INTRODUZIONE
La multifunzionalità in agricoltura, un concetto in movimento ed in continua
affermazione che cerca di rispondere alla crescente esigenza di Ruralità.
Le aziende, una volta mere produttrici di prodotti agricoli per lo più alimentari, si sono
andate affermando, negli ultimi tempi, come punto di riferimento e ben più ampia
risorsa ambientale ed hanno iniziato ad avere un ruolo importante nell’ambito dei
servizi e non solo in quello dei prodotti, anche se spesso di qualità, nella messa in atto
di quel valore aggiunto che ormai più o meno inconsapevolmente, tutti sono abituati a
cercare nelle campagne, che leghiamo alla ruralità e questa incessante ricerca del
vecchio, del bello e del buono.
Ed ecco che le aziende trovano una nuova, inedita ed importante collocazione
ricoprendo compiti un tempo impensabili, in azienda si fa didattica ambientale, si
creano asili bio, fattorie didattiche, si pratica un’agricoltura sociale e la pet terapy, per
andare incontro anche alle persone disagiate cercando di farle sentire meglio e dare
loro tempi, spazi e ritmi più consoni ad una equilibrata ricerca dell’integrazione con il
mondo.
Ed ancora nella custodia e conservazione delle tradizioni, l’azienda è oggi, scrigno
attivo della cultura contadina strettamente legata a quel preciso territorio.
Tradizione, storia, cultura, attualità e difesa del territorio si integrano a formare un
puzzle multifunzionale grazie al quale le aziende hanno maggiori possibilità di azioni e
soprattutto in ambienti marginali e montani possono rispondere concretamente ad un
ampio ventaglio di esigenze che si concretizza in attività, assumendo un ruolo di
primaria importanza. Le aziende, in tal modo, operano nell’interesse delle comunità
locali e residenti ma anche dei turisti mettendo a disposizione un’offerta che spazia dal
semplice pernottamento in agriturismo, alla degustazione di prodotti tipici locali, al
coinvolgimento a scopo didattico nelle fasi di lavorazione aziendali, in una sorta di
“museo della gente” che mette a nudo le peculiarità del mondo rurale, mondo che da
chiuso ed emarginato apre le braccia e diventa aperto, fruibile, accogliente, ospitale e
funzionale al sistema montagna.
In azienda è possibile immergersi in una dimensione ben differente dalla realtà urbana,
ancora animata dai ritmi e tempi della natura, un tuffo nella cultura e negli stili di vita
della campagna, con un legame più forte alla terra e ai suoi frutti.
9
E non è un tuffo nel passato ma in un altro presente, c’è altrettanta avanguardia nei
sistemi utilizzati da alcune aziende, ma senza la rinuncia all’integrazione con la Natura
e con il territorio.
Le aziende agricole contribuiscono all’affermazione e conservazione di tutte quelle
“risorse immateriali” sopra citate a cui sono legati aspetti culturali e sociali che devono
essere protetti e mantenuti in vita.
A queste si aggiunge una vera e propria rete di servizi che le aziende agricole montane
possono svolgere nelle aree rurali e montane, basti pensare alla spalatura delle strade
dalla neve, allo sfalcio dell’erba, della custodia del Territorio.
Ora più che mai, in questa fase globalmente complicata e difficile, ora che dello
sviluppo sostenibile dobbiamo fare un concreto principio di vita, ora che si è compresa
l’utilità di fare didattica in fattoria, ora che il numero delle persone allergiche continua a
crescere, nello sgretolarsi delle certezze, della moralità, della correttezza ecco che la
ruralità torna ad essere un valore, quel valore aggiunto che innalza la qualità della vita,
e la città ha finalmente preso coscienza di avere bisogno della campagna, inesauribile
fonte di cibo, di sapere, di salute e di benessere.
Le aziende agricole delle aree montane operano su un territorio e la loro attività
permette indirettamente di garantire una serie di funzioni collegate e secondarie
rispetto a quelle principali, tipiche delle aziende stesse che servono al territorio per
rimanere in uno stato di salute.
