4
INTRODUZIONE
“Radical right-wing populist parties are radical in their rejection of the
established sociocultural and sociopolitical system and their advocacy of individual
achievement, a free marketplace, and a drastic reduction of the role of the state.
They are right-wing in their rejection of individual and social equality, in their
opposition to the social integration of marginalized groups, and in their appeal to xenophobia,
if not overt racism.
They are populist in their instrumentalization of sentiments of anxiety and
disenchantment and their appeal to the common man and his allegedly superior common
sense” 1.
Questo paragrafo, tratto da un pionieristico articolo di Hans-Georg Betz,
costituisce uno dei primi tentativi di inquadrare il dirompente fenomeno
dell’emergere, nel corso degli anni ’80, di un nuovo gruppo di partiti nei sistemi
politici di diversi Paesi dell’Europa occidentale.
Nel corso degli ultimi due decenni, la ricerca politologica non ha lesinato gli
sforzi per tentare di definire in maniera soddisfacente questi nuovi soggetti politici:
nel mare magnum delle infinite denominazioni coniate, l’appartenenza al lato destro
dello spettro politico e l’utilizzo di elementi discorsivi e organizzativi di matrice
populista emergono, anche se non sempre, come i tratti unificanti di tali partiti. Nel
prosieguo di questo elaborato, dunque, si adotterà l’etichetta di “radical right-wing
populist parties” (RRPP)2. I problemi di definizione si ripercuotono, naturalmente,
sulla classificazione di questi partiti e sul loro inserimento o meno all’interno di una
1
H.G. BETZ, The new politics of resentment. Radical right-wing populist parties in Western Europe, in
“Comparative Politics”, 25:4, 1993, pp. 413-4.
2
Le ragioni di tale scelta saranno approfondite nel primo capitolo.
5
nuova famiglia politica3, la cui esistenza, d’altra parte, è tutta da verificare e oggetto
di un ampio dibattito.
In un noto articolo pubblicato nel 19964, Mair e Mudde hanno indicato i quattro
approcci principali in base ai quali è possibile identificare una famiglia politica:
origine (e sociologia) dei partiti5, federazioni transnazionali, ideologia e programmi,
nome. Il criterio ideale viene individuato in una sintesi tra l’approccio genetico e
quello ideologico, che dia conto sia della dimensione sincronica che di quella
diacronica, o evolutiva: “ideology and origins may also be usefully linked together in a
parallel strategy aimed at analyzing the continued relevance and coherence of the whole
notion of party families”6.
Utilizzando questo criterio, dunque, è possibile rispondere affermativamente alla
domanda sull’esistenza di una famiglia politica della destra radical-populista7, oltre
che inserire all’interno di questa famiglia un nucleo ben determinato di partiti,
riportati nella Tabella 1. Tali partiti sono accomunati dall’aver conseguito i primi
successi elettorali grossomodo nell’arco dello stesso ventennio (1975-1995), anche se
non sempre si può parlare di somiglianza tra le loro ragioni sociali originarie; inoltre,
hanno attraversato un progressivo processo di convergenza ideologica e
programmatica8 che può farli considerare, con qualche dubbio per alcune formazioni9,
parte della stessa famiglia politica.
3
Sul concetto di “famiglia politica”, cfr. D.L. SEILER, Parties et familles politiques, Paris, Presses Univ.
De France, 1980; K. VON BEYME, Political parties in Western Democracies, Aldershot, Gower, 1985.
4
P. MAIR, C. MUDDE, The party family and its study, in “Annual review of political science”, 1, 1998,
pp. 211-229.
5
Sulla base di questo approccio, si raggruppano i partiti “that mobilized in similar historical
circumstances or with the intention of representing similar interests”. Cfr. M. GALLAGHER, M.
LAVER, P.MAIR, Representative Government in Modern Europe, New York, McGraw-Hill, 1995, p. 181.
6
Cfr. P. MAIR, C. MUDDE, The party family, cit., p. 220.
7
In questo senso si sono espressi, tra gli altri: M. TARCHI, L’ascesa del neopopulismo in Europa, 2000, p.
2, reperibile all’indirizzo http://old2.diorama.it/index2.php?option=com_content&do_pdf=1&id=144; J.
RYDGREN, Is extreme right-wing populism contagious?, in “European Journal of Political Research”, 44:3,
2005, p. 415; C. MUDDE, Populist radical right parties in Europe, Cambridge, Cambridge University
Press, 2007, p. 1; P. HAINSWORTH, The extreme right in Western Europe, New York, Routledge, 2008, p.
23.
