tre anni previsti dal primo ciclo universitario di studi, lo studente può
avere la sensazione di non essere del tutto pronto ad iniziare la sua carriera
professionale e questo forse anche perché l'attuale organizzazione del Curriculum
universitario si concentra prevalentemente sul raggiungimento degli obiettivi formativi
teorico-disciplinari mentre sembra essere concepito in modo poco funzionale ai fini
della formazione professionale. Qui non vogliamo alludere solo alla grande disparità
che esiste nella distribuzione delle ore riservate alle lezioni teoriche delle due discipline,
Bio-Medica ed Infermieristica, nettamente a favore della prima, ma vogliamo anche
sottolineare come il “verticalismo” con cui vengono affrontati tutti gli argomenti
disciplinari crea un enorme gap tra insegnamenti teorici e quelli pratici e tra
insegnamenti prettamente clinici e quelli prettamente infermieristici.
Nel Capitolo 1 vengono tracciati i passaggi storici fondamentali che hanno portato alla
nascita dell'attuale sistema formativo infermieristico caratterizzato dal continuo
rincorrersi di “dinamismo” e “staticità”, di cambiamento e tradizione, di passato e
futuro. In un periodo storico che va da prima dell'Unità di Italia ai nostri giorni, si è
voluto analizzare tutti i più importanti atti legislativi, dai Regi Decreti ai documenti più
moderni per l'istituzione delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie. Il percorso
5
tracciato è il risultato di una analisi critica che narra e commenta le trasformazioni
avvenute in seno alla Professione Infermieristica da servizio religioso e di carità a
professione che necessiti di un contesto altamente qualificante come quello universitario
per plasmare i propri professionisti.
Ne consegue l'imprescindibile necessità che la formazione si basi sui principi fondanti
la professione e che con essa si sviluppi e si aggiorni di pari passo.
Nel Capitolo 2 vengono sottolineati i passaggi fondamentali che hanno portato alla
trasformazione da “quasi professione” a “professione istituzionalizzata” della
professione infermieristica marcando l'acquisizione da parte di quest'ultima di tutte
quelle caratteristiche riconosciute come proprie di una professione in quanto tale.
Partendo proprio dalla classificazione di Greenwood, abbiamo poi comparato gli assunti
sociologici in questione con il percorso formativo dell'Infermiere. Infatti in contesto
universitario lo studente, futuro professionista, deve ricevere una adeguata formazione
finalizzata non solo a creare un sapere teorico-pratico comune a tutti gli studenti e
coincidente con quello professionale, ma anche ad accrescere la personalità dello
studente stesso in linea con i valori deontologici specifici della professione. Lo studente
necessita quindi di formazione ed educazione all'autonomia e al decision making, di
imparare ad esercitare e promuovere le proprie capacità analitiche e di ragionamento
induttivo al fine di crearsi un modus pensandi deduttivo che lo aiuti nel “governo
dell'incertezza” assistenziale, proprio nell'ottica di diventare un professionista capace di
prendersi tutte la responsabilità delle sue decisioni professionali e dei suoi agiti.
Vengono quindi messi a confronto i due Curricula Studii più recenti, quello del 1997 e
la versione rivista del 2004, sottolineandone criticità e vantaggi in funzione dello
sviluppo professionale.
Sempre nel Capitolo 2 si riporta inoltre l'esempio della Middlesex University of London,
come metodologia di insegnamento infermieristico che molto si discosta da quella
utilizzata in Italia. Secondo gli Inglesi per diventare Infermieri è necessario che gli
studenti implementino le loro capacità in due aree chiave dell'Assistenza
Infermieristica: l'imparare a prendersi cura (learning to care) e l'imparare ad imparare
(learning to learn). Nel contesto inglese il richiamo all'autonomia dello studente (che
poi si trasformerà in autonomia professionale) è ritenuto fondamentale e per questo fin
da subito coltivato. In questa sorta di patto Università-Studente, è l'Università stessa che
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si prende la responsabilità di verificare che lo studente raggiunga gradualmente le
competenze per l'Indipendent Learning e per un Life Long Learning futuro.