Gli imprenditori agricoli sono parte attiva dell’ecosistema montagna e danno il loro
importante contributo alla difesa di territori, spesso fragili, per mezzo prima di tutto del
presidio, ma anche attraverso il compimento delle loro attività tipiche, quali:
coltivazione, sistemazioni agrarie, taglio dei boschi,…
Questa attività di cura-coltura nel rispetto del territorio in cui vivono ed operano spesso
con una tradizione familiare che dura da generazioni, ha plasmato i paesaggi
evidenziandone peculiarità, tradizione, caratteristiche, tipicità ed eccellenze.
Così nascono i tipici paesaggi da cartolina, famosi in tutto il mondo.
Oggi non si presenterebbero nello stesso modo se non ci fosse stato tutto il lavoro dei
contadini, dei mezzadri, senza le sistemazioni agrarie, senza la dedizione, la fatica, la
10
meticolosa attività dell’uomo che nel corso degli anni ha contribuito a plasmare e
conservare il territorio, come noi lo conosciamo.
Quel territorio che è stato indispensabile per il sostentamento delle popolazioni
montane. E davanti al quale oggi nell’ammirarlo, magari venendo dalle grandi città, si
rimane doppiamente incantati, affascinati dalle perfette proporzioni dalla varietà e dalla
completezza, dal suo essere ora così aspro e ora così dolce.
Negli anni dell’industrializzazione, del boom economico, questi territori hanno assistito
ad un sostanziale spopolamento e ad un progressivo abbandono, che sembra non
essersi ancora del tutto esaurito, seppure da alcuni anni si assiste ad un ritorno alle
attività legate alla terra e ad una ricerca, talvolta esasperata, di ciò che è naturale e
sano.
Tutti coloro i quali operano sul territorio dovrebbero sapere che si trovano a dover
gestire complesse problematiche che spesso si sovrappongono come fossero una
serie di layer, per cercare di dare risposte efficienti è necessario agire in maniera
globale esaminando tutti gli aspetti, le competenze, le varie normative che spesso
hanno spezzettato ambiti di intervento che concettualmente sono un tutt’uno e che
dovrebbero andare di pari passo.
La criticità del territorio, i dissesti idrogeologici, i movimenti franosi, le aree a rischio
esondazione (Difesa del Suolo e Bonifica), i tagli del bosco (Foreste), le attività
agricole, industriali, urbanistiche, sono tutte azioni svolte da una pluralità di soggetti
con finalità differenti, che devono riferirsi ad Enti diversi.
Queste azioni, però, si materializzano su uno stesso territorio, che risente dei loro
effetti, e che non sono né statici né puntiformi, ma producono conseguenze ed
assestamenti dinamici e difficilmente prevedibili nel tempo e nello spazio.
11
Obiettivi e articolazione della tesi
Gli obiettivi che ci siamo posti nell’affrontare questo lavoro sono la messa in luce delle
nuove opportunità che offre alle aziende agricole montane la definizione della
“multifunzionalità in agricoltura” e relativa normativa collegata ( D.Lgs 228/2001 e
s.m.i.) ed i vantaggi per le aziende ad essa correlati, sia dal punto di vista economico di
agevolazioni e integrazione al reddito che dal punto di vista più eminentemente sociale
e culturale.
Quest’ultimo aspetto ha permesso di riscoprire, riconoscere e valorizzare gli agricoltori
come attori del territorio, della sua conservazione e custodia.
A quanto sopra è necessario aggiungere ed integrare gli obiettivi che l’Ente Pubblico
demandato alla Gestione della Bonifica ha perseguito investendo tempo, risorse
umane e finanziarie nel Progetto “Custodia del territorio” nostro caso di studio.
Il Progetto trova motivo del suo nascere nella consapevolezza della complessità di
gestione di cui un territorio montano e da tutte le problematiche connesse dovute
all’abbandono della montagna da un lato e dall’eccessiva e selvaggia urbanizzazione
dei fondovalle dall’altra. Pertanto gli obiettivi che hanno animato l’Ente Gestore che
saranno ampliamente trattati in seguito, si possono così riassumere:
- Garantire il monitoraggio dello stato dei luoghi, anche marginali
- Coinvolgere e responsabilizzare chi in quei luoghi vive ed opera
- Incentivare le aziende a rimanere in montagna
I differenti punti di vista dell’agricoltore e dell’Ente trovano concreto punto di
convergenza nella redazione di una Convenzione che regoli onori ed oneri di un’attività
congiunta fonte di reciproca soddisfazione e vantaggio nella direzione della tutela,
difesa e custodia del territorio.