8
Su quest’ultimo punto, cfr., tra gli altri: A. MASTROPAOLO, La mucca pazza della democrazia, Torino,
Bollati Boringhieri, 2005, p. 23; P. TAGGART, Il populismo, Troina, Città Aperta, 2002, p. 145; J. EVANS,
6
Tabella 1 – Radical right populist parties (RRPP) in Europa Occidentale (dati: www.parties-and-
elections.de)
Note: Nella tabella sono inseriti solo i partiti ancora esistenti che abbiano conseguito, nel corso della loro storia, almeno il
4% dei voti nelle elezioni per la Camera bassa.
* I risultati di VB e LN sono ancora più impressionanti, perché si presentano solo in una parte dei rispettivi Paesi.
° I dati francesi si riferiscono alle elezioni presidenziali.
Sono assenti dall’elenco i partiti della destra radical-populista dell’Europa
centro-orientale: a differenza di quanto fatto da alcuni autori 10 , si è ritenuto
The dynamics of social change in radical right-wing populist party support, in “Comparative European
Politics”, 3, 2005, pp. 76-101 (per quanto riguarda l’elettorato dei RRPP).
9
Vedi la querelle tra McDonnell e Zaslove sulla collocazione da assegnare alla Lega Nord, con il
primo tendente a considerarla un caso di “regional populism”, non di RRPP. Cfr. D. MCDONNELL, A
weekend in Padania: regionalist populism and the Lega Nord, in “Politics”, 26:2, 2006, pp. 126-32; A.
ZASLOVE, Alpine populism, Padania and beyond: a response to Duncan McDonnell, in “Politics”, 27:1, 2007,
pp. 64-8; D. MCDONNELL, Beyond the radical right straitjacket: a reply to Andrej Zaslove’s critique of
“Regionalist populism and the Lega Nord”, in “Politics”, 27:2, 2007, pp. 123-6. Inoltre, a differenza di
autori come Betz e Mastropaolo, Mudde non concorda sul fatto che i partiti del progresso scandinavi
siano i precursori della famiglia dei RRPP; di conseguenza, non li include nell’elenco. Cfr. C. MUDDE,
Populist radical, cit., p. 32. In questa sede, invece, si è ritenuto opportuno inserirli, dal momento che
“l’antipartitismo, l’opposizione irresponsabile e la politica di sovrapromesse, il latente razzismo e
l’enfasi su norme più autoritarie e repressive” li accomunano senz’altro al resto dei partiti considerati.
Cfr. P. IGNAZI, L’estrema destra in Europa, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 88.
10
Cfr. C. MUDDE, Populist radical, cit. È da notare come in un articolo di appena tre anni prima, lo
stesso Mudde ritenesse che inserire nella trattazione anche le forme di populismo presenti in Europa
Paese Partito Primo successo Miglior risultato
Austria - Freiheitliche Partei Österreich
(FPÖ)
- Bündnis Zukunft Österreichs
(BZÖ)
9.7 (1986)
4.1 (2006)
26.9 (1999)
10.7 (2008)
Belgio* - Vlaams Blok, dal 2004 Vlaams
Belang (VB)
6.6 (1991) 12.0 (2007)
Danimarca - Dansk Folkeparti (DFP)
- Fremskridtspartiet (FRP)
7.4 (1998)
15.9 (1973)
13.9 (2007)
15.9 (1973)
Francia° - Front National (FN) 14.4 (1988) 17.8 (2002)
Italia* - Lega Nord (LN) 8.7 (1992) 10.1 (1996)
Norvegia - Fremmskrittpartiet (FRPn) 5.0 (1973) 22.1 (2005)
Svizzera - Schweizerische Volkspartei/Union
démocratique du centre (SVP/UDC)
14.9 (1995) 29.0 (2007)
7
opportuno escluderli, date le particolarità che connotano il contesto politico e sociale
di quei Paesi rispetto a quello dell’Europa occidentale.
Il fatto che si tratti di “una famiglia politica relativamente coesa”11 e che vi siano
somiglianze nella struttura, nell’ideologia, nella piattaforma politica, negli
atteggiamenti e nel profilo sociale dei loro sostenitori12 non significa che questi partiti
si presentino in maniera identica in tutti gli scenari nazionali; anzi, quello che li
contraddistingue è la straordinaria capacità di riconvertirsi, adattandosi ai differenti
contesti in cui vengono a collocarsi. In questo senso, sono caratterizzati da un profilo
sfuggente, tanto che rimangono ancora aperte molte questioni sulla loro natura e
sulla loro compatibilità con il sistema democratico, ma soprattutto sulle ragioni del
loro successo.
