- Considerazioni introduttive.
Lo scopo che si prefigge il presente elaborato è quello di
fornire un’analisi, il più possibile dettagliata, della legge
“Pecorella”.
Il primo capitolo, concerne un’analisi analitica degli artt. 1, 2
della suddetta legge, i quali hanno riformato il sistema delle
impugnazioni nel processo penale introducendo limiti al potere
delle parti di impugnare le sentenze di proscioglimento.
Il testo originario della predetta legge precludeva al pubblico
ministero e all’imputato di proporre appello contro:
a) le sentenze dibattimentali di proscioglimento, tranne il
caso in cui fossero sopravvenute o scoperte nuove prove
decisive ai sensi dell’articolo 603, comma 2, del cpp
(articolo 1);
b) le sentenze di proscioglimento pronunciate all’esito del
giudizio abbreviato (articolo 2).
La novella legislativa del 2006, quindi, aveva introdotto
nell’ordinamento processuale penale il principio generale
dell’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento.
5
Il secondo capitolo concerne la trattazione della sentenza n. 26
del 2007, attraverso la quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità
dell’articolo 1 nella parte in cui, sostituendo l’articolo 593 del
cpp, non consentiva al pubblico ministero di appellare le
sentenze di proscioglimento, salvo il limite dell’articolo 603,
comma 2, del cpp.
Il terzo capitolo concerne invece l’analisi della sentenza n. 320
del 2007, attraverso la quale il giudice delle leggi ha
successivamente dichiarato l’illegittimità, in riferimento
all’articolo 111, secondo comma, della Costituzione, dell’articolo
443, comma 1, del cpp come modificato dall’articolo 2 della
legge 46/2006, nella parte in cui sanciva l’inappellabilità per il
pubblico ministero delle sentenze di proscioglimento emesse in
esito al giudizio abbreviato.
Infine nell’ultimo capitolo si analizza la recentissima pronuncia
della Corte, la n. 85 del 2008, con la quale essa ha dichiarato
illegittimo il divieto per l’imputato di appellare le sentenze di
proscioglimento, contenuto nell’articolo 593 del cpp come
sostituito dall’articolo 2 della legge più volte citata.
6
Capitolo I
L’INCIDENZA DELLA LEGGE N. 46/2006
SUL POTERE DI IMPUGNAZIONE DELLE PARTI.
1. La inappellabilità delle sentenze di proscioglimento nel
percorso preparatorio.
La riforma è nata da un’idea semplice: abrogare l’appello delle
sentenze di proscioglimento; così, lo si affermava
inequivocabilmente nella relazione accompagnatoria: “la
presente proposta di legge intende procedere ad una
modificazione della disciplina processualistica regolatrice del
giudizio di appello, limitandone la previsione esclusivamente alle
sentenze di condanna”, “la presente proposta di legge intende
riformare la disciplina del giudizio di appello statuendo
1
l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento”.
Nel testo dell’art. 1 della legge approvata il 12.1.2006, dopo due
anni di lavori preparatori, per effetto di emendamenti formulati
1
V. Atti Camera, XIV leg., Disegni di legge e Relazioni.
Per altro verso, cogliendo una delle più significative ispirazioni della riforma, si è detto
che l’obbiettivo è stato quello di rafforzare l’ambito di operatività della presunzione di non
colpevolezza, valorizzando, nel contempo, il canone della ragionevole durata del processo.
( La nuova disciplina delle impugnazioni dopo la “legge Pecorella”, a cura di A. Gaito,
Torino 2006, 120).
7
23
alla Camera, prima in sede di Commissione e poi in Assemblea,
l’art. 593 cpp conservava la primitiva impostazione, limitativa
dell’ appellabilità alle sole sentenze di condanna, pur facendo
espressamente salvo quanto previsto dagli art.443 co.3, 448 co.2,
579 e 680 dello stesso codice.