Il lavoro si articola su 4 macrocapitoli in breve di seguito si delinea il percorso:
Ne primo capitolo viene delineata l’analisi delle problematiche socio economiche ed
ambientali che caratterizzano le aree rurali e montane toccando le tematiche che
caratterizzano e rendono queste aree critiche quali lo spopolamento, e più
intrinsecamente la fragilità del territorio ed il rischio idrogeologico.
12
Nel secondo capitolo si introduce il tema dell’agricoltura multifunzionale in montagna e
le nuove opportunità che possono avere le aziende agricole in base all’applicazione del
D.Lgs 228/2001 soprattutto in relazione ai servizi ambientali.
Il terzo capitolo affronta la tutela del territorio, il quadro normativo e gli strumenti di
piano con particolare riferimento alla Bonifica e difesa del suolo citando anche le
opportunità offerte dalle misure del PSR 2007/2013 della Regione Toscana.
Il quarto capitolo esamina il ruolo e le attività svolte dalla Comunità Montana Media
Valle del Serchio in qualità di Ente Gestore della Bonifica e che ha creato le condizioni
per la realizzazione del progetto.
Il quinto capitolo affronta il caso di studio: Il Progetto Custodia del Territorio,
inquadrando prima il territorio e l’Ente in cui è stato attivato e ripercorre le varie fasi
dalla prima attivazione, alla sperimentazione alla seconda fase che ha origine da un
processo partecipato ed infine le prospettive future.
13
1 Analisi delle problematiche socio-economiche e ambientali
delle aree montane: spopolamento, fragilità del territorio,
rischio idrogeologico
Uno dei fenomeni geografici e sociali più vistosi del nostro tempo è la crescita della
popolazione urbana se si pensa che oltre metà dell’umanità insiste sul 5% delle terre
emerse e che su oltre metà delle terre emerse troviamo solo il 5% della popolazione e
che un uomo su due vive in città.
Evoluzione della popolazione urbana nei paesi sviluppati e in quelli in via di sviluppo
(dati della National Geographical Society, 2002): nel 1950 la popolazione terrestre era
stimata in 2,4 miliardi; nel 2000 in 6,1 miliardi; per il 2025 la proiezione indica 8,0
miliardi di individui
100
Urbana paesi sviluppati
Urbana paesi in via di sviluppo
75
Rurale paesi sviluppati
50
25
Rurale paesi in via di sviluppo
0
195020002025
FIG n. 1: Evoluzione della popolazione
Se nelle città si è andata vieppiù diffondendo la cultura dei parchi urbani, in quei
territori urbanizzati che si trovano nei pressi di aree collinari-montane dotate ancora di
una elevata naturalità è buona norma cercare rifugio negli agriturismi, organizzare
14
visite nelle aziende agrarie e nelle fattorie, ritrovando quegli aspetti che per i più piccoli
assumono un valore oltreché ricreativo, anche formativo e didattico di educazione
ambientale che farà parte degli adulti di domani, in un atteggiamento più consapevole
e rispettoso delle risorse e potenzialità che l’ambiente ha da offrirci.
Anche nella nostra regione il divario tra aree urbane e aree rurale per quanto riguarda
la popolazione e la superficie occupata è piuttosto evidente. Nella tabella sotto, ripresa
dal PSR Regione Toscana per il 2007-2013, si evidenzia questo divario tra le quattro
tipologie di aree individuate (Dai dati emerge che sono prevalenti le aree rurali
intermedie e le aree rurali intermedie in declino che insieme costituiscono oltre il 50%
dei Comuni toscani. Solo il 7% è rappresentato dai poli urbani).
