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Questo lavoro merita un ringraziamento alla mia relatrice Anna Maria
Pagliuca. Altrettanto importante è il ringraziamento, molto speciale, che
va al Prof. re Angelo Minisci, correlatore per questa tesi, e all’ Architetto
Sara Pelacchi, nonché correlatrice esterna, che mi hanno guidato, con
tanta pazienza, lungo tutto il percorso progettuale.
Un grazie particolare va anche a tutti i miei amici, ai miei “colleghi”
universitari, Irene, Linda, Matteo, a Michele, e soprattutto ai miei
genitori, a cui dedico questo lavoro finale.
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Introduzione
L'aeroporto: infrastruttura, non luogo, centro di connessioni globali,
specchio della città; svariati significati può assumere questo
spazio, evolvendosi in maniera molto rapida, e affermandosi
come il complesso più emblematico di questo scorcio di
millennio. L'aeroporto è un superluogo, uno spazio dissonante e
distante da ciò che è l'Italia nell'immaginario collettivo, ma
quotidianamente frequentato, attraversato, consumato, al punto di
competere con i centri storici delle città d'arte. Infatti dopo anni di
sperimentazioni l'aeroporto ha raggiunto una tale importanza da
essere considerato uno spazio a sé stante, ereditando dalla città
una moltitudine di attività e modi di vivere la socialità; esso non è
più considerato un semplice luogo di transito, ma diventa un luogo
da vivere, un luogo cioè dove è piacevole sostare e in cui,
paradossalmente, si può andare anche senza la necessità di
dover prendere un aereo. L'aeroporto è una realtà che mi ha
sempre affascinato molto; è un luogo che ha sempre destato in
me una grande attrazione e forti emozioni. Mi è sempre piaciuto
osservare il via vai nei corridoi, le espressioni e i gesti dei
viaggiatori, immaginare le loro sensazioni. Dalle semplici
operazioni per imbarcarsi sul volo, alle commozioni dei saluti
prima del controllo bagagli o alla sala arrivi, la vita aeroportuale
m'incanta continuamente. Amo soffermarmi su quella miriade di
suoni, colori e immagini tambureggianti, che contribuiscono a
creare un'atmosfera viva e luminosa in questo ambiente.
Così la mia prova finale nasce da un forte interesse per la vita
aeroportuale e tutto ciò che riguarda architettura e design.
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Parte Prima
La metamorfosi della città contemporanea
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1. L ’epoca dei Nonluoghi
Con l’avvento della Globalizzazione, il nostro spazio territoriale –
architettonico, socialmente costruito, ha mostrato segni di un
profondo mutamento. Esso appare frammentato dalla
proliferazione di nuove spazialità, accomunate tutte dalla qualità di
scoraggiare l’interazione tra estranei. Questi luoghi sono definiti da
Bauman “spazi pubblici ma non civili” e quindi divisi in: “luoghi
emici”, “luoghi fagici”, “non luoghi” e “spazi vuoti”, in base alla
strategia adottata nel rendere impervia, e a volte impossibile,
l’aggregazione tra persone.
Un luogo può definirsi come identitario, relazionale, storico,
mentre uno spazio che non può riconoscersi in tutto ciò è un
“nonluogo”. La surmodernità quindi è produttrice di non luoghi
antropologici e che, contrariamente alla modernità baudeleriana,
non integra in sé i luoghi antichi: questi repertoriati, classificati e
promossi “luoghi della memoria”, vi occupano un posto
circoscritto e specifico.
Nasce così l’epoca di un mondo dove si nasce in clinica e si
muore in ospedale, in cui si moltiplicano i punti di transito e le
occupazioni provvisorie (catene alberghiere, i club di vacanza,..) in
cui si sviluppa una fitta rete di mezzi di trasporto che sono anche
spazi abitati, in cui grandi magazzini, carte di credito e distributori
automatici riannodano i gesti di un commercio “muto”.
Nel loro insieme questi nonluoghi costituiscono il tessuto
connettivo della città contemporanea; determinate dalla
circolazione meccanica e da quella dei fluidi più che dal
movimento umano, queste situazione elevano la categoria del
“periferico” ad elemento chiave dell’intera città e della sua
comprensione, rivelandola come la forma simbolica dello sguardo
attuale sui tracciati, sugli edifici.
I nonluoghi rappresentano l’epoca ; ne danno una misura
quantificabile ricavata sommando le vie ferroviarie, aeree,
autostradali, e gli abitacoli mobili detti “mezzi di trasporto” (aerei,
treni, auto), gli aeroporti, le stazioni ferroviarie e aerospaziali, i
grandi spazi commerciali.
Con “nonluogo” vengono indicate due realtà complementari ma
distinte: quegli spazi costituiti in rapporto a certi fini (trasporto,
transito, commercio) e il rapporto che gli individui intrattengono
con questi spazi.
