II
esercitata da profondi mutamenti politico-istituzionali, come il passaggio
dalla Stato assoluto a quello di diritto, l’evoluzione dello Stato liberale in
Stato sociale ed interventista ed infine i due conflitti mondiali.
(Cercheremo innanzitutto di cogliere tale fenomeno sotto il profilo
eziologico, individuandone le origini nella spinta inflazionistica
esercitata già dall’800 da profondi mutamenti politico-istituzionali, come
il passaggio dalla Stato assoluto a quello di diritto, l’evoluzione dello
Stato liberale in Stato sociale ed interventista ed infine i due conflitti
mondiali.)
L’ipertrofia orizzontale è un fenomeno particolarmente grave poiché da
un lato determina una serie di inconvenienti che compromettono tanto la
funzionalità e l’efficienza quanto la razionalità e la coerenza del sistema
penale, dall’altro entra in tensione con alcuni principi fondamentali
dell’ordinamento giuridico.
Nel concetto di ipertrofia verticale rientrano due diversi fenomeni ossia,
da un lato l’aumento di quelle forme di criminalità diffusa che esprimono
un disvalore esiguo, dall’altro l’eccessiva punizione di quei fatti
(l’eccesso sanzionatorio rispetto a quei fatti) che ancorché conformi a
fattispecie incriminatrici, risultano in concreto dotati di un disvalore
assolutamente esiguo.
La prima tipologia di ipertrofia verticale consiste nell’aumento di quei
reati che si connotano per la frequenza con cui sono commessi e per
l’esiguità della loro manifestazione naturalistica.
Questa prima tipologia di ipertrofia verticale è imputabile ad una
pluralità di fattori che vanno dai processi di democraticizzazione e
laicizzazione attuati dagli Stati moderni alla materializzazione della scala
dei valori, dalla c.d. “perdita di identità dell’autore” alla c.d. “perdita
d’identità della vittima”.
III
La seconda tipologia di ipertrofia verticale si identifica nell’eccessiva
punizione di quelle forme di criminalità che si caratterizzano
esclusivamente per la concreta esiguità del fatto storico di reato.
Essa è apprezzabile in quegli episodi criminosi che sebbene conformi a
determinate fattispecie astratte, in concreto esprimono tuttavia un
disvalore assolutamente esiguo, tale da far sembrare eccessiva
l’irrogazione di una sanzione penale.
Tale fenomeno, figlio della concezione formalistica del reato, è dovuto,
in ultima analisi, alla naturale e necessaria astrattezza delle fattispecie
incriminatrici, e a nostro avviso anche alla particolare tecnica legislativa
adoperata soprattutto nella legislazione extra-codicem.
L’uso di una tecnica di descrizione del fatto tipico meramente
sanzionatoria, realizzata sul piano tecnico mediante l’impiego di clausole
sanzionatorie finali, determina una vera e propria penalizzazione a
tappeto della varie discipline amministrative di settore, presidiate dalla
tutela penale.
Ciò fa sì che la sanzione penale venga comminata per fatti che in
concreto sono caratterizzati da un diverso disvalore, tanto fatti gravi,
senz’altro meritevoli della sanzione penale, quanto fatti bagatellari,
dotati di un disvalore assolutamente esiguo.
L’analisi degli inconvenienti prodotti dalle due forme di ipertrofia
verticale ci induce a ritenere che esse rappresentano fenomeni
tendenzialmente diversi.
La prima tipologia di ipertrofia verticale incide soprattutto sulla
funzionalità del sistema e determina dunque l’esigenza di rendere più
efficiente il sistema penale facendo sì che l’ordinamento possa
concentrare le migliori risorse, umane e materiali, nella repressione dei
fenomeni criminali più gravi.
La seconda invece pone soprattutto il problema di razionalizzare
l’intervento punitivo, poiché rispetto ai fatti dotati di un disvalore
IV
minimo il diritto penale deve, da un lato accentuare il carattere di ultima
ratio di tutela, dall’altro garantire una proporzione tra il disvalore del
fatto e la natura della risposta sanzionatoria.