Gli studenti, assicura il documento, vengono trattati secondo i principi dell'eguaglianza
e della lealtà perché l'Università da loro si aspetta che imparino ad avere lo stesso tipo
di riguardo nei confronti dei pazienti/clienti rispettando le norme del Codice
Deontologico agli assunti del quale aderiscono peraltro tutti i programmi del Corso di
Laurea.
Nell'esempio inglese qui proposto possiamo trovare applicate molte delle idee e delle
ipotesi enunciate nelle pagine di questo elaborato, una fra tutte l'importanza che la
formazione sia diretta alla creazione di una mentalità professionale e professionistica
strutturata e solida. Inoltre, l'esempio inglese deve essere considerato come
testimonianza importante e prova certa della possibilità di attuare un processo di dialogo
formativo tra Clinica ed Infermieristica senza andare comunque ad inficiare il risultato
formativo ottenuto in senso di qualità, implementando l'autonomia dello studente e
promuovendo le capacità di assimilare e mettere in pratica il pensiero critico necessario
al Problem Solving, qualità fondamentale del professionista infermieristico oggi.
Questo ultimo passaggio viene ulteriormente approfondito ed analizzato nel Capitolo 3
dove viene introdotta una nuova metodologia di insegnamento/apprendimento, il
Problem-Based Learning, da decenni sperimentato ed utilizzato con ottimi risultati in
tutta Europa, come provano gli studi di ricerca effettuati sull'argomento da molte
Università in tutto il mondo e riportati nel Capitolo 4.
Il PBL è un metodo di insegnamento/apprendimento che prevede una didattica
modulare il cui programma deve discendere necessariamente dai problemi prioritari di
salute di una comunità per soddisfare il principio che muove il PBL stesso: il concetto di
pertinenza.
Possiamo quindi definire il PBL come quel modello didattico secondo cui la
conoscenza è il prodotto di una costruzione attiva del soggetto e che parte da casi
concreti, che si svolge all'interno di un piccolo gruppo di studenti i quali, discutendo,
collaborano e negoziano le ipotesi possibili e gli interessi risolutivi alla luce delle
informazioni ottenute dal “facilitatore” che ha anche l'onere di far riflettere a livello
metacognitivo e cognitivo il gruppo.
Come già accennato, nel Capitolo 4 viene proposta una attenta revisione della letteratura
7
internazionale a conferma dell'importanza di questa metodologia all'interno dei percorsi
formativi delle Professioni Sanitarie. Gli studi di ricerca esaminati provengono da
quelle Facoltà che negli anni hanno sentito l'esigenza di adottare il metodo PBL al fine
di risolvere quelle criticità riscontrate nei Curricula delle Università di Medicina e di
Infermieristica. Gli studi dimostrano che il PBL può aiutare gli studenti a sviluppare le
molte capacità di indagine necessarie per l'esercizio della professione, facendoli
interagire con contesti di vita reale che devono essere affrontati in una prospettiva
pratica e clinica, “imparando ad imparare”, in direzione anche del Life-Long Learning,
senza cedere alla passiva ricezione di informazioni durante le lezioni, passività rischiosa
anche per il futuro contesto lavorativo.
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CAPITOLO 1
Tra Dinamismo e Staticità.
Storia della Formazione Infermieristica
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10
1.1 La realtà assistenziale prima delle Scuole Convitto
Studiando i passaggi storici che hanno caratterizzato e portato alla realizzazione del
sistema formativo infermieristico odierno, è interessante notare come ad ogni momento
storico e ad ogni nuova, rivoluzionaria, concezione sia della Professione Infermieristica
che dell'Organizzazione Sanitaria, corrispondano ben precisi cambiamenti nel modo di
considerare l'operatore sanitario e di prepararlo alla professione.