Sulla disposizione, così formulata, il Presidente della Repubblica,
nel messaggio di rinvio della legge alle Camere, per una nuova
deliberazione, esprimeva specifici rilievi, che meritano testuale
citazione: la funzione compensativa attribuita all’ampliamento
delle ipotesi del ricorso per cassazione ha un effetto inflattivo
superiore di gran lunga a quello deflattivo derivante dalla
soppressione dell’appello delle sentenze di proscioglimento.
Soppressione che, a causa della disorganicità della riforma, fa si
che la stessa posizione delle parti nel processo venga ad
2
Dal resoconto dei lavori della II Commissione, si apprende che l’on. Gaetano Pecorella,
avverte che il relatore ha presentato ulteriori emendamenti che comunque non apportano
modifiche sostanziali al testo risultante dagli emendamenti approvati, essendo volti ad
evitare dubbi interpretativi che potrebbero determinarsi a causa della formulazione di
alcune disposizioni o della mancanza di norme di coordinamento con altre disposizioni del
codice di procedura penale che prevedono particolari discipline in relazione alla materia
dell’ appellabilità delle sentenze. A quest’ultima finalità è diretto l’emendamento 1.500
volto a precisare che, secondo quanto già stabilito dalla disciplina vigente, le disposizioni di
cui all’art. 593 Cpp, così come modificato dall’art. 1 della proposta di legge in esame, si
applicano salvo nei casi previsti dagli artt. 443 co.3 e 448 co.2 Cpp ( Atti Camera, XIV
leg., Progetti di Legge, Lavori).
3
Qui l’on. Isabella Bertolini, esprime il parere favorevole della Commissione,
sull’emendamento Fanfani 1.10. La riformulazione che si propone è la seguente: al comma
1 dell’art. 593 fanno salvo quanto previsto dagli art. 448 co.2, 579 e 680 cpp.
8
assumere una condizione di disparità che supera quella
compatibile con la diversità delle funzioni svolte dalle parti
stesse del processo.
Le asimmetrie tra accusa e difesa costituzionalmente compatibili
non devono mai travalicare i limiti fissati dal secondo comma
dell’art. 111 Cost.
In ossequio alle indicazioni presidenziali, sono stati quindi
prospettati ed accolti gli emendamenti che, nel secondo
passaggio parlamentare, hanno dato al testo dell’art. 1 la
formulazione definitiva, con la quale si è venuta a ristabilire una,
sia pur limitata, appellabilità delle sentenze di proscioglimento.
1.1. Le ragioni a confronto.
Non è inopportuno considerare, sia pure sommariamente, con
solo riguardo alle linee generali del dibattito, le ragioni addotte a
favore e contro la proposta di riforma, non solo perché anticipano
i temi del confronto critico aperto alla rielaborazione dottrinale e
giurisprudenziale, ma anche mostrano una spaccatura culturale
profonda, che appare difficilmente sanabile.
9
Nel caso di specie, come visto, la proposta non aveva ampiezza
di orizzonti; mirava ad incidere in ambito specificamente
circoscritto.
Però, se è apparsa condivisa, in linea di massima, da più
parlamentari, l’idea della necessità di riformare il sistema della
impugnazioni, neppure escludendosi un intervento radicale
sull’appello, da molti si è pensato che una riforma di più ampio
respiro avrebbe richiesto una diversa occasione ed assai maggior
tempo di riflessione. E ciò a favorito l’emergere delle ragioni di
contrapposizione sullo specifico della proposta.
Da una parte, si sono poste a fondamento del costrutto i caratteri
accusatori del processo, si è data massima considerazione alla
condizione dell’imputato, si è esaltata la presunzione di
innocenza, si è reclamato il diritto dell’imputato al doppio grado
di giurisdizione, si è ricordato il diritto ad una ragionevole durata
del processo; dall’altra parte si è contestata l’assimilabilità delle
istituzioni processuali italiane a quelle del mondo anglosassone,
si è manifestata preoccupazione per le aspettative di tutela della
persona offesa dal reato e per il diritto di difesa della parte civile,
10
si sono ricordati i canoni costituzionali dalla parità delle parti, del
contraddittorio, e dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Nel dibattito hanno avuto parte significativa i temi relativi alla
compatibilità costituzionale della proposta, poiché
dall’opposizione sono stati rimarcati plurimi profili di
4
incostituzionalità, variamente riferiti alle disposizioni dell’art. 3,
56
dell’art.111 Cost. e dell’art. 112 della Cost.