In sintesi, mentre il primo fenomeno determina soprattutto delle esigenze
di economia processuale, il secondo pretende principalmente
un’economia della pena, tale che la sua applicazione sia circoscritta ai
soli reati concretamente gravi ed arretri rispetto a quei fatti astrattamente
gravi, ma in concreto privi di un disvalore meritevole della sanzione
criminale.
A ben vedere nonostante le differenze tra le due tipologie di ipertrofia
verticale, ci pare che esse siano caratterizzate da un denominatore
comune, che a nostro avviso potrebbe giustificare una soluzione unitaria:
il carattere bagatellare del fatto storico. Entrambe le manifestazioni di
ipertrofia verticale ci sembrano espressione di criminalità bagatellare,
sicché l’individuazione di possibili rimedi passa senz’altro attraverso la
soluzione del problema della criminalità bagatellare.
In prima approssimazione possiamo identificare i “reati bagatellari” con
quei reati che, già in astratto, nella descrizione che ne fa il legislatore,
ovvero in concreto, nella effettiva manifestazione naturalistica,
esprimono un disvalore esiguo.
La criminalità bagatellare pone principalmente due ordini di problemi:
uno di politica criminale, l’altro di tecnica legislativa.
Il problema politico-criminale consiste nella difficile individuazione di
un punto di equilibrio tra esigenze equitative e di economia processuale
da un lato e le istanze di prevenzione dall’altro.
Questa difficoltà nasce da una peculiarità strutturale di questo genere di
reati, i quali, valutati singolarmente, sono caratterizzati da un disvalore
sociale così esiguo da consigliarne la depenalizzazione, mentre il
fenomeno della criminalità bagatellare, complessivamente considerato,
V
rischia di essere molto pericoloso e di creare grande allarme sociale, il
che giustificherebbe l’impiego della sanzione penale.
Sul piano della tecnica legislativa le difficoltà consistono nel tradurre in
formule normative rispettose del principio di legalità eventuali scelte
politico-criminali aventi come oggetto i reati bagatellari.
Ciò è imputabile ad un duplice ordine di ragioni.
In primo luogo è dovuto al fatto che il “reato bagatellare” è un concetto
esclusivamente dogmatico e criminologico, utilizzato per classificare in
una nozione unitaria, tutte le ipotesi di reato che si connotano, già in
astratto o semplicemente in concreto, per l’esiguità del disvalore.
Non esiste dunque nell’ordinamento alcuna disposizione che codifica la
nozione di reato bagatellare; e tra l’altro anche su un piano meramente
concettuale e definitorio, si fatica a cogliere gli elementi caratterizzanti il
c.d. tipo bagatellare.
In secondo luogo se pure si intendesse incentrare la nozione di reato
bagatellare sull’esiguità del disvalore del fatto si porrebbe il problema di
individuare una formula normativa da un lato rispettosa del principio di
determinatezza, dall’altro capace di tenere conto del fatto che l’esiguità
può riguardare tanto la fattispecie astratta (nel qual caso si parla di reato
bagatellare proprio) quanto il fatto storico di reato nella sua concreta
manifestazione naturalistica (nel qual caso si suole parlare di reato
bagatellare improprio).
In definitiva, nel concetto unitario di reato bagatellare sono racchiusi
fenomeni diversi e accumunati soltanto dall’esiguità che caratterizza il
fatto storico di reato: i reati bagatellari propri e i reati bagatellari
impropri.
I reati bagatellari propri che sono quei reati caratterizzati da una pena
edittale molto bassa, indice del fatto che già in astratto, in base alla
previsione legislativa, essi si caratterizzano per l’esiguità del disvalore.