Nel 1800 l’Italia, avendo ormai perso la sua supremazia economica, era divisa e
dominata dalle altre potenze straniere, trasformata in campo di battaglia, esclusa dal
processo di sviluppo innescato dalla rivoluzione industriale. A partire dalla seconda
metà dell’Ottocento, comunque, si registrò, anche in Italia, come nella maggior parte dei
Paesi europei e Nord Americani, un notevole boom demografico grazie ai progressi
della Medicina e dell’Igiene Pubblica e alla accresciuta disponibilità di risorse
alimentari.
Le epidemie e le carestie dei secoli precedenti non costituivano più un problema per la
popolazione, ma il fenomeno delle migrazioni, dalle campagne o da altre regioni ed aree
geografiche, creò nuovi problemi: gli agglomerati urbani in cui vivevano le persone
fuggite dalle campagne erano caratterizzati da una situazione di cronico
sovraffollamento che favoriva la diffusione di malattie infettive e manteneva la
mortalità a livelli molto elevati.
Si sviluppò così una sempre più forte emarginazione di quelle persone che, malate e
povere, erano costrette a considerare l’ospedale non un luogo di cura e riabilitazione,
ma un luogo di assistenza sociale alla stregua dell’ospizio di mendicità. Chi si rivolgeva
all’ospedale non era malato, ma spinto dalla miseria e dalla disperazione.
Solo agli inizi del Novecento, grazie soprattutto alle conquiste della Medicina e della
Chirurgia e all'introduzione di apparecchiature diagnostiche sempre più sofisticate,
l’ospedale perderà la sua connotazione di “rifugio” per poveri e diventerà il “centro di
assistenza per la cura delle malattie”(1).
Gli ospedali cominciarono così ad offrire una migliore assistenza e più avanzate
proposte terapeutiche tanto da attirare anche pazienti appartenenti alle classi più
abbienti. Tuttavia, la politica sanitaria non riuscì ad adeguarsi all’evoluzione delle teorie
cliniche che si rivelarono troppo avanzate rispetto ai livelli di organizzazione sanitaria
11
raggiunti negli ospedali italiani. Il Sistema Sanitario che venne strutturandosi durante
l'annessione dei vari Stati Indipendenti al Regno d’Italia fu la diretta conseguenza
dell’estensione della Legge Sarda del 1859 sulle Opere Pie.
Fu così che lo Stato post-unitario demandò, anche se in via non ufficiale, alla Chiesa il
potere e il controllo pubblico sul quel multiforme e variegato corpo istituzionale
costituito dagli ospedali e dagli altri enti di assistenza e beneficenza. “Con la legge 3
Agosto 1862, n. 753 si ha la prima legge unitaria in materia di beneficenza che
sostanzialmente riprende, allargandola al nuovo Stato Unitario, la legge 20 Novembre
1859, n. 3779 (e relativo Regolamento 10 Agosto 1860, n. 4249) del Regno Sabaudo. Il
testo legislativo definisce le opere pie soggette alla normativa e ne affida la tutela alle
Deputazioni provinciali, mentre al Ministero dell'Interno competono poteri di vigilanza
sull'amministrazione”(2). “(...) Accanto alle opere pie autonomamente amministrate
viene istituita una Congregazione di Carità in ogni comune con il compito di
amministrare quei beni destinati genericamente a pro dei poveri in forza di legge, o
quando nell'atto di fondazione non venga determinata l'Amministrazione, Opera pia o
pubblico istabilimento in cui favore sia disposto o qualora la persona incaricata di ciò
determinare non possa o non voglia accettare l'incarico”. “Pur riguardando anche le
opere pie a scopo ecclesiastico e quelle amministrate da ecclesiastici o da corporazioni
religiose sia regolari che secolari, ponendole di fatto sotto il controllo dello Stato, la
legge lascia sussistere gli ampi spazi conquistati dal clero - sebbene formalmente
escluso in quanto tale - nella gestione del patrimonio del povero in una fase
caratterizzata dallo scontro frontale tra stato e Chiesa e dalla volontà della classe
dirigente liberale di espropriare i beni degli enti ecclesiastici"(2). Sarà il Governo
Crispi, intorno al 1890, ad inaugurare una nuova stagione di interventi dello Stato in
campo sanitario.