TAB. n. 1 I Comuni Rurali in Toscana
Se, inoltre, concentriamo l’analisi sulla produzione di ricchezza espressa dal PIL,
emerge ancor più chiaramente il divario tra le aree urbane (valutata il termine di PIL) e
le aree rurali (vedi tabella sotto) emerge chiaramente come le aree rurali, pur
concentrando il 50% della popolazione mondiale, siano sottoposte ad una crescente
marginalizzazione perché, contribuiscono solo al 4% del PIL prodotto contro il 96%
delle aree urbane.
TAB. n. 2 Popolazione Rurale e Urbana e relativo PIL
Questo costante declino delle aree rurali dal punto di vista economico che,
logicamente, assume connotazioni differenti nelle varie parti del mondo con trend molto
15
accentuati nel paesi in via di sviluppo e molto limitati o, talvolta in controtendenza, nei
paesi sviluppati grazie alle specifiche politiche di intervento a partire anche dalle
politiche di sviluppo rurale (es. UE), rientra in un’idea di sviluppo che vede una
relazione gerarchica tra aree urbane e aree rurali (Gutman, 2007). Secondo tale
modello, la campagna (e, logicamente, anche le aree montane) venivano viste come
un bacino di approvvigionamento di manodopera e di prodotti per la città che in cambio
forniva servizi e in cambio di servizi e modelli di gestione e amministrazione.
Se, infatti, pensiamo alle città antiche, queste erano integrate con la campagna
circostante, ma con i primi processi di massiccio inurbamento tale rapporto viene
radicalmente modificato, determinando un progressivo distacco tra i due sistemi con la
città che assume un ruolo di “governo” della campagna e delle aree rurali in genere.
Il processo di modernizzazione dell’agricoltura avvenuto a partire dagli anni ’60 è stato
interpretato come una strategia per accelerare questo processo di divaricazione perché
l’aumento della produttività dei suoli consentiva un esodo più rapido dalle campagne,
ma al tempo stesso, chi rimaneva, finiva per essere ancora più dipendenza
dall’industria fornitrice di mezzi tecnici e che acquisiva i beni alimentari.
È indubbio che un tale modello ha portato a dei benefici riscontrabili nell’aumento della
qualità della vita in generale e nel raggiungimento di un’autosufficienza alimentare
almeno in buona parte del mondo. Di contro, però, un tale modello ha mostrato e sta
mostrando dei limiti sempre più evidenti quali, ad esempio, una crescita rapida e
incontrollata delle città con fenomeni di dispersione insediativa, esclusione sociale,
ecc., una progressiva rarefazione delle relazioni sociali ed economiche nelle aree rurali
e, conseguentemente, un progressivo deterioramento del capitale naturale in tali aree.
In una situazione come quella attuale che evidenzia le crescenti difficoltà delle aree
urbane nel garantire livelli decenti di occupazione e di reddito alle accogliere persone
provenienti dalle aree rurali e ai crescenti fenomeni di abbandono dell’attività agricola
nelle aree rurali non più in grado di garantire adeguati livelli di benessere, si pone la
necessità di una profonda revisione del modello di sviluppo che dovrebbe arrivare a
definire una nuova relazione tra il rurale e l’urbano (Gutman, 2007).
Questa nuova relazione non dovrebbe essere più basata su un rapporto gerarchico
urbano-rurale (o citta-campagna) ma su una relazione di interdipendenza nella quale le
aree rurale assumono un ruolo paritario rispetto alle aree urbane. In tale relazione, per
le aree rurale, all’obiettivo tradizionale di produzione di cibo e di fibre si aggiungono
altri obiettivi quali, ad esempio, l’incremento delle opportunità di lavoro e di reddito
delle popolazioni rurali basato su un modello di sviluppo integrato, la riduzione del
16
divario tra la qualità della vita nelle aree rurali e in quelle urbane, un’inversione nel
trend di degradazione delle risorse naturali e agro-ambientali.