VI
Essi si identificano con le fattispecie contravvenzionali, ossia il genus di
reati cui il legislatore ricorre per sanzionare quei reati previsti soprattutto
dalla legislazione extra-codicem che consistono per lo più in
microviolazioni di carattere formale.
La risposta più efficacie ai fenomeni inflattivi prodotti da questo genere
di reati, la cui esiguità è apprezzabile già in astratto, è costituita da una
politica di depenalizzazione in astratto volta a degradare questo tipo di
illeciti penali, in corrispondenti illeciti amministrativi: così facendo si
riescono a soddisfare tanto delle esigenze preventive quanto esigenze
equitative (o meglio di economia della pena) e di economia processuale.
I reati bagatellari impropri sono reati solo astrattamente gravi, che
tuttavia in concreto manifestano quell’esiguità che li qualifica come
bagatellari.
Questa tipologia di reati non è suscettibile di una depenalizzazione in
astratto, poiché è solo in concreto, sul piano della manifestazione
naturalistica che essi presentano quell’esiguità che giustifica
un’attenuazione del regime sanzionatorio, lato sensu inteso.
Un’eventuale politica deflattiva può quindi realizzarsi solo attraverso dei
modelli di depenalizzazione in concreto, che rinviano il compito di
precisare il rapporto tra la fattispecie astratta (grave) e la sua
manifestazione naturalistica (esigua) al funzionamento di meccanismi,
sostanziali o processuali, operanti ex post.
Ciò premesso, cercheremo di evidenziare come dinanzi a dei sistemi
penali letteralmente sfiancati dall’ipertrofia penalistica, i moderni
legislatori abbiano acquisito piena consapevolezza dell’importanza e
della gravità (tutt’altro che bagatellare) del fenomeno e della
improrogabilità di una risposta normativa.
In alcuni paesi, come la Francia o gli USA, si è individuata una possibile
linea di intervento nel funzionamento di meccanismi processuali che
realizzano una depenalizzazione in concreto degli episodi meno gravi
VII
valorizzando le potenzialità deflattive del principio di opportunità
processuale.
Viceversa in quegli ordinamenti informati all’opposto principio di
obbligatorietà dell’azione penale sono stati elaborati dei modelli di
depenalizzazione in concreto che, ferma l’esistenza del reato, escludono
l’applicazione della pena sulla base di valutazioni di opportunità, lato
sensu intese.
Si possono distinguere, a nostro avviso, tre diversi modelli di
depenalizzazione in concreto, che pur realizzando tutti un risultato
deflattivo, sembrano valorizzare tre diverse esigenze.
(Il primo modello è costituito da quegli istituti che a fronte di episodi
criminosi che presentano un disvalore esiguo realizzano ex post un
arretramento della sanzione penale attuando così il principio di
sussidiarietà e valorizzando delle esigenze equitative o meglio di
proporzione tra la gravità del fatto e le sue conseguenze sanzionatorie.)
Alcuni mirano a realizzare un arretramento dell’area della sanzione
penale in attuazione del principio di sussidiarietà, valorizzando così delle
esigenze equitative o meglio di proporzione tra la gravità del fatto e le
sue conseguenze sanzionatorie.
In questo primo gruppo sembrano rientrare l’istituto della “Mancanza di
meritevolezza di pena del fatto” previsto dal § 42 öStGB e l’istituto
dell’irrilevanza penale del fatto previsto da due disegni di legge
governativi (n. 4625/C-1998 e n.4625-bis/C-1998) che avrebbero dovuto
accompagnare la riforma del giudice unico.
I due istituti escludono la punibilità in relazione ad un fatto che,
ancorché tipico, antigiuridico e colpevole, presenta in concreto un
disvalore sociale così ridotto da essere considerato immeritevole di pena
o penalmente irrilevante.