Sempre in questo periodo la classe medica e infermieristica con le loro associazioni
sindacali e i movimenti femminili delle donne della borghesia inizieranno una decisa
lotta contro la componente religiosa e amministrativa dei burocrati per la rivendicazione
del potere all’interno delle istituzioni sanitarie. Con la Legge del Governo Crispi(3), i
tradizionali ritmi e le semplici mansioni che avevano caratterizzato il lavoro degli
Infermieri, all'interno delle istituzioni sanitarie sopra descritte, conobbero una
fondamentale trasformazione. Le competenze e l’impegno che il personale doveva
12
garantire, e quindi essere capace e preparato ad offrire, erano ben diversi dalla sola
funzione coercitivo-alberghiera richiesta fino a quel momento: assistenza pre e post-
operatoria, assistenza chirurgica nelle sale operatorie, le metodiche di asepsi e di
antisepsi, l’uso di apparecchiature sempre più complesse e specifiche. La professione
infermieristica, tuttavia, non riuscì ad adeguarsi a causa della mancanza di una adeguata
struttura formativa e l’assistenza erogata sarà ancora per molto tempo qualitativamente
quantitativamente insoddisfacente.
Obiettivo di primaria importanza fu quindi un radicale mutamento del sistema di
reclutamento e di formazione del personale di assistenza. Il modello inglese inaugurato
da Florence Nightingale apparve quello che meglio rispondeva alle esigenze sanitarie
emergenti, ma il ritardo italiano nei confronti del Regno Unito era davvero enorme: se
nel 1898 vi erano in Gran Bretagna oltre cinquecento scuole per infermiere, nel 1902 il
Ministero dell’Interno Italiano ne censì solo venticinque(1).
Nel 1906 il Ministero dell’Interno pubblica uno studio statistico sul servizio degli
ospedali, che costituisce una delle prime fonti disponibili sulle condizioni di lavoro
degli Infermieri. Nei mille e duecentotrentotto ospedali presenti in Italia nel 1902,
centotredici si avvalevano di personale interamente religioso, quattrocentoventinove di
personale laico e seicentonovantasei di personale misto con un salario annuale medio
che si aggirava intorno alle 704 lire per gli Infermieri, 505 lire per le Infermiere mentre
le suore erano ricompensate con una paga annua di circa 446 lire.
Il personale femminile inoltre veniva spesso sottoposto agli orari di lavoro più gravosi, a
fronte di una paga quasi sempre inferiore: si andava da un impegno lavorativo
giornaliero di sei ore fino al lavoro continuato per ventiquattro,quarantotto ore, con turni
e orari di lavoro massacranti.
Il problema dell’assistenza agli ospedalizzati si impose all’attenzione dell’opinione
pubblica quando le condizioni lavorative si andarono aggravando a causa delle vicende
belliche, non solo per la sempre più imperante carenza di personale infermieristico e il
crescente aumento del carico di lavoro assistenziale, ma anche per il continuo afflusso
di feriti dal fronte. Fu però proprio il disastro bellico a rappresentare il motore
propulsore della riforma infermieristica in Italia. Si assistette, difatti, ad una grande
mobilitazione sociale: circa dieci mila volontarie, perlopiù di estrazione aristocratica e
medio-borghese, si avviarono all’attività infermieristica.
13
e
Dopo anni e anni di dibattiti politici e interrogazioni parlamentari, di prese di posizione
delle Associazioni Mediche, delle Leghe Infermieristiche e dei Movimenti Femminili,
con i Regi Decreti del 15 Agosto 1925, n. 1832, e del 21 Novembre 1929, n. 2330
vennero gettate le fondamenta giuridiche per il rinnovo del sistema assistenziale
italiano.