Logicamente, questo modello di sviluppo si basa su un “mutuo scambio” tra queste
aree dove le aree urbane vedono incrementare una domanda di “ruralità” che si esplica
in più direzioni (alimenti locali e tipici, servizi ricreativi e ambientali, tutela delle risorse
idriche e biogenetiche, ecc..) e, dove, tali servizi, tendono ad assumere un valore
sempre più simbolico tale da garantire “spazi” di mercato adeguati per una loro
remunerazione. In tale quadro, quindi, per le aree rurali si presentano “nuove
opportunità” legate non più e soltanto alla produzione di beni e servizi agricoli ma che
si allarga alla produzioni di altri beni e servizi incentrati sulla conservazione e
valorizzazione delle risorse agro-ambientali e storico-culturali. In tale ambito, affiche si
possa parlare di valorizzazione è necessario consentire anche la riproduzione di
questo “capitale rurale” affinché si possa effettivamente parlare di sviluppo sostenibile.
1.2 Il ruolo dell’agricoltura nelle aree montane
Nelle politiche, le aree montane sono state associate, da sempre a termini come
marginale, svantaggiato, in ritardo, ecc
La prima normativa che, in ordine cronologico, fa riferimento alle zone svantaggiate è
la Direttiva75/268/CEE nella quale venivano definiti i criteri secondo i quali una zona
poteva essere classificata o meno come svantaggiata. Secondo tali criteri, le zone
svantaggiate coincidevano, in gran parte, con le zone di montagna nelle quali doveva
essere assicurato il mantenimento di un livello minimo di popolazione e la
conservazione dell'ambiente naturale. In tale ambito, l'attività agricola risultava di
fondamentale importanza per assicurare la conservazione dell'ambiente naturale, per
proteggere dall'erosione, per rispondere ad esigenze turistiche e di sviluppo rurale.
La citata Direttiva è stata poi abrogata dalla Direttiva 97/950/CEE a sua volta abrogata
dal Reg. CE1257/99. Ai fini pratici, tuttavia, le definizioni contenute nella Dir. CEE
268/75 sono state mantenute anche nel Reg. CE 1257/99 e quindi vigenti fino al 31
dicembre 2009.
A partire dal 1 gennaio 2010 le zone svantaggiane che, a sua volta, sono diventate
“intermedie” hanno seguito una classificazione diversa che riporta a limitazioni di
natura fisica dei territori più che a limitazioni di tipo demografico o socioeconomico.
Ne consegue che le zone montane, in cui ricade il 22,6% della SAU regionale,
rimarranno quelle contenuta nel Reg. CE 1257/99 anche dopo tale termine; le zone
17
svantaggiate, diverse da quelle montane (20,94% della SAU regionale) continueranno
a comprendere, le zone con svantaggi specifici così come definiti dal Reg. CE 1257/99
mentre i cosiddetti svantaggi intermedi (solo lo 0,19% della SAU) dal 2010 si
trasformeranno in svantaggi naturali legati ad una bassa produttività del suolo e a
condizioni climatiche avverse.
Anche a seguito di studi preliminari effettuati sul territorio nazionale, questa nuova
classificazione porterà ad una delimitazione in alcuni casi molto diversa delle zone
svantaggiate non montane (nella nostra regione, ad esempio, non tutti i comuni
classificati svantaggiati ai sensi dell’art. 3 par. 4 della Dir. CEE 75/268/CEE potranno
essere riconfermati come tali ai sensi del Reg. CE 1698/2005).
TAB n. 3: Incidenza della SAU nelle varie tipologie di zone svantaggiate
Tutto ciò premesso ed in virtù del fatto che la nuova perimetrazione non è ancora del
tutto definita, nel territorio regionale, non si dispone ancora di dati economici relativi
alle aziende poste in zone svantaggiate non montane così come definite dal Reg. CE
1698/2005.
In Toscana la zonizzazione effettuata ai sensi della Direttiva 75/268/CEE venne
ampliata e modificata con diversi atti regionali, DGR 1/12/1986 n. 11730, DGR
19/10/87 9895, DGR 21 marzo 1988 n. 2585, DGR 19/11/1991 10124, DGR 31/7/1991
7011 a seguito delle modifiche intervenute nei criteri regionali con la Dec. 20-12-1988
n. 89/252/CEE “Decisione della Commissione che modifica i limiti delle zone
svantaggiate in Italia ai sensi della direttiva 75/268/CEE del Consiglio” pubblicata nella
G.U.C.E. 17 aprile 1989, n. L 10 5” entrata in vigore il 21 dicembre 1988. Tramite
questo iter legislativo dagli iniziali 157 comuni con aree svantaggiate, ai sensi della Dir
CEE 75/268, si è passati a 198. di cui 118 completamente svantaggiati e 80
parzialmente svantaggiati. In particolare, in 31 casi, l’incidenza delle aree svantaggiate
è superiore al 50% dell’intera superficie comunale, e per i restanti 49 risulta inferiore.