7
Il confronto non ha trascurato il peso delle fonti internazionali,
né le problematiche di mero coordinamento normativo.
Ai parlamentari non è mancata l’opportunità di richiamare a
8
sostegno opinioni dottrinali e preoccupazioni e critiche di
soggetti esterni variamente rappresentativi.
Il dibattito si è fatto acceso e, a tratti, aspro. In tutti gli interventi
si coglie con evidenza la consapevolezza dell’importanza delle
4
Irragionevolezza della disciplina della legittimazione ad appellare del pubblico ministero e
della disparità di trattamento riservato, rispettivamente, alle posizioni del pubblico
ministero, della persona offesa e della parte civile, dell’imputato.
5
Violazione del principio della parità e del contraddittorio.
6
Violazione del principio di obbligatorietà della legge penale.
7
Confalonieri , Limiti all’appellabilità delle sentenze e coerenza del sistema processuale
alla luce dei principi e degli obblighi internazionali, in www.penale.it
8
T. Padovani, Il doppio grado di giurisdizione. Appello dell’imputato, Appello del P.M.,
principio del contraddittorio, in CP 2003, 4023 ss.
11
questioni in discussione e delle implicazioni dell’una o dell’altra
9
soluzione, sul piano dei valori e dei principi.
Il risultato è poi rimasto affidato ai commenti ed alle
interpretazioni. Alcuni rilievi vengono comunque spontanei:
quanto alla forma, per il fatto che si sia spezzata la disciplina
dell’appellabilità delle sentenze di condanna con l’interposizione
di un 2 comma destinato a porre la disciplina dell’appellabilità
delle sentenze di proscioglimento; e quanto al contenuto,
specialmente perché si è limitato in termini generali il diritto di
impugnazione del pubblico ministero rispetto alle sentenze di
proscioglimento, senz’alcun “distinguo”, ma anche perché si è
introdotto un meccanismo procedurale destinato a creare non
pochi problemi in sede applicativa.
1.2. I primi commenti.
L’articolo iniziale della legge si è presentato come la “norma
10
centrale di tutta la riforma” .
9
Come si è puntualmente rilevato: la disputa si fa, una volta di più ideologica, a conferma
che la riforma si presentava dall’inizio come fortemente connotate del sistema.
10
A. Giarda, Processo penale: sussulti di una legislatura al tramonto, in CorrMer 2006,
214.
12
E sulla riforma il giudizio, nei commenti, al di là delle polemiche
11
che ne hanno accompagnato il cammino, non è unanime: se vi è
12
chi ne ha segnalato il carattere epocale , chi ha scritto di legge
1314
di civiltà giuridica, chi lo ha definito intervento di sistema,
una delle riforme più discutibili dal punto di vista sistematico e
per le ricadute operative sull’apparato giudiziario nel suo
15
complesso.
Per quanto riguarda poi gli aspetti operativi, si è d’altronde
rilevato che la soppressione dell’appello contro le sentenze di
proscioglimento avrebbe potuto portare a mutamenti non
secondari nel comportamento dei soggetti processuali e nella
11
Tali polemiche hanno investito soprattutto l’assonanza della proposta centrale-quella
relativa all’abolizione dell’appello contro le sentenze di proscioglimento- con specifiche
prese di posizione di parte, emerse in occasioni specifiche, e particolarmente delicate,
vicende giudiziarie.