Tuttavia, nonostante la politica sanitaria dei governi liberali, dall’Unità d’Italia alla
Prima Guerra Mondiale, fosse stata sempre più una politica di laicizzazione e
statalizzazione del Sistema Sanitario, durante il Ventennio Fascista, periodo di
riavvicinamento dello Stato alla Chiesa, si assistette ad un brusco ripiegamento e ad un
ritorno alle vecchie posizioni privatistiche e caritative dell'assistenza.
1.2 L'Accordo di Strasburgo: l'inizio della “professionalizzazione”
Il R.D.L. 1832/25, convertito poi nella Legge 18 Marzo 1926, n. 562(4), sancì
l'istituzione di Scuole Convitto professionali per Infermiere stabilendo che le allieve,
compiuto il tirocinio nei reparti e il corso teorico-pratico, di durata biennale, una volta
superato l’Esame di Stato, potessero conseguire il diploma per l’esercizio della
professione di Infermiera. La legge prevedeva, inoltre, la possibilità di frequentare un
ulteriore terzo anno di insegnamento per il conseguimento del certificato di abilitazione
alle funzioni direttive e di insegnamento che doveva essere difatti affidato a medici di
riconosciuto valore, alla direttrice della Scuola e alle caposala.
Fu il successivo R.D.L. n. 2330 del 1929 (5) a rendere pienamente effettiva la normativa
sull’istituzione delle Scuole Convitto anche se le novità che vi vennero introdotte furono
nettamente a favore del ruolo della classe medica all'interno dell'organizzazione di
suddette scuole, penalizzando la componete infermieristica. Infatti, veniva rafforzata
l’importanza della componente medica nella conduzione della scuola e ridotta
l’autonomia attribuita alla direttrice, chiamata a “vigilare sulla educazione morale delle
allieve e sull’osservanza della disciplina”(5), e a “sorvegliare affinché l’ordine, la
pulizia e l’igiene nella scuola e nel convitto, fossero rispettati”(5), e non a svolgere
attività insegnamento.
Con il Regio Decreto n° 1310 del 2 Maggio 1940 (6) vennero mantenute praticamente
14
di
inalterate le disposizioni legislative precedenti ma si iniziò a sentire l'esigenza di
definire in modo determinante le reali competenze infermieristiche dell'epoca e di
conseguenza il ruolo e il rapporto lavorativo con il medico. Vennero così identificate
con il nome di “attribuzioni” (quelle che prenderanno poi l'appellativo di “mansioni”)
tutte quelle azioni rese lecite e concesse al personale infermieristico, distinte in
“attribuzioni di carattere amministrativo, organizzativo e disciplinare” (vedi allegato1)
quali:
- esecuzione delle norme e delle disposizioni che regolano l'andamento dei servizi di
assistenza del reparto o della sezione affidata all'Infermiera, con responsabilità del
proprio servizio e di quello delle persone poste alle dipendenze dell'infermiera;
- attribuzioni assistenziali dirette ed indirette proprie dell'Infermiera in ambiente
ospedaliero ed extra-ospedaliero;
- assistenza completa dell'infermo, alle dirette dipendenze del medico;
- azioni ordinate dal medico.
Nel Regio Decreto si distingueva inoltre tra le sopracitate attività dell'Infermiera
professionale e quelle dell'Infermiera generica (vedi allegato 2) che invece doveva
limitarsi, sotto prescrizione medica o sotto la supervisione dell'Infermiera professionale,
a precise azioni.
