1. L’EMIGRAZIONE DALL’EUROPA NEL XIX E XX SECOLO
1.1 L’emigrazione dall’Europa nel XIX secolo
La seconda metà del XIX secolo fu caratterizzata da una serie di eventi che contribuirono a
cambiare la vita degli europei, i quali trovarono come unica ancora di salvezza quella di
abbandonare il proprio paese d‟origine.
Gli avvenimenti a cui si fa riferimento sono il fallimento in Europa dei moti liberali del
1848, la Grande depressione che colpì duramente l‟Europa nel 1873 dopo oltre vent‟anni di
crescita economica ed infine la carestia, che colpì nello specifico l‟Irlanda. Tutte queste
circostanze negative nascevano in concomitanza il sogno americano, ovvero la
convinzione che, attraverso la fatica e la determinazione, fosse possibile, per un lavoratore
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straniero, migliorare le proprie condizioni di vita e quelle dei propri figli.
Le origini della crisi economica, che fu ciò che influenzò maggiormente i cambiamenti di
vita radicali degli europei, sono da ricercare nella comparsa sul mercato internazionale di
nuovi granai in Russia, in America e in Oceania, che potevano permettersi vasti
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appezzamenti di terreno coltivabile e vendere i loro prodotti a prezzi inferiori.
Ciò creò una forte concorrenza con i prezzi delle derrate europee, che fu agevolata
notevolmente dalle innovazioni introdotte dalla seconda rivoluzione industriale, come lo
sviluppo della rete ferroviaria e della navigazione transoceanica a vapore, le quali non solo
accorciarono i tempi di percorrenza del trasporto via mare e via terra, ma dimezzarono
anche il costo per il trasporto dei beni.
L‟ovvia caduta dei prezzi dei prodotti agricoli europei, sommata alla crisi di
sovrapproduzione, fece entrare in crisi le aziende meno forti e ridusse i redditi dei piccoli
proprietari terrieri di un‟Europa che fino a quel momento basava la sua ricchezza
principalmente sul settore primario.
Ciò spinse milioni di europei a lasciare la propria patria alla volta di paesi che potevano
garantire loro una vita migliore.
Tra il 1820 e il 1910 si stima che più di 25 milioni di europei - provenienti per lo più
dall‟Impero germanico, dall‟Irlanda, dall‟Austria-Ungheria, dall‟Italia ed anche dalla
Svezia - emigrarono negli Stati Uniti (vedi tabella 4).
L‟Impero germanico fu il paese che contribuì in maggior misura al popolamento degli Stati
Uniti nel XIX secolo. Si stima che dal 1820 al 1920 emigrarono circa 5.500.000 di
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Bustamante D. “Attraverso la porta d’oro: l’emigrazione negli Stati Uniti”. NYCVE ITALIAN
AMERICAN MAGAZINE (culture and current affairs - rivista di attualità e cultura), 2007.
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Fossati M., Luppi G., Zanette E. La città dell’uomo 2, Storia e idee, Dall’antico regime alla società di
massa. Edizioni Bruno Mondadori SpA. 1998, p. 356.
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tedeschi, più di 4 milioni invece furono gli irlandesi, più di 3 milioni quelli provenienti
dall‟Austria-Ungheria e dall‟Italia, più di 1 milione quelli dalla Svezia.
Strano a dirsi, fu quindi proprio l‟Impero germanico la terra dalla quale partì il maggior
numero di persone verso il Nuovo Mondo, e non come si suole erroneamente pensare,
l‟Italia o l‟Irlanda. Il loro arrivo in America, anzi, risale già al XVIII secolo, periodo
durante il quale la corona britannica fu disposta ad accollarsi le spese del viaggio dei
migranti tedeschi, pur di diffondere la dottrina protestante oltreoceano.