12
La riforma è epocale. La riduzione ai minimi termini dell’appello contro le sentenze di
proscioglimento, a parte i problemi specifici, genera ricadute sul sistema delle conseguenze
complesse e, in concreto, non tutte facilmente immaginabili; per grandi temi, ne sono
interessati: i fenomeni di conversione dell’impugnazione(art. 580 del cpp), l’ammissibilità
del ricorso de legitimate(artt. 569, comma 3, 606, comma 3, 609, comma 2), A. Scalfati,
Salvo eccezioni appellabile la sola condanna, in GD 2006, 54.
13
E’ una legge di civiltà giuridica che mira a realizzare quella certezza del diritto troppo
spesso ritenuta evanescente e virtuale.T.E. Frosini, L’inappellabilità del pubblico ministero
come principio di civiltà giuridica, GD 2006, 8.
14
Non è un intervento marginale, né episodico, né stravagante, ma di “sistema” e coerente
con questo. G. Frigo, Un intervento, cit., 100.
15
A. Giarda, Processo penale, cit., 213.
13
gestione del processo, coinvolgendo, quindi, più in generale, gli
16
assetti, complessivi del sistema.
E’ vero, in definitiva, che si tratta di una legge complessa
destinata ad incidere sulla struttura dei gravami, rimasti per
molto tempo sostanzialmente immodificata, fatte salve alcune
17
modifiche ( artt. 599 e 602 cpp.) e alcune razionalizzazioni; e
non sembra infondato ipotizzare, cercando di guardar oltre, che la
si possa vedere come un primo passo verso l’abolizione completa
18
dell’istituto.
1.3. L’opinione dottrinale.
I primi commenti dottrinali hanno offerto un ventaglio di
opinioni: non è mancato, tuttavia, chi si è detto convinto
19
dell’incostituzionalità della legge.
16
Una preoccupazione analoga si è espressa, con riguardo al giudice, in funzione del
credere che la riforma potrà produrre un incremento del lavoro giudiziario tale da
compromettere il valore della ragionevole durata del processo(A. Giarda, Rimodellato il
sistema, cit., 16).
17
G. Spangher, La legge Pecorella, l’appello si sdoppia. Tra l’eccezionale e il fisiologico,
DG 2006, 68.
18
A. De Caro, Filosofia della riforma, cit., 4. Del resto, è questa l’opinione espressa
dall’on. Pecorella, in II Commissione, nella seduta del 10.11.2004: ritiene che l’appello non
sia conciliabile con il giudizio accusatorio, in ragione della considerazione che la prova si
forma in primo grado, nel contraddittorio del dibattimento. L’ appello dovrebbe essere
ammesso per fatti costituzionali.( Atti Camera, XIV leg., Progetti di Legge, Lavori).
19
N. Ghizzardi, Profili di incostituzionalità della legge in materia di inappellabilità delle
sentenze, in RP 2006, 621.
14
Di fronte all’articolazione delle posizioni, variamente espresse,
rispetto ai diversi profili di incostituzionalità rappresentati, è
difficile vincere l’impressione di una certa, disturbante
flessibilità dei canonici “principi”.
Da un punto di vista generale, si è osservato che “l’abolizione del
potere di appello del pubblico ministero nei confronti delle
sentenze di assoluzione e di proscioglimento di primo grado
costituisce la proiezione ed esaltazione del principio di
presunzione di innocenza dell’imputato e, dunque, sarebbe in
linea con l’art. 6 comma 2 della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo e, per il tramite dell’art. 111 comma 1 della Cost.,
20
anche con i dettami costituzionali.
Con riguardo ai principi richiamati e, in specie, al principio di
eguaglianza, si è ritenuto che non sarebbe leso dal precludere,
quasi del tutto, al pubblico ministero, l’appello della sentenza di
proscioglimento mentre gli si consente di proporlo contro la
sentenza di condanna, poiché un giudizio di merito dove la
responsabilità non è stata provata oltre il ragionevole dubbio e
quello di condanna, in cui l’esito quoad poenam si presenta
20
A. Giarda, Processo penale, cit., 214.
15
deludente, non costituiscono situazioni esattamente speculari, in
ordine alle quali il legislatore è tenuto ad adottare un trattamento
simmetrico; cosicché, anche sotto tale aspetto, non è incongruo
che al magistrato d’accusa si sia quasi del tutto precluso
appellare le sentenze di proscioglimento rispetto alla generale
21
possibilità di proporre gravame contro la condanna.