E' evidente come questo sia un momento di sostanziali ed importanti cambiamenti per la
professione infermieristica non solo perché si stanno ampliando in maniera progressiva
ed inarrestabile i confini delle possibilità operative dell'Infermiere, ma anche perché si
sta palesando e, ancor più importante, concretizzando quella volontà di diventare
“professione” e “professionista”, garantendo così un futuro all'assistenza infermieristica
stessa. Ulteriore prova di questo fu l'istituzione, sempre con il sopra citato Regio
Decreto, dei Corsi di Specializzazione, a dimostrazione di quanto la riforma in ambito
formativo andasse di pari passo e fosse in funzione della maturazione dell'identità
professionale. L'Infermiera professionale infatti poteva decidere di intraprendere anche
questo percorso formativo aggiuntivo per affrancarsi in modo sempre più netto
dall'ormai scomodo ruolo di Infermiera generica, da cui non a caso proprio in questo
momento storico si allontana e si differenzia, ricordando, se pur blandamente, il “gioco
dei ruoli” che oggi intercorre tra Infermiere ed Operatore Socio-Sanitario (O.S.S.).
Analizzando ulteriormente le disposizioni dei documenti legislativi emanati fino a
15
svolgere
questo momento a favore dell'implementazione professionale infermieristica, non si può
non notare l'importanza che alcuni passi del Decreto 1310 più di altri hanno per il futuro
della professione, in riferimento soprattutto all'accezione dirigenziale della professione
stessa. Infatti, per la prima volta in modo esplicito, vennero menzionate le “attribuzioni
di carattere amministrativo ed organizzativo”(6) ad esclusivo appannaggio
dell'Infermiera e assolutamente scevre da qualsiasi “prescrizione medica”, assai
improbabile in questo contesto. Anche se quelle elencate al riguardo dal Decreto
possono, soprattutto ai nostri giorni, apparire come attività di poca importanza e non
certamente riconducibili al livello di responsabilità organizzativo-dirigenziali che un
Infermiere può ottenere oggi, sicuramente possono essere considerate come un
avanguardistico punto di partenza, una iniziale matrice da cui prendono vita le figure
dirigenziali odierne. Nel 1940 si iniziò a parlare di “esecuzione delle norme e delle
disposizioni che regolavano l'andamento dei servizi di assistenza del reparto con
responsabilità del proprio servizio e di quello delle persone poste alle dipendenze
dell'Infermiera” e ancora, della possibilità di richiedere “interventi d'urgenza dei
sanitari”, di compilare e registrare i movimenti dei malati del reparto, di avere la
responsabilità della “tenuta e compilazione dei registri e dei moduli per le richieste dei
medicinali, ordinari e di urgenza, da sottoporre alla firma dei sanitari”, di compilare
rapporti , consegne e i registri del reparto, di controllare “la pulizia degli ambienti e la
regolarizzazione della ventilazione, dell'illuminazione e del riscaldamento delle
infermerie e delle camere di degenza dei malati”(6).
Questo deve essere letto come un fondamentale input che verrà saggiamente colto dai
legislatori successivi con il D.P.R. 24 Maggio 1965, n° 775 “Modificazioni allo Statuto
dell'Università degli Studi di Roma- Istituzione Scuola Speciale Dirigenti dell'assistenza
infermieristica”(7).
Con il D.P.R. n. 775 venne istituita la prima scuola universitaria in Italia per la
formazione di personale infermieristico dirigente. Per poter essere ammessi alla scuola
occorreva la maturità quinquennale, il diploma di Infermiera Professionale e alcuni anni
di attività professionale (da due a cinque anni, a seconda dei titoli di specializzazione).
Il corso, della durata di due anni accademici, prevedeva ventidue esami e la
dissertazione della finale.
Grazie all'istituzione di queste scuole e alla immissione nel mondo del lavoro dei primi
16
tesi
dirigenti, si verificarono numerosi cambiamenti che contribuirono, in modo decisivo, a
modificare il profilo dell’Infermiere in Italia.