Se in larga parte e quantomeno ufficialmente i due rapporti si
sovrappongono (gli individui viaggiano, comprano, si riposano),
essi però non si confondono poiché i non luoghi mediatizzano
tutto un insieme di rapporti con sé e con gli altri che derivano dai
loro fini solo indirettamente: se i luoghi antropologici creano un
sociale organico, i nonluoghi creano una contrattualità solitaria.
I nonluoghi sono lo spazio della surmodernità, ma questa non può
pretendere alle stesse ambizioni della modernità. Appena gli
individui si accostano, fanno del sociale e organizzano dei luoghi.
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NonLuogo _ 1
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Lo spazio della surmodernità è invece segnato da questa
contraddizione: esso ha a che fare solo con individui (clienti,
passeggeri, utenti, ascoltatori), ma questi sono identificati,
socializzati e localizzati (nome, professione, luogo di nascita) solo
all'entrata o all'uscita. Il nonluogo è il contrario dell'utopia: esso
esiste e non accoglie alcuna società organica.
1.1 Spazi atopici
"Tutto questo paesaggio periferico, immerso nel frastuono dei
veicoli che sembravano essersi riuniti qui da tutte le direzioni del
mondo, gli appariva confortevole come quel paese di confine dei
sogni, dove uno poteva sostare, a differenza di qualsiasi altra
parte nell'interno del paese. Sentiva il desiderio di dimorare in una
di quelle baracche sparse, con un giardino posteriore che dava
direttamente sulla steppa, oppure lì sopra il deposito, dove un
paralume appena acceso, diffondeva un riflesso giallo. Matite; un
tavolo; una sedia. Dalle zone periferiche emanavano freschezza e
forza, come in una perenne epoca di pionieri"
1
La letteratura offre spesso, delle anticipazioni di ciò che i saperi
disciplinari “scoprono” solo più tardi. La riflessione sui non luoghi e
sulla condizione atopica in architettura ha avuto inizio negli anni
'90, influenzata da autori come Augè, Virilio, Foucalt,etc.; ma
nasce anche con l'emergere del grande fenomeno della sotto-
utilizzazione e dislocazione delle aeree industriali ed infrastrutturali,
.
1
Peter Handke, Pomeriggio di uno scrittore, Parma, Guanda, 1987, p.52
producendo così importanti vuoti urbani, localizzati spesso ai
margini di tessuti poco consolidati, nelle periferie delle grandi città.
Con questo radicale cambiamento morfologico della città, come
porsi di fronte al problema dell'identità dei luoghi? Come
sviluppare in termini positivi la condizione di atopia?
Nel progetto, la condizione contemporanea del problema
d'identità è in bilico, tra la sua ricerca e lo spaesamento tra locale
e alterità. Alcuni luoghi producono identificazione e ci fanno sentire
dentro, altri promuovono l'estraneazione e ci fanno sentire altrove:
sono i luoghi dell'atopia; ed è proprio in questi luoghi che
percepiamo i segni del globale, dell'essere cioè inseriti in circuiti di
ordine superiore. Nell'atopia dei grandi centri commerciali e delle
sale d'attese delle stazioni e degli aeroporti, in questi luoghi, che si
ripetono uguali in territori diversi e lontani, si nasconde l'utopico.
Nel progetto significa aprire il locale al globale, fare dei luoghi
dell'atopia gli strumenti per la comunicazione con il mondo, per
aprirsi all'esterno, per ampliare le opportunità di comunicazione e
di incontro tra le comunità locali e i gruppi esterni che attraversano
il territorio. Nei punti d'intersecazione tra i circuiti locali con quelli di
rango superiore, l'atopia può sviluppare la sua portata utopica. I
luoghi nascondo i segni del “possibile”, e in questa direzione, un
ruolo di grande rilievo spetta alle grandi infrastrutture, dove le loro
potenzialità spaziali attendono di essere esplorate e espresse.
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NonLuogo _ 2 NonLuogo _ 3
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1.2 Assenza d'identità nei NonLuoghi di Augè
Nei nonluoghi non si costruiscono identità, la gente li raggiunge
anche per il proprio piacere, attratta da luci e colori, dai prodotti
esposti, per passare il tempo, in definitiva, per vincere solitudine e
noia. Le azioni, le relazioni sono quelle della folla, a volte alla
maniera del gregge, e in altri emergono aspetti particolari, si
impone la figura di un individuo per la sua diversità, di una coppia
per lo scambio di gesti d'affetto, di una persona per i segni della
miseria.
Augè è ritornato recentemente sul significato della parola
2
2
Premessa all’ultima edizione del suo libro: NonLuoghi, Elèuthera, Milano, Maggio
2009
con un
respiro adeguato ai fenomeni che investono la “città-mondo”, alle
tensioni che emergono nel rapporto fra “sistema e storia”, al ruolo
che può avere l'architettura e l'arte per riprendere, da parte
dell'uomo, il filo della speranza e dell'utopia. Se i luoghi tradizionali
presuppongono una società sostanzialmente sedentaria, i
nonluoghi sono i nodi e le reti di un mondo senza confini e, dal
punto di vista architettonico, sono gli spazi dello standard, strutture
dove nulla è lasciato al caso, al loro interno è calcolato il numero
di decibel, dei lux, la lunghezza dei percorsi, la frequenza dei
luoghi di sosta, il tipo e la quantità d' informazioni. Sono identici a
Milano, a New York, a Londra o a Hong Kong. L'utente sembra
non curarsi che i centri commerciali siano, in gran parte, uguali.