VIII
I risultati deflattivi che ne possono conseguire sono solo degli effetti
indiretti (ancorché di non secondaria importanza) ed eventuali ma non
costituiscono il fine ultimo delle due disposizioni, le quali, sul piano
della formulazione tecnica sono accumunate dal fatto di individuare il
“reato bagatellare improprio” non già rimettendolo ad un complessivo
giudizio di esiguità del giudice bensì attraverso la previsione espressa e
tassativa, ancorché non sempre sufficientemente determinata, di una
duplice categoria di limiti, tanto esterni quanto interni al fatto medesimo.
Un secondo modello è rappresentato da quegli istituti (§§ 153 e 153a
dStPO) che mirano a soddisfare innanzitutto esigenze di economia
processuale ossia a ridurre il numero dei procedimenti penali pendenti.
Gli istituti in questione puntano per lo più a decongestionare il sistema
processuale dai procedimenti riguardanti i piccoli reati, con meccanismi
più razionali e controllabili di quanto non siano quelli operanti nella
prassi.
La necessità di valorizzare al massimo le potenzialità deflattive di tali
istituti ha indotto il legislatore tedesco a rinunciare nella formulazione
della disposizione tanto alla tassatività quanto alla determinatezza.
In altri termini l’individuazione del reato esiguo è rimessa, di fatto,
all’assoluta discrezionalità del giudice, il quale si affiderà ad un
complessivo giudizio di esiguità, del tutto svincolato da qualsiasi
parametro normativo.
Infine occorre considerare quei modelli (come ad esempio la “Sentenza
di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto” prevista dall’art 27
d.p.r.448/1988) che hanno come obiettivo principale quello di escludere
la sanzione penale a fronte della commissione di reati bagatellari in
considerazione dell’effetto stigmatizzante che il processo e la sanzione
penale possono assumere nei confronti del reo.
Valutando, de iure condendo, la possibilità di introdurre nel nostro
ordinamento positivo, una clausola di irrilevanza penale del fatto, ci
IX
sembra di poter dire che essa rappresenta una soluzione capace di fornire
quel grado di certezza insito nella depenalizzazione di diritto
(assolutamente irrinunciabile in un ordinamento informato al principio di
legalità formale) e allo stesso tempo di adattarsi perfettamente alle
peculiarità strutturali dei reati bagatellari impropri.
Una clausola di irrilevanza penale del fatto consentirebbe di cogliere e di
valorizzare ex post, quell’esiguità che caratterizza la categoria dei reati
bagatellari e che eventualmente ne può giustificare un trattamento
deflattivo.
Tuttavia la sua introduzione incontra grandi difficoltà per via di una
serie di obiezioni avanzate sia sul terreno politico-criminale sia su quello
strettamente tecnico-giuridico.
L’introduzione di una clausola di irrilevanza penale del fatto è osteggiata
dal punto di vista dell’opportunità politico-criminale, poiché si teme che
essa, assicurando una sostanziale impunità delle forme di criminalità
bagatellare, rischia non solo di tradire la ratio stessa della sanzione
penale ma soprattutto di creare un pericoloso effetto criminogeno e di
conseguenza un forte allarme sociale.
Dal punto di vista tecnico-giuridico si rileva da un lato l’incompatibilità
dell’istituto de quo con il principio costituzionale dell’obbligatorietà
dell’azione penale, dall’altro l’estrema difficoltà di descrivere il concetto
di “irrilevanza”(o meglio i criteri d’esiguità su cui si fonda il relativo
giudizio) con formule rispettose della legalità tali da contenere la
discrezionalità del giudice.
Le critiche mosse contro l’introduzione dell’irrilevanza penale del fatto
sul piano dell’opportunità politico-criminale ci sembrano senz’altro
superabili in considerazione del fatto che, allo stato attuale, pur senza un
istituto di questo tenore, i reati bagatellari sono ben lungi dall’essere
effettivamente sanzionati, anzi sono oggetto di una fortissima selezione
che per un verso determina la totale perdita di effettività della pena, per
X
l’altro si svolge al di fuori di qualunque regolamentazione e di qualsiasi
controllo, col rischio di soluzioni irrazionali o arbitrarie assolutamente
inaccettabili in un sistema informato al principio di legalità.