L’Università rappresenta il quadro entro cui le Professioni, sia in accezione classica che
moderna, si sono sviluppate. Fin dal Medioevo, infatti, l’Università conferiva ai propri
studenti una preparazione e un’attestazione ufficiale di competenza in un determinato
ramo del sapere, che valeva anche come abilitazione all’esercizio pubblico di quelle
attività ritenute utili ed indispensabili alla società, attraverso la definizione di un corpus
di conoscenze specifiche, ordinate teoricamente ed il conseguente riconoscimento
dell’autonomia professionale. L’accademia è quindi da sempre stata il luogo privilegiato
dove si concretizza la formazione professionale e si crea un rinnovato sapere, anche per
mezzo delle attività di ricerca in risposta a nuovi problemi e a nuove domande. Da ciò
si intuisce perché il passaggio ritenuto fondamentale per ottenere la legittimazione
professionale fu rappresentato proprio dall'entrata in Ateneo dell'insegnamento
infermieristico. Per queste ed altre ragioni, le Professioni dell’Area Sanitaria sono
entrate a pieno diritto a far parte delle Facoltà di Medicina e Chirurgia italiane,
rappresentando la maggioranza delle matricole negli ultimi anni accademici.
E' quindi grazie alla stesura del già citato D.P.R. N°775 del 1965 (7) ma anche di quelli
successivi, come il D.P.R. 23 Settembre 1969, n° 696 “Modificazioni allo Statuto
dell'Università S. Cuore di Milano”(8) e il D.P.R. 31 Ottobre 1975, n° 8 “Modificazioni
allo Statuto dell'Università degli Studi di Milano- Istituzione Scuola Universitaria di
Discipline Infermieristiche” che si rende possibile il progredire formativo
infermieristico inscindibilmente legato, come si può ben notare in questo momento, al
professionale.
L’Accordo Europeo di Strasburgo del 25 Ottobre 1967(9), riguardante l'istruzione e la
formazione degli Infermieri si rivelò finalizzato a garantire un elevato grado di
formazione professionale infermieristica e a garantire la libera circolazione dei
professionisti nell’ambito dei paesi della Comunità Europea. Vi si legge infatti che gli
Stati Membri sono “convinti che la conclusione di un accordo regionale
sull’armonizzazione dell’istruzione e della formazione delle Infermiere potrà favorire il
progresso sociale e garantire un elevato grado di qualificazione alle Infermiere, tale da
permettere loro di potersi stabilire nel territorio delle altre Parti contraenti alle stesse
condizioni dei cittadini di dette Parti”(9). L' Accordo affermava chiaramente che
17
progredire
implementare e armonizzare la formazione infermieristica acquistava valore sociale.
Questa frase ci fa capire come stiano aumentando la considerazione e l'importanza della
figura infermieristica. L'Infermiere poteva diventare quella figura di strategica
importanza che, affacciandosi per la prima volta all'Europa, poteva anche favorirne il
progresso sociale. Forse chi partecipò alla stesura di quel documento aveva le idee
molto chiare su come un Infermiere avrebbe dovuto essere, perché in questa decina di
pagine, originariamente scritte in Inglese e Francese e custodite nell'Archivio d' Europa,
vengono per la prima volta esplicitati due concetti che rimarranno fondamentali per la
professione infermieristica sino ad oggi: quello della “assistenza olistica” alla persona
descritta come il “prodigare negli ospedali, a domicilio, nelle scuole, nei luoghi di
lavoro, ecc. un’assistenza infermieristica competente alle persone il cui stato di salute lo
richieda, tenuto conto delle loro esigenze fisiche, affettive e spirituali”(9) e quello di
una formazione teorico-pratica in cui queste due parti si compenetrino totalmente.
Abbiamo visto come già nei documenti legislativi precedenti si diano indirizzi ben
precisi al fine di strutturare nel modo più congruo possibile l'organizzazione formativa
infermieristica nazionale ma l'Accordo di Strasburgo supera e va a migliorare
sostanzialmente le precedenti indicazioni con un'affermazione semplice (ai nostri occhi
oggi) ma basilare; si legge infatti che “L’insegnamento teorico e tecnico e l’istruzione
clinica”(9) devono essere integrati e coordinati da personale infermieristico.