Nel XIX secolo però, le cause che portarono milioni di tedeschi ad abbandonare il proprio
paese furono, come già accennato precedentemente, il fallimento dei moti del 1848, la
paura dei continui disordini e della crisi agraria. Vivere in Germania non era più cosa
semplice e così contadini stremati, intellettuali e oppositori politici venendo a conoscenza,
grazie anche alla pubblicazione di libri di compatrioti, già emigrati oltreoceano, di quanto
l‟America potesse offrire loro in termini di benessere economico, di libertà intellettuale,
politica e religiosa, non trovarono altra scelta al di fuori di quella di espatriare. Uno dei
libri che maggiormente influenzò le masse a scegliere la via oceanica fu la l‟opera del
tedesco Gottfried Duden, Report of a Journey to the Western States of North America, le
cui 150 copie pubblicate in Germania tra il 1827 e il 1856 riuscirono ad attrarre migliaia di
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tedeschi nel Midwest e in particolare nel Missouri.
Illinois, Minnesota e città come Chicago e Minneapolis furono invece le mete di quel
milione di persone che abbandonò i terreni improduttivi della fredda Svezia, ormai
diventati insufficienti a sfamare l‟intera popolazione che stava crescendo di numero e
testimoniava un sempre più basso tasso di mortalità infantile.
La sorte non risparmiò neppure l‟Irlanda, che subì un calo a dir poco drastico dei suoi
abitanti. Nel 1840 era il paese più densamente popolato d‟Europa, poi l‟esodo. Dal 1820 al
1920 si stima che più di 4.400.000 irlandesi lasciarono la loro patria. Attualmente sono
solo poco più di 4.200.000 gli abitanti di questa terra. La causa principale di questa
emigrazione di massa fu la cosiddetta Irish Famine, la grande carestia irlandese, che colpì
l‟Irlanda intorno alla metà del XIX secolo: si stima che in soli 10 anni, circa un quarto
della popolazione irlandese emigrò in America, portando con sé sogni, speranze e
purtroppo anche malattie. Si pensi che a Grosse Île, isola del Canada orientale adibita a
stazione di quarantena dal 1832 al 1937 per gli immigrati in arrivo dall‟Europa, vi è la più
alta croce celtica del mondo, eretta per commemorare i 76.000 irlandesi morti in seguito a
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Da http://press.umsystem.edu/: University of Missouri Press.
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un‟epidemia di tifo nel 1847. Nonostante parlassero la stessa lingua di coloro che
vivevano negli Stati Uniti a quel tempo, intorno alla metà del XIX secolo essere irlandese
significava valere come un uomo di colore, se non un uomo di razza ancor più inferiore,
rispetto la concezione dell‟epoca, erano infatti chiamati white niggers. Erano discriminati
principalmente per via del loro credo religioso, difficilmente tollerato nell‟America
protestante del XIX secolo, e per questa ragione erano costretti ad accettare i lavori più
umili e massacranti.
Gli irlandesi riuscirono a risollevare almeno in parte il loro prestigio sociale solo con
l‟arrivo delle nuove ondate migratorie di ebrei, slavi e italiani. Questi ultimi viaggiavano
su rotte marittime che differivano in base alla loro provenienza. Nell‟ultimo trentennio del
XIX secolo coloro che provenivano dalle regioni settentrionali (in particolare dalla Liguria
e dal Veneto) si dirigevano verso l‟America Latina, mentre nei primi decenni del XX
secolo erano per lo più i contadini provenienti dalle regioni meridionali coloro che erano
diretti verso gli Stati Uniti. Si trattava per lo più di uomini che vantavano di un basso
livello di istruzione e che volevano lasciarsi alle spalle una vita di stenti fatta di troppi
sacrifici, ma senza comunque abbandonare totalmente l‟idea di tornare un giorno al proprio
paese d‟origine.
In quel periodo l‟immigrazione aveva un volto diverso da quello odierno. Un peso
significativo in questa differenza lo esercita il dato oggettivo che cento anni or sono la
densità di popolazione era molto minore (negli Stati Uniti un terzo di quella attuale) e
molto forte l‟idea di ampi spazi aperti alla colonizzazione, cui i nuovi arrivati potevano
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recare il proprio contributo senza danneggiare (e anzi magari avvantaggiando) i nativi.