Il presente lavoro costituisce un tentativo di rispondere ad alcune di queste
domande. Nella prima parte si cercherà di rintracciare il nucleo ideologico proprio
dei RRPP, attraverso un’analisi dei concetti di “populismo” e di “destra”, “estrema”
e “radicale” (Cap. I); su questa base, verranno poi delineate le principali linee
programmatiche di questa famiglia di partiti (Cap. II).
La seconda parte dell’elaborato tenterà invece di ricostruire le dinamiche
strutturali, di tipo economico, sociale, politico e culturale, che hanno favorito
l’emergere e il radicarsi dei RRPP sulla scena politica europea, sulla base delle
principali ipotesi avanzate in letteratura (Cap. III); inoltre, verrà sottolineata
l’importanza ricoperta dai vincoli e dalle opportunità, anche istituzionali, presenti a
livello dei singoli Paesi nel determinare il successo o il fallimento dei RRPP, senza
trascurare il ruolo svolto dagli stessi protagonisti (Cap. IV).
In seguito, nella terza parte, saranno presentati alcuni casi di studio. È stata
effettuata la scelta di concentrarsi sui “prototipi” della destra radical-populista (i
partiti scandinavi del progresso e il Front National francese) e sui casi austriaco e
orientale “would obscure more than it would enlighten”. Cfr. C. MUDDE, The populist zeitgeist, in
“Government and opposition”, 29:4, 2004, p. 548n.
11
Cfr. M. TARCHI, L’ascesa, cit., p. 4.
12
Cfr. A. ZASLOVE, The dark side of European politics, in “Journal of European Integration”, 26:1, 2004,
p. 63.
8
svizzero che, oltre a costituire la manifestazione di una particolare forma di
populismo “alpino”, utile per trarre alcune conclusioni sull’intera famiglia dei RRPP,
hanno visto i partiti in oggetto al governo nei rispettivi Paesi. Attraverso un breve
resoconto della storia di queste forze politiche, si tenterà di individuare le
opportunità che sono riusciti a cogliere, i vincoli che hanno limitato la loro azione e
l’impatto esercitato dalla loro presenza sui sistemi politici dei Paesi considerati, oltre
ai dilemmi che il successo elettorale le ha costrette ad affrontare.
Infine, verranno tratte alcune conclusioni, in particolare sulla sfida rappresentata
dai RRPP nei confronti dei concetti di “identità” e “democrazia” tipici delle società
liberaldemocratiche.
9
PARTE I
CHI E COSA SONO I RRPP?
CAPITOLO I
TRA POPULISMO E DESTRA RADICALE
1. Populismo
Per verificare la validità della denominazione di “populisti”, attribuita ai nuovi
partiti della destra radicale, è necessario innanzitutto definire l’essenza di questo
concetto. L’opera non si presenta affatto semplice, dal momento che la mole di studi
prodotta sull’argomento non è riuscita a consegnarci una conclusione definitiva sul
tema.
Il primo tentativo di approntare una teoria generale del populismo risale al 1967,
quando Ghita Ionescu e Ernest Gellner riunirono all’uopo quarantatré studiosi presso
la London School of Economics13. Il tentativo non poté dirsi riuscito: “se Donald MacRae
riteneva che si potesse parlare di un’ideologia populista, Peter Wiles gli replicò che si
trattava di una sindrome e non di una dottrina; se Kenneth Minogue privilegiò la sua
dimensione di movimento politico, Angus Stewart puntò sull’individuazione dei
connotati sociali che gli conferivano una specifica identità”14.
Nell’apparente impossibilità di formulare una teoria omnicomprensiva, Margaret
Canovan ha adottato un approccio fenomenologico, tentando un’analisi e una
classificazione di tutti i movimenti populisti comparsi nella storia15. La tipologia
13
Cfr. E. GELLNER, G. IONESCU (eds.), Populism. Its meanings and national characteristics, London,
Weidenfeld and Nicolson, 1969.
14
Cfr. M. TARCHI, Il populismo e la scienza politica: come liberarsi del “complesso di Cenerentola”, in
“Filosofia politica”, 18:3, 2004, p. 413.
15
Cfr. M. CANOVAN, Populism, London, Junction, 1981.
10
delineata dall’autrice opera una distinzione tra populismo “agrario”, a sua volta
declinabile in populismo degli agricoltori (es. People’s Party statunitense), dei
contadini (es. Europa orientale all’inizio del XX secolo) e degli intellettuali (es. caso
russo), e populismo “politico”, diviso in dittatura populista (es. America Latina),
democrazia populista (es. Svizzera), populismo reazionario (es. George Wallace in
Alabama) e populismo dei politici (es. Jimmy Carter).