In risposta all'Accordo di Strasburgo, in Italia furono apportate modifiche sostanziali
alla formazione infermieristica contenute nella Legge n. 124 del 25 Febbraio 1971(10),
quali l'estensione al personale maschile l’esercizio della professione di Infermiere
Professionale, la trasformazione delle Scuole Convitto in “Scuole per Infermieri
Professionali”, e l’idoneità al terzo anno di una Scuola Media Superiore per l'accesso.
Il provvedimento legislativo che però risulta essere più importante in questo particolare
momento storico, caratterizzato da mutamenti che cominciano ad acquistare valenza
non solo sociale ma anche politica, è rappresentato dalla Legge n° 795 del 15 Novembre
1973, “ Ratifica ed esecuzione dell’accordo europeo sulla istruzione e formazione delle
infermiere, adottato a Strasburgo il 25 ottobre 1967”(11) .
In questo atto, emanato dall'allora Presidente della Repubblica Giovanni Leone, vi
troviamo le norme minime per l'istruzione e la formazione infermieristica, il livello di
educazione richiesto ( decimo anno di insegnamento generale, come già stabilito nelle
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indicazioni formative precedenti), la durata del programma che viene esteso a
quattromilaseicento ore effettive e ripartite tra lezioni teoriche ed esperienza pratica ed
il Curriculum di insegnamento che è, di questo documento, sicuramente la parte più
illuminata e illuminante. Entrarono così legittimamente a fare parte del curriculum
dell'Infermiere, ma soprattutto nella sua vita (professionale), materie ed insegnamenti
fondamentali per la “rivoluzione” professionale infermieristica. Scorrendo l'Allegato I
al punto “A” leggiamo: “L’insegnamento deve comprendere tutti gli aspetti delle cure
infermieristiche, compresa la prevenzione delle malattie, l’istruzione sanitaria, l’uso e
l’azione dei medicinali ed i problemi alimentari e dietetici, il riadattamento, nonché le
cure di pronto soccorso, la rianimazione e la teoria della trasfusione del sangue.
L’insegnamento teorico e tecnico e l’istruzione clinica devono essere coordinati.”(11)
Le materie d’insegnamento (vedi allegato 3) vennero così distribuite:
1. Cure infermieristiche
2. Scienze fondamentali
3. Scienze sociali
Questa è la struttura che porterà alla realizzazione dell'attuale percorso universitario.
Questo è il Corpus teorico-intellettuale di cui necessiterà sempre di più la professione
infermieristica per divenire tale; un Corpus costituito da materie che sottolineano il
caleidoscopico valore dell'Infermiere che viene ora dalla società investito del ruolo di
operatore in ambiti quali Etica, Igiene, Medicina, Chirurgia, Pediatria, Psichiatria,
Geriatria, Batteriologia, Biochimica, Biofisica, Sociologia, Psicologia, Amministrazione
e Aspetti Giuridici. Scorrendo le materie di insegnamento elencate nella Legge n° 795
(11) già vediamo delinearsi una figura professionale infermieristica diversa da quella
delle precedenti concezioni, a dimostrazione di quanto e come Professione e
Formazione vadano a compenetrarsi e a condizionarsi l'un l'altra, l'una obiettivo
dell'altra. Comincia a prendere forma l' idea di un Infermiere “professionista” e tenendo
conto che il termine “professionista” deriva dal latino professio-onis che a sua volta
deriva da , participio passato di profiteor, che significa “dichiararsi
apertamente”, potremmo considerare questo momento storico come quello in cui
vengono pronunciate le prime parole di questa “dichiarazione”. Non è un caso che
proprio negli anni successivi a questa Legge, quattro per l'esattezza, venga rivisitato il
primo (risalente al 1960) Codice Deontologico(12) che dà maggiore validità alla
19
professus