18
FIG. n.2: Aree svantaggiate montane e altre aree svantaggiate in Toscana
Dall’analisi del Censimento del 2000 emerge che il 26% delle aziende è insediato in
aree totalmente svantaggiate, su una SAU di 254.992 ettari ed una SAT di 605.606
ettari. Segue un 13% di aziende in aree parzialmente svantaggiate con una SAU e
SAT rispettivamente dell’ 8,6% e del 9,5% sul totale. Rimangono infine 89 comuni dove
non vi sono aree svantaggiate, ma dove risiedono il 34% delle aziende, il 28% della
SAT e il 34% della SAU.
19
TAB. n.4: SAU delle Aziende in aree svantaggiate
La presenza degli agricoltori e specialmente degli allevatori nelle zone svantaggiate
oltre a svolgere una funzione economica per le popolazioni locali. svolge anche una
funzione di presidio ambientale per garantire il mantenimento del paesaggio creato
dall’azione antropica, la difesa del suolo e la biodiversità.
Per valutare gli svantaggi economici delle aziende agricole delle aree montane si è
considerato lo studio fatto per il PSR della Regione Toscana che ha esaminato
l’universo delle 817 aziende della Rete Regionale di Contabilità Agraria (Rete RICA)
inerenti il biennio 2003-2004, confrontando le 155 aziende in aree totalmente
svantaggiate rispetto alle 502 poste in zone non svantaggiate e alle 160 parzialmente
svantaggiate.
Dall’analisi è emerso che il rapporto tra ettari di SAU per unità di lavoro (SAU/ULT) è
molto più elevato per le aziende che per semplicità definiremo “svantaggiate”, proprio
per la loro natura estensiva, che non per le aziende che per semplicità definiremo
“normali”.
L’indice PLV/SAU misura la produttività della terra ed insieme all’indice PLV/ULT (che
esprime la produttività del lavoro) costituisce un parametro fondamentale per fornire
una prima indicazione sul grado di redditività dell’azienda anche se va ricordato che
20
nella PLV non sono comprese le componenti di costo che potrebbero a volte ribaltare i
risultare in termini di reddito. In ogni caso questi due parametri evidenziano subito una
forte differenziazione tra le zone normali e le zone svantaggiate.
Gli ultimi due indici presi in considerazione RN/SAU e RN/ULF danno la misura della
redditività unitaria globale riferita a ettaro lavorato e a unità di lavoro familiare. Sono fra
i parametri più indicativi in quanto prendono in considerazione il reddito netto
dell’azienda depurato cioè sia da costi fissi che da costi variabili. Il RN rapportato ad
ettaro di SAU fornisce il dato della reale redditività per unità di produzione e la
differenza tra zone normali e zone svantaggiate è risultata di 504 euro nel 2003. Il RN
è stato poi rapportato alle unità di lavoro familiare per percepire la misura della
redditività della proprietà coltivatrice.
Come ulteriore verifica della bontà del ragionamento, è stato comunque calcolato un
ML aziendale aggiungendo al VA le spese generali. Il rapporto tra il ML così calcolato e
SAU da una parte e ULT dall’altra, conferma i risultati degli altri indici economici sopra
esposti:
• ML/SAU pari a 3.277 euro per le zone normali e 1.095 euro per le zone
svantaggiate;
• ML/ULT pari a 46.914 euro per le zone normali e 24.071 euro per le zone
svantaggiate
Rispetto a questi dati appare dimostrato come lo svantaggio oggettivo derivante dalla
specifica localizzazione in aree montane, si traduca anche in svantaggio economico.
TAB. n.5: Indici aree svantaggiate
21