La classificazione della Canovan ha ricevuto numerose critiche, soprattutto in
ragione del fatto che le categorie rischiano di essere parzialmente sovrapponibili,
oltre a porre sullo stesso piano movimenti, regimi e un certo tipo di retorica politica.
Si tratta, dunque, di una tipologia abbastanza rudimentale, più utile come inventario
che come reale tentativo di interpretazione del fenomeno populista.
La stessa Canovan sembra cogliere maggiormente nel segno quando, in un
articolo del 1999, considera il populismo un fenomeno legato a una qualche forma di
rivolta contro la struttura consolidata del potere in nome del popolo16. Lungi dal
considerarlo un tratto patologico dei sistemi politici contemporanei, la studiosa lo
ritiene invece un frutto di una contraddizione irrisolta presente nel cuore delle
democrazie, tra il loro aspetto “pragmatico” e quello “redentivo”. All’idea di
democrazia, in altre parole, sarebbero associati un aspetto ideale, quello della
sovranità popolare, e uno più realistico, teso a considerarla un semplice assetto
istituzionale volto a risolvere i conflitti sociali in maniera pacifica e ad assicurare il
governo della società. Quando quest’ultima visione viene privilegiata a scapito del
contenuto ideale, si creano le premesse per la mobilitazione populista: in questo
senso, il populismo si configura come un’ideologia democratica radicale che si pone
in contrasto con la prassi dei sistemi democratici esistenti17.
Un’idea simile viene espressa anche da Mény e Surel, per i quali le democrazie
liberali sono sottoposte a una tensione perenne tra la propria componente “popolare”
16
Cfr. M. CANOVAN, Trust the people! Populism and the two faces of democracy, in “Political studies”,
47:1, 1999, p. 3.
17
Cfr. IDEM, Taking politics to the People: populism as the ideology of democracy, in Y. MÉNY, Y. SUREL
(eds.), Democracies and the populist challenge, Basingstoke, Palgrave, 2002, p. 26.
11
e quella “costituzionale”. Al potere del demos, in altre parole, si affiancano sempre e
comunque le garanzie liberali a favore di ciascun cittadino, specie delle minoranze. A
partire dal secondo dopoguerra, l’aspetto “costituzionalistico” avrebbe di gran lunga
prevalso – basti pensare alla nascita delle Corti Costituzionali, vero e proprio freno
posto all’arbitrio del legislatore –, generando una reazione di carattere populista18.
Sembra esistere, dunque, un generale consenso nel riconoscere che alla base di
ogni fenomeno populista soggiace uno schema ideologico piuttosto semplice, “that
considers society to be ultimately separated into two homogeneous and antagonistic groups,
“the pure people” versus “the corrupt elite”, and which argues that politics should be an
expression of the volonté générale (general will) of the people”19.
A partire da questa premessa, è possibile trarre una serie di conseguenze. Prima
fra tutte, l’ostilità del populismo nei confronti del concetto di democrazia
rappresentativa. Se fondamento del sistema democratico è il popolo, non stupisce che
tutti i meccanismi istituzionali o procedurali che limitano l’espressione diretta delle
masse siano oggetto di aspre critiche: “la democrazia versione populista è più il
rigetto degli impedimenta del liberalismo e del pluralismo politico e sociale che una
teoria coerente e sistematica” 20 . Ne deriva un’esaltazione e una pratica degli
strumenti di democrazia diretta, dalle leggi di iniziativa popolare al referendum. A
prescindere dal caso svizzero, in cui tali strumenti sono parte della tradizione politica
del Paese – ma sono usati con particolare frequenza dall’UDC –, molti RRPP non
sono indifferenti a questo tipo di richiamo. Il FPÖ di Haider, ad esempio, ha
promosso nel 1992 un referendum a favore di norme più rigide sull’immigrazione;
due anni dopo si è schierato contro l’adesione dell’Austria all’Unione Europea.
Nonostante la doppia sconfitta, le campagne si sono rivelate molto utili come
18
Cfr. Y. MÉNY, Y. SUREL, Populismo e democrazia, Bologna, Il Mulino, 2004, pp. 42-4.
19
Cfr. C. MUDDE, Populist radical, cit., p. 23. Cfr. anche: Y. MÉNY, Y. SUREL, Populismo e democrazia,
cit., p. 7; A. TAGUIEFF, L’illusione populista: dall’arcaico al mediatico, Milano, Mondadori, 2003, pp. 83-5;
D. ALBERTAZZI, D. MCDONNELL, Introduction: the Sceptre and the Spectre, in IDEM (eds.), Twenty-
first century populism. The spectre of Western European democracy, Basingstoke, Palgrave, 2008, p. 3.
20
Cfr. Y. MÉNY, Y. SUREL, Populismo e democrazia, cit., p. 60.