Inoltre se da un lato si dubita che l’autore di un reato bagatellare
necessiti di un trattamento rieducativo e risocializzante e che rispetto a
reati dotati di un disvalore minimo la sanzione penale possa svolgere
realmente una funzione rieducativa, dall’altro è certo che la celebrazione
di un processo e l’irrogazione di una sanzione penale, anche se di
modesta entità, producono nei confronti del reo un effetto stigmatizzante
assolutamente sproporzionato rispetto all’effettivo disvalore del reato.
Sembra emergere dunque una prima conclusione: esistono, sotto il
profilo dell’opportunità politico-criminale, gli estremi per l’introduzione
nel nostro sistema penale di una clausola di irrilevanza penale del fatto.
Ciò premesso, occorre specificare lo scopo di un simile istituto, che
sembra potenzialmente in grado di assolvere ad una pluralità di obiettivi
di politica-criminale.
A nostro avviso, la clausola di irrilevanza penale del fatto dovrebbe
essere finalizzata ad evitare la punizione di quei reati per i quali la
sanzione penale risulterebbe sproporzionata rispetto all’esiguità del fatto
storico e garantire così la piena attuazione del principio di extrema ratio.
In questo modo, determinando un arretramento della sanzione penale
rispetto ai fatti che risultino in concreto privi di un significativo
disvalore, contribuirebbe a razionalizzare l’impiego della sanzione
penale e a restituirle un ruolo sussidiario rispetto agli altri strumenti di
tutela e di controllo sociale.
Peraltro nell’assolvere a questa funzione prioritaria, la clausola di
irrilevanza penale del fatto potrebbe consentire altresì la realizzazione di
importanti risultati deflattivi, soddisfacendo in ultima analisi tanto
esigenze di economia della pena quanto esigenze di economia
processuale.
XI
L’eventualità di una sua introduzione nell’ordinamento positivo pone il
problema dell’individuazione del fondamento teorico-dogmatico
dell’istituto de quo.
Sotto questo profilo ci sembrano astrattamente prospettabili due diverse
ricostruzioni della clausola di irrilevanza penale del fatto: una che
esclude l’esistenza del reato, l’altra che, ferma l’esistenza del reato,
esclude soltanto la punibilità, lato sensu intesa.
In base alla prima ricostruzione teorico-dogmatica si dovrebbe
concludere che la clausola di irrilevanza esclude l’irrogazione della
sanzione penale come effetto del mancato perfezionamento del reato.
Secondo questa impostazione, che muove dal principio di necessaria
offensività, si potrebbe sostenere che attraverso l’introduzione di una
clausola di irrilevanza penale del fatto, il legislatore intende codificare
un “principio di rilevante offensività” ossia un istituto, operante sul
piano applicativo, capace di delimitare l’area dell’illecito penale ai soli
fatti che recano un’offesa particolarmente significativa ai beni giuridici
oggetto della tutela penale.
Simile interpretazione sarebbe compatibile con il principio costituzionale
di necessaria offensività, poiché se il legislatore ordinario è legittimato a
prevedere delle deroghe “in malam partem” al principio di offensività, a
fortiori è libero di restringere l’area della tutela penale, circoscrivendo
l’impiego della sanzione penale ai soli fatti che producono non già una
qualsivoglia offesa, anche minima, al bene giuridico, bensì un’offesa
rilevante.
Il “principio di rilevante offensività” andrebbe in un certo senso a
completare quello di necessaria offensività in maniera tale da consentire
al giudice di escludere l’esistenza del reato (e a fortiori l’irrogazione
della pena) non soltanto nei casi in cui si realizza una sfasatura tra
tipicità formale ed offensività sostanziale ma anche quando il fatto,
ancorché conforme alla fattispecie astratta, reca un’offesa tenue, esigua,
XII
al bene giuridico tutelato, tale da far ritenere eccessivo l’impiego dalla
sanzione penale.