Si è poi osservato che il principio di parità delle parti non
comporta necessariamente l’identità tra i poteri processuali del
22
pubblico ministero e quelli dell’imputato. La differenza di per
23
sé non deve scandalizzare e sarebbe un errore sostenere che un
regime di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento
24
contrasti con il principio costituzionale di parità della parti. Si
ammette che nel processo penale, solo l’acquisizione probatoria è
assistita da regole che tutelano la l’effettiva uguaglianza tra le
21
A. Scalfati, Salvo eccezioni, cit., 54-55.
22
Potendo una disparità di trattamento risultare giustificata nei limiti della ragionevolezza,
sia dalla funzione affidata al pubblico ministero, sia da esigenze connesse alla corretta
amministrazione della giustizia.( G. Spangher, Legge Pecorella, cit., 73).
23
Infatti, tra difesa e accusa vi è una diversità di funzioni, di interessi, di prospettive che
giustificano differenze delle quali emergono diversità di poteri nelle varie fasi
procedimentali e processuali. Il profilo dell’eguaglianza attiene essenzialmente al momento
del contraddittorio. (A. De Caro, Filosofia della riforma, cit., 3).
24
Parità non significa uguaglianza ma equilibrio di poteri; e, per quanto il pubblico
ministero possa considerarsi soccombente davanti all’assoluzione come l’imputato davanti
alla condanna, le situazioni non sono così omogenee da giustificare una perfetta simmetria
sul piano dei rimedi esperibili dai due antagonisti.(P.Ferrua, Riforma disorganica: era
meglio rinviare. Ma non avremo il terzo giudizio di merito. L’appello del P.M. creava
disparità, però serviva una riforma vera, in DG 2006, 79.
16
parti ( art. 111 co.4 Cost.) ma non sarebbe irragionevole, peraltro,
dinanzi ai tempi e ai mezzi dei quali dispone, che il pubblico
ministero perda la chance di ribaltare il verdetto proscioglitivo,
tramite un giudizio “sulle carte”, quantunque l’imputato possa
25
invocare un controllo di merito sulla sentenza di condanna. Si
tratterebbe insomma di scelte, la Corte si potrebbe esprimere solo
ove ritenga superata la soglia, sempre ambigua e sfuggente, della
“manifesta irragionevolezza” al di sotto della quale si apre invece
il campo della discrezionalità legislativa.
Circa le preoccupazioni avanzate nel messaggio presidenziale, a
proposito di una disparità tale da superare quella compatibile con
la diversità delle funzioni, se ne è contestata la sopravvivenza,
25
A. Scalfati, Salvo eccezioni, cit., 54-55; in AA.VV., Novità su impugnazioni e regole di
giudizio. “legge Pecorella”, Milano 2006, 23. L’A. prosegue: si intuirà che le due
situazioni non sono identiche: all’imputato non si può “rimproverare” di aver ottenuto una
condanna per non aver provato a fondo la propria innocenza; mentre, niente esclude che sia
così per il pubblico ministero, laddove non abbia saputo sfruttare le proprie forze per
superare il ragionevole dubbio della colpevolezza(articolo 27, secondo comma, della
Costituzione). Comunque, l’appello è tradizionale espressione del diritto di difesa, profilo
che diventa sempre più stringente nell’ipotesi di condanna, date le sue implicazioni con le
libertà individuali coinvolte( articoli 13 e 14, secondo comma, della Costituzione); e il
rilievo potrebbe essere di per se assorbente per escludere la disuguaglianza di trattamento
ipotizzata in premessa, rimarcando che non c’è simmetria tra le situazioni dell’imputato e
del pubblico ministero in materia di appello.