Questo, piuttosto, lo rassicura.
A Londra, Parigi, Milano o Roma si passeggia nello stesso modo:
identici i negozi, i mimi, i venditori di cibarie, le macchine per il
cambio di valuta, il senso di solitudine. Per sentirci in un contesto
sociale non ci rimane che guardare lo spettacolo degli altri che
camminano e, a loro volta, ci osservano: uno spettacolo dove
attori e spettatori si confondono in un reciproco e continuo
scambio delle parti. Nelle stesso tempo, le nostre città “si
trasformano in musei illuminati, settori riservati e isole proprie,
mentre tangenziali, autostrade, treni ad alta velocità e strade a
scorrimento veloce le aggirano”.
Nelle “Città Invisibili” di Italo Calvino non si trovano città
riconoscibili, ma “immagini di città felici che continuamente
prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città infelici”, per
offrire spunti di riflessione sulle problematiche dei luoghi della
nostra vita. Le città infelici dunque, vissute dagli uomini nei suoi
nonluoghi, nelle sue solitudini, nelle sue miserie. Le città infelici
che generano cittadini infelici ed uomini dal futuro senza
speranza.
La cultura dell'accoglienza di una città si regge su una parola
chiave: identità. L'identità è una parola difficile da gestire giacchè
“pur essendo un sostantivo si comporta come un verbo”. Essa
può essere il propellente della sensibilità ospitale ma anche il suo
contrario, generando comportamenti xenofobi e chiusure.
L'identità alimenta infatti lo “spirito del luogo” ed è il prodotto di un
insieme dinamico e complesso, risultante del vissuto e dei segni
della storia, e dunque, più il processo di ridefinizione della propria
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Questioni di
identità
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identità è autentico, seriamente e responsabilmente governato,
più l'identità dà forza alle funzioni ospitali.
Quando prevalgono l'omogeneizzazione ed interessi particolari
che soffocano il bene comune, l'identità s'indebolisce e il rapporto
tra luoghi, comunità locale e “city users” si deforma facendo
diventare la città “terra di conquista”.
La città, emblema del concetto dell'abitare, presenta infatti oggi,
forti segni di cambiamento, dalla scala paesaggistica a quella
domestica. L'evoluzione si estende anche ai valori, al senso di
appartenenza e di identità, alle relazioni interpersonali e al
rapporto con gli spazi. Ambienti privi di identità formale, di
relazionalità e di storicità, spazi dell'anonimato in cui ci affolliamo
sempre più frequentemente, soli, ma assieme a tanti altri individui
a noi simili. Le persone transitano nei nonluoghi ma nessuno vi
abita.
I nonluoghi hanno un senso a causa della mancanza di senso dei
luoghi, che invece occorre ritrovare prima
che sia troppo tardi, per avere città più identitarie, gioiose, vivibili
e cittadini più felici. Forse “Città Visibili”.
1.2.1 Identità - puzzle
Nel contesto di assoluta incertezza della modernità liquida le
persone si trovano a vivere in molti frames distinti e mal coordinati
fra loro giungendo difficilmente ad un identità integrata e
armonica: “Per questo abbiamo difficoltà a risolvere ( per dirla con
Paul Ricceur) il problema della mèmetè (la coerenza e la
continuità della nostra identità nel tempo)”.
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3
Zigmunt Bauman, Intervista sull’indetità, Laterza, 2003, p.8
Il motivo di questa difficoltà a creare un identità integrata è da
ricercare nella frammentazione delle esperienze di vita: nel nostro
tempo gli essere umani si muovono continuamente fra gruppi
diversi, modificando velocemente le proprie appartenenze, e non
sono alla ricerca di comunità in cui identificarsi in tutto e per tutto
<< chiavi in mano >>, come invece avveniva nella società di
pochi decenni fa. Secondo Bauman ciò che differenzia l'uomo
attuale da quello del passato più recente è la diversa modalità con
cui viene gestito il compito di costruirsi un identità in base ai
riferimenti sociali dei gruppi in cui << ci troviamo a transitare >>.
Questo << transito >> fa sì che l'identificazione sia immediata
perché superficiale, fragile perché pronta a essere recisa da un
momento all'altro come si conviene ad un uomo sempre in
movimento all'interno della modernità fluida.
I diversi frammenti di identità tenuti insieme per un momento,
vengono composti dagli individui nel tentativo di formare
un'identità coerente, così come si cerca di comporre un puzzle.
Ma con importanti differenze:
si compone la propria identità come si
compone un disegno partendo dai pezzi
di un puzzle, ma la biografia di un uomo
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