Questa tesi non può essere accolta per una serie di argomenti.
In primo luogo il principio di rilevante offensività si differenzia
dall’offensività tradizionalmente intesa sotto il profilo funzionale, infatti
il principio di necessaria offensività mira ad escludere la tipicità rispetto
a quei fatti perfettamente conformi alla fattispecie incriminatrice ma che
eccezionalmente non recano alcuna offesa al bene giuridico tutelato dalla
fattispecie incriminatrice, mentre il principio di rilevante offensività
sarebbe funzionale alla depenalizzazione in concreto dei reati bagatellari
impropri.
Inoltre ricostruire l’irrilevanza penale del fatto come principio di
rilevante offensività significa individuare, quali parametri d’esiguità,
solo elementi di natura oggettiva connessi al piano dell’offesa ed
ignorare la dimensione soggettiva dell’illecito penale.
Infine un principio di rilevate offensività porrebbe seri problemi di
coerenza sistematica con tutta una serie di istituti che all’opposto
tendono ad anticipare la soglia della tutela penale; né d’altronde tale
principio può essere riferito ai soli reati bagatellari impropri vista
l’inesistenza di tale nozione sul piano giuspositivo e la difficoltà di
introdurla nell’ordinamento con formule rispettose del principio di
determinatezza.
Secondo una diversa ricostruzione teorica, attraverso una clausola di
irrilevanza penale del fatto il legislatore potrebbe valorizzare il principio
di esiguità, non già per escludere la tipicità e dunque la configurabilità
del reato, bensì per giustificare un’attenuazione o addirittura la rinuncia
alla pretesa punitiva statuale: ciò in quanto l’illecito penale è
caratterizzato non soltanto da una dimensione obiettiva ma anche da una
dimensione quantitativa, da un peso, che deve assumere un ruolo
XIII
significativo non solo ai fini della commisurazione della pena, ma anche
ai fini dell’an della punibilità.
Quest’impostazione muove da una premessa opposta rispetto a quella
precedentemente tratteggiata in quanto postula l’esistenza di profonde
differenze tra l’offensività e l’irrilevanza penale del fatto, chiaramente
apprezzabili sotto il profilo funzionale, dogmatico e sistematico.
Questa tesi merita a nostro avviso di essere accolta poiché se da un lato
consente di realizzare pienamente la ratio dell’istituto, dall’altro lo
espone ad una serie di obiezioni che dipendono dal modo con cui è
formulata la clausola di irrilevanza, ma che ciò non di meno sembrano
superabili.
I problemi più significativi consistono nell’individuazione di criteri
d’esiguità funzionali rispetto allo scopo dell’istituto e nella loro
descrizione in maniera rispettosa dei principi di tassatività e
determinatezza della norma penale.
In secondo luogo occorre precisare la natura giuridica dell’istituto e
valutare la sua compatibilità rispetto al principio costituzionale
dell’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.).
Per quanto concerne il tema, assolutamente centrale, dell’individuazione
e della descrizione dei criteri d’esiguità sui quali si fonda il giudizio
d’irrilevanza, ci sembra
che il fatto bagatellare suscettibile di depenalizzazione vada individuato
attraverso una duplice categoria di limiti, tanto esterni quanto interni al
fatto medesimo.
Per quanto riguarda i limiti esterni al fatto, riteniamo necessaria una
delimitazione legislativa dell’ambito di applicabilità dell’istituto.
Sarebbe opportuno infatti che il legislatore contenesse la discrezionalità
del giudice individuando i reati suscettibili di essere oggetto di giudizio
di irrilevanza ovvero quelle fattispecie incriminatrici rispetto alle quali è
preferibile tenere più alta la soglia della tutela penale: tali valutazioni
XIV
rispondono infatti a precise opzioni di politica-criminale che come tali
devono essere compiute esclusivamente dal legislatore.