L‟immigrazione non costituiva un problema nel XIX secolo, anzi, l‟America necessitava
proprio di nuova manodopera, ancor meglio se a basso costo.
Gli Stati Uniti dopo la conquista della loro indipendenza conobbero un rapido processo di
crescita economica, sia nel settore agricolo, grazie alla meccanizzazione, sia nel settore
industriale per ciò che riguardava l‟industria manifatturiera, lo sfruttamento delle risorse
energetiche come il carbone (la cui produzione aumentò di quaranta volte tra il 1800 e il
1850) e il settore ferroviario.
Nel 1869 venne infatti inaugurata la First Transcontinental Railroad, una delle prime linee
ferroviarie che collegava la costa dell‟Atlantico con quella del Pacifico. L‟esistenza di
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Lonely Planet. Canada Orientale. Edizioni Lonely Planet. p. 369.
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Gozzini G. Le migrazioni di ieri e di oggi. Una storia comparata. Pearson Paravia Bruno Mondadori SpA.
2005, p. 72.
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questa maestosa opera fu resa possibile niente meno grazie all‟aiuto della manovalanza di
immigrati irlandesi, italiani, tedeschi, polacchi e cinesi.
L‟America era un vero e proprio continente da creare, ricco di risorse naturali, di
opportunità e di terre da colonizzare. Nel 1861 fu anzi promulgata una legge che assegnava
ampi lotti di terra, in forma pressoché gratuita, a ogni cittadino che si impegnasse a farli
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fruttare per almeno cinque anni. La voglia di emigrare nel Nuovo Mondo, lasciandosi alle
spalle precarietà e povertà, fu quindi una scelta più che comprensibile, se non banale e
scontata.
I nomi stessi delle città americane ricordano i nomi dei loro fondatori o il paese di origine
dei suoi primi abitanti, ne sono un esempio Carterville, Greenville, Marconi, Cavour,
Naples, Palermo, Venice, Turin, Genoa, ecc. ecc.
I migranti nella maggior parte dei casi, dopo il severo smistamento nella stazione di Ellis
Island, si stanziavano nei distretti etnici in rapida espansione e soprattutto in luoghi dove
era già presente la comunità di compatrioti, se non meglio di compaesani.
Proprio a Genoa, paese del Wisconsin, ancora nel 1930, il 90% degli abitanti aveva origini
italiane e solo da poco si stavano stanziando delle famiglie di origine tedesca. Padre A. P.
Kramer aveva appeso nella sua chiesa l‟icona di S. Carlo, santo patrono di Campodolcino,
paese poco distante dal Lago di Como. Genoa divenne una vera e propria comunità italiana
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in territorio americano, dove in poco tempo vi giunsero ben 80 famiglie dolciusane.
Nonostante aver trascorso una vita intera in America, gli allora anziani di Genoa, si erano
esiliati volontariamente dalla realtà che li circondava, non avevano imparato a parlare
inglese, conservavano nelle soffitte delle loro case i costumi tipici del loro paese natale, i
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negozi avevano tutti nomi italiani e vivevano solo ed esclusivamente con la loro gente.
Quanto appena descritto non si può definire come il migliore esempio di integrazione. Nel
XIX secolo dopo tutto l‟identità dei migranti era un‟identità “paesana” prima ancora che
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nazionale, la coesione locale del villaggio d‟origine rafforzava la coesione della comunità
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Fossati M., Luppi G., Zanette E. La città dell’uomo 2, Storia e idee, Dall’antico regime alla società di
massa. Edizioni Bruno Mondadori SpA. 1998, p. 357.
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Provenienti da Campodolcino.
8th
July 20, 1930. Village of Genoa picturesque town in which first settlers were natives of italian Alps. La
Crosse Tribune and Leader- Press.