Si è pure osservato che la diversa soluzione apprestata per l’appello delle sentenze di
condanna, peraltro, non sembra introdurre una irragionevolezza del sistema delle
impugnazioni, in considerazione degli spazi riferiti all’imputato: il collegamento tra il
diritto di difesa, diritto inviolabile ai sensi dell’art. 24, secondo comma, della Costituzione,
e la possibilità di chiedere un secondo giudizio di merito, consente di superare con facilità
ogni possibile incertezza.( E. Marzaduri, Così nell’assetto degli istituti il legislatore ricerca
nuovi equilibri, in GD 2006, 52).
17
poiché la problematica posta dall’art. 111, comma secondo, della
Costituzione parrebbe attenere più alla posizione paritaria delle
parti davanti al giudice, che alla disciplina degli strumenti che
consentono di adire al giudice; e, per altro aspetto, si è
commentato: significativo è che i sostenitori di questa opinione
tacciano del tutto o trascurino o siano sempre stati incuranti delle
autentiche incostituzionalità implicate dall’appello del pubblico
ministero contro i proscioglimenti e non abbiano mai mancato,
viceversa, di sottolineare essi stessi come la par condicio non
comporti sempre necessariamente identità assoluta e simmetrica
di strumenti, da modulare, viceversa, in ragione dell’intrinseca
26
diversità delle funzioni processuali, d’accusa e difesa.
Di contro, altri hanno sostenuto che, nella nuova disciplina,
l’annientamento del diritto d’appello per il pubblico ministero
nei confronti delle sentenze di assoluzione abbia finito per
cancellare, in concreto, in parte qua, la par condicio che pure è
evocata dall’art. 111 della Costituzione come uno dei canoni
fondamentali della giurisdizione.
26
G.Frigo, Un intervento, cit., 100-101. Lo stesso A. osserva: proprio con riguardo a tale
diversità è concettualmente concepibile una differenza dei mezzi di gravame per l’una e per
l’altra, anche e soprattutto in ragione dei rispettivi interessi e diritti, costituzionalmente
rilevanti e garantiti.
18
Circa la compatibilità del nuovo regime con l’art. 112 Cost., si è
rilevato che più volte la Corte costituzionale ha sottolineato come
l’esercizio della legittimazione ad impugnare da parte del Pm non
27
costituisce esercizio dell’azione penale e che secondo la
Consulta (sentenza 29 giugno 1995 n. 280) l’esegesi adeguata è
nel senso opposto: il potere d’appello del magistrato d’accusa
non può ricondursi all’obbligo di esercitare l’azione penale, come
28
se di tale obbligo esso fosse una proiezione necessaria.
Peraltro, se vi è chi ha ritenuto inutilizzabile “ come riferimento
29
costituzionale il principio di obbligatorietà dell’azione penale”
e chi ha escluso la violazione dell’art. 112 della Costituzione,
perché il potere di impugnazione del pubblico ministero non è
30
certo esercizio di azione penale; altri, più cautamente, si sono
limitati ad esprimere l’opinione che: dall’art. 112 della
Costituzione si possano ricavare indicazioni utili per stabilire la
27
G. Spangher, Legge Pecorella, cit., 73( l’A. cita le sentt. 177/1971 e 280/1995 della Corte
costituzionale).
28
A. Giarda, Rimodellato il sistema, cit., 15: non del tutto convincente è l’opinione
avanzata da qualche parte, non solo dalla dottrina, secondo cui il potere di impugnazione
del pubblico ministero non è riconducibile all’area di operatività del potere di azione
sancito dall’art. 112 della Cost. con la dimensione essenziale dell’obbligatorietà; se non si
riconduce ad una delle tante espressioni del potere di azione, francamente non si riesce ad
inquadrare il potere di impugnazione del pubblico ministero in altra categoria di carattere
generale.
29
De Caro, Filosofia della riforma, cit., 19.
30
T.E. Frosini, L’inappellabilità, cit., 9.
19