Premesso che l’individuazione dell’ambito di applicabilità della clausola
di irrilevanza penale del fatto può astrattamente avvenire sulla base di tre
diversi criteri (attraverso l’elencazione tassativa delle fattispecie
incriminatrici, attraverso il criterio dei limiti edittali di pena ovvero
attraverso il criterio del bene giuridico) riteniamo opportuna, de iure
condendo, una soluzione capace di valorizzare tutti e tre i criteri
menzionati.
Il legislatore potrebbe infatti individuare l’ambito di applicabilità della
clausola d’irrilevanza penale del fatto individuando (in positivo) i reati
suscettibili di depenalizzazione attraverso il criterio dei limiti edittali di
pena ed escludendone l’operatività rispetto a specifiche ipotesi di reato
tassativamente individuate ovvero rispetto a categorie omogenee di reati,
individuate a seconda del bene giuridico tutelato.
Per quanto concerne l’individuazione del fatto bagatellare, occorre
considerare due diversi modelli di tipicità bagatellare elaborati dalla
dottrina tedesca.
Secondo il c.d. modello ristretto di Krumpelmann, l’esiguità che connota
il tipo bagatellare deve essere valutata alla stregua dei principali elementi
dell’illecito ossia il disvalore d’azione, il disvalore d’evento e il grado
della colpevolezza, tra i quali non dovrebbe esistere alcun rapporto
gerarchico essendo posti su un piano di perfetta parità.
Ciò comporta che ai fini dell’esistenza del reato bagatellare improprio
tutti e tre i parametri si devono connotare in concreto per la loro esiguità,
mentre è sufficiente che anche un solo elemento esprima un disvalore
elevato per escludere la natura bagatellare del fatto-reato.
Questo primo modello di tipicità bagatellare risulta incentrato sul “fatto”
e tende a definire esclusivamente il concetto di “fatto bagatellare”, non
anche quello di autore bagatellare: per questo motivo considera
XV
irrilevanti tutti quei parametri che rivelano un disvalore attinente
all’autore e non al fatto.
Questa ricostruzione, peccando di “eccessiva astrazione”, non soltanto
riduce l’efficacia deflattiva del principio di esiguità ma sacrifica anche
delle esigenze di equità.
Il secondo modello di tipicità bagatellare si fonda sull’idea che la natura
bagatellare del fatto vada apprezzata alla luce dei vari criteri che
presiedono alla commisurazione della pena, alcuni dei quali consentono
un giudizio sul disvalore obiettivo del fatto, altri sul disvalore soggettivo,
altri ancora introducono nel giudizio di esiguità valutazioni riconducibili
agli scopi della pena.
La particolarità di tale valutazione sta nel fatto che essa non è funzionale
alla determinazione del quantum di pena bensì alla decisione sull’an
della punibilità.
Tale impostazione rischia di soggettivizzare il giudizio di esiguità, cioè
di trasformarlo da giudizio sul fatto in giudizio sull’autore con la
conseguenza di punire fatti oggettivamente esigui commessi da “autori
non bagatellari”.
Inoltre fondando il giudizio di esiguità su criteri molto numerosi ed
eterogenei diventa praticamente impossibile stabilire in astratto una
gerarchia tra i vari indici di esiguità: ciò accentua la discrezionalità
applicativa del giudice che diviene libero di fondare la decisione (sulla
natura bagatellare del fatto) sulla base di un complessivo giudizio di
esiguità, totalmente discrezionale e incontrollabile, che rischia di
pregiudicare la certezza del diritto e la parità di trattamento.
I modelli di tipicità bagatellare elaborati dalla dottrina tedesca sembrano
imporre due conclusioni.
In primo luogo, vista anche la necessità di garantire una certa coerenza
tra la ratio dell’istituto e i criteri di esiguità in cui essa si sostanzia, si
deve ritenere che è solo il “fatto” con la sua esiguità che fa sembrare
XVI
sproporzionata la sanzione penale e che eventualmente suggerisce una
risposta sanzionatoria diversa da quella penale.