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Sebbene l‟unità d‟Italia risale ufficialmente sulla Carta al 1861, questa avvenne nella pratica solo nel XX
secolo, a seguito dei due conflitti mondiali - che fecero incontrare nella pratica gli italiani, dal Piemonte alla
Sicilia - e alla comparsa della televisione, che giocò un ruolo fondamentale nell‟alfabetizzazione del popolo
italiano, facendo da ponte tra un‟Italia che comunicava solo tramite i suoi dialetti regionali e un‟Italia sempre
più omogenea da un punto di vista linguistico, tramite appunto l‟apprendimento di un italiano standard.
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di immigrati mostrando una sorprendente capacità di tenuta su scala globale, questo a
Genoa così come nelle tante Little Italy del Nuovo Mondo. La protezione offerta dalla
comunità di compaesani assicurava maggiori garanzie rispetto alle opportunità individuali
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di proprietà e successo potenzialmente offerte dall‟accesso alle terre del West. Il fatto
però di essere così strettamente vincolati alla cerchia di compaesani si rivelò dannoso, in
quanto portò alla formazione di ghetti e a situazione di autoemarginazione. Non è un caso
infatti che nel 1911 il Report della Immigration Commission del Congresso degli Stati
Uniti rivelò attraverso sondaggi a campione che più di metà degli immigrati non parlavano
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inglese, dato alquanto allarmante se si crede che la vera integrazione fonda le sue radici
innanzitutto nella conoscenza della lingua del paese ospitante.
L‟estraniazione volontaria dalla società, il rifiuto di interagire e comunicare con la gente
del luogo non solo non favorì uno spontaneo processo di integrazione, ma portò alla
nascita di stereotipi e di pregiudizi verso i nuovi arrivati, specialmente verso coloro che
non rientravano all‟interno del canone WASP, ovvero White-Anglo-Saxon-Protestant.
Fu quindi proprio negli Stati Uniti di fine secolo che la “nuova immigrazione” povera e
cattolica proveniente dall‟Europa del sud e dell‟est si scontrò con lo sviluppo di un
movimento “nativista” che muoveva da un‟origine etnocentrica e nazionalista a sfondo
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religioso per coagulare sentimenti xenofobi di vario genere.
Tracce di nativismo erano già presenti negli Stati Uniti intorno il 1830 e il 1840 ed erano
rivolte, come detto precedentemente, verso i primi immigrati irlandesi, in quanto poveri e
soprattutto cattolici; di fatto però non ci fu alcun tipo di discriminazione verso coloro che
provenivano dall‟Ulster, in quanto protestanti, indi per cui facili da assorbire. I cattolici
irlandesi si insediarono pertanto nelle zone più degradate e dovettero accettare i lavori più
umili e sottopagati per sopravvivere.
Sorte peggiore capitò alle nuove ondate migratorie a cavallo tra il XIX e il XX secolo.
Italiani e slavi infatti, non solo non erano protestanti, ma non erano neppure anglofoni. Ciò
che marchiò ulteriormente gli italiani, soprattutto quelli meridionali, fu la loro reputazione
di criminali e mafiosi, per via della fama che personaggi come Al Capone, Lucky Luciano,
Frank Costello, ecc. ecc. si erano creati, quella stessa fama che accecò il giudizio della
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Gozzini G. Le migrazioni di ieri e di oggi. Una storia comparata. Pearson Paravia Bruno Mondadori SpA.
2005, p. 57.
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Gozzini G. Le migrazioni di ieri e di oggi. Una storia comparata. Pearson Paravia Bruno Mondadori SpA.
2005, p. 58.
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Gozzini G. Le migrazioni di ieri e di oggi. Una storia comparata. Pearson Paravia Bruno Mondadori SpA.
2005, p. 63.
13
Gozzini G. Le migrazioni di ieri e di oggi. Una storia comparata. Pearson Paravia Bruno Mondadori SpA.
2005, p. 73.
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