In secondo luogo la necessità di contenere la discrezionalità in fase
applicativa rende essenziale una gerarchia tra i vari indici di esiguità, la
quale peraltro potrà avere solo un valore tendenziale e servire come
criterio orientativo per il giudice: essa infatti dipende inevitabilmente dal
modo in cui è strutturata la fattispecie incriminatrice astratta.
Ciò premesso, riteniamo che la natura bagatellare del fatto debba essere
valutata alla stregua del disvalore d’evento e del disvalore della
colpevolezza.
Il disvalore d’evento consiste nel grado di offesa recata al bene giuridico
tutelato dalla fattispecie incriminatrice ossia nell’entità della lesione o
della messa in pericolo prodotta dal fatto.
Alquanto problematica risulta la determinazione del concetto di esiguità.
Rispetto ai reati offensivi dell’integrità fisica o del patrimonio, il
disvalore d’evento può identificarsi con l’entità del danno materiale
cagionato dal reato sicché il legislatore potrebbe specificare il concetto
di “esiguità del disvalore d’evento” ancorando il danno materiale ad una
soglia quantitativa.
Sul piano della tecnica legislativa, la soglia quantitativa di danno
potrebbe essere fissata attraverso l’uso di formule generiche, incentrate
su concetti elastici (come ad esempio quello di tenuità del danno) ovvero
ancorandola a dei valori numerici fissi predeterminati.
De iure condendo, la prima soluzione avrebbe il pregio di consentire al
giudice di aggiornare costantemente la soglia di esiguità e di adeguarla al
tipo di reato di volta in volta considerato, per contro ridurrebbe la
determinatezza dell’intera clausola d’irrilevanza penale del fatto.
La seconda soluzione riuscirebbe ad assicurare il massimo della
determinatezza e dunque la possibilità di distinguere, ex ante, il disvalore
penalmente rilevante da quello bagatellare tuttavia renderebbe necessario
XVII
un costante aggiornamento della soglia di esiguità da parte del legislatore
e soprattutto renderebbe impossibile l’individuazione di un limite
quantitativo valido per le diverse ipotesi di reato.
Il secondo elemento alla cui stregua valutare la natura bagatellare del
fatto è l’esiguità della colpevolezza, che va intesa in senso lato, come
comprensiva sia delle modalità della condotta (ossia del disvalore
d’azione) sia della “colpevolezza per il fatto” (Tatschuld).
La possibilità di considerare il disvalore d’azione ai fini del giudizio sul
disvalore della colpevolezza può, prima facie, suscitare qualche
perplessità ma a ben vedere trova la propria giustificazione nel fatto che
le modalità della condotta sono di per sé un criterio neutro, privo di
capacità espressive, peraltro capaci di rivelare l’intensità della
colpevolezza.
Del resto il comportamento tenuto in concreto dall’agente può presentare
delle peculiarità che, sebbene non incidano sulla qualificazione giuridica
del fatto, conferiscono ad esso una particolare connotazione, negativa o
positiva; peraltro occorre sottolineare che le modalità della condotta
vanno valutate in sé, per il disvalore che esprimono e non già come
indici della personalità dell’autore.
Per quanto riguarda il giudizio sulla colpevolezza in senso stretto, si
deve assumere come riferimento la nozione ristretta di “colpevolezza per
il fatto” (Tatschuld) che assume come criteri d’esiguità, la misura
dell’illecito, l’imputabilità, l’intensità del dolo e il grado della colpa, la
presenza di eventuali circostanze che “attenuano” la complessiva illiceità
del fatto.
La costruzione di una clausola di irrilevanza penale del fatto deve
avvenire tenendo ben distinto il tema dell’individuazione dei criteri di
esiguità del fatto, da quello del trattamento dei reati bagatellari commessi
da autori non bagatellari.